Era buio.
Non vi era altra percezione al di fuori di questa.
Niente suoni, niente luci, niente odori… Nulla.
Non ricordava se c’era stato qualcosa, prima di quello. A dir la verità non ricordava niente, neanche il suo nome, o la natura del proprio essere.
Pensava, questo si. Ed era consapevole di farlo.
Cominciò a credere di essere morto, e che quello fosse l’inferno.
In effetti, cosa può esserci di peggio, per un essere senziente, del Nulla più assoluto?
Era fuori dal tempo, fuori dal mondo (se ancora ne esisteva uno), non aveva un Ieri, e neanche un Domani.
Per Lui secondi, mesi o anni avevano la stessa durata. In altre parole, non esistevano.
Fin quando, da un luogo lontano, in un momento imprecisato di quel nulla, un suono arrivò.
Fioco, ovattato, incomprensibile, ma indiscutibilmente un suono.
Da quel momento le cose cambiarono.
Nella sua vita (se pure vita poteva chiamarsi quella), c’era qualcosa.
Qualcosa da attendere. Qualcosa da volere. Qualcosa per cui andare avanti.
Ogni volta che il suono arrivava, nella sua mente colma di oblio, Lui si protendeva per cercare di afferrarlo, farlo suo, dargli un senso. Di conseguenza, cominciò a ricordare.
Ricordò che non era sempre stato così, che la fuori c’era altro… suoni, parole, gesti, colori, mare cielo e terra.
Il mondo. La vita.
Si ricordò di se stesso. Che era un uomo, che aveva un corpo.
E, mano a mano, che questi frammenti di vita riemergevano nella sua incoscienza, una finestra si apriva, portando brani di luce in quel vuoto buio.
Cominciò a comprendere la natura di quel suono che l’aveva riportato indietro, era una voce. La voce di un altro essere umano. Una donna. Riuscì addirittura a comprenderne le parole, i discorsi.
Gli parlava della morte di una persona cara. E anche Lui si ricordò di aver perso i suoi familiari.
Lei è come me, pensò, non gli è rimasto nessuno.
Cercò di reagire, di rispondere alla ragazza, ma il suo corpo ancora non gli apparteneva. Tutto ciò che ottenne fu di muovere un dito.
Non si arrese. Adesso aveva una ragione per tornare a vivere.
Lottò e lottò. Fin quando, un pomeriggio, mentre Lei leggeva con passione alcuni versi di Ariosto, aprì gli occhi e parlò.
- Mi chiamo Alessandro, qual è il nome dell’angelo che mi ha salvato? -
Dopo qualche attimo di attonito silenzio, lei sorrise e posando il libro sulle ginocchia rispose.
- Mi chiamo Daniela, e ti stavo aspettando. -