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Autore: Cassie chan    09/11/2013    14 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. '
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Capitolo 42 – Unraveled chains

 

I momenti peggiori della vita hanno un’ombra tale, lunga come quella degli oggetti al tramonto, che li distingui persino mentre li stai ancora vivendo. Proiettano un cono nero dentro il futuro, che deglutisce tutto quello che ci sarà da quel momento in avanti, stritolando colori e gioie non ancora nemmeno concretizzate. I giorni belli della vita, i migliori, non avvisano mai, così che tu possa sottovalutarli e non lacerarti nell’angoscia che scivolino via, perché se lo capissi, se lo intuissi, perderesti la leggerezza necessaria a vivere quel momento e a renderlo il migliore, forse, mai visto. Quindi, sono lievi, sottili, frastagliati nella memoria dall’ansia irascibile di non aver mai fissato abbastanza particolari di quell’attimo.

Ma i momenti brutti sono come lastre di cemento: e soffocano, comprimono, schiacciano. E non smettono mai di farlo.

Io, già adesso che urlo contro Draco, avverto la premonizione che questo sarà il momento più brutto della mia vita. Ed è qualcosa di vagamente ironico e sarcastico, considerando che cosa ho passato e che cosa probabilmente ancora passerò. Eppure, quel presagio mi fa drizzare i capelli sulla nuca. Non è riposante o consolante pensarlo, non è che mi dico automaticamente che ciò significa che ho davanti il riscatto di una pacifica serenità, se questo fosse davvero il momento peggiore della mia vita. Potrebbe esserci anche una distesa di giorni né troppo belli, né troppo brutti: vuoto davanti, come quello che lascia un tifone al suo passaggio. Quindi non c’è alcuna soddisfazione nello stare dentro al tifone, preconizzando che se ne uscirebbe vivi, solo per trovarsi nel bel mezzo del deserto post Apocalisse. Ma quella premonizione si rivela con una mano calda sul collo, dietro la nuca. E lì capisco che è Tatia che me lo sta dicendo.

Non sono solo io a capirlo, con i miei sensi offuscati dalla rabbia o dal dolore. C’è qualcosa di vero in tutto questo.

Quel calore se lo inghiotte il gelo della stanza, rimasto inalterato anche dopo l’ingresso di Helder, che dice solo: “Ed ecco come muore l’unica speranza di salvare Alex…”. Mi dimentico presto di una sciocca profezia che non mi interessa se si auto-avveri, è davvero questo il momento peggiore della tua vita, Hermione.

E non distinguo, soffocata dalla pioggia di parole che vomito adesso a Draco, una piccola voce sottile da uccellino che bisbiglia nei miei pensieri.

Ti ricorderai questo, solo alla fine di tutto… e la fine non è questa.

Arsa dalla rabbia e dalla sofferenza, pronta ormai a scagliarmi contro Draco per fargli il maggior male concepibile per aver anche solo pensato di togliermi mio figlio, non avverto alcun sollievo nel arrivo della mia amica, tantomeno curiosità per le parole che ha detto. Non provo nemmeno un adeguato senso di vergogna per rendere spettatori Pansy, Dean e Seth del peggiore momento della mia vita, quello dove sto dando prova di tutto il contrario di quella che mi sono sempre professata essere. Continuo ad urlare parole scomposte, Draco fa lo stesso, ci fronteggiamo lividi in volto come mai è accaduto, persino ad Hogwarts, persino al Petite peste. Nulla ci aveva mai unito abbastanza da trasformarsi poi in un tale odio, se calpestato. Forse arriva qualcuno a cercare di dividerci, Seth che prende lui per le spalle, Dean che trattiene me per la vita, ma sono deboli e molli legacci. Le parole non si fermano, esplodono, scoppiettano, spandono veleno attorno.

Per fortuna, quelle invece le scorderai. Ti dimenticherai le sue di parole e le tue, come se non fossero mai esistite.

Sarà persino facile, semplice, in confronto a quello che stai per passare.

Buona fortuna, Hermione Granger.

Scuoto il capo, come se fossi disturbata da un insetto che continua a ronzare nel mio cervello, mentre mi preparo a rispondere all’ennesima accusa di Draco. Poi, d’improvviso, io e lui precipitiamo al suolo, seduti, cascando sulle ginocchia e poi restando immobili a terra, come pupazzetti addomesticati. Uno strano senso di gelida calma mi trapassa il petto, si espande come una melma nera e corrode le mie vene riarse, anestetizzandomi e rendendomi insensibile. Non capisco che cosa diamine mi stia succedendo, è come essere stata drogata, non è assolutamente piacevole come sensazione, sebbene sia stata bruciata dalla rabbia fino a pochi secondi fa e questo dovrebbe darmi pace. E’ come calare un corpo ustionato nell’acqua ghiacciata: il respiro rallenta fino quasi a scomparire, il volto mi torna gelido, persino la febbre sembra svanire. Le voci dei miei amici tacciono tutte assieme. Guardo Draco senza capire, cercando nei suoi gesti rallentati la risposta all’uguaglianza che sento nei miei, ed anche lui è sconvolto, atterrito, sbigottito, incapace di fare una cosa qualunque, fosse pure guardarmi con odio.

“L’empatia non è solamente un bel trucchetto di cambio estetico del colore degli occhi…” la voce di Helder suona così cupa e remota che mi fa tremare di freddo, sembra d’improvviso antichissima e solenne come quella di una dea o di una regina “Usiamo di rado il nostro vero potere perché è ingiusto controllare le emozioni degli altri. Credo di averlo fatto due volte nella mia vita… con questa. Non costringetemi a farlo di nuovo…”. Sento lentamente il giogo ghiacciato della calma forzosa allentarsi, il respiro tornare ad accelerare, la rabbia riprendere a mulinare, la febbre fiaccarmi di nuovo i sensi.

“… vedete di trattenervi, entrambi, per il bene di vostro figlio…” soggiunge Helder con voce un po’ più acuta e meno bassa, più simile alla sua. Riesco finalmente a vederla in viso, ruotando leggermente il collo, ha le palme sollevate e rivolte davanti a sé, fisse nella nostra direzione. Gli occhi sono spaventosi: senza la benché minima espressione, l’iride e la pupilla sono annegate nel bianco dell’occhio sparendo. Forse, per la prima volta, mi rendo davvero conto di che cosa sia il potere di un Empatico… e quanto essa sia letale e pericoloso, qualora decidessero di usarlo appieno e per fini sbagliati.

La stretta della calma imposta inizia a passare piano, così come l’espressione luciferina di Helder che riacquista colore in viso, nelle labbra e sulla pelle delle braccia, che prima erano trasparenti come vetro. I suoi occhi tornano scuri mentre riabbassa le palme e si rivolge a me, un guizzo d’oro nelle iridi della stessa tinta delle mie: “Questa… non sei tu. Devo forse ricordartelo io chi sei davvero?”. La calma si è disciolta del tutto, con essa adesso scompare anche la rabbia, ma con l’empatia non c’entra granché. Sono io che provo autentico imbarazzo per quello che mi sta dicendo, tanto che mi chiudo nelle spalle a disagio, distogliendo lo sguardo da lei e fissandolo sulle mie ginocchia ancora poggiate sul pavimento. Ha ragione, lo so, inutile anche che lo pensi. Mi sono trasformata in poche ore in tutto quello che ho sempre aborrito… tutto, da quando mi hanno tolto Alex. Un singhiozzo mi si incastra in gola, lo ricaccio indietro con fastidio.

“… sono stata con te cinque anni in Italia e hai sempre avuto bene in mente chi era il nemico contro cui dovevi combattere…” riprende Helder, chinandosi alla mia altezza e guardandomi ancora fisso negli occhi gemelli dei suoi, poi fa un cenno alle mie spalle verso qualcuno, che capisco essere Draco dalle parole che subito sussurra quieta: “E non è mai stato lui… ma Karkaroff. Se vuoi riprenderti tuo figlio… devi usare le tue forze contro Dimitri, non contro il padre di tuo figlio… e credimi, avrai bisogno di tutte le tue forze…”. Annuisco come una bimbetta scornata, e lei mi aiuta silenziosamente ad alzarmi in piedi. Si avvicina furtiva al mio orecchio e mi bisbiglia lievemente, senza farsi sentire da nessuno: “Tu sei quella della scatola di latta azzurra che non si chiudeva, mentre la mettevi in valigia… devo ricordarti anche questo?”. Arrossisco, sento il viso andarmi a fuoco e la guardo con gli occhi sbarrati, convinta d’improvviso che le sia successo qualcosa, che abbia nuovi poteri, forse anche di telepatia.

La scatola di latta azzurra… nascosta nel fondo della valigia… con il coperchio accostato e non chiuso, perché era troppo piena per poterci riuscire…

Le novecento tredici lettere per Draco.

Mi ha visto scrivere ogni mattina, appena alzata, mi sedevo in veranda e scrivevo a lui. Socchiudo gli occhi, quasi travolta dai ricordi della luce afosa della Sicilia e dell’odore pungente dei limoni e delle arance, mentre Alex mostrava a Ron qualche altro dei suoi giochi… e torna quel senso acquoso di riscatto che avvertivo scrivendo a Draco, raccontandogli di che cosa facesse suo figlio, di come una piega del suo volto fosse inaspettatamente simile alle sua, di quanto ancora lo amassi, di quanto fossi così piena di domande per lui da poterci riempire carta su carta. Riapro gli occhi, tornando a guardare Helder che ha un’espressione pacata ma seria. Sapeva che le lettere erano per Draco, credo che me l’abbia anche chiesto, probabilmente avvertiva il sentimento per lui, può anche supporre che mi sia portata quel pacco di corrispondenza mai inviata… ma che ne sa di dove sia? Che ne sa della scatola? Ma soprattutto… e questo mi dà un brivido caldo alla schiena, mentre lo spazio tra i polmoni punge irrisolto… perché me lo sta dicendo adesso? Non sente quanto sono lontana da quello che ha animato quelle lettere? Non sente quanto anche Draco lo sia? Non capisce che è finita?

Helder, però, ignora bellamente il mio sguardo interrogativo e sconvolto, rivolgendosi alle mie spalle, verso Draco, con voce molto più ferma. Adesso i suoi occhi sono grigio tempesta, come quelli di Alex e Draco, ma la loro espressione è persino più dura di quella degli occhi del loro legittimo ed originario proprietario, specie mentre chiosa seria: “Devo poi davvero fare prediche ad un uomo che minaccia di togliere un figlio a sua madre, quando il suo peggiore terrore è che i Greengrass vengano a riprendersi la sua di figlia, avendone tutte le ragioni legali e nessuna d’amore ed affetto? Faresti a tuo figlio quello che temi che facciano a Serenity… ed anche nel tuo caso, il nemico è Karkaroff, non lei… la donna che in ogni caso ti ha dato un figlio e l’ha protetto per cinque anni…”.

Quando Draco riprende a parlare, sebbene non lo guardi, capisco che anche nel suo caso che le parole di Helder lo hanno colpito e ferito. Solo io, ma sicuramente anche lei con l’empatia, distingue quella sfumatura tremula nella voce arrogante che chiede sarcastico: “E in nome di quale diritto dovrei ascoltarti? Quello di un’altra amichetta della Granger?”.

“In base a molti diritti…” enumera apparentemente spensierata Helder, facendo qualche passo avanti ed indietro e contando sulla punta delle dita “Vediamo… punto uno, sono un’emissaria del ministro e sono a conoscenza dei sospetti dei Greengrass su tua figlia, dato che hanno chiesto di riaprire le indagini sulla morte di Helena Diggory… ergo, potrei persino aiutarti con questa situazione, o chiedere al Ministro di farlo… o sei stato davvero così sciocco e presuntuoso da credere che non avrebbero mai scoperto nulla?”, il silenzio alle spalle mi avvisa dello sconcerto misto a preoccupazione ansiosa che Draco sta cercando di trattenere, mentre Helder prosegue ironica: “Punto secondo, sono la sola al momento in grado di dirti come salvare l’altro tuo figlio, anche se dubito grandemente che tu possa riuscirci con questo collaborativo stato d’animo… punto terzo, e qui vado vagamente sul personale, sono la figlia dell’uomo che tuo padre ha torturato fino alla follia… e non nego di essere grandemente attratta dalle seduzioni ricattatorie verso una coscienza non propriamente pulita… e vediamo un po’… punto quarto…”, esterrefatta, esattamente come penso sia Draco alle mie spalle, vedo Helder chinarsi di nuovo per terra e toccare con la bacchetta una manciata di frammenti di ceramica, distrutti dall’impeto di Draco di poco fa. Dopo un veloce Reparo, i frammenti si rinsaldano assieme, assumendo la forma del più ordinario dei souvenir londinesi, una riproduzione dozzinale del Tower Bridge. Aggrotto le sopracciglia ancora vagamente confusa, mentre Helder lo soppesa nella mano aperta, quasi con affetto, prima di sussurrare, gli occhi grigi quasi incattiviti: “Ed ecco il punto quarto… non è un po’ strano che uno che ha vissuto anni a Londra si tenga in casa un souvenir del genere?”.

“Ho capito… possiamo darci un taglio…” la voce di Draco l’interrompe velocemente, mentre lui fa qualche passo febbrile e mi sorpassa, mormorando che ha bisogno di un po’ d’aria prima di fare qualsiasi cosa. Si sbatte la porta alle spalle nel più assoluto dei silenzi, mentre io continuo a non capirci niente.

Helder sorride tra sé e sé, muta alle mie domande silenti, mentre gli occhi tornano i suoi e cinguetta, la voce da uccellino: “Dio, quanto amo l’empatia…”.

 

 

L’arrivo di Helder è una boccata d’aria fresca.

Letteralmente.

In cinque anni, in Italia, ho già abbondantemente chiarito che è lei la persona che ho avuto più vicina, e che quindi ha sempre avuto il dono di rendermi maggiormente calma e lucida, al punto da farmi concretamente pensare che usasse l’Empatia su di me per controllarmi: questo, prima della scena di stamattina, in cui ho avuto modo di appurare che cosa accade quando davvero uno con i suoi poteri condiziona i sentimenti altrui.

E non parlo solo della calma ghiacciata che ci ha fatto rovinare addosso… ma delle sue parole… a me… e a Draco…

Che io l’abbia ascoltata, bè, non è così assurdo. Ma che l’abbia ascoltata lui, specie nello stato in cui era, dove non ha esitato persino a spintonare Seth che cercava di calmarlo… è autenticamente un miracolo. Non ha sa nemmeno che cosa abbia in mente per aiutare Alex. Si è fermato e basta.

Specie quando ha parlato di quel souvenir… che diamine sarà? Che cosa poteva esserci sotto, da averlo convinto così d’un tratto? Come se… temesse… che lei dicesse qualcosa di troppo…

Quelle considerazioni mi accompagnano mentre, meccanicamente, sistemo il salotto della casa di Draco, agitando pigramente la bacchetta che va a ricomporre quadri, vasi e tessuti lacerati. Con l’altro mano, sorseggio piano un decotto all’anice stellato che dovrebbe farmi abbassare la febbre, anche se in realtà non sembra che abbia un grande effetto.

Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di snebbiare la vista, anzi la febbre sembra persino salire sempre di più.

Helder ha chiarito che ha delle novità molto importanti che ci potrebbero aiutare con i Karkaroff e con Alex, ma ha asserito convinta che non ne parlerà fino a quando non metteremo ordine “fuori e dentro di noi, che non posso stare a fermare sedizioni e rivolte ogni tre secondi”. Insomma, morale della fiaba è che, quando ci avvertirà compiutamente calmi e pronti alla collaborazione, si deciderà a sputare il rospo. Sebbene quindi lo stomaco mi ribolle dall’ansia e dalla preoccupazione, senza contare l’odio per Draco e per quello che si è permesso di dirmi qualche ora fa, cerco di tenere la mente occupata in faccende futili, così da tenere fuori le sensazioni negative che mi pregiudicherebbero l’aiuto di Helder. Lei, al momento, è uscita con il monito di starcene buoni, perché “se iniziate a distruggere altri pezzi di mobilia, me ne accorgerò a chilometri di distanza”. Ho storto il naso, annuendo, la sensazione scomoda di essere una mocciosetta in castigo. Ma, mentre appunto sistemo il salone, la testa un po’ meno ingolfata dai pensieri rabbiosi ed ansiosi, non posso fare a meno di ripensare a quello che è appena successo.

La scatola azzurra di latta… e il souvenir del Tower Bridge…

Anche se non so che cosa Draco nasconda in quell’oggetto, deve essere per forza di cose qualcosa di emotivamente rimarchevole, se lei se n’è accorta. E certo, ne sono curiosa, come negarlo, specie perché con la sola allusione ad esso, lui si è istantaneamente convinto a collaborare. Che diamine sarà? Sembrava un oggetto così comune… qualche altra cosa su Raissa, che non so?

Figuriamoci, allora, che se ne sarebbe fregato di farmelo sapere… magari me l’avrebbe sputato in faccia apposta…

Eppure, nonostante la mia curiosità, la cosa maggiore che al momento non capisco, è come Helder si sia accorta di tutto questo e di come abbia sentito anche la mia scatola, nascosta in valigia al piano di sopra. Non aveva tali poteri quando ho lasciato l’Italia: le sue percezioni sono sempre state forti, d’accordo, ma sempre limitate alle persone… non agli oggetti. Ed adesso sente anche le cose? E poi, rifletto massaggiandomi la tempia destra… il potere che ha usato su di noi e l’avvertimento che adesso può sentirci anche a chilometri di distanza… c’è qualcosa di diverso in lei, decisamente. Non è mai stata così… forte. L’Empatia è sicuramente un potere misterioso ed inspiegabile, antico ed ancora poco conosciuto, quindi ci sono ancora tantissime dimensioni di queste capacità che non conosco e che magari non è nemmeno facilissimo per lei spiegare a parole, come mi ha sempre fatto sottintendere… ma ci sono stata accanto per cinque anni e non era così, non lo è mai stata. La mia mente ripercorre febbrile tantissimi episodi di vita assieme di questi cinque anni, e ne enumero decine dove era evidente che Helder non possedesse un potere del genere.

Mi siedo sul divano al centro della stanza ormai in ordine e faccio mente locale su quello che può essere il piano di Helder. Anche su quello, diversi punti non tornano. Ha detto che doveva uscire per mettersi in contatto con il Ministro e con altre non meglio identificate persone, cosa che quindi presuppone che Harry sia pienamente a conoscenza della situazione. E fin qui, più o meno, ci possiamo ancora essere. Ma la cosa strana è che ha chiesto che Dean rintracciasse immediatamente Ilai, asserendo che dovrebbe tornare immediatamente e che ha bisogno di tutti coloro che sono coinvolti in questa storia. E qui, la cosa particolare è che, da come ha parlato, sembrava pienamente consapevole persino di quello che è successo tra me e lui e della necessità che lui si allontanasse da qui: mi ha lanciato uno sguardo obliquo, mentre lo diceva, una strana nebbia negli occhi dello stesso colore dei miei, a metà tra la preoccupazione e il rimprovero silente. Ancora non ci ho capito granché, certo le mie sensazioni possono averle comunicato qualcosa, ma non tutto nei particolari, l’Empatia non ha mai funzionato in questo modo. Ilai non era nemmeno qui, quando è arrivato: come ha fatto a sentire quello che è successo? L’Empatia è sempre stata una serie di frammenti di sensazioni captate, non di interi pensieri e memorie. Avrebbe potuto capire un legame tra me ed Ilai ma poco della sua natura, e poco delle decisioni che abbiamo preso poche ore fa. Ed anche in quello, lo sguardo preoccupato non avrebbe motivo di esistere… di che cosa si preoccupa? È Draco che può farmi del male, non Ilai… ed invece lei, in sfregio completo del mio cuore e dei miei sentimenti che pure sembra sentire così bene, mi ha ammonito di ricordare la donna che si struggeva per il primo in Italia, e mi ha rimproverato silenziosamente sul mio attaccamento al secondo. Non è un comportamento tipico di lei, che non si è mai minimamente permessa di giudicare i miei sentimenti, nemmeno quando ne avrebbe avuto ogni voce in capitolo, visto che viveva a strettissimo contatto con me e Ron, e poteva benissimo esprimere perplessità su questo matrimonio fasullo. Inoltre, non è che sia mai stata una grande fan di Draco stesso, anzi: quando ero scomparsa, rapita da Dimitri, non aveva esitato a dirmi di aver avuto il sospetto che Draco potesse avermi ucciso. E nemmeno si era fatta eccessive remore nel dirmi dello Zahir, proprio perché capiva quanto mi lacerasse amare proprio lui.

Perché, invece, ora ha reagito in questo modo?

Ma la ciliegina sulla torta è stata che ha chiesto a Seth di contattare Kevin, il suo ragazzo, dato che avremmo bisogno anche di lui. Seth, ovviamente, è saltato sulla sedia entusiasta, finalmente partecipe dei piani d’azione che lo fanno sentire come James Bond. Ma, naturalmente, io ho continuato a non capirci nulla: cosa diamine c’entra il ragazzo di Seth, babbano fino al midollo, con i Karkaroff? E perché sta coinvolgendo tutta questa gente? Dimitri è me che vuole. Ammazzerà chiunque si metterà tra me e lui, compreso Alex. È davvero necessario che così tante persone rischino per colpa mia? Già non sopporto che ci siano Dean e Pansy, che è pur sempre incinta… ed Ilai, ovviamente, che Tatia voleva che io proteggessi…

E Draco.

Con un groppo in gola che mi impedisce di respirare agevolmente, mi lascio cadere sul divano, chiudendo gli occhi e prendendomi la testa tra le mani. Al momento, vorrei solamente che lui fosse dall’altra parte del mondo, dell’Universo tutto. Il male che mi ha fatto pulsa ancora nelle profondità di me stessa, come un punto fiammeggiante che non cessa mai di ardere: e quindi, mi pare ovvio il sollievo che proverei se fosse lontano. Ma in realtà non è solamente questo. Adesso, nonostante sia accaduto nella maniera peggiore possibile, lui sa di Alex. Sa che è suo figlio, sa di essere suo padre.

Ed ancora, nonostante tutto, mio figlio è più importante di ogni cosa. Vorrei Draco al sicuro… perché vorrei che Alex lo fosse, qualora mi accadesse qualcosa.

Mi porto indietro i capelli, le mani che mi tremano senza sosta, un improvviso senso di panico e disagio allo strambo piano di Helder. Quest’impotenza e questa attesa mi stanno facendo diventare pazza… senza contare la febbre, che non ne vuole sapere di lasciarmi in pace. Poggio la tazza ormai vuota sul tavolino, sfiorandomi distrattamente la fronte, è inutile, la temperatura non cala. Ci mancava anche questa, adesso. Devo essermi davvero debilitata in queste settimane, di solito non ho mai la febbre. Le mie riflessioni sono interrotte dall’ingresso di Pansy che, con aria scocciata, si siede accanto a me sospirando forte, prima di esordire velenosa, asciugandosi la fronte in modo teatrale: “Capisco se avessi contagiato Radcenko con tutto quello sbaciucchiamento clandestino… ma Malfoy come cavolo ha fatto a prendersi anche lui l’influenza, adesso?!”.

“Eh?!” commento instupidita, non seguendo le sue parole, ho i pensieri talmente annegati in una melassa di ragionamenti contorti, che faccio fatica a capire le cose più basilari.

Al che Pansy, con la calma di un insegnante saccente che si rivolge ad una bambina scema, mi spiega che era andata a portare Charisma e Serenity a casa di una vicina, che a quanto pare fa spesso da babysitter a Serenity stessa. Ed in giardino, ha visto Draco seduto sotto un albero, rosso in viso, che batteva i denti per il freddo. L’ha portato in casa e messo a letto controvoglia, mentre lui inveiva, dato che vuole ovviamente conoscere il piano per salvare Alex. Gli ha promesso che lo chiamerà per tempo, gli ha ingiunto di riposare e ha dato anche a lui una pozione all’anice stellato.

Con un brivido, mi rendo conto che quindi anche lui ha la febbre alta.

“Non ti pare… strano?” mi inalbero sospettosa, la febbre che ancora mi provoca un capogiro e mi costringe a chiudere gli occhi per fermarla.

“E che cosa non è strano, quando si tratta di voi due?” borbotta Pansy annoiata, sistemandosi i capelli con nonchalance “Vi fate venire anche le malattie contemporanee, adesso…”. Non do voce ai miei pensieri, ma mi chiudo nel mio silenzio colmo di un’accozzaglia di riflessioni. La febbre mi fa sentire completamente distrutta, mi spezza le ossa, ma per il momento almeno lascia in pace il mio cervello. Sta succedendo qualcosa… e qualcosa di strano. Non può essere un caso tutto quanto.

Questa… febbre… non è normale.

È magica.

Non ci vuole tanto per capirlo… è immune ai rimedi più comuni e colpisce solo me e Draco. Che siano Raissa e Dimitri? Che stiano cercando di indebolirci? Ma allora… dovrebbe averla anche Ilai, colpirebbero anche lui. Anzi, al momento, sono anche convinti che io e Draco non ci riappacificheremo mai, magari anche a ragione… che motivo avrebbero di colpire lui? E poi… non è il loro stile. Decisamente. Sceglierebbero una cosa ben più mortale, questa febbre… è solo fastidiosa.

Che cosa diamine può essere?

Più ci penso e più la febbre sembra liquefarmi il cervello, martellandomi i pensieri come un picchio.

Nel momento in cui mi lascio andare ad un sospiro frustrato, sento provenire dalla stanza accanto il rumore sordo di una Smaterializzazione, immediatamente seguito da un tramestio di passi. Dean varca la soglia con un sorriso rivolto prima a Pansy e poi a me, poco prima di sedersi accanto alla moglie di cui accarezza il viso in modo tenero. Dietro di lui, vedo comparire la sagoma conosciuta di Ilai, cosa che mi manda in fiamme il viso e mi fa alzare in piedi d’istinto prima ancora che me ne renda conto. Ilai mi guarda timidamente per qualche secondo, salutandomi a bassa voce, poi si avvicina piano e mi chiede sommariamente come sto e come è la situazione. Mi limito a scrollare le spalle, imbarazzata dal fatto che Dean e Pansy ci stiano guardando, e replico velocemente che stiamo aspettando che torni Helder. Sollevo piano lo sguardo, cercando quasi di fargli capire solo con gli occhi che Draco adesso sa tutto di Alex e che questo è successo nel modo peggiore possibile; probabilmente distingue un barlume di tristezza rabbiosa della mia espressione che gli fa contrarre la mascella, intuendo che sia successo qualcosa. Ma naturalmente, così come abbiamo deciso e così come conviene per il fatto che non siamo propriamente soli al momento, sussurra una tenue rassicurazione dicendomi che andrà tutto bene, sistemandosi accanto alla finestra, la schiena poggiata alla parete e le braccia conserte. Le ginocchia di pastafrolla, mi siedo nuovamente sul divano accanto a Pansy, cosciente sia della presenza silenziosa di Ilai dietro di me, che di quella ghignante di Dean ed insinuante di Pansy. Ho appena il tempo di pensare che la situazione da imbarazzante diventerà surreale con tendenze allo sterminio, quando Draco scenderà dal piano di sopra, che sento la porta d’ingresso aprirsi. Scatto di nuovo in piedi, convinta che si tratti di Helder, ma invece si tratta dell’ennesima tessera del mosaico denominato “portiamo Hermione Granger all’ipertermia per vergogna”. In poche parole, è Seth.

Per fortuna, mi rendo subito conto che stavolta Seth non è minimamente interessato a prorompere in uno dei suoi consueti commenti riguardanti la mia vita sentimentale, cosa che di solito avviene nel beato menefreghismo che uno dei suoi protagonisti è presente nella stanza ed ha ancora un apparato uditivo funzionante, e il secondo è al piano di sopra, non quindi propriamente in Olanda a guardare i mulini a vento. Stavolta, Seth è preso dalla sua di vita sentimentale, considerando che entra in casa dando il braccio ad un ragazzo, che riconosco immediatamente come Kevin, il suo fidanzato, anche se è la prima volta che lo vedo. Di lui, però, grazie alla bocca larga di Seth, so praticamente tutto, mi ha anche mostrato delle sue fotografie. Quindi non mi stupisce né il fatto che sia notevolmente alto, né il colore chiaro degli occhi oltremare, né tantomeno l’espressione dura ed arcigna che cela, in realtà, un ragazzo autenticamente d’oro. Mentre gli porgo la mano presentandomi, non mi stupisce nemmeno la divisa della polizia che indossa, sapevo del suo lavoro. E visto come mi guarda, con una piega tra l’affettuoso e il costernato negli occhi, capisco che anche lui sa tutto di me. Seth quasi saltella come un bambino piccolo, parlando a raffica e dicendo che lui stava già venendo qui per chiedermi se avessi bisogno di aiuto, considerando che c’è di mezzo la sparizione di un minore. E quindi, come ovvio che sia, inizia a cianciare di destino, di fili rossi dell’amore, di telepatia e di tutta una serie di altre scempiaggini, che costringono me a sospirare in debito di pazienza, Pansy a reprimere le sue risposte taglienti e Dean a trattenere un’espressione sbalordita per la quantità di parole che può stipare in un minuto. Poi succede il miracolo. Kevin si limita semplicemente a ruotare il capo, guardandolo con un sopracciglio inarcato, e Seth sorride in colpa, si stringe nelle spalle e biascica imbarazzato, con gli occhi luccicanti d’amore: “Scusami, tesoro… tu volevi parlare con Herm, giusto?”.

Nessuno fa tacere Seth e Kevin ci riesce solo con un’occhiata nemmeno di minaccia, ma solo di constatazione amichevole.

Questi due si sposano, sono fatti per stare assieme.

Kevin sorride dolcemente a Seth annuendo, prima di dire con tono contrito: “Mi dispiace per quello che ti è accaduto, Hermione… come puoi immaginare, Seth mi ha raccontato tutto… di Alex e della faccenda dei Karkaroff… vorrei davvero poter essere d’aiuto, e quindi chiedimi davvero tutto quello di cui hai bisogno…”. E qui ovviamente viene la parte difficile: io non ho assolutamente bisogno di Kevin. O perlomeno, penso che sia così. È Helder che sembra aver bisogno di lui. Quindi non so assolutamente che cosa diamine gli debba rispondere: anzi, l’istinto e la mia tendenziale voglia di fare tutto da sola, senza mettere in pericolo gli altri, mi spingerebbero anche a dire a Kevin di tornarsene a casa sua, magari portandosi dietro Seth. Però, in fondo a me stessa, mi fido di Helder. È la sola giunta qui con un vago senso di sicurezza su che cosa sia necessario fare per salvare Alex… devo avere fiducia in lei. Perciò, con riluttanza, allargo le braccia impotente e sussurro a Kevin: “La mente del piano, al momento, non è ancora tornata, è lei che ha chiesto il tuo aiuto… vorrei dirti di più, ma non so nemmeno io granché…”, poi con un sorriso aggiungo: “Ma ti ringrazio di esserti precipitato qui. In fondo nemmeno mi conosci…”.

“… ma ti conosce Seth, e ti vuole bene…” soggiunge lui con espressione tenera, come se fosse ovvio che lui corra per aiutare una persona amata dal suo ragazzo, Seth sorride a sua volta e gli mette affettuosamente una mano sul braccio, mentre Kevin continua: “Probabilmente non sarò granché utile, ma sono contento di esserci…”. Nonostante tutto, però, mi affretto a dirgli che, in ogni caso, sarà mia premura che non succeda nulla né a lui, né tantomeno a Seth, e che in qualsiasi momento sono liberissimi di andare via, se avessero la sensazione che tutto sia semplicemente troppo per loro. In fondo, è un mondo completamente sconosciuto per loro, Seth fa ancora certe facce grigiastre e sconvolte quando ci vede usare la magia. Una vertigine mi fa tacere all’improvviso, la febbre ancora non ne vuole sapere di lasciarmi in pace, traducendosi adesso in un vago senso di confusione mentale che somiglia a centinaia di persone che parlano nello stesso momento, trasformandosi in un ronzio fastidioso ed irritante. Mi accascio nuovamente sul divano, questa stramaledetta sensazione sta diventando così invalidante che mi sta portando alla nausea. Ilai si stacca dal muro e si viene a sedere accanto a me, gettandomi un’occhiata preoccupata ed ansiosa, prima di toccarmi la guancia con due dita e sussurrare quieto: “Hai ancora la febbre…”.

Mi stringo nelle spalle, un rossore che stavolta non ha a che fare con la febbre mi incendia il viso, ma per fortuna Pansy e Dean sono presi dalla conversazione con Kevin, che ha appena rivelato di conoscere qualcosa del mondo della Magia, perché sua cugina era una strega. Respiro quindi di sollievo e mi lascio lievemente andare alla carezza di Ilai, annuendo alla sua domanda.

“Anche Draco ha la febbre…” aggiungo con nervosismo, la mano di Ilai si stacca dal mio viso e si contrae agitata, mentre l’appoggia su un ginocchio.

“Strano…” commenta lui, guardando davanti a sé, gli occhi scuri una folla di domande senza risposta “E non è nemmeno la più comune delle febbri… si dovrebbe essere già abbassata, adesso…”, lo sguardo di Ilai si illumina e mi dice convinto: “Perché non chiedi alla tua amica Empatica? Magari lei ci capisce qualcosa di più di noi… Dean mi ha detto che riesce a sentirvi anche a distanza, ora… forse puoi chiederglielo anche adesso…”. Ha ragione, ultimamente davvero sto perdendo ogni nozione di giudizio autonomo.

Non faccio nemmeno in tempo a provare a contattare mentalmente Helder che lei si affaccia con prepotenza nella mia mente, la voce squillante che mi trapana i neuroni.

“La febbre è magica, Herm… probabilmente ho anche il modo di farla passare…” mormora lei concitata, facendomi ancora chiedere come diamine faccia a sentirmi con tale chiarezza adesso. Naturalmente, lei sente anche questo, perciò si affanna a sorridere e a sussurrare: “E tranquilla… appena la febbre sarà passata, non vi sentirò più come vi sento adesso… ammetto che sia divertente, specie con la mente contorta di Malfoy… ma siete troppo visibili così…”.

“Visibili?!” chiedo, non capendo e sbattendo le palpebre un paio di volte. Ilai mi guarda confusamente, le sue dita abbandonate sulla gamba sinistra sembrano quasi formicolare, mentre si trattiene dal toccarmi anche solo per richiamare la mia attenzione. Pansy, Dean, Seth e Kevin continuano a parlare tra loro, ignari di tutto.

“Già… diciamo che al momento siete visibili a tutti gli Empatici del mondo… ogni vostro barlume di pensiero e sensazione è di dominio pubblico…quindi ne guadagnerà anche la vostra privacy, oltre alla vostra sicurezza…”. La voce di Helder suona quasi dispiaciuta ed imbarazzata ed il mio viso semplicemente esplode di calore. Al momento, non sono granché interessata al motivo per cui questo stia succedendo… ma a quello che sta succedendo in sé, a quello che è successo da quando ho questa febbre. La conversazione con Ilai, il bacio, lo scontro con Draco… tutti i miei pensieri e sentimenti, per chissà quale assurdo motivo, sono stati letti e sentiti da tutti gli Empatici del mondo?! Non saranno propriamente quindici miliardi, ma anche solo che li abbia sentiti Helder… già è insopportabile. Figuriamoci se penso a centinaia di persone sconosciute, che mi hanno sentito nei momenti peggiori della mia vita, in ogni aspetto più delicato ed intimo di me stessa. Mi affloscio come un palloncino sgonfio, sopraffatta dalla frustrazione di non sapere che cosa diamine stia succedendo e che cosa questo possa portare in termini di salvezza per Alex… e la mia prima inconscia reazione è chiudere gli occhi, serrare la mente, proteggerla e cercare di tenere fuori quanti più pensieri possibili. Ma l’Empatia non è Legilimanzia, è più forte. E io non sono mai stata una brava Occlumante, nemmeno a scuola.

“Mi dispiace Herm…” sussurra contrita Helder nel mio cervello, avverto ogni goccia del suo dispiacere “Ma posso consolarti dicendo che solo adesso, con l’aumento della febbre, ti posso sentire in modo più preciso… e così tutti gli altri… fino a ieri non eri così visibile e Malfoy non lo sentivamo proprio… erano solo sparse sensazioni… ma, appena torno, lo mettiamo a tacere, tranquilla…”.

“Che cosa c’entra tutto questo con Alex?” chiedo, ancora con l’assurdo tentativo inconscio di nascondere alla platea che mi ascolta silente ed invisibile ogni traccia di angoscia ansiosa per mio figlio.

“C’entra, Herm… la febbre, a suo modo, è una cosa buona… cinque anni fa non ha fatto in tempo a… ma ti spiegherò tutto meglio dopo. E’ chiaro, però, che rallenta la tua mente, ti rende troppo visibile… e ci manca soltanto che se ne accorgano Raissa e Dimitri… o qualsiasi altra persona, che abbia ottenuto qualcosa da Adamar…” enumera lei mentalmente, in modo veloce, non riesco ancora a seguire nulla del suo ragionamento, né di che cosa diamine c’entrino le persone che hanno ottenuto qualcosa da Adamar. Helder se ne accorge naturalmente, e mi rassicura con voce dolce: “Non ti preoccupare… appena torno, ti spiego tutto… tra poco sarò lì…”. Deve evidentemente sentire qualche altra cosa in fondo a me stessa, qualcosa che nemmeno io avverto compiutamente e che può essere solo insicurezza e non totale fiducia in quello che sta accadendo, e su cui non ho il benché minimo controllo. Difatti aggiunge con un filo di voce, incerta e d’improvviso spossata: “Herm… so che è difficile, ma fidati. Fidati di te… e fidati di lui, di Draco soprattutto. Fidati delle persone che ti circondano… e fidati anche di me, se puoi… credimi, non vorrei portarti a questo, ma è l’unico modo. E’ la vostra sola arma, al momento…”.

Poi, come colta da un’ispirazione improvvisa, soggiunge allegra, con un trillo della voce: “C’è una persona in tutto questo, su cui non hai mai avuto dubbi… mai, nemmeno per un istante…”.

“Chi?”.

“Tatia Krasova…”. Sobbalzo, sentendo quel nome nella testa, la presenza silente di Ilai accanto a me si traduce in un ulteriore brivido lungo la schiena.

Helder prosegue, adesso certa di avere tutta la mia attenzione: “Hai fatto un sogno qualche giorno fa… lo vedo nella tua testa…”. E d’improvviso, come se la mia mente si schiarisse e si liberasse, come se diventasse bianca e nivea da corvina che era, rivivo in pochi fotogrammi quel sogno strano che avevo persino seppellito nella mia mente, fino a cinque secondi fa. Il deserto, le parole di Tatia, i suoi avvertimenti, il canto infernale delle altre anime… è come afferrare al volo un oggetto, prima che cada e rovini al suolo, distruggendosi.

L’arma, qualsiasi essa sia, non è il ciondolo.

Helder annuisce nel mio cervello, quasi sorridendo e dandomi implicita conferma ai miei pensieri, mentre ricordo finalmente le esatte parole della nenia delle anime dannate.

L’arma… è la Solutio damnationis”.

 

 

Quando Helder torna, è passata solo mezz’ora dalla nostra conversazione mentale, eppure mi sembra passata un’eternità di tempo.

Una mezz’ora stancante e sfiancante, perché contrariamente a quanto sono abituata da tutta la vita, ho fatto di tutto per non pensare né al piano di Helder, né alla connessione che ho al momento con gli Empatici, né tantomeno alla fantomatica Solutio damnationis, descrittami in sogno da Tatia. C’è un perimetro di vita che deve restare mia e non di centinaia di persone legate, chissà come e chissà perché, alla mia mente: perciò, sebbene mi causi un cerchio alla testa sempre più pressante, trascorro il tempo ascoltando le chiacchiere di Seth che ci racconta ancora come ha conosciuto Kevin e di come si sono innamorati, compreso l’ennesimo ricordo dell’arrampicata sulla torretta della centrale di polizia, che stavolta però si colora anche dei particolari descritti dall’altro protagonista, il quale la fa molto meno eroica di quanto l’avesse fatta Seth. Ascolto anche Pansy raccontare di come Charisma sembra andare d’accordo con Serenity, sebbene sia più piccola di lei, e non spingo la mente nel limo dei rimpianti e delle amare considerazioni che farei sulla distanza incuneatasi tra me e Draco. Non sfioro, né parlo con Ilai, perché anche questo aspetto deve restare solo mio. E quando l’ansia per il mio bambino e per il tempo che passa, mi riassale, stringo forte il ciondolo di Tatia tra le mani, convincendomi che lei mi sta guardando da qualche parte e non mi lascerà sola neanche adesso.

Questo si traduce, inevitabilmente, in un mio perdurante silenzio che, però, per fortuna, nessuno in modo caritatevole e comprensivo si sogna di disturbare. E sebbene il cerchio alla testa per lo sforzo sia opprimente e mi porti alla nausea, noto che la febbre, di fronte a plastificate e insensibili riflessioni, diventa meno rovente, artigliandosi invece come un giogo di fuoco se mi avventuro su altri pensieri più coinvolgenti del mio cuore. La testa semplicemente diventa lava e magma se mi azzardo a pensare, anche solo per errore o associazione di idee, a Draco.

Quello è il momento in cui, davvero, ho l’impressione che mi stia evaporando il sangue dal cervello, per quanto sia diventato bollente.

Un moto di curiosità mi assale in modo involontario, avendo come conseguenza immediata che la maledetta febbre ardente si artigli in modo più snervante attorno a me, spingendomi persino a respirare a fatica, mentre non trattengo l’inevitabile domanda su come stia Draco, invece, e su che cosa stia pensando. Ovviamente, non può avere pensieri limpidi e cristallini su di me, coronati da arcobaleni ed unicorni… come nemmeno ci riesco io, mi pare ovvio. Vorrei quasi salire di sopra, verificare come stia, ammonirlo sulla febbre e sul fatto che tutti gli Empatici possono sentirci adesso… e vorrei persino dirgli di non pensare a me, se vuole avere la friabile illusione di non scoppiare di calore. Ma, poi, il fiume di parole ed insulti che ci siamo scambiati mi rovina come una cascata addosso e resto incollata al divano.

Credo che sia un’abitudine preoccuparmi per lui, un riflesso condizionato, un movimento istintivo che probabilmente mai riuscirò a sradicare da me stessa, e che adesso, oltre ad associarsi ad una sferzata di odio e rancore frammisti ad orgoglio rabbioso, si manifesta in un ulteriore aumento della mia temperatura corporea, così da farmi sentire davvero come se fossi in fiamme. Quindi, lo sedo velocemente e facilmente, come un animale che associa un particolare evento a qualcosa di negativo, imparando a non farlo più.

Helder sta per tornare, la febbre passerà anche a lui. Io la sopporto da quasi dodici ore. Può sopportarla anche lui per un po’.

Respiro di sollievo rinfrancata, avvertendo la fronte più fresca e la vista più chiara.

Sto riprendendo a forzare me stessa per ascoltare con quanta più calma e freddezza possibile, i miei amici che chiacchierano amichevolmente, che d’improvviso, quasi con un rombo di tuono, compare al centro esatto del salone Helder, il mantello oltremare smosso dal contraccolpo della Smaterializzazione, i capelli lievemente increspati ed un’aria seria e compunta. Mi alzo dal divano nel silenzio generale, facendomi vicina a lei ed interrogandola nervosamente con lo sguardo; ma Helder solleva piano il palmo, spingendomi all’immobilità e al silenzio in modo riverente, mentre lei si stacca dalla cintura un sacchetto di velluto nero, che osservo senza capire.

“Titanca…” soggiunge lei, seguendo ed indovinando la direzione del mio sguardo “Non è facilissima da trovare come puoi immaginare, fiorendo solo ogni cento anni… e tendenzialmente allora se ne fa incetta tra ricettatori e pozionisti…”. Sgrano gli occhi sconcertata, replicando con un moto istintivo di autodifesa: “La Titanca… è il fiore che ha usato Dimitri per fingersi morto e non essere percepito neanche da te come vivo… che cosa c’entra con me?”. Helder afferra la bacchetta e fa comparire sul tavolo alle mie spalle due bicchieri di cristallo, finemente intarsiati d’argento: sono pieni di un liquido scarlatto, che rilascia un vapore di condensa dall’invitante odore di frutti di bosco. Con eleganza disinvolta, svuota il contenuto del sacchetto in entrambi i bicchieri, una polvere di colore argenteo che rende il liquido scintillante. Pensosamente, Helder mi fa cenno di afferrare un bicchiere e di berne il contenuto, mentre spiega: “Tecnicamente, la Titanca non induce una finta morte… dosi eccessive possono avere questo effetto, richiedendo quindi voltaggi elevati che riattivino il cuore mediante stimolazione elettrica… sicuramente Dimitri ne deve aver ingurgitata parecchia. Ti ho già spiegato che chi ha ottenuto qualcosa da Adamar, non viene sentito dagli Empatici, se non con moltissima difficoltà… ma per quel poco che si può sentire restano scolpiti nella mente. Come lui è rimasto scolpito nella mia, dopo averlo sentito… quindi aveva bisogno di qualcosa che fosse persino più forte di questo…”, Helder fa una pausa per riprendere fiato, mentre io afferro il bicchiere con mano malferma: “In realtà, la Titanca in piccole dosi, non quelle eccessive che deve aver assunto Dimitri per andare sul sicuro, tendenzialmente annulla solo l’Empatia, rendendo chi la assume praticamente impossibile da percepire per un Empatico… certo, altre parti della pianta hanno altri effetti, ma i petali sminuzzati hanno solo questo…  ”.

“Rendermi cieca agli Empatici… farà passare la febbre?” chiedo dubbiosa, le labbra accostate al bicchiere che non svuoto.

“Sono la stessa cosa…” mormora Helder, piegando la testa di lato “La febbre… è solo un segnale. Per gli Empatici. Un segnale… di quello che vi sta accadendo. E quello che vi sta accadendo… ha a che fare con la connessione aperta con gli Empatici stessi. Chiusa la connessione, passa la febbre…”.

“Io continuo a non capirci niente…” borbotto con nervosismo, tendendomi come una corda di violino, poi mi rilasso sussurrando: “Ma se questo intruglio può farmi passare questa maledetta febbre…”, ghigno sarcastica e sollevo il calice con aria pomposa: “Alla salute”. Lo vuoto in un solo sorso, ha un sapore fruttato piacevole e rinfrescante, e scivola nella mia gola come ghiaccio sciolto. Immediatamente, mentre penetra nel mio corpo, sembra portare un’aria fresca di tramontana: la febbre cala d’improvviso, lasciandomi scariche di brividi ghiacciati sulla schiena, ma anche una sensazione di forte chiarezza mentale come non mi accadeva da giorni. I pensieri si snebbiano come la mia vista, la pelle torna tiepida come sempre, il respiro si calma, la spossatezza sparisce e si trasforma in forza e maggiore coraggio. Dal riflesso della porta del salone e dall’aria sollevata di Helder, capisco che anche il mio aspetto torna decisamente più florido e sano.

Guardo Helder con gratitudine, pronta contemporaneamente anche a sommergerla di domande, ma lei ancora previene le mie rimostranze, dicendo con tono accorato: “Lo so, lo so, ti spiegherò tutto… quello sguardo lo conosco, non c’è bisogno dell’Empatia… però sii clemente, è già una storia terribilmente complicata… fammela dire solo una volta, ok? Ed al momento ho ancora alcune cose da sistemare… e per queste cose, mi serve immediatamente l’altro malato…”, si guarda attorno con nervosismo, poi getta uno sguardo in direzione del soffitto, facendomi presagire che naturalmente sente ancora Draco. “Qualcuno potrebbe chiamare il padrone di casa, per favore?” biascica stancamente Helder, massaggiandosi il collo. Poi, quando già Seth si sta muovendo per andare di sopra, Helder sgrana gli occhi e mormora seria, il volto improvvisamente cinereo: “Meglio che ci vado io di sopra… Malfoy sta decisamente peggio di te… dubito che riesca ad arrivare qui…”. Un alito di vento e si Smaterializza al piano di sopra. Vorrei davvero evitare alla mia gola di articolare quel suono duro, gutturale, strozzato, simile a quello di una bestia presa al laccio, mentre le vie respiratorie si contraggono e faccio fatica ad inalare ossigeno. E vorrei anche evitare al mio cuore di battere forte, sordo, terrorizzato, al pensiero che possa essere persino vicina a perderlo. Vorrei davvero non considerare estranee le mani di Ilai che, adesso, mi sfiorano la vita cercando di rassicurarmi. Vorrei che tutto questo non ci fosse… e per fortuna faccio in tempo a negarlo a me stessa. Perché dura tutto solo pochi secondi.

Draco scende le scale di corsa, i capelli spettinati, l’aria affannata, gli occhi grigi accesi. Si ferma davanti a me, ha il colorito acceso, il fiatone, ma sta bene. Soppesa il mio viso, lo studia ed io studio il suo, abbeverandomi della sua salute. Poi sbatto le palpebre, ricordandomi tutto, allo stesso modo in cui anche lui si ricorda tutto. Lancia un’occhiata torva ad Helder che lo segue sorridendo, mentre Draco distoglie il viso da me, incrociando le braccia e borbottando qualcosa. A mia volta, guardo Helder confusa, ha le mani incrociate dietro la schiena e saltella spensierata.

Ci sta manipolando.

La rabbia a quel pensiero raggiunge le mie mani facendole tremare di nervosismo a stento represso: non so quale sia il fine di Helder, non so quale sia il suo piano, ma sto esattamente, adesso, che cosa sta facendo. Sta manipolando me e Draco, come due marionette. Si è ripreso troppo in fretta per pensare che stesse davvero così male, come mi ha detto… e lui… aveva un’espressione troppo sconvolta, scendendo, come se avesse pensato a sua volta che io stessi malissimo. E certo, d’accordo, posso essere ancora maledettamente felice che, nonostante tutto, non desideriamo ucciderci a vicenda, ma è una cosa abbastanza scontata, credo. È sempre il padre di mio figlio. Sono sempre la madre del suo. Ci mancherebbe.

Ma che lei stia sfruttando il germe di questo attaccamento, non mi va proprio. C’è troppa gente che si insinua, o si è insinuata tra me e lui. E spesso non faccio altro che pensare che sia stato anche questo a far andare tutto a scatafascio tra me e lui. Quindi, anche adesso che le cose sono chiuse, anche ora… anzi, forse soprattutto ora… gli altri, compresa Helder, devono stare fuori da questa storia, specie per provocare discutibili reazioni per i propri ancor più discutibili scopi. Senza nemmeno un attimo di esitazione, annebbiata ed innervosita, afferro Helder per il polso con malagrazia, trascinandomela dietro in giardino, sotto lo sguardo ovviamente atterrito degli altri. Non mi interessa, prima chiarisco questa storia meglio è.

Il sole è forte, il contrasto con la penombra dell’interno mi fa bruciare gli occhi e non mi fa mettere bene a fuoco. Inoltre la calura è asfissiante, le cicale friniscono impazzite. Ma la mia voce tintinna netta e chiara, mentre sibilo: “Si può sapere che cosa diamine hai in testa? Credi forse che siamo all’asilo? E che mi devi chiudere in una stanzetta con Malfoy, così facciamo pace con il mignolino?”, Helder mi guarda con un impercettibile sorriso e le spalle afflosciate, come se fosse semplicemente preoccupata, e questo mi fa salire ancora di più l’acido in gola: “Questo… tutto questo casino tra me e lui… sono affari miei e di nessun altro. Puoi aiutarmi con mio figlio? E allora non farmi perdere tempo con queste stronzate, ok? Non me ne frega niente degli Empatici, della connessione, della febbre… e tantomeno mi interessa al momento dimostrare a qualcuno che posso ancora sentirmi legata a Malfoy… non c’è niente tra me e lui, meno di quello che c’è mai stato… quindi se puoi aiutarmi con Alex, bene, parla. Altrimenti, se sei qui solo per fare la consulente matrimoniale… puoi tornartene da dove sei venuta…”. So che sono stata dura, e forse anche ingiusta, la voce mi trema e mi manca persino il fiato, ma adesso mi sento decisamente più lucida, da quando è passata la febbre che mi stava tormentando. Mi annacquava i pensieri, li scoloriva, mi impantanava nel disastro di non avere più forza e coraggio. Adesso che mi sento meglio, ogni secondo che sto qui a fare altro che non sia salvare mio figlio, è un secondo in cui farei una strage. Anche delle persone a cui voglio più bene al mondo.

Helder, però, non è minimamente sconvolta dalla mia reazione, anzi ancora si stringe nelle spalle, sorride e si chiude in sé stessa a farsi più piccola e minuta. Quando già sto per urlarle di nuovo contro, volge il viso alla sua destra, in direzione del vialetto d’ingresso della casa di Draco, e dice solamente: “Ve l’avevo detto che ci sarebbe voluto più tempo del previsto…”.

Quando guardo dove sta guardando lei, il cuore mi martella nel petto con un sentimento frammisto di angoscia, ansia, preoccupazione, e poi sollievo, gioia, felicità rapprese che mi esplodono addosso, come insolenti fuochi d’artificio. Come facessero a starsene lì, tutti, in silenzio completo, senza nemmeno respirare, è un mistero, ma appena mi accorgo della loro presenza, è come se semplicemente non li potessi ignorare più, non potessi più distogliere il viso da loro.

I primi che riconosco sono Harry e Ginny, forse perché inconsciamente desideravo così tanto rivederli, da averli immediatamente tracciati nella mia vista non appena sono comparsi. Certo, Harry veniva a trovarmi ogni tanto in Italia, ma le sue erano sempre visite rapide, timorose, istituzionali, nel timore che qualcuno potesse seguire i suoi spostamenti. E Ginny… sebbene mi sentissi con lei regolarmente tramite lettere e con telefonate e spesso la vedessi anche attraverso il camino, non la vedevo di persona da anni, esattamente da quando mi impedì di partire per cercare Draco, quando ero ancora incinta di Alex in Italia. Era troppo pericoloso per lei venire a trovarmi, ovviamente, nonostante insistesse tanto con Harry. E poi, anche lei è diventata mamma di tre figli: si diventa ragionevoli, quando si ha qualcuno che dipende completamente da te. Tre bambini che mi chiamavano zia nonostante tutto, quando parlavo con loro al telefono… ma che non avevo mai visto.

E che adesso, finalmente, vedo, cosa che mi provoca una nebbia di lacrime negli occhi che cerco di ricacciare indietro, per poter fissare nella mia mente ogni particolare.

Harry non è cambiato di una virgola: veste lievemente più elegante adesso che è Ministro, ma la sua aria scanzonata ma al contempo sempre un po’ triste non cambia mai. È in piedi, le gambe magre coperte da un paio di pantaloni kaki, sotto una polo bianca che fa risaltare in modo quasi molesto gli occhi verdi. Sorride nel guardarmi, piega le spalle sotto il peso di una bambinetta minuscola che ha sulla schiena, addormentata. Lily. Ha tre anni adesso, e Ginny me l’ha sempre descritta come un terremoto. Adesso, però, dorme sulle spalle del suo papà, ha i capelli rossi annodati in due treccine e l’aria pacifica sul viso tondo. Accanto ad Harry, con una smorfia impertinente e le braccia conserte da piccolo adulto scornato, sta un bambino della stessa età di Alex: ha due profondi occhi azzurro chiaro, capelli neri scarmigliati e l’aria di chi già conosce tutti i segreti del mondo civilizzato. James. Mi viene ancora da sorridere, ricordando di quando Ginny mi aveva detto che, alla nascita, sembrava aver già suggerito il suo nome, mostrandosi come il ritratto perfetto del suo defunto nonno. Il mio sguardo si sposta ancora, inquadrando invece adesso la mia amica, cosa che, appunto, dopo cinque anni, mi fa scoppiare a piangere senza ritegno. Lei mi si avvicina, abbracciandomi forte, le lacrime che curvano anche il suo viso, mentre cerca scherzosamente di consolarmi. Mi stacco da lei con un sorriso mesto, asciugandomi il viso imbarazzata: in lei nulla pare cambiato. È diventata certo più morbida nell’aspetto, meno ossuta, e ha un’aria più dolce del viso, ma i capelli sono sempre una fiamma d’autunno che brilla al sole e gli occhi azzurro chiaro hanno lo stesso bagliore che avevano da ragazzina. Stringe la mano di un bambino magro e mingherlino, dall’aria più timida e spaurita rispetto a suo fratello maggiore. Albus. Sorrido, accarezzandogli la testa, era con lui che spesso parlavo di più al telefono e, ascoltando la sua voce stridula ed acuta, me l’ero immaginato esattamente così, somigliante nei colori a suo fratello James, tranne che per gli occhi, verdi come quelli della nonna Lily e del padre Harry.

La visione della meravigliosa famiglia del mio migliore amico, per un attimo, mi distrae da tutto il resto e mi consola, facendomi dimenticare persino l’accesso di rabbia verso Helder che mi ha portato ad uscire in giardino. Quella sensazione scomoda, però, ritorna immediatamente, non appena mi rendo conto di chi altro è comparso nel vialetto e che, di primo acchito, rallegratami alla vista di Harry, Ginny e dei bambini, non avevo notato. È una sensazione di soggezione ed imbarazzo, perché si tratta di persone con cui non ho mai avuto eccessiva confidenza e che quindi adesso mi vedono in un momento di fragilità. Mi affretto quindi a raddrizzare la schiena e ad asciugarmi gli occhi con il palmo della mano. Messa maggiormente a fuoco la situazione, mi esplode dentro un senso indiretto di disagio e di preoccupazione protettiva, nei confronti di Dean, Pansy e Charisma.

Di fronte a me, infatti, imperturbabili come statue greche ed ugualmente bellissimi, se ne stanno i coniugi Zabini, Blaise e Daphne.

Il loro contegno aristocratico non è minimamente mutato nel corso degli anni: Blaise ha semplicemente tagliato i capelli che ricordo lunghi, quando veniva da Pansy. Gli occhi sono sempre due lame blu-verde, affilate come quelle di un gatto che sezionano chiunque gli stia davanti, emergendo foschi nel contrasto con la pelle abbronzata del viso e con i capelli corvini. Porta un lungo mantello nero, dalla fodera azzurra, sebbene la giornata sia calda ed afosa. Accanto a lui, così perfetta ed immobile che non sembra nemmeno respirare, se ne sta Daphne, il corpo sottile coperto da un lungo abito grigio con decori d’argento. I capelli sono tirati all’indietro, biondi e lisci come sempre sono stati, e gli occhi azzurri splendono della solita freddezza. Mi appare solo un po’ affaticata… e triste, ecco. Di primo acchito, lo imputo al fatto che ha di fronte l’artefice indiretta della fine di sua sorella minore Astoria, e sta per incontrare il responsabile anch’esso indiretto della morte della sorella maggiore Helena, cioè Draco. Ma, dopo qualche istante di considerazione, capisco che non è quello: è qualcosa che si è proprio attaccato a lei, una tristezza interna che sembra vecchia di mille anni e che non ha nulla a che vedere con la dipartita delle sue sorelle. Credo anche che nemmeno le interessi come siano morte e per mano di chi. Ricordo le parole di Helena sul fatto che, per le donne purosangue, il matrimonio sia tutto. Me le aveva fatte sentire Draco, mostrandomi i ricordi che aveva di lei.

Con il matrimonio, cessa ogni rapporto con la famiglia d’origine. Helena, dopo le nozze, infatti, aveva visto allentarsi enormemente i rapporti con le due sorelle minori.

Quindi, Daphne probabilmente non si sente nemmeno più una Greengrass.

Cercando il motivo di quell’espressione, noto finalmente che Daphne tiene in braccio un neonato di soli pochi mesi, avvolto in vestitino azzurro che mi fa supporre che sia un maschio. Lo tiene come se fosse… infetto. Sembra non toccarlo neppure. Il bambino, dal canto suo, se ne sta immobile, un pugnetto chiuso in bocca e un’espressione meditabonda negli occhi neri socchiusi.

Guardo Helder con nuovo nervosismo irritato, chiedendomi che cosa diamine le sia saltato in mente per chiamare anche loro, ma lei fa un cenno timoroso del capo alle spalle di Daphne e Blaise, ignorando il mio risentimento. Seguo la direzione del suo sguardo e lì l’irritazione si affloscia così come era nata, sostituita da vergogna e amarezza.

Helder, che stavolta non ha alcun genere di giustificazione riguardo agli Zabini e Pansy di cui ovviamente non poteva sapere nulla, ha richiamato indietro anche Ron, di cui invece sa tutto.

La guardo inorridita per qualche secondo, era in Italia con me, sa perfettamente che cosa abbiamo vissuto per cinque anni e come sia stato lacerante per me, nonostante tutto. Vedere Ron qui, adesso, dopo tutto quello che è accaduto, dopo quello che sta accadendo, mi fa sprofondare il cuore in una morsa dolciastra di rimorso e senso di colpa. Non mi guarda in viso, si guarda le scarpe, ha le orecchie in fiamme e gli occhi fissi al suolo, ma tutto di lui mi fa sentire vittima di un rimprovero silente che sento di meritare appieno. È ancora qui per aiutarmi, e io me ne sono andata dall’Italia per inseguire un uomo che si era già rifatto una vita. Con lui, avevo una casa, un tetto, una routine di abitudini persino confortanti… una sedia rossa in cucina dallo schienale mezzo rotto, un post it fucsia sul frigorifero con gli orari del ritiro della spazzatura, una coppia di amici con cui giocare a tennis nel weekend, un barattolo di pesche sciroppate sull’ultimo ripiano della dispensa che nessuno mangerà mai… ed io ho buttato all’aria tutto per il miraggio di un grande ed eterno amore. Adesso, in questa situazione, con Alex lontano e in pericolo, tutto quello che rigettavo di quella vita, paradossalmente, è miele e ciliegia dolcissima. È proprio vero che si è sempre insoddisfatti di quello che si ha e si è sempre irriconoscenti seriali… con lui, non mi sono mai sforzata di cercare il benché minimo contatto, convinta che mai potesse capirmi e risoluta a mantenere sempre una distanza tra lui e mio figlio, che doveva restare il figlio di Draco e mai il suo. Forse, in fondo a me stessa, mi sono persino sentita superiore a lui. Sempre…  in modo peggiore di quanto accadeva ad Hogwarts o di quanto accadeva quando stavamo assieme. Io sola avevo davvero amato qualcuno, io sola capivo di che cosa avesse bisogno mio figlio, io sola potevo sapere lo strazio di amare una persona tanto diversa da me, io sola ero depositaria del bene assoluto. Ed intanto, fino a quando sono stata con lui, Alex è stato al sicuro. Poi, da povera idiota, mi sono legata ad un perfetto sconosciuto come Ilai senza nemmeno rendermene conto, e ho scoperto che Draco poteva essere padre, solo odiando me.

Vorrei davvero parlargli, adesso, chiedergli scusa, implorare un mondo in cui possiamo ancora essere amici, senza che null’altro si metta in mezzo. Ma, adesso, come tante altre cose, sento di non averne il diritto. O forse è semplicemente troppo tardi. È come cercare l’origine di una slavina che ha devastato una valle, seminando morte ghiacciata. Sulla vetta, deve essere stata solo una piccola palletta di neve sporca, ma dopo, con la gravità che incalza e il tempo che scorre, difficilmente potresti capire che cosa ha creato tutto. Raccogli ciò che hai seminato, metti toppe alla devastazione e ti sforzi di dire che andrà meglio, un giorno. Ed il mio sforzo è soltanto un sorriso debole, grato, infinitamente riconoscente verso di lui. Ron, quello goffo, imbranato, insensibile e superficiale… lo ricambia, stringendosi le spalle.

Accanto a lui, vedo una persona che non avevo notato, una ragazza non molto alta, esile come un giunco, che mi sembra di conoscere. La guardo meglio, ha lunghi capelli liscissimi castano chiaro, sottili, e due grandi occhi verde chiaro, è vestita in modo semplice e colorato. Mi sorride anche lei, ha le guance rosse come due mele, tanto da avere l’aria di una bambina. Le mani sono strette su un passeggino, al cui interno distinguo un bambino di pochi anni, forse tre o quattro. Ha i capelli spettinati castano scuro, e non so come un bambino possa sembrare già così serio ed arcigno. Studia pensosamente un sonaglio che ha in mano, come se stesse cercando di scoprire il segreto di una formula quantistica. Quando torno a guardare la ragazza, improvvisamente mi sovviene chi sia.

Natalie McDonald, un ex Grifondoro di qualche anno più piccola di me… l’avevamo persino sospettata tra le spie di Astoria al Ministero, dato che era nell’entourage di Harry.

La sua presenza vale a rendermi ancora più confusa, mi volto con le braccia conserte e sempre più innervosita verso Helder, nello stesso momento in cui i bambini, naturalmente, giudicano sufficiente il loro contegno così a lungo trattenuto. James dà quindi una pacca sulla schiena di Albus che inizia a piagnucolare, cosa che fa svegliare Lily, che smania per essere messa a terra e per poter correre nel giardino. Come era naturale, il bambino di Daphne inizia a sua volta a strillare, richiamando attenzioni, lei lo culla distrattamente come se stesse pensando a tutt’altro. Il piccolo, invece, di Natalie se ne resta tranquillamente al suo posto, ipnotizzato dal suo giochino, persino incurante di Lily che lo osserva da vicino, facendogli delle domande con vocetta stridula. Ginny cerca di dividere Albus e James, Harry e Ron mi si avvicinano prodighi di spiegazioni, Zabini smania per entrare in casa… e io guardo Helder, la sola artefice di questo caos, con la voglia di commettere un omicidio.

“Ammazzami dopo, cortesemente…” gorgheggia lei allegra, mettendosi le mani dietro la schiena con noncuranza “Manca ancora il secondo atto …”.

Non faccio nemmeno in tempo a chiedere che cosa diamine voglia dire, che comprendo che il secondo atto non è null’altro che l’aumento esponenziale della confusione, quando tutti coloro che erano all’interno della casa, pensano bene di uscire nel giardino, evidentemente richiamati dalle voci oppure dal fatto che io non sia ancora rientrata. Quindi, negli stessi cinque metri quadrati, si ritrovano persone che non si vedevano da anni e che, nella migliore delle ipotesi, si ignoravano. Il più calmo di tutti è naturalmente Kevin, che non fa assolutamente una piega. Ilai appare sospettoso, ma avendomi vista relativamente tranquilla, si calma a sua volta anche lui e si siede pigramente accanto a Kevin, sui gradini della casa. Seth, la cui giovialità è direttamente proporzionale al numero di persone presenti in una stanza, diventa semplicemente indemoniato e se ne va in giro, stringendo mani ed abbracciando spalle, soprattutto quando naturalmente rivede Harry e Ginny, che conosceva dai tempi del Petite Peste. E fin qui, tutto sommato, siamo alle reazioni pseudo normali.

Le peggiori sono, naturalmente, quelle di Pansy, Dean e Draco.

La prima, non appena vede chi c’è nel giardino ed incrocia lo sguardo improvvisamente attento e serio di Blaise, sgrana gli occhi ed impallidisce. La sua mano corre veloce al basso ventre, stringendo forte la presa sul bambino che porta in grembo. Giurerei persino che abbia avuto un capogiro e giurerei persino che se n’è accorto anche Dean che, alle sue spalle, corre immediatamente a reggerla per il gomito, guardando in cagnesco Blaise e Daphne. Quest’ultima, ancora, non dà segni di alcuna reazione, resta bella ed impassibile, persino dell’espressione del marito, che sembra al contempo illuminata e sofferta, tesa e rilassata, felice e dilaniata. Questi, però, sono Serpeverde: in capo a pochi secondi, ritornano l’emblema dell’aplomb e dell’impassibilità. Dean, naturalmente, no. Continua a stringere il gomito di Pansy, la tiene stretta a sé ed ha un’espressione che vorrebbe essere di minaccia, di rimprovero, ma sembra solo inquietudine irrequieta. Come se gliela volesse portare via. Sarebbe lo sguardo che forse io, anni fa, avrei avuto se avessi incontrato Helena. Al destino, magari si scappa pure, ma se ti si ripresenta davanti, crederai sempre di essere stato solo fortunato. Dean, però, sebbene non lo capisca, non è stato solo fortunato… la conosco Pansy ormai, capisco le sue reazioni anche se le nasconde dietro strati di menefreghismo cinico. Ha reagito male, probabilmente le è scoppiato il cuore, ha il viso lievemente rosso e la pelle lucida e bianca… ma si è subito stretta al bambino che porta dentro, al figlio di Dean. E, contrariamente a quanto farebbe sempre, non si sta divincolando dalla presa di lui, non gli ingiunge severa che non è una paralitica e che può camminare da sola. Lascia che lui la sorregga, lascia che lui la stringa. Non si farà mai portare via.

Mentre in pochi secondi si consuma tutto questo, l’altro che ha naturalmente una pessima reazione, essendo a pieno titolo il Principe delle pessime reazioni, è Draco. La sua replica alla massa di gente comparsa, è come sempre calma, misurata, assolutamente serafica. E non starò ancora qui a dire quanto questo significhi tutto il contrario di quello che pensa. Respinge al mittente lo sguardo torvo di Ron e quello evidentemente scocciato di Harry e Ginny, non presta attenzione alla situazione di Pansy, non alza gli occhi al cielo per Seth, non mostra curiosità alcuna per i bambini che giocano.

La sua reazione è pessima, perché, in tutto questo marasma, guarda me. Ed è pessima come reazione, perché io già lo stavo guardando.

Gli occhi sono socchiusi, fissi, implacabili. Mi tagliano il respiro. E so già che cosa vuole, che cosa sta pensando, che cosa chiede. Perché lo sto pensando anche io.

Ed è quello che dico ad Helder, sfibrata, cinque secondi dopo: “Lasciando stare l’opportunità o meno di fare questa allegra riunione…”, respiro e guardo con riconoscenza Harry, Ron, Ginny e Natalie, meno Blaise e Daphne “Si può sapere che cosa diamine c’entra tutto questo con Alex?”. Draco sospira, incrocia le braccia e distoglie lo sguardo da me.

Helder, finalmente, piega la testa di lato, ha gli occhi colmi di scintille colorate, scommetto che le si è fritto il cervello con tutti questi sentimenti contrapposti. Poi, con serietà, fa tornare gli occhi del suo colore normale e dice compunta: “Per quello che abbiamo intenzione di fare… per quello che dovrete fare per salvare vostro figlio… serve il più grande numero possibile di maghi e streghe, credetemi. Al momento qui ci sono solo le persone che potevo concretamente contattare… e che sapevano del fatto che Draco Malfoy fosse ancora vivo…”. Helder getta uno sguardo a Draco, che assorbe il colpo e guarda la gente riunita, finalmente ammutolita. Ovviamente i suoi occhi, così come i miei, si concentrano su Natalie che non sappiamo ancora cosa diamine ci faccia qui, ma qui è Ron che interviene, le orecchie sempre più rosse, facendo un minuscolo passo verso di lei: “Eravamo assieme quando Helder mi ha contattato. E quando ha capito che era in pericolo il figlio di Hermione… è voluta venire con me…”.

Non mi soffermo su quell’ “eravamo assieme”, sarebbe così maledettamente stupido ed ingrato da farmi sentire un’imbecille… ed inoltre, credo sul serio che, se avesse una connotazione sentimentale, mi metterebbe a posto la coscienza in un modo che non posso ancora concedermi. Quindi sorrido a Natalie e dichiaro, dolcemente salda: “Grazie…”.

“Tu sei sempre stata gentile con me… è il minimo…” sorride lei gaia, sotto lo sguardo soffice di Ron.

“Ma non bastiamo…” riprende Helder con vigore, guardandosi attorno ponderatamente “Non siamo ancora sufficienti…”, deglutisco a disagio, chiedendomi perché le serva tutta questa gente, compreso un babbano come Kevin. La paura di quello che sto per affrontare si mescola venefica al coraggio e alla consapevolezza che, così, potrei davvero salvare mio figlio.

“Per questo, ho bisogno del tuo, diciamo, permesso, Malfoy…” prosegue Helder, ritornando a Draco “Se tu hai intenzione di rivelare che sei ancora vivo, di rinunciare alla tua copertura come Danny Ryan… potremmo chiamare molta più gente, ci serve più aiuto possibile… e tu ed Hermione siete stati così tanto stimati in due ambienti così diversi, come quelli dei Serpeverde e dei Grifondoro, degli Auror e degli ex Mangiamorte, che potremmo davvero avere molte più persone disposte ad aiutarci…”, Helder respira forte nel silenzio di Draco, che non ha per nulla mutato espressione del viso, poi prosegue atona: “Qui siamo ben oltre il concetto semplice di bene e male, così come l’abbiamo sempre conosciuto… le vecchie barricate sono morte. E credo che lo sappiate tutti voi, in questo giardino, considerando le relazioni che vi uniscono tra voi… e con il figlio di Draco Malfoy ed Hermione Granger…”. Tutti, con mia grande sorpresa commossa, annuiscono, persino Ron o Daphne o la stessa Ginny. Nessuno di loro ha mai accettato che io stessi con Draco, nessuno l’ha mai capito… ma da quando è nato Alex, le cose sono cambiate. E tutta questa gente, tutte queste persone, sono disposte a mettersi a rischio, pur di salvare mio figlio. E’ come se, nella sua esistenza, Alex fosse un simbolo. Il perno di un mondo che potrebbe cambiare e a cui tutti, dopo Voldemort, vogliono davvero credere.

“Mi avevi già convinto alla parola permesso, Empatica, senza bisogno di questa pappa sociologica…” mormora arrogante Draco, serrando le braccia al petto, prima di aggiungere in modo epigrafico: “Una volta sola ho cercato di fare tutto da solo e ci sono andati di mezzo Helena ed Amos. Non rifarò lo stesso errore con mio figlio… fai pure quello che serve…”.

In un altro momento, in un’altra vita, in un altro mondo, adesso ti avrei stretto le dita, avrei riscaldato la tua mano, dandoti quel coraggio da leone che tu non hai. Avrei letto la tua voce fratta, avrei seguito le tue labbra strette, avrei distinto netto ed evidente quel barlume di incertezza che ti ha oscurato lo sguardo. Ti saresti aggrappato a me, forte, ma non così angosciosamente da far sì che qualcuno se ne accorgesse. Avresti solo accarezzato piano le mie dita, strette nelle tue, così che tutti pensassero che la debolezza fosse la mia e non la tua, che oggi uccidi Danny Ryan.

Uno schermo, un’identità posticcia, un falso nome…  ma comunque un ricovero, un asilo, una capanna in mezzo alla tempesta, un salvagente a cui mai avresti voluto rinunciare, specie ora, specie adesso, per la salvezza di un figlio.

Che vale tutto, tutto.

Lo so e lo capisco: è nelle ossa che lo chiamano ininterrotte, nel respiro che piange l’assenza, nel sangue che invano scongiura. Lo sento anche io, come sento quel dilaniamento a cui, ancora, ti sottoponi. La scelta di un figlio sull’altro.

Anni fa, implicitamente, senza saperlo, hai scelto di salvare Serenity e condannare Alex, tenendo Raissa qui.

Adesso, esplicitamente, con ogni coscienza, hai rotto la promessa con Helena che voleva Serenity cresciuta tra i babbani.

Hai scelto di salvare Alex e condannare Serenity, tornando ad essere te stesso ma restando suo padre.

Hai scelto di sfidare apertamente i Greengrass, tornando alla vita con l’erede della fortuna dei Diggory.

In un altro momento, in un’altra vita, in un altro mondo, adesso ti avrei detto che troveremo una strada, che Serenity resterà con noi e riporteremo Alex a casa.

Ed invece in questo momento, in questa vita, in questo mondo… so solo chiudere gli occhi, serrare le spalle e respirare forte, distogliendo lo sguardo da te.

“Se si tratta di andare a fare l’ambasciatrice credo di potermene occupare io…” asserisce convinta Ginny, prendendo per un braccio James e per l’altro Albus che continuano a bisticciare “E ne approfitterei anche per scaricare questi marmocchi nel Gran Canyon e sperare che siano sbranati dai coyote…”.

“E Lily?” chiede Harry, preoccupato, dato che la bambina al momento è impegnata nella ricerca spasmodica di vermi nel terreno, cosa che ha ridotto il suo vestitino azzurro in una collage di macchie d’erba e terreno. Sentendo il suo nome, Lily solleva il capo e fa un grande sorrisone sdentato.

“Non abbiamo fatto un accordo prematrimoniale… ma credo che ci fosse la divisione equa dei compiti, no?” mormora Ginny, arricciando il naso “E ringrazia che il numero dei nostri figli sia dispari, sennò te ne toccava anche un altro…”. Harry incassa il colpo e tace, recuperando la figlioletta prima che si infili qualche lombrico in bocca.

Ginny, dopo avermi salutato con affetto ed avermi rassicurato che contatterà quante più persone possibili, si Smaterializza con James ed Albus, ancora impegnati a darsi calci negli stinchi. A quel punto, Daphne rompe il silenzio algido che aveva tenuto fino a questo momento, per sussurrare flautata e mesta che ha intenzione anche lei di andare a cercare aiuto, molto probabilmente dalle persone che, per ovvi motivi, Ginny non potrebbe contattare. Serpeverde. Mangiamorte più o meno pentiti.

Non riconosco la sua voce, è terribilmente bassa e sottile. Sentendola, mi provoca una fitta allo stomaco, mentre Blaise non reagisce minimamente, resta perso nell’immagine di Pansy e Dean davanti a lui, ancora stretti l’uno all’altra. Blaise li continua a studiare senza ritegno e senza nemmeno tentare di nasconderlo.

È Pansy, allora, a reagire, raddrizzando la schiena e dicendo greve: “Grazie Daphne… non frequento più alcune persone del nostro vecchio… gruppo… e non credo di poterlo fare personalmente…”. È anche lei terribilmente cortese ed impersonale, senza alcuna sfumatura scherzosa o irritata, segno evidente che non è sincera e non è sé stessa. Dean la guarda preoccupato, non lasciando mai però il viso di Blaise, di cui analizza ogni fremito di palpebre. Helder stessa serra gli occhi, diventati per un attimo del colore di quelli di Daphne, reprimendo una smorfia di dolore.

“Non ci sono problemi…” risponde lei con distacco, agitando noncurante la mano “Ne approfitterò anche per riportare Jacob a casa dalla sua balia…”. Fa un gesto indolente in direzione del bambino che ha in braccio, che ha preso a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi e lucidi. Lei ne sembra quasi infastidita per un attimo, trasale e rabbrividisce, ma poi lo lascia fare.

“E’ un bel bambino…” commenta educata Pansy, il silenzio attorno a loro è immenso, completo, impossibile da rompere nemmeno volendo. Tutti fingiamo di non stare ascoltando, ma nessuno riesce davvero a dire qualcosa, neanche Seth che si è andato a sedere mogio accanto a Kevin. Daphne reagisce in modo incomprensibile ancora una volta, serra le spalle ed annuisce piano, a disagio, aumentando in me la curiosità su che cosa diamine le sia successo. Poi Pansy fa un commento, scivolatole fuori quasi per caso, e Daphne ha ancora un comportamento incomprensibile. Impallidisce, gli occhi le si fanno lucidi, la presa sul bambino trema al punto che temo che lo faccia cadere a terra.

Pansy ha solo detto con voce casuale: “Non so perché, ma ero convinta che Jacob fosse più grande… ero sicura che fosse coetaneo o poco più grande di Charisma…”.

“Ti sarai sbagliata…” ingiunge duramente Blaise, parlando per la prima volta ed abbandonando l’espressione mollemente assente che aveva, assumendone invece una scavata e fiera, che fa da contrappunto a quella terrorizzata ed incomparabilmente malinconica della moglie. Pansy annuisce a disagio, sembra stordita, ma nei suoi occhi qualcosa è spuntato improvvisamente.

Un… sospetto.

Daphne, in fretta, fa quindi per congedarsi, dicendo che tornerà quanto prima, portandosi dietro tutti coloro che vorranno aiutarla. Andando via, prima di Smaterializzarsi, guarda Pansy e Dean e, per un attimo, le spunta un sorriso debole ed inespressivo, ma comunque un po’ più caldo di qualsiasi espressione che abbia avuto fino ad ora.

“Sarà una bambina…” sussurra solamente, guardando la pancia di Pansy, che se la stringe piano, gli occhi lucidi che vanno subito a cercare Dean, che finalmente si rilassa e chiede a Daphne spiegazioni su come se ne sia accorta. Blaise serra la mascella, fa qualche passo nervoso, si appoggia al tronco di un albero, sembra improvvisamente più stanco.

“Intuizione puerpera, un potere di premonizione delle gravidanze che hanno molte Purosangue… specie nella mia famiglia…” sorride lei, stavolta in modo più aperto “Helena l’aveva più forte di me… ed Astoria invece doveva sempre usare una bacchetta… ma l’abbiamo ereditato tutte e tre…”. I nomi delle sue due sorelle sono come una spada sulla testa mia e di Draco, ricordo improvvisamente l’incantesimo all’odore di rosa che Astoria mi fece al castello di Dimitri, mostrando la mia gravidanza. Una donna che non poteva avere figli… ma era perfettamente in grado di capire quando li avessero gli altri… che dono crudele. Draco contrae le braccia, resta immobile e apparentemente indifferente quando sente il nome di Helena, ma persino io sento il suo respiro farsi irregolare. Daphne, però, sebbene la sua voce sia tornata il flebile e gelido alito di vento di poco fa, sembra quasi calmarci tutti, dicendo prima di sparire: “Non vi do alcuna colpa per la morte delle mie sorelle… nessuna di nessun tipo. Entrambe hanno scelto la loro strada ed io la mia. Ed in quanto alla bambina, alla figlia di Amos ed Helena… quella che hai nascosto alla mia famiglia per cinque anni, Draco… non me ne interessa assolutamente nulla. Sono una Zabini, adesso…”.

L’eco di quell’ultima frase, dal tono così risoluto ma al contempo così tremendamente triste da sembrare la pronuncia di una condanna a morte, si spegne nell’aria, mentre Daphne si Smaterializza, portandosi dietro il figlio Jacob.

Finalmente, sistemate quelli che erano gli aspetti più impellenti della matassa che ci circonda, possiamo conoscere il piano di Helder. La guardo in attesa assieme con Draco, e lei accenna ad un gazebo di legno color ciliegia approntato nel giardino. Pansy decide di non seguirci, dice di volersi occupare di Lily e del figlio di Natalie che apprendiamo chiamarsi Elias, ma è evidente che vuole stare da sola e magari raccogliere i pensieri e le emozioni all’imprevisto incontro con Blaise. Quest’ultimo la osserva crucciato, Dean invece la lascia andare comprensivo all’interno, gli occhi ancora umidi al pensiero della bambina che farà compagnia a Charisma. Seth si offre immediatamente di accompagnarla, aggiungendo che comunque lui è abbastanza inutile e che Kevin può dirgli comunque tutto dopo. Dean lo ringrazia in modo pacato, sapendo che almeno farà compagnia alla moglie. Natalie, però, gentile ma ferma, dice che è meglio che Elias resti con lei, quindi il bimbo, che ancora non ha dato nessun segno di interesse a nulla se non il suo giocattolo, rimane con noi. Ci sediamo nel gazebo, all’ombra la temperatura è molto più fresca, specie sotto gli alberi. Draco rimane in piedi, poggiato con la schiena ad una colonna, mentre io scelgo prudentemente di sedermi in una posizione neutra, ossia tra Harry e Dean. Al momento, per la mia salute mentale, meglio stare equidistante sia da Draco, che da Ron ed Ilai.

Helder prende un profondo respiro prima di cominciare e sussurra come preambolo: “Fatemi il piacere di interrompermi il meno possibile… e di perdonarmi se inizio da molto lontano… è una storia davvero complicata, dove voi due paradossalmente siete solo gli attori finali… ed è una storia che riguarda gli Empatici ed Adamar… ma dovete avere chiaro tutto per capire che cosa dovete fare…”.

Annuisco ancora, quasi affascinata da questo nostro collegamento con segreti più vecchi della Magia stessa, e spio con lo sguardo Draco che, contrariamente a me, non ha ancora minimamente mutato espressione. La voce di Helder risuona d’improvviso nella mia testa, molto più debole e fioca di quanto fosse prima quando riusciva a leggermi nel pensiero, mentre sussurra: “E mi dispiace se purtroppo nel mio discorso ti farò soffrire o ti metterò in imbarazzo… ma credimi non c’è altra scelta…”. Sebbene preoccupata, annuisco silenziosamente al suo indirizzo, esortandola a continuare.

Helder respira ancora, e finalmente comincia: “Partiamo dalla cosa più ovvia… la febbre che vi ha colpito e che ho provveduto a farvi passare… ed il fatto che, assieme ad essa, si fosse aperta una connessione con tutti gli Empatici del mondo, così che i vostri pensieri più intimi e le vostre sensazioni fossero percepite anche a chilometri di distanza da tutti coloro che avessero questo potere… non è una cosa così ovvia, nemmeno scontata e tantomeno naturale per la nostra gente, ma ha un suo nome, un suo motivo ed una sua spiegazione. Si chiama Segno di fuoco. È un avviso… ecco. Per gli Empatici. A trovarvi… ed è già successo cinque anni fa…”.  

“Non avevamo nessuna febbre cinque anni fa…” l’interrompe prontamente Draco, con voce dubbiosa e caustica “Me ne ricorderei… non è stata una passeggiata al luna park…”. Lo guardo storto, meno male che Helder aveva detto di non interromperla. Ma lei non ne sembra disturbata, anzi annuisce tra sé e sé in tono riflessivo, e sussurra: “Era iniziata in realtà… ma non ebbe grandi effetti su di voi. Il segno di fuoco aveva due fasi, la prima che riguardava solo noi Empatici, la seconda che avrebbe riguardato voi due… e voi, cinque anni dopo, avete vissuto questa seconda fase quando vi siete rincontrati. Comunque andiamo con ordine…”. Helder, a quel punto, si rivolge a me, quasi isolandosi da tutto il resto e mi guarda fisso negli occhi, chiedendomi: “Cinque anni fa, quando tu e Draco vi siete messi assieme… io ti ho parlato di una sensazione che avevo provato assieme ad altri Empatici, ricordi?”. Faccio velocemente mente locale, cercando di rendermi impermeabile all’imbarazzo e al dolore per quei ricordi, poi facilmente ricordo cosa mi aveva detto telepaticamente quando mi aveva liberato dalla prigionia di Dimitri. Era una cosa che negli anni mi era sempre rimasta impressa.

Non credi che un amore così, sia qualcosa di semplicemente… troppo… anche per un Empatico? Tu hai rotto lo Zahir… lui ha battuto Adamar… due segreti vecchi come la Magia stessa… noi Empatici… io e gli altri, anche a grandissima distanza… vi abbiamo sentito ininterrottamente, come si sente il fuoco di un incendio quando si è avvolti dalle fiamme… sono settimane che ho il cervello che brucia…

Annuisco tra me e me guardandola e lei riprende con più energia, rivolgendosi di nuovo agli altri: “Tutti noi Empatici, soprattutto nei dieci giorni che loro hanno condiviso a casa di Pansy, provavamo una strana sensazione. La sensazione che il cervello andasse a fuoco, che bruciasse, ecco… era una cosa che nessuno aveva provato mai prima, che nessuno sapeva descrivere, che sembrava nutrirsi di loro due ed averne in loro origine e spiegazione. Di storie d’amore su questa terra ne sono esistite tante, decine di migliaia, era impossibile pensare che la motivazione fosse solo questa. Io, che vi conoscevo, l’ho collegata alla forza del vostro legame ed al fatto che aveste battuto Adamar e lo Zahir. Ma quando decine di Empatici mi hanno riferito in quei giorni la stessa sensazione, anche se erano distanti migliaia di chilometri da voi… abbiamo capito, tutti, che c’era qualcosa che non andava come doveva. C’era qualcosa di strano in tutto questo. D’accordo vivevate un forte sentimento, che era stato travagliato, ma come poteva questo provocare delle conseguenze in tutto il mondo, a migliaia di persone che non si conoscevano tra loro e che tantomeno conoscevano voi?”.

Helder fa ancora una pausa, come se raccogliesse i pensieri tra sé e sé, il silenzio attorno a lei è assoluto. Draco, finalmente, ha sciolto le braccia che teneva strette al petto, ho sentito il suo sguardo addosso, ma non mi sono premurata di rispondergli. Non adesso che tutto, in me, pulsa e batte forte di ricordo.

“Ma poi la sensazione è passata, siete stati divisi, il fuoco si è spento…” riprende Helder, giocherellando con le dita con l’orlo della sua veste “Ed io in cinque anni non ci ho quasi mai più pensato… fino a quando qualche settimana fa, ho ricevuto una chiamata. Eravamo ancora in Italia… c’eri anche tu…”, ancora si rivolge direttamente a me, guardandomi dritto negli occhi: “E non ti ho detto nulla, perché in fondo non serviva a nulla per te saperlo… era una cosa degli Empatici, solo nostra. E tu eri solo una causa accidentale di tutto questo…”, Helder di nuovo distoglie lo sguardo da me e riprende: “Noi Empatici siamo organizzati in una specie di consiglio, si chiama Senato celeste, ma onestamente l’ho sempre trovata una cosa abbastanza folcloristica e nient’altro. Gavril, l’uomo che mi ha chiamato… è a capo di questo Consiglio. Mi chiese se ero io Helder Cassidy Bode, se ero con una donna chiamata Hermione Granger, se era stata lei a creare uno Zahir qualche mese prima, se era stato l’amore per un tale Draco Malfoy a creare lo Zahir poi distrutto, se era anche vero che quest’uomo aveva affrontato e battuto Adamar… ovviamente incuriosita, confermai tutto. Al che, mi fu chiesto se avevo provato anche io quel fuoco nella testa… me ne fu detto il nome, mi fu detto che era un segnale, mi fu detto che non era stata una coincidenza che si fosse acceso allora e mi fu detto che aveva un motivo ben preciso, legato a voi due. Mi fu persino anticipato che molto probabilmente, a lungo andare, avrebbe provocato delle conseguenze anche a vostro carico: malessere fisico, rallentamento a livello celebrale, ipersensibilità emotiva, febbre altissima che non si sarebbe placata con nessuno dei rimedi più conosciuti. Ma soprattutto l’apertura di un canale privilegiato con i vostri pensieri e sensazioni, per tutti gli Empatici del mondo. Gavril mi disse di raggiungere immediatamente Hermione, quando avessi iniziato a sentire i suoi pensieri anche a distanza. Questo è successo più o meno ieri mattina... e, allora, dopo aver saputo da Harry del rapimento di Alex da parte di Dimitri ed aver finalmente udito tutta la storia da Gavril, ogni pezzo è andato a posto. E quindi sono partita subito per raggiungervi…”.

Ieri mattina… la febbre è iniziata allora…

“Mettiamo che mi interessi tutta questa faccenda di questa febbre misteriosa…” ancora Draco interviene, le mani contratte a pugno e gli occhi accesi di rabbia, guardando Helder. È come se improvvisamente qualcosa si fosse rivoltato in lui, imponendogli di prendere di nuovo la parola “E mettiamo ancora che io mi voglia sentire tutte queste menate empatiche… che cosa diamine c’entra tutto questo con nostro figlio?”. Il cuore mi fa improvvisamente tanto male da darmi l’illusione che stia volando fuori dal petto, mentre fa una capriola buffa. È la prima volta che dice nostro figlio.

Mi schiarisco silenziosamente la gola, facendo passare la morsa che la stringe forte. Ilai, di fronte a me, sembra intuire qualcosa dal mio sguardo, ma non lo guardo in viso per non esserne smascherata.

Helder si fa serissima, guarda prima Draco e poi me, la sua voce riassume il tono caparbio ed autorevole che aveva quando ci ha parlato e rimproverato, non appena ci ha visti litigare: “Non sto raccontando questa storia per mio personale divertimento, ma per un motivo molto semplice. Che è questo: non salverete Alex in nessuna delle maniere che credete di poter utilizzare…”. Annaspo, il respiro si ferma, mi chiudo il petto tra le braccia e mi mordo il labbro, colma di angoscia. Draco, a sua volta, diventa livido, bianco, i pugni tremano serrati. Helder, con nuova decisione, prosegue: “Non lo salverà il ciondolo di Tatia Krasova, non lo salveranno interventi magici dei più potenti e non lo salverà nemmeno ricorrere a rimedi babbani. Certo, potreste avere fortuna, potreste ingannare Dimitri al punto da liberare Alex e fuggire… ma non cambierebbe nulla. Non credo che il ciondolo possa sciogliere l’assimilazione, e, anche se lo facesse, Dimitri ci metterebbe tre secondi a ripristinarla, stavolta magari facendosi davvero del male. E in ogni caso… pensateci… anche se doveste riuscire a salvarvi, anche se doveste riuscire a salvare vostro figlio… passereste una vita in fuga. Perché loro, i Karkaroff, non si fermeranno mai. E prima o poi, arriveranno a voi e ad Alex. Anche se esiste una scappatoia non sarete così fortunati in seguito… il potere dato da Adamar è assoluto, fortissimo, senza scampo. Non ci sono rimedi ad esso…”, Helder sospira nel nostro silenzio angosciante, improvvisamente stanca, prima di aggiungere faticosamente: “O meglio… non ci sono rimedi conosciuti ad uomo, per esso. Un rimedio, il solo, esiste. Ed è talmente pericoloso anch’esso che solo suggerirvelo per me è sbagliato. Specie… nelle condizioni in cui siete adesso…”, la guardo disperata, senza capire, gli occhi che mi pizzicano, non riuscendo minimamente a comprendere che cosa voglia dire. Poi lei fa vagare gli occhi da me a Draco, come a descrivere un’improbabile ellisse che ci unisca, quando invece non siamo mai stati così distanti. Ed allora capisco di che situazione parla. Parla di noi due, dei nostri sentimenti, di che cosa proviamo adesso. Persino i suoi goffi tentativi di unirci, adesso, e quelli di mostrare disappunto riguardo ad Ilai, mi sembrano improvvisamente più chiari. Ho improvvisamente un senso di soffocamento, fortissimo, che mi porta quasi a tossire per liberarmi di un blocco che non esiste.

Ma non lo faccio, me ne resto ferma con la bocca impastata a fermare i pensieri che franano da una parte all’altra, sempre più convinta che il piano di Helder prevede me e Draco in una forma che adesso non abbiamo, in un sentimento ed una fiducia che neanche nei sogni, forse, abbiamo avuto. E per la prima volta, davvero, con un senso di stordimento che mi fa sentire soffuse le altre voci, ho davvero terrore di non poter salvare Alex.

Helder, intanto, ha continuato a parlare nel mio momento di assenza, confermando tutto quello che da sola avevo già intuito: “Però non mi perdonereste mai, se non ve lo dicessi, se non vi parlassi di questa possibilità… la sola che abbiate… conosco il vostro cuore, conosco il sentimento che lega un padre ed una madre al loro figlio. Fareste di tutto per salvarlo. E quindi tanto vale che ve ne parli io adesso… il rimedio, l’arma… lo conosce solo Adamar. Non è mai stato scritto da nessun uomo, perché è un rimedio Empatico, e, come forse sapete, loro sono sempre poco avvezzi alla scrittura. Difatti la sola pecca che hanno Dimitri e Raissa nella loro Conoscenza Assoluta, è proprio l’Empatia… ma questo, ecco, rimedio, forse, non sarebbe stato scritto comunque, anche se non fosse stato Empatico, perché semplicemente è troppo antico… è nato con gli Empatici e con Adamar stesso, affonda nella loro storia ancestrale, era già scritto nel momento della creazione di quel demone. E gli Empatici non hanno mai potuto davvero tramandarlo… lo capirete presto… quindi se n’è persa ogni traccia nel corso degli anni…”.

Helder fa ancora una pausa, si mette una ciocca di capelli dietro le orecchie e bisbiglia, proseguendo con voce ferma: “Questo rimedio… è una condizione stessa dell’esistenza di Adamar, non può opporsi, qualora sia scagliato nei suoi confronti, se ce ne sono le condizioni… deve subirlo e basta. Ma non per questo vuol dire che, siccome non può impedire che usiate quest’arma, l’avreste vinta con lui… significa solamente che deve accettare di giocare, non che è destinato a perdere… tutt’altro…”.

“E’ normale che non ci sto capendo niente?!” borbotta Dean, roteando gli occhi ed incrociando le braccia. Helder sorride ed annuisce, dicendo che sarà tutto decisamente più chiaro quando avrà finito di parlare. A quel punto, aggiunge lapidaria, rivolgendosi alla silenziosa platea che l’ascolta: “Il rimedio si chiama Solutio damnationis, lo scioglimento della dannazione. Ed in realtà ha un effetto semplicissimo, anche se di portata cosmica… se funzionasse… se ci riusciste… Adamar cesserebbe di esistere. Ogni desiderio oscuro da lui esaudito verrebbe estinto, persino nell’aldilà… le anime l’aspettano da secoli… Tatia te l’ha fatto capire chiaramente in quel sogno, Hermione… e devo ammettere che sentire anche lei premere in questa direzione, leggendo i tuoi pensieri, mi ha spinto a rivelarvi tutto…”.

Ilai ha ovviamente uno scatto improvviso, nervoso quasi, e torna a guardarmi, chiedendomi implorante: “Hai sognato… Tatia?”. Ha il volto acceso, angosciato, lontano anni luce dall’immagine calma e tranquilla che ho sempre di lui. Per un attimo, vedo Draco guardarlo, stringere gli occhi grigi e restare in un’attesa pensierosa, che non so che cosa lasci presagire. Poi, con un maledetto senso di angoscia, penso che probabilmente si è sentito simile ad Ilai per una volta, penso che forse immagina che avrebbe avuto la stessa reazione se io avessi parlato di Helena a lui.

Sei solamente il rimpiattino delle donne morte che cercano una sostituta innocua per i loro fidanzatini e maritini. Prima Helena, e adesso Tatia. Non te lo sei mai chiesto, Granger? Non ti sei chiesta come mai tutto questo interesse dall’alto dei cieli? Non sei niente di speciale in fondo… ed è questo il punto… sanno che resteranno indimenticabili. E scelgono te per avere questa certezza.

Le parole malevole di Raissa rimbombano nel mio cervello, le mando fuori dalla mia testa con nervosismo, mentre annuisco ad Ilai, raccontando sommariamente il contenuto del sogno a cui non avevo dato molto peso, alle parole di Tatia che mi ammonivano sul fatto che avessi già tutto quello che mi serviva, alla nenia infernale che ripeteva le parole Solutio damnationis, al fatto che Tatia sembrava la messaggera di qualcosa che milioni di persone sembravano condividere, ma che non avevano potuto comunicarmi, cosa che invece aveva potuto fare Tatia.

“Se Adamar cessasse di esistere, quindi…” completa alla fine Harry, quasi mettendo una chiusa a tutto il ragionamento “Raissa e Dimitri Karkaroff perderebbero la loro Conoscenza assoluta, tornando due maghi ordinari… e sarebbero decisamente più gestibili… potremmo persino arrestarli, no?”. Draco fa un’espressione così scettica che capisco perfettamente che non avrebbe alcuna intenzione di consegnare i Karkaroff alla giustizia ordinaria, ma per fortuna Harry non se ne accorge. Non credo che, al momento, sopporterebbe facilmente le sue intemperanze. Spesso, in Italia, parlando di Draco, in Harry emergeva chiaro l’avversione che avesse per lui, ed io, stavolta, non c’entravo niente. Harry si è sempre sentito tradito dalla sua sparizione cinque anni fa, visto che lo stava aiutando da anni di nascosto da tutti. Se è qui, adesso, non è per lui, ma per me ed Alex. E se Draco non si è mai mostrato riconoscente con Harry stesso, io non smetterò mai di esserlo.

Helder annuisce, rivolgendosi ad Harry ed aggiungendo stoica: “E dubito che Raissa e Dimitri, se maghi normali, potrebbero avere storia con il traditore di Voldemort e l’ex Capo degli Auror, impegnati a salvare il loro unico figlio…”.

“Una cosa, però, non mi è chiara…” chiede Natalie, che fino a questo momento era rimasta in silenzio, spingendo avanti ed indietro il passeggino di Elias, Helder la guarda in attesa e con un piccolo sorriso, già come se prevenisse la sua domanda “Se questo rimedio esiste da secoli, se è agognato persino nell’aldilà, se Adamar non potrebbe rifiutarsi di subirlo… perché allora voi Empatici non l’avete usato prima? Perché avete dovuto aspettare il segno di fuoco di Malfoy ed Hermione?”.

“E qui che la questione si complica… ed è qui che capirete perché questo rimedio, in realtà, è pericoloso al pari di Adamar stesso…” riprende Helder con un profondo sospiro, più simile ad un singhiozzo che la scuote dall’interno “E capirete anche perché ho avuto bisogno di convocare così tante persone e tante ancora me ne servono… perché questo rimedio è stato già usato una volta, con conseguenze disastrose. E quando è stato usato, ha comportato una pena salata per tutti gli Empatici e per Adamar stesso… usarlo implica la quasi certezza del fallimento. E non solo perché Adamar è quello che è ed è con lui che dovete vedervela… ma perché la Solutio damnationis, specie se fallisce, comporta conseguenze planetarie… potrebbero perdere la vita decine di migliaia di persone ed è già successo… e voi due sareste semplicemente i primi a morire…”, un brivido mi scorre lungo la schiena, mi stringo nelle spalle mentre cerco di fermarlo “Per anni la Terra dovrebbe fare i conti con gli effetti di tutto questo. Ed io, come rappresentante degli Empatici e del Senato Celeste, ho l’obbligo morale di impedire che persone innocenti perdano la vita. Ma al contempo ho anche il dovere di dirvi della Solutio damnationis che appunto è l’unico modo concreto di salvare Alex, liberandovi dei Karkaroff e di Adamar… e liberando il mondo stesso da quel demone empio…”.

“Parla, Bode…” la voce di Draco è dannatamente ferma, molto più di quella che avrei io, se avessi dovuto chiederle di proseguire. Lo ringrazio mentalmente, guardandolo intensamente, i suoi occhi trovano i miei, prima che ne scappi ancora. Helder annuisce con comprensione, poi inizia finalmente a raccontare: “Per farvi capire bene tutto, devo raccontarvi del modo in cui sono inscindibilmente legati gli Empatici ed Adamar. Un modo di cui nessuno di noi aveva memoria, fino a qualche mese fa. Quando il fuoco si è spento, cinque anni fa, quando voi due siete stati divisi, io, come tutti gli Empatici, ho iniziato ad avere sogni strani. Cose di poco conto, in persone come me, che nel Senato celeste avevamo una posizione marginale. Non ci avevo dato peso nel modo più assoluto: vedevo solo un’inondazione e basta, la distruzione di una grande città, desolazione e morte. Poteva essere un sogno come tanti altri, indottomi dalla mia paura per Hermione, Alex ed Hayden, dato che ero in Italia con loro. In persone, invece, con più potere, quei sogni erano stati ben più nitidi ed intensi, colmi di particolari raffrontabili tra di loro. Dopo cinque anni, la cerchia più alta del Consiglio era stata in grado di ricostruire una storia che ci appartiene da decine di migliaia di anni, ma che ci era stata cancellata dalla mente fino appunto al Segno di fuoco di cinque anni fa, che aveva dato origine allo snebbiamento della nostra memoria mediante quei strani sogni. Avevamo solo delle teorie, sebbene abbastanza attendibili, specie quando gli altri Empatici mi hanno contattato ed è venuta fuori la faccenda vostra e dei Karkaroff, e quindi hanno capito che avevate ancora, in qualche modo, a che fare con Adamar… ma quelle teorie sono diventate certezza adesso, quando il Segno si è riacceso con il vostro incontro di pochi giorni fa, con la febbre e la connessione aperta. Anche io ho potuto ricordare tutto. E, come me, tutti gli altri. C’è voluto del tempo… ben cinque anni… e la consultazione con diverse persone per giungere a tale storia, il Segno di fuoco era durato solo poche settimane e non aveva potuto far recuperare completamente la memoria. Ma, mettendo assieme i pezzi provenienti da diversi sogni e le leggende che comunque si conoscono e sono tramandate oralmente riguardo ad Adamar, il Senato era già giunto ad un elevato livello di chiarezza, confermatoci pienamente quando il Segno di Fuoco si è riacceso ieri mattina…”.

“Come si fa a scordare un’intera storia?” chiede Ron perplesso, mi ero dimenticata completamente di non essere da sola, rapita com’ero dal racconto di Helder.

“… ma soprattutto…” aggiunge ancora Dean meditabondo, grattandosi una guancia e inarcando un sopracciglio “Come fa un’intera storia, a sparire dalla mente di centinaia di persone? Che io sappia… gli Empatici non sono proprio pochissimi al mondo… e poi tutto è tornato per qualcosa che riguardo Malfoy ed Hermione, che nemmeno sono Empatici?”.

“Strano, vero?” commenta leggera Helder, il vento le scompiglia i capelli e la fa apparire molto più giovane di quanto mi sia mai sembrata “Ma credetemi, ragazzi… è decisamente possibile… ho memorie nette e ricordi di un intero popolo… e non li avevo fino a ieri. I miei stessi poteri sono cambiati…”, Helder sorride tra sé e sé ed aggiunge gioviale: “E’ la magia… di che cosa altro vi sorprendete ancora?”.

“Di nulla in effetti…” mormora Kevin, che se n’è stato in silenzio fino ad ora e che si porta le mani ai capelli, reprimendo un sorriso di circostanza, maschera di un’incredulità difficilmente reprimibile.

“Nulla sarà mai come uno come Potter che sconfigge davvero Voldemort… dopo quello, mi sono fatto il vaccino alle cose assurde…” biascica Draco sarcasticamente, Harry lo guarda minacciosamente, prorompendo in una parolaccia che spero che Alex non impari mai. Ma, paradossalmente, tutti scoppiano a ridere con tono leggero e vivace, persino Ron e Dean, costringendo persino me a scuotere il capo incredula con un sorriso sbieco. Draco non si unisce alla risata collettiva, ma le sue spalle si rilassano, il respiro si allenta, gli occhi diventano più chiari. E mi guarda ancora, per un attimo solo, dritto negli occhi, come se dovesse constatare di persona se quell’attimo di apparente distrazione abbia fatto bene anche a me. Lascio stavolta che il mio sguardo non lo abbandoni troppo presto, lascio stavolta che i pensieri non mi affollino la mente, chiudendomi le palpebre di orgoglio e rabbia. Stavolta è lui a sfuggirmi, voltando il capo e rivolgendosi di nuovo ad Helder: “Andiamo alla favoletta, Cantastorie…”.

L’atmosfera rilassata torna d’improvviso concentrata e tesa, mentre Helder, dopo essersi sistemata meglio, a sedere, ricomincia pacata: “La storia che avevamo scordato è la storia della nostra stessa razza e di come un tempo, Adamar, fosse stato uno di noi, un Empatico. Migliaia di anni fa, gli Empatici vivevano tutti in un regno che molti di voi conoscono anche solo di nome e di fama… e che una persona, qui, ha già sentito nominare quando ha creato lo Zahir… il regno di Atlantide…”.

Naturalmente, ho immediatamente addosso gli sguardi di tutti, cosa che mi fa sentire a disagio e nervosa.

Atlantide… e lo Zahir. La Regina Artemisia… lo Zahir d’amore, il primo, l’unico, a parte il mio. La fine di un Regno, per un amore trasformato in odio.

Speravo di non dovermene più ricordare, dello Zahir intendo. Il più grande errore della mia vita. Non ne ho fatte molte di scelte assennate in questi anni, ma quella credo che sia stata la peggiore. Ancora, spesso, sogno che quel fiume d’odio mi ritorni nel sangue. Mi scorro lentamente l’indice sul polso, dove si chiudeva quell’infernale serpente e dove la cicatrice gemeva e pulsava prima di sparire.

Il serpente… che credevo avrebbe preso il posto di mio figlio, quando ero incinta.

Quella paura… sorda e cieca… che Ron mandava via, abbracciandomi e dicendomi che avevo il cuore di una leonessa.

Ron è seduto esattamente di fronte a me, tra Natalie ed Ilai, e Draco è alle sue spalle, immobile come una statua. Persino adesso, non posso guardare Ron, senza incontrare gli occhi di Draco o quelli di Ilai. E mi fa male terribilmente, perché vorrei ancora renderlo partecipe della gratitudine che provo assieme al senso di colpa. Però, per un attimo, ho come l’impressione che segua le mie dita che torturano la pelle del polso e neghi impercettibilmente con il capo, ammonendomi di fermarmi, ancora a convincermi che quella cicatrice non c’è più.

Come faceva cinque anni fa, accarezzandomi la pancia che cresceva e nutriva Alex.

La mia mano si stacca subito dal polso e respiro forte, mentre Helder, dopo una pausa, continua a raccontare: “Le leggende hanno trasmesso l’idea che questo regno, Atlantide, fosse un autentico paradiso terrestre e questa non era una bugia. Lo era sul serio. Si trattava di un’isola lussureggiante, cresciuta dalla terra ed amata dall’acqua, la cui architettura ricordava molto quella della nostra odierna Venezia. Era praticamente un’isola strappata al mare… dagli Empatici. Era un paradiso non solo naturale, ma anche umano. Dato che era appunto abitata da gente in grado di sentire i sentimenti degli altri, non esisteva guerra, dolore, sofferenza, invidia, odio. La gente, sentendo cosa poteva provocare con i propri sentimenti negativi, semplicemente evitava il male e lo censurava persino dai propri pensieri. Ed Atlantide conosceva prosperità e fortuna, sebbene si isolasse dal resto del mondo, percepito come ostile e crudele. Atlantide era una monarchia costituzionale, la prima della storia: c’era un sovrano, coadiuvato nei suoi poteri e prerogative da un Senato celeste, che aiutava la Corona a reggere il peso del Regno. Il sovrano, infatti, doveva essere il più potente tra gli Empatici, in grado quindi di prevenire i desideri della sua stessa popolazione, e doveva vertere sempre in una posizione di pace ed equilibrio interiore, tale per cui potesse svolgere al meglio il suo compito e non far riflettere alcun sentimento negativo su Atlantide e sulla sua gente. I sovrani erano giovani, vergini, imberbi adolescenti che regnavano per pochi anni, al massimo cinque o sette. Si consumavano presto, come candele bruciate dal fuoco, a causa della miriade di sentimenti che provavano e del controllo che ne dovevano comunque avere. Il Senato impediva che morissero, aiutandoli a reggere il loro potere e sostituendoli presto, ma in ogni caso era decisamente troppo per una persona sola. All’avvento della 45° dinastia, fu proclamata Regina di Atlantide una ragazzina nobile di soli quindici anni, figlia di uno dei più grandi dignitari del Regno: si chiamava Artemisia, era intelligente e vivace, forte del fulgore della sua giovinezza. Negli stessi anni, fu eletto capo del Senato celeste uno degli uomini più potenti del regno, fratello del padre della Regina. Il suo nome era Adamar Varsos, conosciuto in tutta Atlantide per la sua saggezza e chiarezza di pensiero. Sotto la guida congiunta di Artemisia ed Adamar, Atlantide conobbe per alcuni anni il periodo più florido della sua storia: Artemisia ruppe l’isolamento del Regno, che poté finalmente aprire le frontiere commerciali a città stato potenti e forti come Atene e Sparta, guadagnandone in ricchezza e benessere della gente. Adamar, d’altro canto, uomo di grande ingegno ed acume finissimo, riuscì a mettere a punto tutta una serie di sistemi e stratagemmi che consentissero che l’energia magica della Regina non si esaurisse prematuramente, visto quanto era rigoglioso il suo governo. Il risultato fu che, a venticinque anni, Artemisia era ancora Regina ed Atlantide era al massimo del suo splendore. Ma i problemi e la crisi del Regno erano già dietro l’angolo, legati invariabilmente alla circostanza per cui la Regina non era più adolescente, scevra da sentimenti forti e da passioni brucianti… Atlantide aveva retto perché governata da una bambina. Sarebbe crollata perché ormai retta da una donna.

“La fine di Atlantide venne per mano di un commerciante di sete e broccati, di nome Ferele. Un Ateniese bello, giovane, ma spregiudicato ed ambizioso, il cui ruolo di piccolo commerciante stava stretto. Arrivò ad Atlantide ed irretì la giovane ed inesperta Regina, che se ne innamorò perdutamente. Ferele cavalcava molto l’onda di questa cotta della sovrana, ne rideva con gli amici, la sfruttava per ottenere dei vantaggi di natura economica per la sua patria, cosa che gli valse molti riconoscimenti in Grecia. Atlantide iniziò una forte parabola di decadenza, specie nei rapporti commerciali dove veniva sempre favorita Atene a discapito di Atlantide stessa, che divenne quasi suddita della città greca. Ferele, maliziosamente, consigliava male la regina, sempre più isolata dal suo Regno e dalla sua gente. Si giunse ad un punto tale di rottura, che alla fine il Senato celeste decise di intervenire nella persona di Adamar, appunto, che escogitò un sistema per liberare la Regina dal suo sentimento malsano di attaccamento a Ferele. E questo sistema fu lo Zahir…”.

Non fu Artemisia a sceglierlo, non fu lei a volerlo… lo dovette… subire. Le strapparono letteralmente quell’amore… per il benessere della sua gente.

Ripenso alla sensazione orribile dello Zahir che mi lacerava dentro, come un artiglio che brandisce la carne e, senza fretta alcuna, sbrindella la cosa a cui tenevi di più al mondo. Avverto, come se fosse di nuovo mio, lo strazio che deve aver subito Artemisia che, contrariamente a me, lo viveva senza volontà e da parte delle persone di cui si era sempre fidata… in fondo Adamar era anche suo zio.

Riprendo ad ascoltare Helder con una stretta allo stomaco: “Sapete ormai perfettamente come funziona uno Zahir: un sentimento ossessivo viene estirpato dall’anima di una persona, dandone forma di un oggetto. Con il tempo, però, tale sentimento se nutrito ancora dalla vicinanza con la persona che suscita quell’emozione stessa, si trasforma nel suo contrario, contaminando l’anima e diventando ugualmente devastante. Questo processo, per ovvi motivi, è più forte e lacerante con gli Zahir d’amore che non si possono rompere se non con molta difficoltà, e che si convertono in odio. Un odio irrazionale, corrosivo, cancerogeno. Solo due persone hanno rotto uno Zahir d’amore: una sta seduta di fronte a me e l’altra… fa parte di questa storia, quindi non ne avevamo memoria fino a qualche giorno fa...”.

“Un’altra persona… ha rotto uno Zahir d’amore?” chiedo perplessa, con l’assurda speranza che questa persona sia stata Artemisia stessa, visto che cosa era stata costretta a subire. Ma Helder, dopo un primo accenno di assenso, mi smentisce con decisione: “Questa persona, però, non era Artemisia: dopo qualche tempo di calma interiore e sollievo, prese ad odiare Ferele, riflettendo il suo rancore verso Atene, al punto da dichiarare guerra alla città dell’uomo che amava. Voleva distruggerla dal mondo, cancellarla, annientarla. L’ondata di sentimenti negativi iniziarono a riversarsi su Atlantide, che conobbe criminalità e corruzione, omicidi e prostituzione, ladrocinio e mistificazione. Persino la terra iniziò a marcire, gli alberi a non dare frutto, il bestiame a morire, mentre diverse sciagure naturali cominciarono a sconquassare l’isola. Quando la guerra con Atene iniziò, Atlantide era già allo stremo. Atene ebbe facilmente la meglio su un regno sempre abituato alla pace e alla non belligeranza. La distrusse in pochissimi giorni e la Regina Artemisia fu trucidata da Ferele stesso. I pochi superstiti rimasti sull’isola e non deportati ad Atene perirono in una feroce inondazione, che annientò Atlantide dalla faccia della Terra, dopo che l’ondata di sentimenti negativi aveva completamente devastato l’ecosistema.

“Adamar, suo malgrado, sopravvisse, trascinato in catene e schiavo ad Atene. Dovette persino subire di vedere Atlantide sprofondare negli abissi mentre una nave lo deportava, consapevole di averci lasciato sua moglie e i suoi cinque figli nel vano tentativo di salvarli dalla prigionia. Distrutto nell’orgoglio e nell’animo, traboccante di dolore e lutto, era diventato un servo della peggiore specie, destinato a morire presto nei feroci giochi olimpici dei Greci o nei loro tributi sacrificali. Ardeva del fuoco di quella che chiamava giustizia, di quello che definiva ordine, di quella che chiamava pace… aborriva la fragilità umana, la debolezza dei sentimenti, il cambiamento futile delle anime che amano ed odiano con la stessa intensità, finendo per distruggersi, e sognava un mondo che forse lui non avrebbe visto, ma dove agli uomini sarebbe stato posto un freno per impedire di diventare facili prede dei propri sentimenti. Sognava la pace che lo Zahir aveva dato ad Artemisia prima che tutto virasse verso la tragedia… sognava quella che, invece, era solo morte. Però, qualcuno ascoltò questa sua preghiera…

“Il mondo è un continuo dondolo tra luce ed ombra, bene e male, bianco e nero. A volte sembra prevalere uno, a volte l’altro. Ma, semplicemente, non vince mai nessuno. Vince sempre e solo l’ordine, l’equilibrio, la compensazione tra le due anime dell’Universo. A tutela di quest’ordine, esistono delle entità che, dopo la fine di Atlantide, decisero di intervenire. Si potrebbero chiamare Angeli, si potrebbero chiamare Dei, si potrebbero chiamare Custodi ed io, per semplicità, li chiamerò così. Custodi dell’ordine. Queste entità, addolorate dalla fine tragica di Atlantide e dalla perdita di tante vite, decisero che questa sarebbe stata l’ultima volta che l’uomo si distruggeva così: Adamar sarebbe diventato censore dell’uomo, dei suoi sentimenti, delle sue passioni, della sua stessa vita. Gli diedero i poteri assoluti che ben conosciamo, la capacità di realizzare desideri e di imbrigliare in tal modo sentimenti divenuti troppo molesti e pericolosi, fossero essi buoni o malvagi, gli lasciarono lo Zahir come mezzo di controllo… sono entità che non si possono definire malvagie, né tantomeno buone. Hanno solo a mente l’ordine e il disordine e perseguono il primo. Basta. Ad un gesto malvagio, ne deve corrispondere uno buono e viceversa, ed il mondo, per loro, deve appiattirsi nell’assenza di emozioni che distruggano. I Custodi dell’Ordine, delusi dall’uomo, diedero ad Adamar una vita lunghissima, quasi eterna, ma ad una condizione. Anche lui, un giorno, doveva morire, come tutte le altre cose. Anche il mondo, un giorno, doveva essere restituito agli uomini e ai loro sentimenti, e questo quando sarebbero stati in grado di controllare le loro passioni e sconvolgimenti dell’anima. Questo momento di restituzione sarebbe stata appunto la Solutio damnationis: se lo stesso sentimento avesse sconfitto Adamar per ben due volte, egli avrebbe avuto l’obbligo di concedere una prova al detentore o ai detentori di tale sentimento puro. Garanti di tale correttezza sarebbero stati gli Empatici superstiti: alla seconda sconfitta di Adamar subita dal medesimo sentimento, si sarebbe acceso il Segno di fuoco che ormai conoscete, così che gli Empatici riconoscessero chi era riuscito in tale arduo compito e lo avrebbero preso in custodia, fino alla prova scelta da Adamar. Se tale prova fosse stata superata ed Adamar quindi fosse stato battuto per la terza volta, avrebbe cessato il suo compito e i Custodi avrebbero lasciato la Terra di nuovo agli uomini, come ai tempi prima della fine di Atlantide. Adamar avrebbe cessato la sua lunga vita e si sarebbe sciolto ogni giogo posto da Adamar stesso agli uomini, compresi quelli già morti e successivamente dannati per la loro debolezza. Anche costoro avrebbero raggiunto la pace.

“Adamar, all’inizio, non prese molto seriamente il suo compito: i primi anni della sua vita assolse quel compito in modo quasi indolente, stanco, affaticato. Era ancora un uomo, la distruzione della sua gente e il fallimento della sua politica ad Atlantide, gli gravavano dentro al punto di non sentirsi giudice di nulla. Successivamente però, venendo sempre più in contatto con gli uomini, ne comprese la fragilità lunatica e la forza masochista, comprese che, se lasciati liberi, potevano solo uccidersi a vicenda. Iniziò a considerarli inferiori, deboli, sciocchi, e dismise tutta la sua umanità. Era convinto che dovevano essere comandati, guidati, resi schiavi docili della volontà superiore. Questo senso di distacco fece evaporare ogni sentimento di vicinanza alla razza umana. Diventò sempre più asservito all’idea che fossero malvagi e corrotti nell’anima, impossibili da redimere. Moltiplicò la Terra di Zahir, dai maggiori ai minori, ma evitando quegli d’Amore le cui conseguenze devastanti potevano risvegliare i Custodi dell’Ordine, specie adesso che la popolazione umana stava crescendo di numero e un sentimento d’odio avrebbe ucciso molta più gente, se non controllato. Si lasciava invocare da centinaia di persone solo per dimostrare quanto potesse essere facile devastare un cuore umano ed esaudiva desideri anche di dittatori e tiranni, i quali conoscevano impunita fortuna grazie a lui, che aveva appunto a mente solo l’ordine ed il discutibile modo di raggiungerlo. Sono imputabili ad Adamar tantissimi conflitti e guerre, morti, stragi. L’assassinio di Giulio Cesare, la caduta dell’impero romano, un paio di crociate. Pensiamo persino che sia ascrivibile a lui l’invenzione dell’Horcrux, ma è solo un sospetto. È certezza che, invece, abbia creato lui i Dissennatori che, se ci pensate bene, hanno un potere a lui simile: assorbono sentimenti, perlopiù positivi. Li mandò in giro sulla terra a sbrigare le faccende che considerava inezie. Nulla sfuggiva al suo insindacabile giudizio onnipotente: divenne un demone, logorato dal potere ed oramai dimentico del primario scopo della sua vita. Viveva e vive tuttora per dimostrare che la razza umana merita solo la dittatura morale di qualcuno di migliore, e quel qualcuno sarebbe lui e lui soltanto. Mette a tacere ogni voce più forte nel coro umano, o perlomeno cerca di farlo. Talvolta qualcuno sfugge al suo controllo e gli dimostra che gli esseri umani sono ancora degni di onore e fiducia: ci sono state persone che hanno rotto degli Zahir, o che hanno rinunciato a ciò che prometteva all’interno delle sue prove, o che, sebbene sappiano di lui, non hanno mai sentito dentro il desiderio di invocarlo. Ma questo serviva solo a dimostrargli che siamo deboli, non nobili, indegni del libero arbitrio. Proprio per questo, anche al fine di controllare meglio l’uomo, prese un’abitudine attorno al Medioevo, a cui si è malauguratamente assuefatto e a cui ormai non rinuncia più: quando esaudisce un desiderio, quando uno Zahir viene creato ma non distrutto, lascia una parte di sé nel cuore della sua vittima, così da poterne sempre avere controllo ed influenza. Di uomini che vivono così, al mondo, sempre pronti a poter essere da lui manovrati e condizionati, ce ne sono al momento un milione e duecentocinquanta settemila…”.

Rabbrividisco, distraendomi per un attimo dalle parole di Helder. Il racconto sulla storia di Adamar è così oscuro e malvagio, che non posso fare altro che chiudere gli occhi, serrarmi nelle spalle, ripensare alla folla di persone che possono essere controllate da questo demone e che, chissà quante volte, ci passano accanto nella nostra vita.

1257000 vite mutilate, che hanno sacrificato la cosa più preziosa che avevano per un desiderio, smettendo di disturbare Adamar con il cicaleccio dei loro sentimenti, qualsiasi essi siano.

Helder mi guarda, come a sincerarsi che io la segua ancora, e prosegue la sua spiegazione: “Sono persone cieche all’Empatia, con l’anima sfregiata e il cuore in rovina. Se a questi aggiungiamo coloro che sono già nell’Inferno, comprendete di quanto si sia allungata l’ombra di Adamar su questa terra nel corso dei secoli. Tra queste persone, ovviamente, ci sono anche Dimitri e Raissa. Sono loro stessi, certo, hanno una loro individualità e coscienza, lui è stato davvero ossessionato da Tatia ed adesso lo è da Hermione. Lei è veramente innamorata di Ilai. Ma Adamar può sempre controllarli e condizionarli in qualche modo, spingerli in una determinata direzione, smorzarli o accenderli in quello che provano. Inoltre vede e sente quello che vedono e sentono loro. Per questo era importante spegnere il Segno di fuoco. Una persona qualunque che abbia ottenuto da lui qualcosa, qualora se ne fosse accorta, lo avrebbe messo in allarme. E, se sono ciechi all’Empatia, difficilmente noi stessi possiamo sentirli, a meno che non siano molto vicini e ci imprimano una sensazione negativa che ci permette di ricordarci di loro… abbiamo davvero bisogno, dalla nostra parte, dell’effetto sorpresa… o farete la fine delle persone che hanno provato la Solutio damnationis, anni fa…”. Non chiedo la fine che hanno fatto queste persone, mi sembra abbastanza logico da tutto il preambolo di questo discorso, che probabilmente sono state distrutte da Adamar stesso. E, con la gola riarsa, mi rendo conto che questo probabilmente aspetta anche me e Draco.

Una prova, a cui sottoporre un sentimento puro. Il nostro già è morto per la vita normale. Come potrebbe resistere ad una prova sovraumana? E poi… esiste davvero ancora qualcosa che possa essere sottoposto ad una prova?  

È in questa direzione che sta andando il discorso di Helder. Ha detto chiaramente che la Solutio damnationis è la nostra sola risorsa. E io continuo, invece, a volerla ignorare, dicendomi che deve esserci dell’altro che possiamo fare. Qualcosa che eviti che io pensi compiutamente a quanto io e Draco, ormai, siamo distanti anni luce. Qualcosa che non metta mio figlio nel mezzo di una guerra millenaria con un demone. Ma per il momento scanso i miei pensieri, rimandando il momento in cui dovrò davvero pensarci, e continuo ad ascoltare Helder: “Mentre Adamar era al massimo del potere e dell’onnipotenza, gli Empatici hanno sempre cercato il modo di sciogliere il suo potere, di invocare la Solutio damnationis. Consideravano riprovevole quello che Adamar faceva, in quanto non distingueva dal bene o dal male e perché spesso agiva anche in situazioni, dove non vi era alcun rischio concreto di disordine, insensibile alle conseguenze delle sue azioni. Ma, per quanto facessero, nulla attivava il Segno di Fuoco, nessun sentimento umano, nemmeno quelli più semplici, riuscivano a sconfiggere Adamar per ben due volte. Si andò avanti in questo modo fino al 1774, anno della creazione del penultimo Zahir della storia antica.

Era uno Zahir di Dolore e fu creato dalla Regina Maria Antonietta di Francia, pochi anni dopo la salita al trono. Ancora una Regina si poneva di traverso sulla strada di Adamar, infastidito dal sordo dolore di fondo della sovrana, trascinata quattordicenne in Francia per contrarre matrimonio con un uomo che non amava affatto. La Collana di Zaffiro della regina Maria Antonietta di Francia la rese, di riflesso al dolore, insensibile alle esigenze della sua gente, trasformandola in una creatura capricciosa e viziata. E ciò provocò quella che conoscete tutti come la Rivoluzione Francese. Anche quando lo Zahir venne distrutto dalla Regina stessa, la Rivoluzione rimase in piedi, sobillata dal carico di frivolezza e vizio che aveva avvolto la sovrana agli occhi del suo popolo. Sapete tutti, poi, come andò a finire, Maria Antonietta venne ghigliottinata e la monarchia crollò. Le conseguenze per anni furono devastanti e il carico di vittime fu notevole.

“Fu la goccia che fece traboccare il vaso: gli Empatici Francesi, nella persona del Capo del Senato celeste, Laurence Dubois, decisero che non si poteva più attendere il naturale corso degli eventi, sperando che un giorno qualunque qualcuno fosse degno del Segno di Fuoco. Così compirono il più grande crimine che un Empatico possa compiere…”, Helder si ferma, improvvisamente ha sul viso un’espressione addolorata, imbarazzata, sconvolta. E non è che fino ad ora il suo racconto sia stato propriamente un bagno caldo al termine di una giornata stancante. Sembra sentirsi lei stessa improvvidamente complice di questo crimine ancestrale, di cui non aveva neanche memoria fino a ieri. Il volto è cinereo, le labbra bianche e gli occhi sono spenti. Respira a fondo, sembra guardarci come a cercare una sorta di perdono, e poi riprende a spiegare con voce smorta: “Nelle lezioni elementari di Magia, quando si studiano i filtri d’amore o l’Amortentia, ci viene detto che possono solo creare l’illusione dell’amore, ma mai un vero sentimento. I sentimenti sono quanto di più complesso l’uomo possegga, ma al contempo anche la cosa più preziosa che ha. È lì il fulcro del libero arbitrio, è lì ciò che ci distingue gli uni con gli altri. Lo stesso oggetto, la stessa persona, può provocare odio in una ed amore in un’altra… Adamar agisce in modo profondamente errato perché pretende da qualcosa di diverso dall’uomo stesso, che questi sentimenti siano messi a tacere, perché potenzialmente pericolosi. Gli Empatici, però, non sono stati migliori. Li hanno esaltati, pontificati, beatificati, considerandoli come fonte di potere immortale… un uomo che ama può fare tutto. Questo si sono detti, sempre, e questo si sono detti soprattutto due secoli fa… ma siccome nessun sentimento nasceva con la possibilità, davvero, di potere tutto… ne hanno creato uno”.

“Ma non avevi detto appena adesso che non è possibile creare un sentimento?” la interrompe volutamente Dean, piegando la testa di lato.

“Non è esatto… o perlomeno non è completamente esatto… un sentimento non può essere creato dal niente da un Mago comune… ma non da un Empatico…” spiega sommariamente Helder ed è un attimo prima che comprenda livida la dimensione di questa cosa e irrompa con voce tremula: “Quello che hai fatto poco fa… a me e a Draco… la calma che sentivamo... era una cosa simile?”. Draco resta ancora completamente indifferente, non guardandomi neppure, come se ricordasse d’improvviso quella rabbia cieca che provavamo, sedata in un niente.

Helder annuisce esangue, aggiungendo con calma: “Esattamente. Un Empatico in realtà può creare un’emozione dal niente, fa parte dei suoi poteri. Solo… che non è strettamente voluto dalle leggi della nostra gente, né tantomeno da quelle dell’Ordine universale, è un peccato contro natura, rende l’uomo schiavo e vittima di reazioni più forti di lui. I poteri di un solo Empatico potrebbero condizionare le sensazioni e questo non sarebbe visto esageratamente come un problema… nel vostro caso, ho semplicemente premuto un po’ sulle vostre reazioni, rendendole più tollerabili, ecco… è una cosa difficile ed anche disgustosa per una come me. Fa male più a me che a voi. Ma la cosa buona è che un solo Empatico può farlo solo per pochi minuti e, difficilmente, se non a costo dei propri poteri e finanche della propria vita, lascia tracce permanenti nell’animo della persona colpita. Ma, nel 1799 non lo fece solo un Empatico… ma l’intero Senato celeste. Immaginate decine di persone, centinaia forse, che concentrano i loro poteri per creare un sentimento. E non un sentimento qualsiasi, ma il più forte di tutti. L’amore… poteva essere una cosa sublime e meravigliosa, ma volutamente fu creato dal niente un Sentimento d’amore, malsano, ossessivo, patologico. Le vittime furono gli stessi figli del Capo del Senato che si offrirono volontariamente, considerando un grande onore quello di poter essere utilizzati per la sconfitta di Adamar. Si chiamavano Angelique e Francois Dubois, erano fratelli e furono spinti ad amarsi di un amore incestuoso e riprovevole. Una cosa orribile, insana, che li spinse quasi alla pazzia…”.

Amare il proprio fratello. Considerare un onore logorarsi per quest’ossessione.

Pupazzi… semplici pupazzi nelle mani degli Empatici, o di Adamar. Pedine… in un gioco molto più grande di loro.

Lo diventeremo anche io e te, Draco?

Abbasso gli occhi fissandomi le ginocchia, mentre Helder prosegue: “Angelique creò uno Zahir d’Amore, il secondo della storia umana, quello che, come vi dicevo, era stato dimenticato da tutti gli Empatici. Francois si rivolse ad Adamar chiedendo maggior potere magico così da diventare un uomo potente che poteva ambire ad un conveniente matrimonio e, per ottenere questo, impegnò l’amore malato per la sorella. Entrambi vinsero: lo Zahir di Angelique fu distrutto da lei stessa e Francois si ritirò dalla prova, in quanto entrambi, essendo prima che amanti due fratelli, non volevano rinunciare all’affetto normale per il proprio consanguineo. Il Segno di Fuoco fu attivato, gli Empatici cantarono vittoria ed Angelique e Francois furono addestrati per la prova di Adamar. Quest’ultimo, però, non è mai stato stupido. Mai.

“Si accorse della stranezza della cosa, della facilità con cui Angelique aveva rotto lo Zahir prima che tramutasse l’amore in odio, della richiesta indefinita di Francois di maggiore potere magico che sembrava chiaramente un pretesto. E i suoi sospetti furono confermati quando li vide entrambi invocare la Solutio damnationis, bardati di tutto punto ed evidentemente allenati a qualsiasi prova, fisica o mentale. Non poteva rifiutare, non avrebbe mai potuto farlo, ve l’ho già spiegato. Ma… si vendicò. Crudelmente, intenzionalmente, orribilmente. Li fece a pezzi, in ogni senso metaforico e fisico. I loro corpi non furono mai trovati, non si è mai saputo a che prova fossero stati sottoposti, ma fu qualcosa di così malvagio e dissennato da impregnare la terra per anni ed anni, provocando il Terrore rivoluzionario in Francia ed una serie di altre orrende disgrazie in tutto il globo. Adamar era diventato deliberatamente malvagio, si era sentito preso in giro ed aveva reagito nella peggiore delle maniere, perdendo ogni intenzione alla giustizia. E gli Empatici stessi avevano provocato una tragedia senza pari che sembrava non avere mai fine e si perpetuava sempre in sé stessa. Laurence Dubois si suicidò… e i Dubois furono solo le prime vittime…”.

Ed è questo quello che io e Draco dovremmo fare. Gettarci come agnelli sacrificali nelle fauci di un demonio, che nessuno hai mai sconfitto, aspettando che ci faccia a pezzi, magari distruggendo anche il resto del mondo e i nostri figli? Incrocio lo sguardo di Draco mentre sollevo gli occhi, sempre più convinta che questo piano sia talmente demenziale e pericoloso che qualsiasi cosa sarebbe meglio, persino consegnarmi a Dimitri. Non so come e perché Helder me lo stia suggerendo, non capisco se davvero anche per lei sia più importante sconfiggere Adamar, che salvare mio figlio. Non può essere la sola cosa che ci è rimasta da fare… e Draco, mentre mi guarda, ha la mia stessa espressione, i miei stessi pensieri iracondi e nervosi, che si riflettono nelle braccia contratte e tese. Annuisco silenziosamente al suo indirizzo, quasi ingiungendogli di aspettare che lei finisca il suo racconto, così che possiamo dirle di no, senza problemi. Draco sospira rumorosamente, tanto che Ron si volta a guardarlo schifato.

Helder, intanto, continua, apparentemente ignara delle reazioni mie e di Draco: “Stavolta i Custodi dell’Ordine non restarono silenti testimoni, stavolta il danno aveva sconvolto anche i loro perfetti canoni di ordine, considerando come il mondo era stato mandato nel caos. E decisero per una pena per entrambe le fazioni. Adamar perse la sua vita lunghissima e perse il suo corpo, dovendosi accontentare di prenderne in possesso uno di quelli da lui controllati per la loro intera vita; per questo, in questa epoca storica, usa il corpo del congiunto di Grindelwald, che evidentemente si è rivolto a lui in anni passati. Adamar perse anche la formula dello Zahir, giudicato troppo pericoloso, e la sua formula andò perduta dalla mente e dal cuore degli uomini, nonché dalla loro tradizione scritta. La formula fu affidata agli Indicibili, che ne dovettero mantenere il segreto. La punizione degli Empatici fu quella che vi ho accennato: la perdita della memoria. Nessuno avrebbe più ricordato questa storia in quel momento e nel futuro, finché un genuino Segno di Fuoco si fosse acceso ed avesse risvegliato in modo autentico la memoria degli Empatici allora in vita. Ecco perché nessuno sapeva questa storia dal diciannovesimo secolo… ed ecco perché voi due ci siete finiti in mezzo, senza che nessuno potesse preavvertirvi del rischio che correvate… nessuno, compresa me naturalmente, che diedi ad Hermione la formula dello Zahir con una leggerezza che ancora non posso perdonarmi. E se fino a poco tempo fa, era solo il terrore delle conseguenze di quell’oggetto riprovevole, se qualcosa fosse andato storto ed Hermione non fosse riuscita a romperlo o a vincere l’odio, adesso so invece che quello fu il primo passo di questa catena di eventi che vi hanno posto nell’occhio del ciclone, assieme a vostro figlio…”.

“Occhio del ciclone?” chiedo incapace di trattenermi oltre, il contraccolpo della mia rabbia mi spinge ad alzarmi in piedi, ormai stanca di questa stupida leggenda “Al momento non siamo nell’occhio di nessun ciclone… d’accordo, io ho creato uno stramaledetto Zahir… e lui…”, ed indico con un gesto insofferente Draco, che serra la mascella “… si è rivolto ad Adamar. Siamo due idioti, si era capito! Ma al momento non ci interessa rivangare gli errori o infilarci in questa guerra millenaria! Sono i Karkaroff i nostri nemici, sono loro che hanno Alex… me ne frego di Adamar! Possiamo anche aver attivato questo… Segno di fuoco, o come caspita si chiama… ma non abbiamo il tempo, adesso, di pensare ad Adamar e alla sua stupida prova! E sono certa che se lo ignoriamo, pensando a cose ben più importanti, lui ci ignorerà a sua volta, lieto che non vogliamo invocare sta maledetta Solutio damnationis che…”.

“Non vi ha mai ignorato fino ad ora… e tu credi che inizi a farlo adesso?”.

La voce di Helder è sorprendentemente calma e misurata, si infrange contro la mia frustrazione stizzosa, lasciandomi sconvolta ed atterrita, oltre che svuotata. Le ginocchia mi tremano come se fossero di cristallo e biascico un: “Cosa?” debole e pigolante. Draco, a sua volta, che se ne era stato in silenzio al mio sfogo, pronto semplicemente a dare la stoccata finale quando ce ne fosse stato bisogno, si stacca dalla colonna e fa qualche passo verso Helder, suonando vagamente minaccioso. Ma la sua voce è solamente tremante, mentre chiosa serio: “Che cosa vuol dire che non ci ha mai ignorato, Empatica?”.

Helder a quel punto fa qualcosa di strano, che non ho mai visto e che mi lascia assolutamente senza parole. Estrae la bacchetta dal mantello, mormora delle parole soffuse e si sfiora con la punta prima la fronte, e poi il collo, premendo leggermente. Quando riapre bocca, la sua voce è diversa… sudando freddo, mi accorgo che è la voce di Draco.

Dice solo qualche parola che risuona cupa come se provenisse dal fondo di un contenitore basso e fondo, come se provenisse da un lontano tempo e passato. Le sue parole mi risuonano familiari, e ricordo distintamente di averle già sentite, anche se di primo acchito non ricordo quando. Poi, rapido come lo sfrecciare di un treno, mi sovviene l’odore delle rose, la luce calda di un mattino, le braccia di Draco attorno a me e la sensazione di essere immortale e destinata solo alla gioia. La mattina dopo che era tornato… quando mi raccontò dell’incontro con Adamar… trasalgo così tanto a quel ricordo, da lasciarmi cadere sulla panca su cui ero seduta in modo pesante ed impacciato, come se fossi caduta. Dean mi afferra per un polso, ed Harry mi chiede se mi sento bene, mentre Helder finisce la sua frase con la perfetta intonazione di Draco stesso, che la guarda ad occhi spalancati, le iridi diventate mercurio sfuggevole e metallico.

Adamar mi ha detto che erano anni che mi stava aspettando, da quando ho tradito i miei genitori… “Eri sufficientemente debole e stupido da cercarmi, ma purtroppo eri ancora così legato ad una sciocca ed antiquata moralità per sentire quel bisogno. Dovevi perdere tutto, per arrivare a me…” questo ha detto. Oramai non sperava più di vedermi, “credevo che lei ti bastasse...”. Si riferiva a te…

Helder, prendendo fiato come se fosse stata sott’acqua, ci guarda entrambi con improvvisa compassione, apparentemente stanca, snervata, abbattuta. Sussurra lieve: “Non vi ha mai ignorato…”.

I suoi occhi, colmi di una foschia umida, tornano soprattutto a Draco, mentre mormora: “Con lei, con Hermione… è stata lei, per colpa mia, ad andarsela a cercare… ma nel tuo caso… lui ha sempre voluto far tacere quel tuo fastidioso cuore…”. Draco, a sua volta, si abbandona di nuovo contro la colonna, ha l’espressione persa e sconvolta di un cucciolo abbandonato e farei di tutto, adesso, per allontanare da lui il fantasma che si è rappreso nei suoi occhi. Ma resto incollata al mio posto, stringendo la mano di Dean con forza.

Helder si siede daccapo, sospira e riprende, la sua voce suona impersonale e statica, come se d’improvviso volesse scrollarsi di dosso e velocemente questa vicenda: “Quando Hermione creò lo Zahir e quando poi lo distrusse, probabilmente non entrò negli interessi di Adamar… non fu vista come una minaccia. Era certo, convinto che il suo sentimento non fosse corrisposto, quindi non poteva esserne minacciato, seguiva Draco Malfoy da anni perché era convinto di poterlo piegare ad avere bisogno di lui, invocandone l’aiuto. Sapete come funziona, Adamar deve essere invocato mentalmente ed è lui, poi, a decidere se si è degni della sua attenzione. Per questo, anche se il sentimento che lo aveva vinto una volta era legato a Draco Malfoy, era sicuro che quando Draco l’avesse invocato, l’avrebbe fatto per altro… per paura, rimorso, codardia, ma mai per amore. E mai, soprattutto, per quel amore che all’inverso già lo aveva battuto, l’amore per Hermione Granger, una Mezzosangue…”.

Sono passati anni, abbiamo un figlio e, nonostante tutto, restiamo legati in un modo che difficilmente qualcuno potrebbe slegare… eppure, ancora adesso, alle parole di Helder che descrive i pensieri di Adamar sull’impossibilità che io e Draco fossimo innamorati… ancora adesso… impercettibili segni di assenso e comprensione silenziosa, mi circondano indolenti. Me ne accorgo, sebbene sia ancora a testa china, con lo sguardo fisso sulle mie ginocchia e sulla mano che ancora tengo stretta in quella di Dean. E, in questa buffa posa, in questo gioco delle parti che si allentano ma non muoiono mai, mi sento ancora imputata e colpevole, condannata innocente al crimine di essermi innamorata, riamata, di quell’uomo. La mano di Dean nella mia, lui che è avvocato e vittima della mia stessa colpa, è fredda, ghiacciata, sudata, come se lui stesso tremasse e fremesse di un processo che sta subendo anche lui. Sento distintamente la piega viscida della voce di Helder, mentre parla e descrive quella sensazione assolutamente giustificabile di Adamar, come se quasi per una volta condividesse il suo operato. Sento lo sbuffo spazientito di Ron, a cui fa eco il movimento dei piedi di Harry, innervosito, cupo, oscuro. Distinguo nettamente lo sconcerto imbarazzato di Natalie che, senza necessità apparente, si china a sistemare qualcosa nel passeggino di Elias. E persino Ilai e Kevin, che con questa storia hanno ovviamente meno a che fare, sono più silenziosi di prima, intenti persino a non respirare, come se questo possa sembrare assenso a quello che è successo.

Poi, feroce ed ostile ma al contempo dolce, lieve, sottile come un pianto, avverto qualcosa rifrangersi sulle mie spalle, sui miei occhi bassi, sulla mia fronte… tutto attorno a me. Come calore, che sembrerebbe di una fiamma omicida, ma poi diventa solo riparo dall’inverno. Sollevo gli occhi piano, lentamente, e Draco è ancora lì, nei miei occhi, l’espressione al contempo spaventata ed astiosa, terrorizzata e spavalda, amara e delicata. Guarda me e mi uccide negli occhi come fa da stamattina, ma non c’è più eco di rimprovero o di disgusto per la faccenda di Alex, non è lo sguardo del padre tradito. Rabbrividisco, la schiena che trasale di pelle d’oca e brividi fulminei. È uno sguardo odioso, eppure mi fa battere il cuore come mai da cinque anni a questa parte.

Mi sta rimproverando… perché lo sto lasciando da solo. Perché, a mio modo anche io, con questi occhi bassi e con quest’aria colpevole, rinnego e spergiuro i sentimenti che aveva per me.

E quelli che avevo per lui. Rinnego persino Alex, che da quell’amore è nato, come se fosse incidente ed ostacolo di percorso.

Raddrizzo le spalle, sollevo il mento, lo guardo con la stessa espressione sua e riprendo a respirare, lasciando gentilmente la mano di Dean. Li guardo tutti, uno per uno, sfidandoli a proseguire, minacciandoli in silenzio per il loro giudizio sordo. Perché se adesso siamo meno di niente, nessuno deve azzardarsi a pensare che allora non siamo stati tutto.

E non permetterò a nessuno, tantomeno a loro, di continuare a rimproverarmi per questo… mai più.

Helder si schiarisce la voce, ha un’ombra bizzarra di sorriso nella voce, poi continua: “Purtroppo per Adamar, però, qualche giorno dopo la rottura dello Zahir, quando foste imprigionati da Astoria, dovette scoprire che Draco, invece, era innamorato di Hermione, la corrispondeva. Certo, Draco ancora non sapeva dell’esistenza di Adamar, non voleva invocarlo, non aveva il benché minimo istinto in tal senso, quindi la Solutio damnationis era ancora lontana… ma era Adamar che voleva Draco sin dai tempi di Voldemort e del suo tradimento. Era attratto dalla sua anima, così piena di dissidi, lo disturbava, era come un ronzio che si cerca di eliminare da una stanza perfettamente in silenzio. Con Draco, Adamar fu stranamente ingordo, tradendo la sua natura ancora mezza umana. Poteva lasciarlo perdere, poteva rinunciare a lui, ma non sapeva farlo. Lo voleva ugualmente, persino rischiando la Solutio damnationis. Era così sicuro della sua anima malvagia, della sua pavidità, della sua indole traditrice che tanto lo avevano irritato ai tempi di Voldemort, che adesso era convinto che avrebbe sacrificato facilmente il sentimento per Hermione Granger. Quindi fece in modo che Draco volesse venire da lui… attraverso i Karkaroff. Erano le sole persone che controllava, avendo già ottenuto qualcosa da lui, e che erano al contempo vicine a Draco…”, Helder si interrompe, la sua voce suona più leggera, quasi casuale, mentre chiede a Draco direttamente: “Ricordi come ti venne in mente di rifarti al debito che avevi con loro per averli salvati durante la guerra?”.

Draco ci pensa su qualche secondo, poi borbotta sicuro: “Ero a casa di Pansy… e lessi per caso “La gazzetta del Profeta” dopo anni… c’era un articolo di Rita Skeeter su Igor Karkaroff e sulla sua eredità… mi ricordai dei suoi figli allora…”.

Helder annuisce grave, prima di mormorare riflessiva: “Rita Skeeter, certo… è cieca all’Empatia, me ne sono resa conto da anni… ha avuto qualcosa da Adamar, chissà cosa…”, non avevo il minimo dubbio che quella avesse qualcosa di marcio dentro, adesso ne ho la conferma “Adamar deve averlo reputato il modo più veloce per arrivare a te, istillandoti l’idea di poter chiamare Raissa e Dimitri. Lui agisce così, è subdolo, bieco, abietto… e può contare, come immaginate e come vi ho detto, su persone che manovra facilmente, condizionandone la mente e il cuore come faceva da Empatico. Comunque Draco contatta i Karkaroff. Adamar suggerisce a Dimitri di indurre in Draco l’idea di sottoporsi ad una prova del demone per ottenere più potere per salvare Hermione. Adamar sottopone Draco ad una prova semplice nei suoi standards… un biglietto di andata e ritorno per il regno dei morti… ed è sinceramente convinto che Draco, il traditore, la supererà…”.

“Se quella era una prova semplice…” mormora Harry, improvvisamente partecipe e rimarcando la parola “semplice”, senza che però Draco dia segno di averlo perlomeno sentito.

“Il grande difetto di Adamar, ormai, è proprio l’empatia…” prosegue Helder, cercando di spiegarsi “E non intendo il potere che ho io… ma proprio la capacità di avvertire il dolore delle persone. Lui, ormai, ragiona solo nel termine di ordine e disordine, ciò che fa troppo rumore va eliminato. E siccome di Draco aveva fatto sempre più chiasso il suo lato negativo, era certo che la prova l’avrebbe superata alla grande, sordo al rimorso e cieco al dolore. Era convinto che lui avrebbe ricacciato indietro facilmente la gente morta, convinto che la loro morte non era stata colpa sua, ma che era stata o necessaria alla sua sopravvivenza, oppure conseguenza del tradimento che aveva primariamente subito. Ma aveva decisamente considerato Draco peggiore di quanto in realtà sia, così come aveva fatto quando era stato convinto che non corrispondesse Hermione. La prova lo dilaniò, specie l’incontro con i suoi genitori, per cui Draco sembrava non aver mai provato rimorso…”, con la coda dell’occhio vedo Draco muoversi a disagio, distogliere lo sguardo e fissarlo lontano, come ipnotizzato da un albero di magnolia. Solo il respiro, veloce ed inquieto, mi fa capire che non è semplicemente distratto, ma in realtà è profondamente colpito dalle parole di Helder, come quando ripensa ai suoi genitori o ad Helena. Colpiti, in modo diverso, sono anche gli altri, come se, ad eccezione di Blaise che, a dire la verità, avevo completamente rimosso per quanto sembri perso nei fatti suoi, tutti avessero sempre pensato che lui fosse il perfido e bieco doppiogiochista senza rimorsi, che Adamar voleva per sé.

Lieta che dopo cinque anni, ci stiano arrivando finalmente.

“Adamar sapeva che cosa sarebbe successo a quel punto: se Draco si fosse ritirato dalla prova, considerando a quel punto l’amore per Hermione e i suoi ricordi più importanti della brama di potere, lo avrebbe battuto. Il sentimento che lo aveva vinto una volta lo avrebbe sconfitto di nuovo. Si sarebbe acceso il Segno di fuoco ed avrebbe dovuto concedere la Solutio damnationis, dato che gli Empatici avrebbero ricordato tutto. Quindi, contravvenendo alle regole, non ascoltò Draco quando urlò di volersi ritirare… penso che anche tu, Draco, ti sia accorto che stava contravvenendo al suo codice e sembrava intenzionato più ad ucciderti che ad altro. Adamar non ne voleva ovviamente fare di Draco la causa della sua rovina. Però non aveva fatto i conti con i Custodi dell’ordine, che quelle regole le avevano scritte. Mandarono Helena Greengrass a salvarlo… intromettendosi nella prova come punizione per Adamar. Difatti, interrompendola, Adamar fu sconfitto per la seconda volta.

“Il Segno di fuoco si accese al ritorno di Draco dallo scontro con Adamar, gli Empatici provavano addosso l’amore che vi univa. Ancora per l’ennesima volta, Adamar trovò facilmente riparo a quella che ormai doveva essere una sorte segnata. Si accorse che le memorie tornavano lentamente, gravate dagli anni trascorsi, e capì di avere ancora tempo prima che gli Empatici si risvegliassero. Ed era certo che Draco Malfoy ed Hermione Granger si sarebbero distrutti e bruciati da soli, facendo spegnere il Segno di fuoco prima che la memoria fosse completamente tornata. Esso si alimenta dal sentimento che lo crea… quindi, se si fossero separati, il Segno si sarebbe spento e gli Empatici avrebbero avuto per le mani mozzicati cenni di memoria, insufficienti a ricostruire tutto. Dalla sua parte aveva peraltro Raissa e Dimitri, poteva sfruttarli ancora come armi: incendiò l’animo del secondo dell’ossessione che già provava per Hermione Granger, così che potesse appellarsi al Voto Infrangibile con sua sorella. E… riuscì ad ottenere anche Astoria Greengrass…”.

“Astoria?” chiedo sconcertata, stringendo le braccia al petto “Anche lei… ottenne qualcosa da Adamar? E come fate a saperlo?”.

“Dal suo corpo…” biascica velocemente Helder, rabbrividendo “Restano delle tracce della possessione di Adamar… impercettibili se è durata poco, ma in lei anche questi segni infinitesimali c’erano. Penso che Dimitri, sempre sobillato da Adamar, al momento di allearsi con lei, le impose questa condizione… aveva bisogno di serrare i ranghi. Adamar aveva il controllo su Raissa e Dimitri, ma con una terza persona sarebbe andato sul sicuro. Probabilmente, considerando le sue reazioni successive, penso che abbia impegnato l’amore che aveva per Draco… in cambio del desiderio impossibile di avere un figlio da lui… che ottenne quando catturarono Hermione, già incinta di Alex…”.

Non vi ha mai ignorato… adesso capisco appieno che cosa vuol dire. Ho paura di chiedere altro, mi accorgo che, senza rendermene conto, mi sono aggrappata al bordo della panca, mentre le mie unghie scrostano la vernice secca. Ho paura di chiedere se ha fatto sì che io restassi incinta proprio allora, così Astoria potesse avere mio figlio. Ed ho paura di chiedere quanto del destino del mio bambino si sia intrecciato per questo a quello di questo demone. Non voglio chiedere niente.

Ma Alex, adesso, non è solamente mio figlio. E’ figlio di Draco, che, in silenzio e senza risposte, non sa restare.

Masticando amaro, mormora: “E’ stato per Adamar… che lei è rimasta incinta proprio in quel momento?”.

“Probabilmente sì…” sussurra Helder e il mio cuore sprofonda così in basso nella gabbia toracica, da darmi l’impressione di diventare un pantano umido e soffocante “… ma, in fondo, a voi cambia qualcosa? Alex sarebbe nato in un altro momento se lui non fosse intervenuto… ma se era destino che nascesse, sarebbe nato. Basta… non interrogatevi oltre, Alex è nato dal vostro sangue, da voi e basta… per il bene che volete a vostro figlio… è importante che, in quel momento, Adamar abbia fatto sì che nascesse prima?”.

Sì che è importante… lo pensiamo sia io che Draco, quando restiamo in silenzio e non rispondiamo ad Helder. È importante perché significa che potere ha sulle vite delle persone. È importante perché significa che non è stato un caso che mio figlio sia stato messo in pericolo, dalla prigionia di Dimitri. È importante perché è il motivo per cui Draco non ha potuto conoscere e crescere suo figlio.

È importante perché mi dimostra fino a che punto davvero non ci ha mai ignorato.

È importante perché mi dimostra quanto probabilmente non ci ignorerà mai.

Mio figlio sarebbe nato ugualmente, certo, e lui, dentro, non ha nulla del destino manovrato che l’ha fatto venire al mondo per assecondare al desiderio di una donna sterile e affamata di potere. Tutto questo è vero… ma questo pensiero è ugualmente insopportabile. Paradossalmente, è la cosa che maggiormente non riesco a sopportare al momento.

Al punto che, per la prima volta da quando Helder ha iniziato a parlare prendo davvero in considerazione la Solutio damnationis.

“Separando Draco ed Hermione, anche fisicamente, il Segno di Fuoco si spense…” prosegue Helder dopo un po’ “In entrambi c’era qualcosa di più forte dell’amore reciproco: in Draco era il dolore della separazione; in Hermione il terrore per suo figlio. A quel punto, Adamar lasciò fare ai Karkaroff, senza condizionarli ancora. Del resto, avevano la Conoscenza assoluta, potevano agire benissimo per conto loro, come ha fatto Dimitri quando ha scoperto che ero con Hermione, ingannandoci per simulare la sua morte con la Titanca. E credo che, anche adesso, li stia lasciando liberi di agire, perché è certo che il sentimento sia stato distrutto, come peraltro credo che abbia pensato quando vi ha visto assieme, stamattina, attraverso gli occhi di Raissa e Dimitri… ed ha scoperto che Hermione non ha mai detto a Draco di Alex…”, un fastidioso groppo in gola mi spinge a muovermi sulla panca, come se fossi punta da una zanzara. Draco chiude i pugni, si rinnova l’astio nei suoi occhi. Helder segue quelle manovre e, misericordiosa, sussurra le parole successive solo nel mio cervello, così che almeno mi sia risparmiata la vergogna dei miei amici che mi fissano curiosi, soprattutto Ron.

Come si è accorto, attraverso gli occhi di Raissa, che tu ti stai legando anche ad un’altra persona, ad Ilai Radcenko… annuisco, guardandola e ringraziandola silente. Dalla reazione di Draco, capisco che anche lui ha ascoltato: sbuffa impaziente, guardandosi attorno. Helder continua a parlare nella mia e nella sua testa, rivolgendosi stavolta a lui: “Come, peraltro, ha sempre saputo, del legame che tu avevi con Raissa…”. Mi viene fuori un sorriso sarcastico e soddisfatto a guardare l’espressione colpita ed irritata di Draco, ecco almeno mettiamo le cose in chiaro, siamo entrambi responsabili allo stesso identico modo. Helder, a quel punto, riprende a parlare con la sua voce, rivolgendosi a tutti: “Adamar è certo e sicuro di aver fatto tutto per dividere Draco ed Hermione attraverso i Karkaroff, ed è certo e sicuro che, quindi, il Segno di Fuoco non possa riaccendersi e completarsi. Peccato per lui che esso si sia acceso ieri mattina, risvegliando le memorie empatiche che erano state messe già in moto lento, cinque anni fa. Come e perché si sia riacceso, lo sapete solamente voi…”.

Vorrei che avesse detto anche questo solo nella mia testa… mi ritrovo, prima di potermi fermare, ad arrossire e a distogliere lo sguardo, cercando di rifuggire gli occhi che mi inseguono. Certo, sapere nella mia testa che posso essere ancora ed in parte innamorata di Draco, è una cosa. Sapere che questo ha creato questa reazione ancestrale, visibile in modo netto nella febbre e nella connessione aperta con gli Empatici... è un altro paio di maniche. È qualcosa di meno negabile, meno trascurabile, meno liquidabile con retaggi di memoria persa e morta. Non posso dirmi, solidale con me stessa, che è normale che io provi ancora qualcosa per il padre di mio figlio, e non posso enumerare sarcastica i momenti in cui posso essermene resa compiutamente conto… la febbre è salita subito dopo la nostra conversazione su quello che era successo cinque anni fa… che non si è conclusa in modo idilliaco. Ma la rabbia e il dolore non erano sufficienti a farmi dire che non ero, dentro, in fondo, contenta che fosse lì con me, che non ero ancora arsa dal desiderio che mi baciasse, che non ho ricambiato il suo abbraccio, che non mi macinavo dalla gelosia per lui e Raissa.

È chiaro che sono ancora innamorata di lui. E’ ovvio che lo sarò sempre.

Però è ben diverso sapere questo in questa forma. Perché ero innamorata di lui, forse anche di più di adesso, anche cinque anni fa, quando ero prigioniera di Dimitri. Ma il Segno si era spento, era più importante la paura per Alex, che Draco. Adesso… di nuovo, l’amore per lui è diventato più importante… dentro quella conversazione, in cui mi sono persino dimenticata che ero la mamma di Alex, sono tornata la donna ferita ed innamorata di quest’uomo che mi ha spezzato il cuore. Ovvio che il Segno si sia riacceso… e ciò mi rende egoista verso mio figlio ed insensibile verso Ilai e Ron.

Respiro forte, lentamente e profondamente, e così mi calmo senza premeditarlo. Perché, d’accordo… sarà anche idiota… ma se lo amo ancora, forse posso uscirne viva da questa storia. E farci uscire vivo anche mio figlio… e Draco stesso. E poi… un angolo della mia bocca si piega all’insù, mentre ci penso… forse, nonostante tutto, se il Segno di Fuoco si è acceso… forse… mi ami ancora anche tu. Forse… non l’ho fatto riaccendere solo io. Forse… sei stato anche tu.

Mi volto piano, quando sono certa di essere padrona di me stessa e delle mie reazioni, preferendo non guardare in viso Draco. Se ci leggessi indifferenza, sarebbe il colpo di grazia, ricaccerei indietro tutto ciò che di buono ho ancora dentro per lui. Se ci leggessi imbarazzo, probabilmente lo fraintenderei. Se ci leggessi tenerezza, allora mi svestirei di orgoglio e forza che adesso mi servono ancora.

“Sapete solamente voi se il male che vi siete fatti, sia più forte di quel germe d’amore che è ancora sopravvissuto e che ha fatto sì che il Segno di Fuoco si riattivasse…” Helder lo sussurra quasi in silenzio, come se avesse paura di disturbare “Ed è su quel germe che dobbiamo fare affidamento per salvare Alex… perché solo questo, se invocate la Solutio damnationis, potrà aiutarvi durante la prova con Adamar, è ciò che lui metterà alla prova, è ciò che cercherà di distruggere… che lui non sappia al momento che il Fuoco si è riacceso, che gli Empatici sanno tutto e che invocherete la Solutio damnationis, cambia poco. Fa solo sì che possiamo sfruttare l’effetto sorpresa, impedire che ancora infranga le regole, magari premendo su Raissa e Dimitri affinché uccidano vostro figlio, così da farvi lacerare nella rabbia e nell’odio reciproci…”, e lo farebbe sul serio… come l’ha fatto nascere, così lo farebbe morire… “Ma quando la prova inizierà, sarete in sua balia. Completa. Significherà affidare tutto di voi stessi ad un demone che non vuole assolutamente che vinciate. Significherà correre lo stesso rischio che hanno corso Angelique e Francois Dubois…”.

“Se è un rischio tale…” chiede Kevin incerto, come se tentennasse nel parlare di cose che non capisce appieno e fosse timoroso di fare qualche errore “… perché loro dovrebbero correrlo, Helder?”. Lei lo guarda senza appunto comprendere di che cosa parli, ed aggrotta la fronte in modo incerto, ma Natalie afferra il filo dei pensieri di Kevin, che tace e riordina il suo ragionamento, mentre la ragazza spiega le sue rimostranze: “Quello che Kevin, credo, voglia dire è… se già duecento anni fa, la Solutio damnationis è stata provata e fallita da due fratelli Empatici, per giunta… che speranze hanno loro due di vincere? Non sarebbe meglio… trovare un altro modo…?”.

“Infatti…” commenta ferocemente Ron, guardando Draco in cagnesco “Sono incerti su quello che provano, non si parlano neppure… e devono rischiare la vita di Alex per questo? Per qualcosa che non sanno nemmeno loro, se esiste ancora? Scommetto che se li chiediamo se si amano ancora, manco sanno che rispondere…”.

Colpita nel vivo, sto per aprire bocca e replicare caustica, ma Draco mi precede tagliente: “Weasley, credimi… te lo dico spassionatamente. Lei in ogni caso, non ci torna con te a fare la mogliettina frustrata… insomma, non sarà il caso di rassegnarti un pochino?”.

“E’ ad Alex che penso, razza di bastardo!” inveisce Ron, alzandosi in piedi ed afferrando rosso in viso Draco per il colletto della camicia. E diciamo addio, alla conciliazione e alla pace universale. Dean ed Harry si alzano immediatamente per cercare di dividerli, cosa che diventa problematica quando Draco, per nulla intimidito, soffia freddo: “Posso avere anche perso ogni diritto su quella donna… su quella che era la tua di donna, se non l’avessi tradita con la Brown… ma non ho perso alcun diritto su quello che è ancora e sarà sempre mio figlio… e non tuo. Spiacente che cinque anni di pausa siciliana dalla vita ti abbiano reso certo del contrario…”.

“Per cinque anni è stato mio figlio! E tu lo sei da cinque minuti, e già parli di metterlo in pericolo! Perché non ti suicidi, così Adamar si tranquillizza che non potete nemmeno provare questa Solutio qualche cosa?!”.

“Ron! Smettila!” urlo a mia volta, alzandomi in piedi, a cui fa eco la voce di Natalie che cerca di far calmare senza successo Ron. Continuano a vomitarsi insulti l’uno sull’altro, con la ferocia rabbiosa di due che hanno solo visto accrescersi negli anni i motivi per cui odiarsi. Quando ormai sono sicura che, all’ultimo sibilo velenoso di Draco, Ron risponderà con un pugno in faccia, finalmente la sola in grado di intervenire, si decide a farlo. Helder ripete la stessa identica scena di stamattina, inducendo la calma ad entrambi, e di nuovo mi fa così spavento che ringrazio che stavolta non ne sono vittima io.

“E con questo, fanno due volte in una giornata, che non rispetto la legge Empatica…” mormora acida, sistemandosi il mantello, quando Ron e Draco finalmente sembrano normali, solo sbuffanti “Alla terza volta, a chiunque mi costringa daccapo indurrò un sanissimo e corroborante istinto alla mutilazione genitale…”. La minaccia sembra aver il risultato sperato, specie negli uomini naturalmente, e finalmente tutti restano in silenzio, meditabondi. L’eco della domanda di Kevin e Natalie sull’esistenza di un altro modo per salvare Alex torna agli occhi di Helder che, più calma, riprende: “Se esistesse un altro modo, non sarebbe stata mia premura farli conoscere questo… che è rischioso per loro, e per tutti noi. Nulla varrebbe tanto… e sebbene gli altri Empatici premano perché loro adempiano a questo destino, in cui, loro malgrado, si sono trovati coinvolti…  questo non è quello che penso io. Ho pensato ad ogni possibile altra soluzione… a tutte, sul serio. E tutte si concludevano in un vicolo cieco. Raissa e Dimitri hanno la Conoscenza assoluta, quindi conoscono formule ed incantesimi che io nemmeno posso pensare di immaginare… e conoscono ogni contromisura. Hanno la pecca della Conoscenza Empatica che è orale, d’accordo… ma non c’è nulla che possa piegarli definitivamente, o darci un vantaggio per liberare Alex. La collana di Tatia… è potente, è intrisa di magia bianca, ma è instabile, come vi ha spiegato Dean, forse persino insufficiente a sciogliere l’assimilazione di Alex.  Senza contare che poi è un vantaggio trascurabile… abbiamo un solo desiderio. Tolto quello, se sbagliassimo o fosse manchevole il suo potere, il potere del ciondolo si esaurirebbe… inoltre, come credo che vi abbia già fatto capire… ammesso e non concesso che riuscissimo a trovare un modo per liberare Alex, che al momento non so immaginare… non elimineremmo il problema alla radice. I Karkaroff ci hanno già dimostrato che fuggire non serva a nulla… ci hanno messo cinque anni, ma sono tornati ed in una posizione di vantaggio… potreste vivere sempre con questo pensiero, ammesso e non concesso di liberare Alex? Potreste vivere con la paura che possano trovare voi e vostro figlio in qualsiasi momento?”, Helder fa una pausa sofferta, lunga, straziata, mentre quella domanda si ripercuote nella mia testa che insegue una risposta “… ma soprattutto per forza di cose… qui, non si tratta dei Karkaroff, potenti quanto lo si vogliano, ma umani, nonostante tutto… possiamo arrivare ad ingannarli, colpirli, ferirli, ucciderli. Potremmo metterci anche anni, ma forse… e dico forse ce la potremmo persino fare. Ma qui non sono loro il problema… ma Adamar. Mettiamo anche che assecondiate le richieste folli dei Karkaroff, pensiamo anche alla soluzione masochista di Hermione che si consegna a Dimitri, uccide Ilai Radcenko e libera Alex… pensiamo anche di fare una cosa del genere per prendere tempo, sebbene credo che per tutti sia una soluzione francamente assurda e nemmeno concepibile… come andrebbe a finire? Per tutta la vostra vita, finché Adamar esiste e sa che potreste invocare la Solutio damnationis, sarete sotto il suo controllo. Un controllo continuo, perenne… vi ha già dimostrato che può farlo. E lo farebbe anche senza i Karkaroff, ammesso che riuscissimo a farli fuori. E da lui non si scappa invece, ha troppi strumenti di controllo, troppo potere, troppa gente che condiziona… e noi Empatici non possiamo proteggervi. Basterebbe che Hermione ripensi a Draco, basterebbe che Draco ripensi a lei, basterebbe che Adamar percepisse un seme di quell’amore che può sconfiggerlo, basterebbe che cominci a temere per sé stesso e per il suo potere… per uccidere voi e vostro figlio, prima che abbiate il tempo di invocare la Solutio damnationis. Sarebbe… facile. Ad Adamar non piace condizionare le persone, evita di farlo… e non per scrupolo morale come gli Empatici… ma perché gli fa schifo, odia mescolarsi alle pulsioni umane.  Ma in una situazione d’emergenza… credete che non lo farebbe? Credete che non comanderebbe Dimitri di uccidere Hermione, sebbene lui nel suo modo malato la ami pure? Credete che non condizionerebbe Raissa a credere che Alex sia qualcosa di insopportabile, persino da lasciare vivo? E credete che non possa spingere una persona qualunque, magari un ladro, un rapinatore, un omicida che ha ottenuto qualcosa da lui…  ad uccidervi entrambi, solo perché passava vicino a voi?”.

Vicolo cieco: si può esprimere in un altro modo questa sensazione? Il cuore in gola, il sudore freddo, le palpitazioni e il soffocamento, come se mi stringessero la gola con un paio di mani ghiacciate ed incredibilmente forti. Non sono mai stata immune alla paura in questi anni e ho sempre saputo che cosa sia combatterla e vincerla, in virtù di un coraggio carminio e dorato che un cappello sdrucito, anni fa, scelse per me. Ho affrontato maghi oscuri tra i peggiori, ho battuto Mangiamorte dei più temibili, ho incontrato criminali efferati, provando il piacere sottile di infilarmi io stessa in situazioni che mettessero a dura prova la mia intelligenza e la mia forza: spesso la morte ha soffiato su di me, beffarda, gelida, ma sempre restando sufficientemente lontana per non ghermirmi. Voldemort, gli Horcrux, la maledizione della Luna nuova… sono stati un incubo. Mi sono trascinata fuori dalla guerra, con la consapevolezza di avercela fatta forse solo per fortuna, piuttosto che per vera abilità.

Però… avevo davanti sempre qualcuno da considerare il nemico, e nessuno, dietro di me, di cui essere scudo a costo della vita.

Adesso, invece, è tutto diverso: tutto deve essere setacciato dall’amore per mio figlio. Devo pensare a proteggere lui, a salvarlo. Anche quando dovessi cadere io stessa… deve essere il mio cadavere ad impedire che si faccia male. Ma soprattutto questa volta… non ho un nemico vero e proprio davanti. Ho un mostro a milioni di teste, che può raggiungermi in ogni modo, in ogni momento, con qualsiasi persona che mi scivoli accanto. E, netto eppure terrorizzante, comprendo che non c’è soluzione alcuna che mi preservi viva, che questa è una condanna a morte di cui posso scegliere solo il modo.

Ed il modo, per una come me, sarà sempre la Solutio damnationis. Inutile che pensi a scorciatoie o che insista per fuggire, o che mi incaponisca sul consegnarmi, o che ordisca inganni.

Ogni piano avrebbe un buco, un’incognita, una variabile pazza… che può uccidere Alex. La Solutio damnationis, nonostante tutto, sebbene metta me e Draco a rischio, dà maggiori garanzie che lui resti vivo.

Specie se riesco a strappare agli Empatici… che proteggano mio figlio, anche se dovessi fallire.

Chiudo gli occhi e respiro piano, a fondo, cercando di restare lucida. È questa… la sola strada.

Vicolo cieco.

Perché mi lascia un’impercettibile traccia di speranza, sufficiente a non farmi impazzire. Perché può salvare altre vite. Perché può rendere libero mio figlio, anche se non sia più con me.

… e perché, se dovesse andare tutto bene… saremo davvero liberi e per sempre. Mi ridaranno potere sulla mia vita. Niente più spiriti che mi manovrano, niente demoni che decidono quando devo restare incinta, niente sogni premonitori, niente fughe ed esili dalla mia vita, niente falsi nomi e matrimoni fasulli.

Mi riprenderò tutto… e ci fosse anche solo una possibilità su un miliardo di riuscirci… ci proverei sempre.

Sollevo il viso, già sapendo che cosa risponderò, già sapendo che cosa sto per dire, ma avendo a mente che, qui, adesso, non è soltanto una scelta mia. E’ anche sua, è anche di Draco.

La mia condanna a morte, se sarà la Solutio damnationis, vorrà dire… morire assieme a te.

Ed in un modo stupido, sciocco, insensato e maledettamente idiota… è forse l’unico modo in cui accetterei di morire.

Draco ha un’espressione che sembra fredda, distaccata, lontana anni luce: non ha nulla del mio viso arrossato, dei miei occhi accesi, delle mie spalle tremanti. Non ha niente che presagisca che abbia ascoltato qualcosa fino ad ora, sembra solo annoiato e stanco. Ed è così che appare a tutti, anche ad Helder, che quasi lo interroga impaziente con gli occhi, arsa dalla voglia di sapere che cosa abbia in mente. Quando parla, un debole singulto si insinua nella sua voce, rendendola tremula come il fuoco che si spegne agitato dal vento. E, allora, fulmineo, so che cosa ha deciso, so che cosa ha pensato.

So che una Grifondoro abbraccia il coraggio ed un Serpeverde sceglie la furbizia…  ma se amano, se sono genitori… sei di fronte ad una spiccia proprietà commutativa.

Cambiano i fattori… ma il risultato non cambia.

Avrà più paura di me, più ansia di uscirne vivo. Sarà più prudente, più sottile di me.

… ma la risposta è sempre quella.

Se la Solutio damnationis salverà nostro figlio… è la sola strada possibile.

Draco parla con la solita voce tagliente e sarcastica, sembra persino irriverente e scherzoso, ma, dentro, nella voce, scivola un’onda amara di rammarico e rimorso che le mie orecchie non possono ignorare e che mi fanno battere il cuore forte ed inumidire gli occhi.

“Allora, Empatica… mettiamo che io sia così voglioso di darmi alla Sindrome da Prescelto stile Potter…” mormora atono, gettando uno sguardo obliquo ad Harry che risponde con un’occhiataccia “Ammetterai anche che dopo il tuo cianciare da Cassandra profetessa di sventure, non siamo proprio così entusiasti di gettarci in un piano suicida, senza alcuna rassicurazione di successo e di previsione dei rischi… e se su di me e la Granger… che scommetto già entrata nell’assetto eroina…”, lo fulmino con lo sguardo, perfettamente ignorata, mentre Draco prosegue nervoso, trattenendosi dall’urlare di frustrazione: “… ci può anche stare che rassicurazioni non ne esistano, visto che dovremmo fare gli agnelli sacrificali di questo fottuto demone e del tuo clan di acrobati emotivi… credi che questo sia sufficiente a farmi scegliere di adempiere al tuo piano da fantasy di quinta categoria?!”. 

“Malfoy, la connessione con il tuo cervello putrefatto si è chiusa, ergo non posso più leggere i tuoi contorti pensieri… potresti essere lievemente più chiaro?”.

“Quello che lui vuole dire… con il suo parlare da primate…” lo prevengo io, con voce chiara e guardando Draco con tracce di rimprovero che lui ovviamente respinge al mittente, scrollando le spalle con noncuranza “… è che abbiamo bisogno di garanzie…”.

“Garanzie?” Helder continua a non capire di che assicurazioni abbiamo bisogno, se quelle riguardo a noi non ci possono essere date. Lo sguardo, invece, di Harry è evidentemente colmo di comprensione, così come quello di Natalie e quello di Ron. I primi due sono genitori, l’ultimo sa esattamente che cosa significa esserlo.

Tutti e tre sanno a che cosa sto alludendo. Se non ce la facciamo… se, come probabile, ci lasciamo le penne… Alex che fine fa?

“Sì, sto parlando proprio di garanzie, Helder…” commento con decisione, la voce ferma “Non farò nulla, di alcun tipo, non voglio nemmeno iniziare concretamente a pensarci… se non avrò delle certezze… riguardo ad Alex e a Serenity. Voglio delle garanzie per i nostri figli…”. Helder finalmente comprende e tace, meditando sulla risposta che deve darmi.

La guardo in attesa e, senza volerlo, i miei occhi si spostano su Draco, quasi a cercare l’assenso a quello che lui voleva dire poco fa e che, sono certa, dovrei aver interpretato al meglio. Quando mi rendo conto che la sua espressione è cambiata in modo impercettibile ma innegabile, mi rendo conto di che cosa ho detto. I nostri figli. Sgrano gli occhi meravigliata e mi stringo nelle spalle, mentre lo sguardo di Draco non mi lascia in pace. È la cosa più simile a quello che eravamo cinque anni fa, rispetto ad ogni sguardo che è intercorso tra noi da quando sono qui. Non c’è rabbia, non c’è ironia, non c’è dolore e non c’è nemmeno odio risentito. È lieve, leggero, sfumato di una morbidezza calda che mi fa sentire il respiro più facile. E mi fa persino pensare che ce la possiamo fare, adesso, ad uscirne fuori, mi fa persino pensare che, dentro, in fondo ci amiamo ancora e ci ameremo sempre. Draco piega la testa di lato, gli sfugge un sorriso sottile mentre scrolla il capo ed ancora mi guarda, ed è quasi uno sbuffo incredulo e stupito, meravigliato e attonito. Sorrido a mia volta, piano, timorosa, vergognandomi di come questo sorriso mi nasca incerto e di come mi nasca comunque, nonostante tutto.

Perché è incredibile che tu, adesso, ancora possa dubitare che consideri entrambi figli miei. Figli nostri.

Quello che ho messo nelle mie parole, e che a tutti è sfuggito, lui l’ha sentito perfettamente. Gli altri hanno semplicemente pensato che io parlassi di mio figlio e di sua figlia, e li unissi sotto l’aggettivo nostri.

Lui sa, l’ha letto nel mio imbarazzo schietto e nella mia consapevolezza istantanea, che io volevo invece dire mio e suo figlio, e mia e sua figlia.

In cinque anni, è la sola cosa che per me non è mai cambiata.

“Se dobbiamo arrivare a parlare di questo…” riprende Helder con energia, stiracchiandosi “Vuol dire anche che dobbiamo arrivare alla parte operativa della Solutio damnationis… a quello, cioè, che concretamente dovete fare voi… e noi tutti…”.

“Ecco, così magari mi passa il complesso del - non prescelto -… ed inizio ad avere un’utilità…” biascica Dean acido, incrociando meccanicamente le braccia.

“Mettiti in fila, Dean… io ce l’ho da Hogwarts, questo complesso…” risponde Ron, scoccando un’occhiata ad Harry che sbuffa, facendomi sorridere.

“… e comunque, tanto per chiarire…” riprende Dean, con espressione fintamente offesa e canzonatoria, guardando sia me che Draco “Non ho capito ancora di che garanzie abbiate bisogno…”, quando sto per ripetere nervosa ed esasperata che cosa voglio dire, e ciò che cosa dannazione succede ad Alex e Serenity se noi crepiamo nella Solutio damnationis, lui mi interrompe e dice stoico: “Nella malaugurata ipotesi che tutto vada male… pensate che lasceremo Serenity in mezzo ad una strada? Oppure lasceremo Alex prigioniero dei Karkaroff?”. Lo ripete con una voce talmente sicura e calma da non indurmi la benché minima rimostranza, anzi mi fa sentire quasi in colpa per aver fatto una domanda simile. Il suo tono è così convincente che nemmeno Draco replica nulla, nemmeno quando Dean prosegue: “Io e Pansy… siamo gli unici, qui, ad essere regolarmente sposati e a non avere una masnada di figli come Harry… se dovesse succedervi qualcosa, se non doveste tornare… e se a voi va bene, ad entrambi intendo… ci prenderemmo noi cura di Alex e Serenity… li cresceremmo come figli nostri…”.

È un attimo così forte, così potente che, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo ad asciugarmi di nascosto le lacrime dagli occhi, annuendo con vergogna. Ripenso alle riflessioni di ieri mattina, di come avessi notato la differenza tra i nostri figli e Charisma, di come avessi invidiato il modo leggero e spensierato in cui lei è stata cresciuta.

Non ci sarebbe soluzione migliore, se Alex dovesse restare solo.

Dean è un ottimo padre: è comprensivo, paziente, giocherellone. Renderebbe la mia perdita più tollerabile per mio figlio. E Pansy è sufficientemente aspra e sarcastica, da pungolarlo pur di farlo reagire. Avrebbe Charisma vicino, che vede già come una sorella, e ciò lo spingerebbe ad accettare meglio anche Serenity. Inoltre, alla nostra morte, loro dovrebbero essere al sicuro. Adamar, ormai, non dovrebbe avere nessun interesse a perseguitare Alex e la sua nuova famiglia. Non sono pensieri piacevoli, non lo sono affatto, specie perché si accompagnano all’ansia e all’angoscia che potrei morire senza aver rivisto e senza aver di nuovo parlato con il mio bambino. È questo che mi fa sentire maggiormente condannata, è questo che d’improvviso mi provoca un’angoscia tale che vorrei solamente scappare e correre via, codarda ma salva. Il pensiero di non poterlo vedere crescere, innamorarsi e vivere la sua vita… andarmene, senza nemmeno provare ad immaginare che cosa diventeranno il suo viso, i suoi occhi, i suoi gesti, quando non sarà più così piccolo. Forse, potrei non esserci quando andrà a scuola per la prima volta. Forse, potrei non esserci quando insisterà per andare a studiare con un’amichetta. Forse, potrei non esserci quando andrà ad Hogwarts. Forse, potrei non esserci quando si farà la barba per la prima volta, o quando vorrà imparare a farsi da solo il nodo della cravatta, o quando non capirà un compito di Pozioni e si lambiccherà il cervello per venirne a capo. Senza di me, senza me. E senza neanche Draco. E lui… neanche lo conosce suo figlio.

È quel pensiero che mi sospinge coraggio nei polmoni.

Draco.

Ricordarmi che non conosce suo figlio per colpa di Adamar e dei Karkaroff. Ricordarmi che, nonostante tutto, voglio disperatamente che questa catena di sudditanza a forze più grandi di me, di noi, si interrompa adesso, fosse anche con la mia morte. Ricordarmi che io, prima di morire, ho dei ricordi di Alex e persino di Serenity da portarmi appresso. Lui, di nostro figlio, non ha nulla. Eppure è lì, fermo, saldo, con solo una patina negli occhi, ad affrontare questa cosa assieme a me. A me che, comunque la si metta, gli ho fatto così male. Ricambiata, certo.

Ma sempre più fortunata di lui, sempre.

Annuisco finalmente a Dean, senza dire altro. Era una speranza che non avrei nemmeno osato concepire, ma sono così grata loro che, adesso, con questo pensiero mi sento persino più spinta ad affrontare la Solutio damnationis. Al cenno di assenso silente di Draco, che, senza eccessive parole, dà anche lui il suo consenso, ci accordiamo in modo rapido e fulmineo sulla possibilità di firmare dei documenti per la loro custodia, prima di affrontare Adamar. Harry dice che garantirà lui, naturalmente, impegnandosi al contempo per far sì che i Greengrass continuino a non sapere nulla di Serenity stessa, cosa che viene accolta da Draco con sollievo malcelato. Nessuno, neanche Ron, ha da dire nulla sulla soluzione, Kevin promette che, in quel caso, lui e Seth daranno una mano a Pansy e Dean. L’unico che sembra contrariato, è Zabini che, come ho precisato, non è stato molto collaborativo fino ad ora. Se n’è rimasto seduto sui gradini del gazebo, dandoci volutamente le spalle. Solo quando sente questa questione, volta lievemente il capo, incrociando lo sguardo duro di agata di Dean. Ma, comprendo subito, i miei figli non c’entrano niente. E’ facile capire che cosa lo abbia fatto reagire.

L’allusione a Pansy e Dean, al loro matrimonio. Non lo accetterà mai.

“Mi pare ovvio che, durante la Solutio damnationis, Serenity sarà fuori da ogni pericolo…” riprende Helder, la voce più incrinata rispetto a prima “Probabilmente sarà il caso che restino con lei Pansy e Seth, se siete d’accordo… nel suo attuale stato, Pansy è meglio che stia del tutto fuori dalla vicenda. Non voglio che si prenda dei rischi insensati a carico della bambina che porta in grembo…”, Dean annuisce grato con un lieve sorriso ed ancora una volta Blaise si irrigidisce, ma stavolta non si volta, restando ostinatamente di spalle “E riguardo a Seth, insomma, ammetterete che è la soluzione migliore per intrattenere i bambini…”. Stavolta è Kevin ad annuire con un sorriso, gli occhi blu colmi di luce.

“… per quanto riguarda Alex… probabilmente, se voi…”, Helder esita e lascia in sospeso la frase, confermando naturalmente che, con me e Draco morti, Alex non corre nessun pericolo “Insomma, se la Solutio damnationis, finisce male… i Karkaroff non dovrebbero avere più interesse in lui… e riguardo ai tempi della Solutio damnationis e a come arginare il pericolo dell’assimilazione definitiva con Dimitri, ho un paio di idee… ma a questo punto sarà meglio che vi dica per filo e per segno come ho intenzione di agire, sempre se voi siete d’accordo, così da spiegare anche il compito di tutti gli altri…

“Come potete immaginare sulla Solutio damnationis non abbiamo certezze o conoscenze, i soli che l’hanno subita sono morti durante la prova, quindi non si può sapere né quanto duri, né in che cosa consista. Potrebbe durare secondi, come potrebbe durare settimane intere. Sappiamo, però, che ha delle conseguenze negative, qualora inizi ad andare male. Viene liberata energia malvagia in forma di sentimenti malevoli, a causa della corruzione che Adamar cerca di portare sul sentimento puro, indipendentemente dal fatto che lui rispetti o meno le modalità della prova. Naturalmente, questo è un rischio che non possiamo correre, nessuno può farlo… se anche la prova finisse bene, la liberazione di queste ondate di negatività comporterebbe degli sconvolgimenti mondiali, che potrebbero durare anni. Ed è qui che intervengono i maghi e le streghe che ho convocato, e che spero arriveranno ancora. Il principio è creare una barriera magica attorno al luogo della Solutio damnationis, quanto più grande possibile, così che i sentimenti negativi non possano diffondersi… e non è complicata da realizzare, se si hanno molti maghi e streghe a disposizione. Vi ho anticipato che i Dissennatori sono una creazione di Adamar, delle sue emanazioni che hanno un potere molto simile a lui… il rimedio ad essi è il Patronus ovviamente, che dà forma a sentimenti positivi in grado di contrastare il male. Adottando questa logica, possiamo pensare di conseguenza che una barriera di Patronus possa ovviare alle conseguenze della Solutio damnationis, preservando la popolazione innocente. Tanto più saranno i maghi e le streghe… tanto più la barriera sarà potente. Ed è a questo che servirete voi…”.

Quando finalmente il compito dei miei amici viene chiarito, mi rassicuro ancora: non si tratta di nulla di pericoloso, o difficile da realizzare. Tutti sembrano disponibili a tale compito che si rivela, rispetto a quello che aspetta me e Draco, comunque più facile del previsto. Naturalmente è sempre meglio che Pansy ne resti fuori a causa della gravidanza, ma per gli altri non ci dovrebbero essere rischi.

“Ovviamente una tale barriera non è propriamente discreta ed invisibile… e comunque qualcosa potrebbe filtrare fuori…” prosegue Helder con compostezza, incrociando le mani sulle ginocchia “Una strega ed un mago potrebbero anche difendersi… ma un babbano no. Per questo è necessario un cordone di sicurezza per i babbani. È per questo che ho chiesto a Kevin di venire qui, è un poliziotto, conosce le procedure, dovrebbe essere più semplice per lui convincere le forze dell’ordine che ci sia un allarme bomba o qualcosa del genere… Harry poteva contattare il Ministro babbano… ma i tempi si sarebbero allungati troppo, ed abbiamo invece poco tempo…”, anche questo finalmente diventa chiaro, facendomi meravigliare di come Helder sia riuscita a mettere assieme tutti i nostri talenti e le forze che possediamo. Io, così abituata a fare sempre tutto da sola, probabilmente non ci avrei nemmeno pensato. Lei, invece, che fa della capacità di pensare a tutti il suo potere, ha ovviamente arginato ogni possibilità che le cose vadano male. Kevin, naturalmente, annuisce convinto, dicendo che non dovrebbe avere problemi eccessivi.

“Di tempo ne abbiamo davvero pochissimo…” continua Helder, con voce affrettata ed affannosa “Domani sera scade l’ultimatum di Karkaroff: alla luna piena l’assimilazione di Alex sarà completa. Inoltre, dobbiamo stringere i tempi per sfruttare l’effetto sorpresa ed impedire che Adamar capisca che volete provare la Solutio damnationis… meno preparato è, più possibilità avrete di farcela…”.

“Tecnicamente, però, noi non sappiamo nemmeno dove siano…” obietto con un filo di voce “Come facciamo a sorprenderli?”.

“Per quello… per trovarli, intendo… credo che ci sia il ciondolo di Tatia…” sorride incoraggiante Helder, facendo un cenno verso la goccia d’ambra che mi brilla al collo “Hai un solo desiderio, no? Il desiderio di una madre per un figlio… chiedili semplicemente di trovare tuo figlio. Probabilmente Raissa e Dimitri sono nascosti dalla Titanca… e forse l’hanno fatta prendere anche ad Alex, così che gli Empatici non lo trovino, anche se si avvicinassero a lui. Ma non dovrebbe essere complesso e neanche equivoco per il potere del ciondolo chiedergli di rintracciare tuo figlio…”.

Hai già tutto quello che serve, Hermione Granger… hai sempre avuto tutto, Hermione Granger. Solo che non lo sai, non l’hai mai saputo. Anche stavolta sarà così…

Tatia aveva già cercato di dirmi tutto, in quel sogno. Persino del ciondolo, quando mi aveva ammonito di non toglierlo.

Lo avevo scambiato per un’arma, ed invece era solo un pezzetto di questo intricato piano.

“Attaccando all’alba, avremo un ragionevole lasso di tempo, prima che Dimitri completi l’assimilazione…” la voce di Helder assume un colore più scuro, come se d’improvviso, dopo tutto quello che ci ha detto, fosse più esitante nel proseguire “Ha bisogno della luna piena per completarla. E, certo, non sappiamo quanto la prova possa durare, ma dovremmo avere tempo prima che l’assimilazione di Alex sia completa. E, se si dovesse protrarre oltre… ho anche il modo per impedire che la completi…”.

“Come?” chiedo, con una strana fitta d’angoscia. Strana sì, perché non è che fino ad ora, siamo propri stati nel racconto di un’allegra scampagnata al mare. E c’è l’altissima possibilità che tutto vada verso la mia prematura scomparsa, visto che io e Draco non ci fidiamo nemmeno l’una dell’altro e non sappiamo nemmeno fino a che punto ci amiamo davvero o sia solo un ricordo intriso di rimpianto... quindi non è che mi incammino verso la Solutio damnationis e verso questo piano, colma di fiducia e speranza. Eppure, Helder, che è stata sempre chiara fino ad ora e poco incline a farci illudere, adesso sembra improvvisamente titubante e restia a parlare. E capisco subito che ciò che deve impedire il completamento dell’assimilazione, non dipende da me o da Draco, probabilmente già morti o in procinto di morire o ancora impegnati in questa prova dannata… dipende da qualcun altro, a cui sta per affibbiare il compito più pericoloso, dopo quello che darà a me e Draco.

E, con un brivido, prima ancora che parli, so perfettamente a chi lo darà.

“Se dobbiamo ingannare Adamar… dobbiamo ingannare anche Raissa e Dimitri…” comincia Helder, la sua voce è flebile e sottile “Non devono sospettare nulla, né notare nulla di strano in voi che li faccia presagire qualcosa di strano… quindi deve sembrare che siate giunti ad adempiere alle loro richieste. Sarete distrutti dall’odio e dal rancore, probabilmente dovremmo anche inscenare che sia Draco a voler consegnare Hermione. Ma soprattutto…”.

“… soprattutto… io devo essere morto, no?” completa Ilai, dando voce a tutti i miei sospetti. Le mie mani iniziano a tremare prima ancora che me ne renda conto, e faccio ogni sforzo possibile per simulare tranquillità e freddezza, dato che sono sempre di fronte a Draco e a Ron, e non mi pare il caso di trasformare questo momento in un teen-drama, dove devo dimostrare a chi tengo di più. Riesco a fingere un’ombrosa calma, perché sono naturalmente sicura che Helder non può proporre davvero di uccidere Ilai. Eppure, la pelle sudata del suo volto ed il fatto che i suoi occhi dardeggiano continuamente nei miei, come a cercare assenso a quello che sta per fare, mi fanno sentire inquieta e nervosa.

“Sì…” annuisce lei pensosamente, guardandolo “I Karkaroff si aspettano il tuo cadavere. Quindi vederti morto… porterebbe decisamente meno attenzione da parte loro a Draco ed Hermione…”.

Ok, adesso arriva la parte dove dice come si finge la morte, in un modo ancora sconosciuto.

“Devi, però, sapere che quello che ti sto per proporre, Radcenko…” Helder respira a fondo, con calma, come se si volesse rassicurare da sola, cosa che porta ulteriormente me a sentirmi andare a fuoco dall’angoscia “… non è stato mai provato prima… quindi c’è l’altissima possibilità che tu non ne esca vivo sul serio…”. Mi muovo ancora sulla sedia, innervosita, tormentata, agitata: non posso sopportare che lui rischi la vita per me, non esiste. Tatia... le ho promesso che sarebbe stato al sicuro, che non gli sarebbe successo nulla. Se io e Draco rischiamo la vita… è diverso. Siamo uniti da questa circostanza, siamo uniti come genitori… abbiamo un legame che presuppone anche questo. Ma Ilai è qui, per caso, per una fatalità che lo ha portato qui. Non posso permettere che rischi anche lui, che rischi uno solo dei miei amici in questa storia. E sto odiando decisamente Helder anche solo per proporlo. Perché lui accetterà, già lo so. Non si tirerà indietro, non lo farà. Ed è infatti quello che succede.

Ilai, la mascella serrata, gli occhi tersi, risponde ad Helder, ma puntando dritto gli occhi nei miei, come se a me in realtà che stesse parlando. Ha la voce tenue ma sicura, quando dice: “Non mi terreste fuori nemmeno volendo… quello di cui c’è bisogno… io lo farò…”.

“Stai scherzando, vero?!” chiedo d’improvviso, non riuscendomi più a trattenere, sebbene sia perfettamente conscia che, così, ho attirato l’attenzione tanto di Ron che degli altri, quanto di Draco. Stringendo i pugni, lo guardo assolutamente sconvolta, con il fiato corto e il viso rosso: “Io… non ti permetterò di rischiare la vita per me…”.

“Qua rischiamo tutti la vita, Granger, o non hai capito la parte sul fatto che ci potremo lasciare le penne?!” interviene Draco, con voce affannata e spezzata, guardandomi dall’alto in basso come se volesse fulminarmi “Non vedo perché Radcenko non debba dimostrare la sua grandiosa utilità…”. Gli lancio un’occhiata infastidita, prima di replicare a suoni mozzicati: “Perché… in questa storia ci siamo dentro io e te e basta… io e te siamo i genitori di Alex, io e te abbiamo fatto scattare questa dannata cosa con Adamar… ed io e te la dobbiamo finire! Nessuno deve finirci in mezzo, tantomeno lui…”.

“Ah siamo a questo… Radcenko è degradato a terzo incomodo?” sibila freddamente Draco, fraintendendo volutamente il senso delle mie parole e pungolandomi sarcastico, prima di rivolgersi con scherno a lui: “Scusa amico… ma la Granger è una donna molto volubile… solo io resto immutato destinatario del suo amore…”. Lo dice con un tono talmente tronfio, spavaldo e convinto, che vorrei davvero prenderlo a pugni, cosa che si palesa fastidiosamente prossima, quando irride anche Ron: “Immagina tu, quindi, di quanto sei retrocesso…”.

“Malfoy, dobbiamo ripetere la meravigliosa scenetta della calma indotta?!” lo minaccia Helder, come farebbe con un moccioso dell’asilo che sta facendo i capricci, salvandolo dalla possibilità che la calma gliela faccia venire io attraverso il rigor mortis dopo averlo fatto trapassare, poi con il medesimo tono si rivolge a me, guardandomi storto: “Radcenko ha il diritto di decidere e di ascoltare la mia proposta, come avete fatto voi… dopo, quando sarò andata a recuperare la mia sanità mentale a seguito di quest’estenuante conversazione, sarai libera di fare a lui le tue rimostranze e di inventarti un altro modo di agire…”. Taccio nervosa, incrociando le braccia con sussiego, ripromettendomi che la questione è solo rimandata e che troverò un altro modo di muoverci e che non implichi mettere a rischio Ilai.

La mia reazione, naturalmente, non passa indifferente e sotto silenzio: mi rendo conto subito che, adesso, improvvisamente Ron si è accorto di Ilai, lo squadra dalla testa ai piedi, probabilmente chiedendosi che cosa nasconda quello che, fino a poco fa, immaginava essere solo il vedovo di Tatia Krasova. Harry, a sua volta, lo fissa con la coda dell’occhio e con il tipico sguardo da raccoglitore di particolari da riferire a Ginny. Ho lasciato naturalmente intendere che ci sia qualcosa tra me e lui… e le parole di Draco hanno fatto il resto. Se alla mia preoccupazione potevano obiettare che era una cosa normale e che avrei fatto, ovviamente, lo stesso per chiunque altro, adesso un sottotesto di sospetto si è insinuato in loro.

Se Draco Malfoy per una volta mi rendesse le cose più semplici invece che più complesse, quel giorno sarebbe festa nazionale in tutti e cinque i continenti.

“Dimitri ha bisogno della luce della luna piena per completare l’incantesimo di assimilazione di Alex, è una formula che ho studiato anni fa…” riprende Helder, massaggiandosi le tempie “Ovviamente è una formula in possesso degli Indicibili, per quello la conosco… e Dimitri la conosce, perché è scritta, quindi naturalmente è nella sua memoria… la luna piena sorgerà domani sera, quindi per quello vi ha dato tale ultimatum… ma noi abbiamo intenzione di attaccare all’alba. Però, non sappiamo quanto la Solutio damnationis duri…  e, del resto, non sappiamo che livelli di difesa abbia instaurato Dimitri… potrebbe esserci proibito l’accesso, tranne che a voi… e al cadavere di Ilai Radcenko, naturalmente… è sostanzialmente cogliere due piccioni con una fava: non far insospettire i Karkaroff, consegnandogli appunto il corpo di Ilai, e dall’altra parte avere un basista, una sorta di cavallo di Troia, quando voi sarete impegnati con la Solutio damnationis… il metodo per creare queste condizioni è qualcosa di intentato, stupido e rischioso… perché in realtà… non si tratta di simulare un decesso… ma di ammazzarti sul serio, Ilai…”.

Ovviamente sbianco, aggrappandomi alla sedia e sporgendomi come se stessi vincolata ad ogni parola di Helder, solo per impedire di soffocare, come se fosse il solo ossigeno rimasto. Non può stare proponendo sul serio… di ucciderlo. Ilai, calmo come sempre, si schiarisce semplicemente la voce che reca comunque una traccia di esitazione, mentre si dichiara disposto a conoscere questo metodo, esortando Helder a parlare.

“E’ complicato da spiegare, cercherò di farla semplice con un esempio…” riprende Helder con voce netta, gesticolando con attenzione “Conoscete il trasferimento di chiamata?”, non riuscendo a capire dove diamine stia andando a parare questo discorso assurdo, annuisco con il capo assieme agli altri.

“E’ un servizio offerto da tutti i principali gestori di telefonia che permette di deviare le chiamate che si ricevono su un dato numero verso un altro, qualora il primo sia occupato o non disponibile. Al momento, Hermione e Draco, per gli Empatici, sono come due telefoni muti o occupati. La connessione stabilita dal Segno di Fuoco esiste ancora naturalmente… ma con la Titanca ne abbiamo eliminato gli effetti. E quindi, se mi concentro su di loro… arrivo a loro, ecco, ma non li sento. È come appunto fare una chiamata, ad un numero a cui nessuno risponde… fino a quando la chiamata non viene deviata. E ti risponde qualcuno che, invece, non ha la Titanca nel suo corpo… ed è perfettamente sensibile all’Empatia. Non si può deviare questa connessione con una persona qualunque… non posso, che ne so, stabilirla con Dean o con Ron… ma con Ilai questo può riuscire… perché lui ed Hermione sono… legati, ecco…”.

“Che diamine significa che sono legati, Empatica?!” l’interrompe nervosamente Draco, staccandosi dalla colonna su cui era appoggiato.

Arrossisco, abbassando lo sguardo, questa giornata, probabilmente l’ultima della mia vita, sarà anche ricordata come la giornata più dannatamente frustrante ed imbarazzante della mia esistenza.

La sensazione di conoscere una persona da sempre…” prosegue Helder, guardando me ed Ilai, io rifiuto anche solo di prendere in considerazione il pensiero di alzare di poco lo sguardo “L’ho sentita in Hermione, quando avevo accesso ai suoi pensieri… empaticamente si chiama Assonanza alchemica. È all’origine dei più diversi rapporti umani, Assonanti alchemici possono essere amici del cuore, fratelli e sorelle, padri e figli, mariti e moglie, innamorati divisi… per sempre si sentiranno meglio di qualsiasi altra persona al mondo. Si parla di sensazioni appunto, poi sta nella vita della persona far fruttificare o meno un’Assonanza… considerando che spesso non avere schermi, né barriere con un’altra persona, può anche essere una cosa sommamente sgradita, e per altri invece infinitamente desiderabile. Comunque, tornando a noi, l’Assonanza è anche una condizione magica, che consente maggiori capacità nella Legilimanzia, nella Telepatia… e difatti Hermione ed Ilai hanno combattuto contro Dimitri, sfruttando inconsciamente questo meccanismo… esistendo quest’Assonanza è possibile deviare appunto la connessione di Hermione con gli Empatici su Ilai… sarebbe quindi collegato a noi. E questo collegamento è biunivoco, lo è sempre stato… solo che ovviamente Draco ed Hermione non se ne sono accorti, o non hanno fatto in tempo ad accorgersene… aprendo la connessione con Ilai, potremmo trasmettergli mentalmente tutto ciò di cui ha bisogno… in particolar modo, se la Solutio damnationis si protraesse ed arrivasse la notte. Esistono duecentottanta cinque incantesimi, settecento nove pozioni e cinquantadue rimedi babbani, per nascondere la luna ed impedire così l’assimilazione. Gli Empatici, come parte dell’accordo se doveste accettare la Solutio damnationis, si impegnano a liberare ad ogni costo vostro figlio. E quindi stanno studiando i rimedi contro la luna, proprio in questo momento… Dimitri conoscerà anche il modo di contrastarli, tutti fino all’ultimo. Ma il modo di fargli perdere tempo per l’intera notte, lo troviamo. E dovessimo andare oltre la notte… Ilai sarebbe sempre lì, a studiare la situazione con i suoi occhi… elaboreremmo in divenire un’altra strategia, passo dopo passo, fosse anche quella di irrompere in forze nel luogo dove sono nascosti… morirò io stessa, pur di portare Alex in salvo, quando ormai non sarà assimilato a Dimitri… ma, e qui arriviamo alla parte peggiore… Ilai potrà entrare in quel luogo, solo se morto. E con morto… si intende morto sul serio, non esistono trucchi con Dimitri e Raissa che non conoscano per poter simulare la sua dipartita… quindi dobbiamo sfruttare la connessione con gli Empatici, il loro sapere è la sola pecca dei Karkaroff… non esiste nulla, però, di Empatico che abbia un effetto di simulazione di tale tipo. Tranne appunto… ucciderti sul serio…”, finalmente sollevo gli occhi guardando Helder ancora più sbigottita, un eco dello sguardo di Draco resta su di me, laconico ed assente, ma cerco a fatica di ignorarlo. Ilai, in tutto questo, resta pacato, chiedendo ad Helder di proseguire.

“Il corpo fa ciò che la mente comanda, ciò che il cuore comanda…” spiega lei con pazienza incerta “Mediante la connessione aperta, sarà possibile modulare la gamma delle tue emozioni, fino ad indurti stati di sofferenza, di dolore, di disperazione, di angoscia, in proporzione tale… da mandarti in arresto cardiaco. Alternando poi queste sensazioni ad alcune più positive, che avranno l’effetto di renderti tachicardico, dovremmo riuscire a mantenerti ad un ritmo vitale molto basso, in modo da far sì che tu non muoia… ma, attraverso i tuoi occhi, vedremo quando i Karkaroff saranno vicini a te o ausculteranno il tuo cuore… ed allora ti indurremo l’arresto cardiaco. Almeno fino a quando Hermione e Draco avranno invocato la Solutio damnationis… dopo… ripristineremo il tuo battito normale ed il naturale corso delle tue sensazioni. Cercheremo naturalmente di non tenerti in arresto cardiaco oltre i quattro minuti, che sono il tetto massimo per non avere danni irreversibili… ma… il tuo cuore… potrebbe non farcela comunque… potrebbe non resistere a questo sovraccarico di emozioni, come non potrebbe resistere a questi ritmi forsennati. Ti alleneremo, certo, a sopportarlo, ma dipende dalla forza del tuo organismo… e tu… potresti morire sul serio, Ilai…”.

Se il discorso su me e Draco, sulla leggenda millenaria che ci unisce, sulla Solutio damnationis e sullo scontro con Adamar, mi è sembrato quasi folcloristico ma, dopo tante vicissitudini, quasi impossibile da non prendere in considerazione come vero, la parte su Ilai, per quanto me la ripeta nel cervello, è semplicemente assurda. E non riesco nemmeno a guardare Helder, senza pensare che non doveva nemmeno sognarsi di proporla, specie sfruttando questa specie di legame incomprensibile che abbiamo. Se morisse… se gli accadesse… probabilmente lo sentirei dentro, come se stesse accadendo a me.

Ha detto che è un crimine controllare le emozioni altrui, e con lui vorrebbero farlo, al punto da mandarlo avanti ed indietro dalla morte? È carne da macello fino a questo punto? Lo siamo tutti, fino a questo punto? Io e Draco… posso accettarlo, posso accettare di essere una semplice marionetta. Lo facciamo per nostro figlio. Perché dovrebbe farlo Ilai? Che cosa c’entra lui?

Se Ilai affronta da solo i Karkaroff… muore. Con un singulto interno, mi ricordo delle parole di Tatia, della sua lettera: ecco che voleva dire. Ilai morirà, se affronterà i Karkaroff, accadrà sul serio.

La sola incognita è se tornerà indietro.

Non posso permetterglielo, semplicemente non posso.

Sto già per aprire bocca, urlando tutto il mio disgusto e sdegno, incurante di chi mi circonda, quando Ilai si alza in piedi e risponde sicuro ad Helder, ma senza smettere un secondo di guardare me. Intercetto per un attimo gli occhi di Draco, fissi di acciaio su di me, ma cerco di non farmene distrarre.

“Se è il solo modo concreto di aiutare Alex…” risponde quieto e serio Ilai, non una singola esitazione nella voce “… lo farò. Qualsiasi tipo di rischio vale la salvezza di quel bambino, specie se la Solutio damnationis va male. In questa storia… sono in debito… e questo è il minimo che io possa fare… mi allenerai a sopportarlo, Helder…”.

Ilai non aggiunge altro, si alza e va via, lasciandomi con un senso di amaro in bocca che non riesco a mandare via. Tutto questo… è sbagliato. È sbagliato, maledizione.

Mi riprometto di parlare con lui, mi riprometto di fermarlo, mi riprometto di trovare un altro modo…

… eppure quando Helder mi chiede, alla fine, se proverò davvero la Solutio damnationis… quando lo chiede anche a Draco…

Entrambi diciamo di sì.

 

   
 
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