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Autore: Crudelia_02    13/11/2013    1 recensioni
Amber è una studentessa dell’ultimo anno. Ha un problema fisso con chimica, sarà la prof ma è più probabile quel ragazzo che la manda ai nervi e con cui è costretta a passare quattro ore a settimana in laboratorio. Si crede bello, ma ovviamente lo crede solo lui e trova sempre l’occasione per stuzzicarla. Motivo: una rivelazione sbagliata risalente alle elementari. Amber invece ha un sacco di cose per la testa, come per esempio la separazione dei suoi avvenuta dopo che la madre ha rivelato di aver avuto un figlio con un altro quando ancora frequentava il college. E chissà com’è proprio ora si è decisa a cercarlo. Così Amber si ritrova con un padre lontano, una madre con cui parla (quasi) sempre litigando, un fratello che a quanto pare sa chi l’ha generato, un corso di chimica che le fa perdere la voglia di andare a scuola e una festa in maschera in una famosa quanto sconosciuta villa della cittadina, l’unica distrazione di questo periodo. Ma chi può essere quel meraviglioso ragazzo nascosto da una maschera e da lunghi messaggi di chat che le ha rubato un solo bacio alla festa ma di cui lei non si è dimenticata affatto?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo undici
 
  
“Ti ricordi quella volta che ti ho parlato dei problemi della mia famiglia, fuori dal negozio di abiti da lavoro?”
Lo avevo azzittito per la seconda volta in un giorno! C’era da stupirsi.
“… sì.” Rispose, questa volta più attento ad ascoltarmi.
“Ti ho parlato anche del mio fratellastro.”
Rimase in silenzio aspettando che continuassi.
“Beh è lì dentro, a fare le foto agli studenti per l’annuario.”
 
 
Era rimasto pietrificato per qualche istante.
“Beh, qual è il problema? Tu devi guardare l’obiettivo, mica lui. E poi gli altri anni il preside ha sempre contattato intere equipe di fotografi, quest’anno uno solo?”
“No, ce ne sono anche altri, ma…”
“E allora non devi preoccuparti. Mentre io distraggo…” stava evitando di chiamarlo con il suo nome perché aveva capito quanto a me desse fastidio; io infatti difficilmente lo nominavo. “…Alex, un altro fotografo lo sostituirà e tu avrai la tua meravigliosa foto.”
Il piano non era male ma… “Meravigliosa?”
“Era per dire, per sdrammatizzare.”
Sicuramente era così. Però l’idea che avesse detto che una mia foto potesse essere meravigliosa mi fece sorridere.
Se ne accorse. “Beh, andiamo?”
 
 
Mi accompagnò fino all’aula magna, dove si svolgeva il servizio fotografico. Riconobbi subito Alex, ma mi diressi verso la bacheca, dove erano appesi i fogli con tutti i nominativi degli studenti: quelli già fotografati avevano firmato accanto al loro nome scritto in stampatello. Nell’appello generale, quello che si svolgeva in quell’aula tutte le mattine con tutti gli studenti dell’istituto, ero al numero centoventiquattro, adesso al centodiciassette. Evidentemente c’era qualcuno che aveva saggiamente evitato le foto dell’annuario, cosa che avrei dovuto fare anche io. Se solo avessi saputo prima chi era il fotografo…
Un certo Mark Bahlmer era al numero centosedici. Lo conoscevo, un tipo un po’ grassoluto, al secondo anno. Non appena l’avessi visto in fila mi sarei accodata anche io.
In ogni caso prima del mio turno mancavano un bel po’ di foto visto che erano ancora fermi allo studente numero cinquantanove.
Avevamo quindi parecchio tempo a disposizione.
“Devo portare questi nell’armadietto.” Indicai i libri di biologia che portavo in mano e il camice ripiegato sopra di questi.
“Ti accompagno.” Rispose mentre ci avviavamo.
“Ti conviene andare a lezione.”
In effetti aveva perso quasi un’intera ora appresso a me. Dentro il mio cervellino si stava concretizzando l’idea che fosse tutta una farsa, una messa in scena. Poi al momento di distrarre Alex, Kevin mi avrebbe sputtanata per bene davanti a lui giusto per vendicarsi di quella F, tra l’altro presa a causa sua. Effettivamente era cambiato un po’ così all’improvviso nei miei confronti tanto che era abbastanza strano da parte sua un comportamento, oserei dire, quasi umano. Così provai a convincerlo ad andare, poi me la sarei cavata con mio fratello.
Oddio… l’avevo chiamato fratello.
“A quest’ora dovrei essere nel campo di lacrosse, figurati se voglio andarci veramente.”
Mi venne da ridere. “Non posso crederci. Segui ancora quella stupida regola?”
Fin da quando eravamo piccoli, lui diceva di non sopportare il sudore e che quindi avrebbe evitato sport che ne richiedessero a volontà. Si limitava solo a nuotare perché diceva che il sudore si disperdeva nell’acqua e così non si notava. Non credevo che anche da grande continuasse a pensarla così.
“Quale stupida regola?”
“Quella sul voler fare poco sforzo fisico per evitare di sudare.”
“Non è una stupida regola!” Esclamò fingendosi risentito. “È la mia filosofia di vita.”
“Addirittura!” Continuavo a ridere come una scema pensandolo come una femminuccia, cosa che palesemente non era.
“Hai mai passato tre terrificanti ore consecutive di letteratura affianco ad uno che era appena reduce da una partita di rugby? Minuto per minuto la sua maglietta pulita si ribagnava nuovamente di sudore perché il grande genio respirava sempre più affannosamente. Eppure sapeva di soffrire d’asma. Da quel momento ho deciso che nessuno mi avrebbe mai visto in quelle condizioni.”
Questo spiegava tutto… ma a me veniva ancora da sorridere.
Aprii il mio armadietto e sistemai i libri.
“Amber Bailey!”
Mi voltai. Era la ragazza, a quanto pare secchiona, che mi aveva affibbiato la professoressa di chimica. Tale Hailey.
“Mettiamo bene le cose in chiaro: non mi hai cercata per le ripetizioni, quindi ho dedotto che…”
“Già, mettiamo bene le cose in chiaro: io non ho bisogno di ripetizioni!” Sputai acida appena sentito il suo tono che non era da meno. Che poi, quando avrei potuto cercarla se ero appena uscita dal laboratorio?
“Bene, quindi diremo alla professoressa che ti sei rifiutata e che io non c’entro niente. Non posso farmi abbassare la media per colpa tua.”
“Poverina, la cocca della professoressa non può farsi abbassare la media.”
“Non credo siano cose che ti riguardino, quindi se vuoi recuperare sono contenta per te, ma nel caso in cui non te ne freghi nulla sarò ancora più felice.”
Che stronza! Se la tirava pure per un paio di voti alti.
“Ci tengo a recuperare quella F, ma...”
“Bene allora. Alle quattro da me. Il mio numero e l’indirizzo li trovi sull’elenco.”
Pure! Fermarsi cinque secondi ed evitarmi di cercarli per cinque minuti era troppo perfino per lei. E secondo lei aveva il diritto di essere incazzata!
“…ma ce la farò anche senza il tuo aiuto.” Finii a denti stretti dopo che era scappata infuriata.
“Milkshake?”
“Decisamente sì!” Risposi sconsolata e irritata.
Non mi ero neanche accorta che quell’invito era venuto fuori proprio da Kevin, ma tanto era il nervosismo che quella proposta mi sembrava più che adeguata ad addolcirmi gli animi. Per cui era poco importante chi era stato ad invitarmi. Difficile da credere, ma proprio Kevin quel giorno era l’unico che si era dimostrato gentile.
Arrivammo al bancone della mensa.
“Un milkshake al cioccolato e…” Ordinò prima di guardarmi.
“Uno al cioccolato anche per me.” Risposi.
Il ragazzo al bancone cominciò a trafficare con il frullatore.
C’era un silenzio imbarazzante tra me e Kevin, chissà perché. Io e lui non eravamo mai stati a disagio, a parte quando gli avevo confessato la mia cotta alle elementari, ma anche il quell’occasione ero la sola ad essere stata in iperventilazione. Lui si era bellamente limitato a ridere di gusto. Era pur vero però che raramente noi ci parlavamo senza scannarci, come quel giorno. Ecco il motivo dell’imbarazzo. Tra l’altro dovevo ancora indagare sul perché di quello strano atteggiamento e l’ipotesi più plausibile nella mia testa era sempre quella della farsa per la vendetta.
“Senti, mi dispiace per l’altra volta.” Esordì di punto in bianco.
Capii subito a cosa si riferiva… Alla scenata in laboratorio, quella per cui mi ero beccata due relazioni di punizione.
“Come scusa?”
“Sì, ho esagerato. Ammetto che la colpa in parte era anche mia…” Questa era una grande rivelazione, se non fosse stato per la sua espressione da teatrale giustificazione.
“In parte?” Incrociai le braccia, sfidandolo. Inutile prendersela adesso che la prof aveva assegnato le punizioni, però volevo vedere fino a che punto era disposto a scusarsi.
“Beh, anche tu mi hai provocato.” Ecco appunto. Disposto molto limitatamente.
“Davvero? E come?”
“Beh con quella finta faccia da angelo, mi fai venire voglia di smascherare quello che non sei.”
“Io non sono un angelo.”
“Appunto. Di solito sei così… frizzante, che vederti intenta ad analizzare provette…”
“… vetrini…”
“È uguale. Non sei capace a fingerti una studentessa modello.”
“Non ho mai detto di esserlo!”
“E allora perché ti metti a studiare?”
“Forse perché siamo all’ultimo anno.”
“Sì, ma si tratta di chimica e biologia.”
“È una materia come le altre e se penso che rischio tutto proprio per un’insignificante materia…”
“Mollala, che ti frega!”
“Sì, a metà anno…”
Il ragazzo dietro il bancone mi porse il mio milkshake.
“Grazie.” Gli sorrisi per riconoscenza.
“Figurati.” Lui fece lo stesso di rimando.
“Mi ascolti?” Intervenne Kevin.
Lo guardai tornando alla nostra conversazione senza senso. “Veramente stavo parlando io. In ogni caso non ho alcuna intenzione di lasciare il corso, dovrei iscrivermene ad un altro e sarebbe un bel problema rimettermi in pari, visto che siamo quasi a dicembre. Tu invece, perché se non ti piace lo frequenti? Perché è evidente che non ti piace…”
“No, non mi piace. Ma è sempre meglio quattro ore a settimana in laboratorio che segregati su una sedia ad ascoltare chissà quale stronzata.”
“Non potrebbe essere invece qualcosa di serio ed interessante?”
“E da quando le lezioni sono interessanti? Lo vedi, è proprio questo che non capisco: perché ti ostini ad apparire come una ragazza che ascolta attentamente le lezioni?”
Non comprendevo ancora la natura di quella domanda. Va bene che non ero una cima, ma non per questo si poteva dire che non studiassi. Non riuscivo a capire dove voleva andare a parare.
“Continuo a non capire cosa intendi. Lo so anche io di non eccellere a scuola, ma non perché non ci arrivo…”
“Nessuno ha detto che non ci arrivi. Ma tu sei come me, studiare non è la tua massima aspirazione e proprio non capisco perché invece vuoi risultare perfetta.”
“Essere come te, risultare perfetta… Ma che stai dicendo?”
“A te non è mai piaciuto studiare biologia.”
“Perché, a te sì?”
“Che c’entro io?! Te l’ho detto: mi sono iscritto a quel corso solo per fare numero e non dover parteciparne ad un altro che si sarebbe tenuto in classe.”
Anche io lo frequentavo solo per fare numero e non partecipare a roba tipo letteratura francese o fisica. Ma in quel momento proprio non avevo voglia di dargliela vinta.
“Le persone possono cambiare, no?”
“Certo…” Dalla faccia sembrava che volesse liquidare il discorso, ormai senza sperare di convincermi ad ammetterlo.
“Ecco il tuo.” Disse il ragazzo del bancone porgendo a Kevin il suo milkshake al cioccolato.
Lo guardò in modo un po’ truce, poi osservò me allo stesso modo, con la mascella contratta. Impossibile credere che fosse arrabbiato perché aveva perso. Quel ragazzo doveva imparare ad accettare le sconfitte. Che poi, avessimo sostenuto un discorso di così rilevante importanza… Neanche a dire che aveva perso ad una battaglia su chi si insultava di più. Da parte sua sarebbe stato più comprensibile prendersela per questo motivo.
“Torniamo in aula magna?” Proposi per evitare il silenzio che era tornato.
“Sì, dovrebbe essere ora.” Mi sorrise.
Ma Kevin aveva il ciclo? Aveva cambiato di nuovo umore e non era più imbronciato. Possibile che così velocemente sapesse risolvere le sue incazzature? Magari fosse successo pure a me…
 
 
Arrivammo in aula magna quando mancavano pochi studenti prima di me.
“Non voglio che mi veda.”
“Non lo farà. Ascoltami, tu adesso vai lì, ti siedi su quella sedia fetida che per un’intera ora ha ospitato culi di decine di studenti…” Aveva una faccia schifata, doveva fare l’attore. E io avrei fatto la sua regista di tragedie. Chissà che divertimento dargli delle direttive che lui avrebbe dovuto accettare…
“… mentre io intanto parlo con Alex. Con tutto il rispetto, ma tu pensi che ogni tanto se la dia una lavata? Ha dei capelli che secondo me gli si stanno rivoltando contro per le misere condizioni in cui sono trattati.”
Mi stava facendo morire dalle risate e immaginavo che stava facendo tutto per sdrammatizzare perché Alex non aveva dei capelli eccessivamente sporchi. Anche se Kevin, riguardo alla cura di un corpo maschile, ergo da pavoneggiare, era maniacale.
Non sapevo perché ero così elettrica ed iperattiva ma la prima, unica ed ultima volta che avevo affrontato mio fratello era stata pessima. Non volevo che si ripetesse, specialmente in un luogo dove bastava un nonnulla per rovinarti la reputazione. Speravo solo che Kevin non avrebbe fatto cazzate per vendicarsi della F… Ma dopo tutti quei discorsi, mi sembrava lo stesso ragazzo a cui avevo confessato di essermi presa una cotta.
Eravamo stati veramente uguali come diceva? Forse un tempo.
Ora, anche se non amavo lo studio, avevo scelto di portare avanti il corso di chimica e biologia e, prima che arrivasse lui a fare danni, lo stavo frequentando con impegno. Dopo due settimane probabilmente sì, avrei mandato tutto a quel paese, ma soltanto perché la professoressa non aveva mai fatto nulla per premiare la mia buona volontà che fino a quell’epico giorno non era mai mancata.
“Non ne ho idea e nemmeno ci tengo a scoprire quante volte si lavi a settimana… o al mese. In ogni caso è un piano perfetto!”
“Bene, allora vai! Manca poco.” Gli sorrisi grata e mi incamminai verso la fila. Avevo tre persone davanti a me, Kevin gli avrebbe parlato quando ne mancava solo una. Ma Alex avrebbe perso tempo ad ascoltare una persona che non conosceva e che gli parlava di chissà quale argomento? Un consulto sulla fotografia sarebbe stato ottimo. Alex, secondo me, era il tipico presuntuoso che trascurava i suoi incarichi per parlare di sé e farsi grande delle sue imprese. Era solo una mia supposizione, ma aveva una faccia da stronzo menefreghista. E infatti rispuntare in quel modo nella nostra vita era da menefreghisti. Ma d’altronde, tale madre tale figlio… O era figlia? Speravo proprio di no…
“Bahlmer Mark.”
Il ragazzo prima di me avanzò verso la sedia al centro del palco. Chissà veramente se puzzava… Chissà se negli anni usavano sempre quella…
Vidi Kevin procedere verso Alex, lo chiamò da dietro mentre era nel bel mezzo di sistemare il cavalletto. Un po’ irritato, Alex interruppe ciò che stava facendo e si voltò.
Mio fratello era un essere gracilino, esile, eppure pareva un armadio in confronto a Kevin. Tra l’altro quell’essere che conoscevo da quando eravamo piccoli, che amico non era ma conoscente nemmeno, era alto quasi uno e ottanta. Precisamente uno e settantanove (letto, sulle note dell’annuario dell’anno precedente).
Perciò mio fratello doveva arrivare quasi al metro e novanta…
Vidi Kevin dirgli qualcosa e poi Alex fare un cenno all’altro fotografo, che ora gli stava dando il cambio.
Li vidi intenti a parlare e poi Kevin che lo precedeva prima di avvicinarsi all’uscita. La stavo scampando, per fortuna l’avrei evitato. Da lontano vidi Alex fermarsi di scatto e cominciare a gesticolare, chissà di che stavano parlando…
Mark Bahlmer finì le sue tre fotografie (tre perchè se una non andava bene, ne avrebbero scelta un’altra) e un altro membro dell’equipe stava per pronunciare ad alta voce lo studente successivo, cioè io. Ma Alex era ancora impalato sulla porta e la voce del suo collega l’avrebbe sentita sicuramente.
Tutto il piano stava andando in fumo. No, non potevo, volevo, dovevo farmi vedere da mio fratello.
“Bai…”
“Sono io!” Avanzai precipitosamente verso il centro del palco.
Peccato che non feci bene i conti: se non volevo catturare l’attenzione di Alex con il mio nome propagato per tutta l’aula magna, l’avevo fatto con quel mezzo urletto.
“È lei Bailey Amber?”
Sì, purtroppo.
Annuii.
Dal centro della stanza vedevo bene tutta l’ampissima aula, quindi anche Kevin che inutilmente provava a distrarre mio fratello con i suoi discorsi. Inevitabilmente Alex si era voltato e mi aveva notata. E tanto prima o poi, avrei dovuto riaffrontarlo. Meglio prima che poi, a questo punto. Comunque era fin troppo lontano, non poteva fermarmi per parlare.
Non provai nemmeno a mostrare chissà quale sorriso nelle tre fotografie che mi spettavano. Mi limitai a guardare l’obiettivo, come se di fronte a me avessi Alex.
Non lo sopportavo proprio, odiavo l’idea di dover dividere mia madre con qualcun altro. Per di più era antipatico e repellente.
Osservai dritta l’occhio dell’obiettivo incazzata nera, come d’altronde, lo ero da due settimane a quella parte.
 
 
Quando avevo finito il servizio mi ero avviata verso un’altra uscita rispetto a quella dove erano Alex e Kevin. Direzione: fuori dalla scuola. Avrei dovuto firmare il registro in bacheca per aver completato le mie fotografie, ma era così poco importante…
Mi era dispiaciuto non ringraziare Kevin, in fondo lui aveva fatto del suo meglio per evitarmi ciò che proprio non volevo, ovvero incontrarmi con mio fratello. Anzi, sarebbe meglio dire scontrarmi…
Tanto, non ci sarebbe stato nessun chiarimento pacifico in nessun nostro secondo incontro. Se mai ce ne fosse stato uno…
In ogni caso, per una volta che Kevin aveva fatto qualcosa di buono, non aveva ricevuto la benché minima gratitudine e di questo mi sentivo in colpa.
Sbattei forte la porta e scesi le scale del cortile come una furia. Improvvisamente mi sentivo bene.
Respirare a pieni polmoni l’aria esterna a quello che c’era in quella scuola, tipo la professoressa, Hailey, Alex, l’annuario, a giorni alterni anche Kevin, beh mi faceva sentire come uscita da una bolla che racchiudeva quelle due settimane. Finalmente un po’ di pace dopo che avevo annaspato tra mille casini che giorno per giorno ne causavano altri.
Chiusi gli occhi e continuai a respirare. Poi li riaprii.
Cazzo, dovevo avere un po’ di fegato per rientrare in quella bolla e risolvere i problemi che, purtroppo, non si sarebbero mai risolti da soli.
Uno alla volta.
Innanzitutto avevo lasciato Sarah in un modo pietoso dopo quella telefonata che non era finita per niente bene. Lei poi sarebbe partita e non avevo nessuna intenzione di rimanerci in lite per tutto quel tempo. Non potevo stare senza di lei, l’unica che aveva sopportato il peso di tutte le confessioni, che tra l’altro riguardavano sempre tutti i miei problemi. Gira che ti rigira, il punto focale era sempre quello.
Per cui decisi di andarla a trovare a casa sua.
Rispose Scarlett e dopo un primo momento di scetticismo, mi aprì.
Arrivata al portone, lo spalancò prima che suonassi il campanello.
“Ma tu non dovresti essere a scuola?” Esordì.
“Dovrei.” Risposi incapace di trovare delle scuse plausibili. Per quanto fossimo in confidenza, non era lei la mia migliore amica a cui raccontavo tutto.
“Capito. Sarah è in camera sua, sta finendo di preparare la valigia.” Mi disse sorridente.
“Le vado a dare una mano, allora.”
Bussai alla sua porta prima di entrare.
“Mamma, da quando bussi?”
Ma quando mi affacciai vide che non ero Scarlett.
“Sono io.” Le sorrisi.
“Mi era sembrato di sentire il citofono, infatti.” Rispose fredda.
Bando ai convenevoli e dritti al dunque. “Sarah… mi dispiace tanto.”
“E perché? In fondo hai detto la verità.”
“Sì, ma sai bene che non l’ho fatto apposta.”
“Amber, ti ho sempre detto che secondo me…”
“…dovrei ragionare prima di parlare di getto, lo so.”
Quanto odiavo sentirmi dire quella frase. Non potevo dare torto a chi la diceva, ma la odiavo comunque e non sempre l’accettavo. In quel caso però, non era il caso di rinfacciarlo a Sarah.
Le scopate dopo le canne sono sempre le migliori. Ma come te ne esci?!” Ripeté la mia stessa frase prima di scoppiare a ridere. “A volte credo che tu e mia madre passiate troppo tempo insieme… Vieni qui.” La abbracciai.
“Scusami.” Le dissi seriamente dispiaciuta.
“Tranquilla, sono più irritabile del solito perché credo mi stia arrivando il ciclo.”
Impossibile: a lei arrivava sempre qualche giorno dopo il mio e quello non era il mio periodo. Però apprezzai che come sempre divideva la colpa a metà e come sempre, mi sentivo in colpa perché glielo permettevo quando il più delle volte la colpa era solo mia.
 
 
Arrivai a casa per l’ora di pranzo.
“Amber!” Mia madre si precipitò in corridoio. In effetti, non era ora del rientro. “Che ci fai qui?”
“Sono uscita prima da scuola, mancava un professore.” Mentii.
“Non ne sapevo nulla, ti avrei aspettata per mangiare.”
“Non ti preoccupare, non ho fame.”
“Devi mangiare qualcosa. Che ti preparo?”
“Non voglio nulla.”
“Ma solo…”
Sospirai. O era troppo apprensiva o come sempre si sentiva in colpa.
“Magari mangio un po’ di frutta più tardi, d’accordo?”
Annuì.
Mi diressi verso il mobiletto del telefono alla ricerca dell’elenco su cui scovare l’indirizzo di Hailey. “Ah, vado a studiare da un’amica.” Urlai mentre cercavo l’etichetta del librone che faceva al caso mio.
“A che ora?” Chiese mia madre riaffacciandosi in corridoio.
“Per le quattro.”
“Bibi…” Ancora con quell’odioso nomignolo! “… ha chiamato tuo padre, questa sera vorrebbe portarti fuori a cena. Quindi… cerca di non fare tardi dalla tua amica.”
“Va bene.” Rimasi un po’ scossa.
Papà.
L’avevo visto il giorno prima, quando mi aveva accompagnato in ospedale, ma non avevamo avuto modo di parlare, né della festa né di altro. E prima di quella domenica erano almeno quattro giorni che non lo sentivo. In ogni caso, era ora di affrontare qualsiasi discorso rimandato da troppi giorni.
Finii la mia ricerca e poi mi cimentai nel trovare l’indirizzo. Non fu neanche troppo difficile. Lo appuntai su un post-it lì vicino e andai a preparare la borsa. Sapevo che i libri li avevo dimenticati a scuola, nell’armadietto, ma si presupponeva che il genio della chimica ne avesse una copia. Avrei studiato sui suoi.
“Amber, posso parlarti?”
Non avevo sentito mia madre salire le scale ed affacciarsi in camera. Comunque annuii ed entrò.
“Tesoro, ormai sono passate due settimane da quando tuo padre… insomma, è inutile girarci intorno… da quando tuo padre è andato via di casa. Prima il suo lavoro bastava per tutti noi, adesso che non è più qui e che i soldi che passa per gli alimenti li inserisce direttamente sul tuo conto postale, dovrò far fruttare la mia laurea.”
Ah, sì è vero! Lei era stata pure al college. Era lì che aveva aperto porte e portoni un po’ a tutti. O meglio, a quanto sapevo io, solo ad un altro che non fosse mio padre. Ma certo, non potevo sapere se il padre di Alex era stato l’unico privilegiato.
“Quindi? Non so perché, ma ho l’intenzione che vuoi incolpare papà di qualche sua azione.”
“N-no, non voglio incolparlo.” Vacillava. Che perfida! Non avevo mai conosciuto il lato menefreghista di mia madre, a parte quello di fregarsene del primo figlio, ma parlare in modo così palese di ciò che non gli andava giù di papà , mi faceva montare una rabbia. Era mio padre l’unico a rivendicare il diritto di essere deluso e incazzato nero, non lei perché lui non le passava i soldi!
“Comunque ho intenzione di cercare un lavoro. In realtà lo sto già facendo da una settimana a questa parte, ma tu eri ancora molto scossa, molto arrabbiata con me…”
“Lo sono anche ora, mamma.”
“Sì, ma la settimana scorsa ti ho visto anche molto indaffarata, poi sabato sei stata impegnata fino a notte fonda, ieri sappiamo che giornata difficile sia stata… Però prima o poi dovevamo affrontare l’argomento.”
“Certo.”
“Ho già fatto delle ricerche. Nei prossimi giorni avrò tre colloqui: uno per uno studio di geometri che si occupano della progettazione di fognature, uno con una ditta edile e un altro con un’impresa dove collaborano architetti e ingegneri specializzati in diversi campi. Nel caso in cui dovessero andare male, mi impegnerò con tutte le mie forze per trovare un impiego che mi è sempre piaciuto fare ma che non ho mai avuto la necessità di portare avanti.”
“In questo sbagli mamma: lo so perfino io che non lavoro che se ti piace fare qualcosa nella vita, necessità o meno, stipendio o no, lo porti avanti con il sorriso dipinto sulle labbra, giorno dopo giorno. Se ti fosse piaciuto fare l’architetto, l’avresti fatto anche se non era indispensabile per la nostra famiglia.”
“Avrei voluto, ma tu eri piccola, qualcuno doveva crescerti.”
“Già, infatti guarda come sono venuta su: scontrosa e indisponente. Fatti due domande.” Mi alzai in piedi, decisa a non ascoltarla più.
“Non ti permetto!” Mi afferrò il polso.
“No, sono io che non te lo permetto, mamma: se mi dici che ti faceva comodo restare a casa a poltrire tutta la giornata, ci sto e da te lo capisco pure, anche se non sono dello stesso parere. Ma se cerchi di trovare una giustificazione al non aver lavorato per diciannove anni e oltre e aver lasciato tutte quelle responsabilità sulle spalle di papà, beh non ho intenzione di vivere sono il tuo stesso tetto.”
“Cosa stai dicendo?”
“Sto dicendo che se un giorni torni dal lavoro e non mi trovi a casa, non venirmi a cercare.” Era rimasta pietrificata. “Non posso crederci!” Sbottai. “Finché ti ha fatto comodo tu eri la perfetta donna di casa, apprezzata dal marito, quella che non aveva bisogno di altro.”
“Infatti, non avevo bisogno di alcun lavoro. Tuo padre non mi ha mai fatto mancare nulla.”
“Certo. So bene com’è papà! Ma nessuno ti ha impedito di portare avanti questa tua improvvisa passione per l’architettura. Papà non è certo il tipo che ti segrega dentro quattro mura. E tu non hai mai accennato al fatto che ti piacesse progettare, disegnare… Non ti ho mai visto interessata alla costruzione di un palazzo, non hai mai comprato abbonamenti alle riviste di costruzioni. Tutte cose che un perfetto architetto evita accuratamente, non fa una piega.” Suonai volontariamente ironica. “Quanto meno abbi la dignità di ammettere le tue colpe!”
“Non sei un po’ troppo ingiusta con me?” Aveva il tono risentito, pure!
“Ingiusta?” La apostrofai. “Non mi sarei arrabbiata con te se solo tu non ti fossi comportata da ipocrita!”
 
 
Fortunatamente avevo preparato la borsa prima di scornarmi con mia madre!
Avevo avuto giusto il tempo di afferrarla e uscire al volo di casa. Cominciai a correre e allontanarmi dalle strade della parte residenziale della nostra cittadina. Era ancora troppo presto per l’appuntamento con Hailey, l’unica cosa da fare era tornare a scuola. Di partecipare alle lezioni che mi mancavano, non se ne parlava. Avrei recuperato i libri e se l’avessi incontrato, avrei anche ringraziato Kevin per non avermi tradito. Non si era mai comportato così con me. Anzi, ripensandoci, una volta l’aveva fatto. Era successo prima che gli confessassi la mia cotta. Spesso noi giocavamo insieme, anche con altri suoi amici, e molte volte sua madre ci aveva invitato per la merenda. Kevin aveva un cane, Pablo, un Golden Retriever dal pelo lungo ma curato, che amava giocare con noi e noi con lui. Io non avevo mai avuto un cane e per me giocare voleva dire anche ‘nascondergli le cose’. Così una volta presi la sua ciotola e versai tutto il contenuto tra le aiuole. Pablo aveva un fiuto eccezionale per cui trovò i croccantini uno per uno. Nel farlo però, calpestò e sradicò tutte le piantine dei fiori. Non fu tanto la madre di Kevin ad arrabbiarsi, quanto il padre. E Kevin non disse mai che era stata colpa mia.
Improvvisamente mi sentii in debito perché lui mi aveva protetto quando eravamo piccoli, anche se era un fatto di poca importanza, e aveva cercato di evitarmi una scocciatura da grandi. In confronto io non avevo mai fatto niente per lui, neanche portargli una stupida relazione. Come potevo allora ringraziarlo e sdebitarmi almeno per il fatto di Alex?
Ormai ero quasi arrivata a scuola e non mi era venuto in mente niente.
Di cosa aveva bisogno lui in questo momento?
Amber, spremi le meningi cavolo!
Ma certo! Mi balenò in mente che lui in quel periodo non solo non aveva più un cane, morto ormai da tanti anni, ma neanche più due genitori. Quando stavamo fuori il negozio degli abiti da lavoro, giorno che adesso mi sembrava lontano anni luce, io gli avevo parlato di Alex e lui del fatto che dovesse lavorare per mantenersi. Solo adesso mi chiedevo come facesse a studiare, a partecipare alle lezioni, a pagarsi l’affitto di un monolocale con tutte le bollette, le tasse, il suo sostentamento. Ricordai anche di avergli detto che lo avrei ospitato se solo non fosse stato un periodo invaso di problemi. Quindi alla fine gli avevo fatto una proposta negata subito dopo dalla stessa sottoscritta. Che stronza, che ero!
Però ero certa che potevo fare qualcosa per lui, per la sua situazione. Se solo avessi saputo cosa…
Arrivata nel cortile della Camden High School, risalii le scale ed entrai, diretta al mio armadietto. Quando lo richiusi…
“Ciao.”
… per poco non mi venne un colpo!
Alex! Con un finto sorriso stampato sulle labbra.
“Che ci fai qui?” Chiesi evitando di salutarlo.
“Davvero non lo sai? Eppure mi pare di averti vista prima, in aula magna.” Continuava ad avere quel sorriso beffardo che mi mandava ai nervi e usava un comportamento con me come se mi conoscesse da sempre.
“Forse ti sei sbagliato.” Sbattei per incastrare la serratura dello sportello dell’armadietto e lo sorpassai.
“Ehi, aspetta.” Mi fece fermare afferrandomi leggermente per il polso.
“Cosa vuoi?” Chiesi scocciata.
“Sapere perché ce l’hai tanto con me?”
Mi sembrava un po’ maleducato rispondergli ‘perché vorrei che non esistessi’ e d’altronde non era colpa sua se era nato.
“Ti sbagli, non ce l’ho con te.”
“E allora mi spieghi perché mi rivolgi quello sguardo truce?”
“Io non ti devo nessuna spiegazione.” Mi liberai il polso con facilità e scappai, per la seconda volta in quella giornata, da quel posto.
 
Mancavano quasi due ore all’appuntamento con Hailey. Improvvisamente mi era venuta voglia di vedere l’oceano, sedermi sulla sabbia a sentire il calore di un debole sole di fine novembre sulla pelle. Vedere tra le onde i patiti di surf, ostinati a cavalcarle anche con l’acqua più fredda del solito. Ma avrei sicuramente impiegato più di due ore tra andata e ritorno, per cui mi limitai a sedermi sulla panchina dove ero già stata quel giorno, dopo la telefonata con Sarah, per leggere il libro di filosofia che tenevo sempre in borsa nella speranza di poterlo finire prima o poi. Si trattava di un riassunto dei presofisti, tutti i filosofi naturalisti del periodo cosmologico. Era stato assegnato all’inizio dell’anno e il magnanimo professore ci aveva lasciato ben tre mesi di tempo per completarlo, esattamente fino a prima delle vacanze di Natale. Non era programma dell’ultimo anno, assolutamente, ma lui era molto innamorato di questo libro. Motivo: ne era l’autore.
Un’ora e mezza dopo avevo letto solo tre pagine e formulato definizioni a me più comprensibili per quando avrei ripassato quegli argomenti. Intanto erano già usciti parecchi fiotti di studenti ma tra questi non avevo visto Kevin. L’avrei cercato nei giorni successivi per ringraziarlo. Anche se mancava circa mezz’ora all’appuntamento mi avviai verso l’indirizzo della casa di Hailey. Conoscevo la via, per cui sarei arrivata comunque con qualche minuto di anticipo dall’appuntamento, ma Eraclito mi aveva emeritamente rotto le palle. Come volevasi dimostrare, alle quattro meno dieci ero di fronte quella che doveva essere casa sua. Il vialetto in mattoncini, costeggiato ai lati da un fitto prato inglese e qualche sporadico cespuglio di ortensie, conduceva ad una casa a due piani, rivestita di cortina rossa e rifiniture bianche. La veranda non era molto grande, c’era spazio solo per qualche pianta dalle foglie di un verde acceso. Non poteva non essere quella: il civico, scritto accanto alla porta, corrispondeva. Mentre attraversai il vialetto una folata di vento, come non ne sentivo dall’anno prima, mi sferzò il viso da destra. Quando mi voltai vidi un platano perdere molte delle sue foglie già secche e marroni.
Anche a Portland allora, stava arrivando l’inverno.
Avevo sempre odiato la stagione gelida di dicembre, troppo abituata al caldo afoso che avevamo per tre quarti dell’anno.
Potevo anche dire addio ai miei progetti di godere il debole sole di fine novembre in riva all’oceano.
Arrivata davanti il portone, suonai il campanello. Dopo qualche secondo Hailey si affacciò sulla porta.
“Ciao.” Mi salutò e io feci lo stesso. Mi fece entrare e dopo i convenevoli, la seguii al piano superiore in camera sua. Dal poco che avevo visto di quella casa tutta in ordine, mi chiedevo come potesse abitarci una come lei, che apparentemente sembrava una scazzata di prima categoria ma che invece era una piccola chimica dal futuro già deciso. Si presupponeva che anche io dovessi avere un futuro deciso dato che avevo fatto domanda per il college già da ottobre, ma ancora non avevo le idee chiare sulla facoltà. Sì, è vero, il mio sogno ero quello di fare la drammaturga, ma a parte il teatro della chiesa, non avevo molto esperienze sul campo e un futuro nel teatro rimaneva solo un’utopia.
Quando Hailey spalancò la porta della sua stanza, rimasi ancora più sbalordita: la camera era piuttosto figa. L’intera parete di fronte a me era costituita da una serie di finestre, una accostata all’altra, che illuminava tutta la stanza. Le tinte delle pareti erano chiare tranne quella dove era addossato il letto, la parete di destra, con uno sfondo interamente dipinto di un grigio fumo. Il letto era decisamente fuori dal suo stile da dura: uno di quelli in shabby chic con affianco un comodino abbinato. Le coperte color prugna invece ricordavano l’animo tetro della padrona di quella stanza. Più che tetro, schivo. Tra la parete ed il comodino c’era invece una piantana di carta che rendeva soffusa la luce di quell’angolo. Non era del tutto sua la scelta di quell’arredamento: no, affatto.
La parete opposta al letto era occupata da un’imponente armadio dalle ante scure e al centro della stanza un grosso tavolo ricoperto di libri e incasinato di fogli sopra un peloso tappeto bianco. Intorno, quattro alti sgabelli.
Alla parete della porta invece c’era una spaziosissima libreria in legno scuro, fatta a quadrettoni e stipata di libri. Alcune scaffalature erano invece allestite con cornici e candele che rilasciavano un profumo di vaniglia nella stanza. Mi sarei fatta volentieri cullare dalla tranquillità di quella luce soffusa, o di quei profumi, ma eravamo lì per studiare e prima avrei finito, prima potevo veramente riposare nel mio lettuccio caldo. Sempre dopo la cena con mio padre, ovvio.
Per fare posto, Hailey prese un fascio di libri dal tavolo e lo poggiò sul letto, poi dalla libreria altri fascicoli di chimica e biologia che riconoscevo dalle copertine, e li portò sulla scrivania. Si sedette, ancora prima che mi invitasse a fare lo stesso. Così, senza troppi scrupoli, scelsi uno sgabello da sola. Cominciavamo mooolto male.
Mi stava pure venendo fame e quel suo atteggiamento indisponente e da ‘so tutto io’ mi aveva fatto passare del tutto la voglia di studiare.
“Bene, io direi di cominciare con gli elementi basilari di biologia.”
“La F l’ho presa in chimica.” Le ricordai.
“Non importa, conoscendo la professoressa, penserà che per recuperare il voto ti dedicherai solo alla materia in cui sei andata male, quindi per metterti alla prova e per non sfigurare davanti al resto della classe, ti interrogherà più su biologia così ti dimostrerà che lei ha sempre ragione e che tu non riesci a studiare. Come ha detto oggi a lezione.”
C’era qualcosa che non capivo: tralasciando il fatto che non era comprensibile se lei fosse dalla parte della professoressa o dalla mia, mi stava aiutando a poter prendere il massimo. Secondo la sua teoria, che, per quanto ne sapevo io, poteva anche essere un’enorme fregatura, la professoressa aveva intenzione di pubblicizzare alla classe quanto io non valessi nulla ed Hailey invece mi avrebbe aiutata a dimostrare il contrario. Perché?
“Perché lo stai facendo?”
“Mi sembra chiaro: tu non recuperi adeguatamente, a me viene abbassata la media.”
“No.” Protestai, ancora più confusa. “La professoressa non avrebbe motivo di cercare di sputtanarmi e poi dare la colpa a te. Non avrebbe chiesto il tuo aiuto. Tu sei una delle sue carte vincenti, non avrebbe senso farti perdere punti.”
“Vorrà dire che mi dovrai un favore.” Concluse alzando le spalle.
O ero tanto fortunata da essere graziata da una persona che sembrava mi detestasse a pelle, o c’era uno motivo non del tutto comprensibile per il quale mi aiutava.
Iniziammo quindi con il programma di biologia in cui mi sentivo piuttosto ferrata, a parte gli ultimi argomenti nei quali avevo visibilmente perso l’interesse per la materia.
Hailey si limitò allo stretto indispensabile, cioè a spiegarmi gli argomenti che, io già sapendoli a grandi linee, seguiva quasi sempre con facilità mentre glieli ripetevo, a parte alcune piccole minuzie che aggiungeva ai miei discorsi e che io annotavo sui miei appunti. Non era stata scorbutica con me, trattandomi come una povera incapace, né cordiale come una perfetta compagna di studi. Diciamo che rispetto a quella terza ora di lezione avuta quello stesso giorno in laboratorio, era una persona sicuramente meno altezzosa.
“Facciamo una pausa.” Annunciò Hailey esausta più o meno quanto me dopo due intense ore a ripetere, ascoltare, interrogarmi e ripetere, ascoltare, interrogarmi.
Al sentire quella parole, il mio stomaco si ricordò che non toccavo cibo da quella mattina a colazione. Ottimo momento per rendersene conto.
Hailey sorrise ma senza mettermi in imbarazzo.
“Ti dispiace se uso il bagno?” Chiesi.
“Fai pure. Sul pianerottolo, a sinistra. Intanto vado a prendere qualcosa da mangiare.”
Tornai in camera prima del suo arrivo. Sarei scesa a darle una mano se solo mi avesse fatto fare un giro della casa e ora avessi saputo dov’era la cucina. Decisi quindi di aspettarla senza prendere strane iniziative.
Cosa che ovviamente non rispettai quando notai che sotto la pila di un altro mucchio di libri che si trovava sul tavolo, sporgeva un depliant con su scritto ‘…iversity’. Lo estrassi con un po’ di difficoltà per via del peso dei libri sopra: si trattava della Providence University. Sicuramente non uno dei più esclusivi del nostro paese, ma comunque un buon college. L’opuscolo illustrava tutte le facoltà principali, le materie e a quali mestieri avrebbero indirizzato una volta presa la laurea.
Con la coda dell’occhio scorsi una sagoma materializzarsi sulla porta. Mi girai di scatto e vidi Hailey con un vassoio in mano.
Feci un cenno all’opuscolo. “Hai già deciso?”
“Sì.” Disse piuttosto sicura avvicinandosi al tavolo. “Ho scelto medicina, alla Providence.”
Continuò mentre apriva il sacchetto di biscotti e quello di patatine.
“Medicina? Impegnativo…” Constatai.
“Sì, molto. Ma mi piace.” La vidi aprirsi in un sorriso, sembrava come se volesse parlare ancora dell’argomento per cui le diedi corda. Se non altro, avremmo dovuto passare altri pomeriggi insieme, per cui era meglio distendere le tensioni. “Dolce o salato?” Mi chiese indicando entrambi i sacchetti.
La confezione dei biscotti mostrava uno strato di cioccolato! Sicuramente…
“… dolce. Come mai hai scelto medicina?”
“Voglio fare la ricercatrice… per trovare una cura al cancro.” Concluse soddisfatta.
“Una bella ambizione. Perché ti vuoi occupare proprio di oncologia?” E qui qualcuno mi avrebbe dovuto far strozzare con il cookie che avevo appena addentato o quanto meno mi avrebbe dovuta informare che fin dove sei sicuro di poter tastare il terreno, vai senza problemi, ma non addentrarti in un campo minato.
“Mia madre è morta quattro anni fa di cancro al cervello.”
In quel momento mi sentii in completo imbarazzo. Potevo averle riaperto un dolore infinito perché perdere un genitore non deve essere mai facile per nessuno. E dire ‘mi dispiace’ è sempre troppo banale anche se a volte opportuno e necessario.
“… Mi dispiace.”
“Ormai è passato. Sono riuscita a superarlo proprio perché ho deciso di trovare una cura. Sarò una dei primi ricercatori nel mondo che scoverà le cure efficienti per sconfiggere definitivamente ogni tipo di tumore.” Da come aveva ricominciato a parlarne era sicura di quello che diceva, convinta di poter riuscire veramente a distruggere il male dei mali. E glielo auguravo con tutto il cuore, perché una simile ambizione poteva solo farle onore.
“Tu, invece, che hai scelto?”
“Eh, bella domanda. Non ho ancora scelto. Cioè mi sono iscritta a Berkeley, ma non c’è ancora nessuna facoltà definita.”
“Avrai un sogno che custodisci fin da bambina, no?!”
“Sì, fare la drammaturga. Ma non c’è una facoltà che ti insegni ad essere un bravo regista e scrittore di opere teatrali.”
“Beh, puoi sempre scegliere un campo che non abbia nulla a che fare con il teatro e poi portare avanti questa passione separatamente. In giro ci sono veramente tante persone che amano il teatro. Con gli incontri giusti, riusciresti a crearti una compagnia che di volta in volta potrebbe portare in scena dei meravigliosi spettacoli scritti e messi a punto da te.”
“Resta solo il sogno di una bambina.”
“Amber, per quanto io creda che tu sia profondamente pessimista, posso dirti che nella vita devi imparare a rimboccarti le maniche perché non c’è sempre qualcuno alle tue spalle pronto a proteggerti, né una manna che dal cielo ti arriva al momento giusto. Spesso devi farti la pelle da sola e se ci metti davvero spirito di volontà riesci in qualsiasi cosa.”
Assurdo: io avevo detto grosso modo le stesse parole a mia madre, l’avevo rimproverata di non aver trovato un lavoro perché non l’aveva cercato. E ora ero io quella che si lamentava per non riuscire a portare avanti il suo desiderio più grande.
Aveva ragione lei e mi sorpresi a dover ammettere che per la seconda volta nella giornata a spronarmi e darmi fiducia erano state persone con cui il primo impatto era stato terribile: prima Kevin e adesso Hailey.
 
 
_________________________________________
 
 
Beeeeella!
Comincio col dire che la cena con padre-figlia verrà rimandata al prossimo capitolo: avevo troppa voglia di postare questo e poi mi sembra abbastanza lungo che forse un altro argomento avrebbe reso troppo la noiosa la lettura.
Scorrendo tra i capitoli già pubblicati ho letto una delle mie tante gaffe: quando nell’ottavo capitolo Sarah ordina un drink, volevo scrivere Long Island, non Rhode Island. Inutile dire che Word ha usato l’autocorrezione perché sarebbe una cavolata.
Sono io che necessito sempre di più di amplifon: di solito quando vado in discoteca evito di bere, ma l’unica volta che ho preso qualcosa, chi mi ha accompagnato ha preso ’sto Long Island e quando urgevo di un nome per un drink, ripescando nella memoria ero ferrata su ‘island’ ma la parola prima evidentemente mi era sfuggita. Nel tempo poi non sono riuscita a ripassare i nomi, perché come ho detto, non bevo spessissimo. Per cui, mi scuso dell’errore.
Per quanto riguarda il capitolo…
Bentornato Kevin!
Avevo promesso che presto sarebbe tornato con i suoi sbalzi d’umore e la sua imprevedibilità. Penso che in questo capitolo abbia dato il meglio di sé mettendo sempre più in confusione la povera e già stressata Amber.
È rispuntato Alex!
Eh sì, ogni tanto torna anche materialmente e non solo fra i mille pensieri della nostra protagonista.
Finalmente un’altra scornata con sua madre, purtroppo quelle sono inevitabili. A proposito di questa: fossi stata Jane non avrei assolutamente privato Amber di uno schiaffo, ma fossi stata Jane non avrei neanche abbandonato un figlio. Quindi se anche Amber sa di prendersi certe libertà e rispondere in modo inappropriato alla madre, sa anche che non può essere biasimata perché in fondo lei sta solo difendendo suo padre Jim che, dopo tanti anni di matrimonio, viene attaccato ingiustamente. E questo Amber non può proprio accettarlo perché in quella situazione era l’unico che aveva più diritto ad arrabbiarsi. Alla fine, privare la moglie di quei soldi, è più che comprensibile. In ogni caso li passa sul conto diretto della figlia, quindi.
New entry: Hailey.
Allora? Su, su commenti! Voglio proprio sapere cosa ne pensate di tuuuuutto il capitolo e in particolare del ritorno di Kevin. Dai, su, cosa vi costa lasciare un piccolo commentino del tipo ‘datti all’ippica!’ o ‘preferiamo questo piuttosto che quest’altro?’ o ‘storia carina, continua così’?!
Ringrazio comunque tutte quelle lettrici che leggono silenziosamente, quelle che recensiscono (anche se sono poche hanno la mia completa gratitudine :D), quelle che ogni tanto inseriscono la storia tra le seguite e quelle che da tempo l’hanno collocata stabilmente nelle preferite.
Grazie di cuore!
M.
 
 
PS. Ho sentito il bisogno di citare la filosofia per il quasi otto preso all’interrogazione di ieeeeeeriiii!
PPS. Mi scuso per il testo così lungo e per le note che non sono da meno xD


 
  
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