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Autore: NevillePupp    16/11/2013    0 recensioni
Una storia su come potrebbe essersi svolto il matrimonio di Augusta Paciock, divisa in tre capitoli.
"Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei vestita in questo modo. Tutti questi fronzoli, ricami e merletti, ma chi me lo ha fatto fare?
Questa era ciò che pensava Augusta Paciock, in quella mattina estiva serena e soleggiata, ripetendoselo ogni minuto che passava.
Sfido a darle torto, chiunque avesse avuto il suo carattere si sarebbe trovato nell’imbarazzo nel vedersi vestito in quella maniera, fin troppo vistosa per i suoi gusti."
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Augusta Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Tutto sommato, non è un brutto ricordo, o almeno credo…
Si accorse che il tempo era passato molto più velocemente di quanto avesse sperato. Era stata talmente assorta nei suoi ricordi, da non aver fatto caso che ormai mancavano dieci minuti scarsi all’inizio della cerimonia.
In quel momento Dalia, sua madre, entrò nella stanza e si diresse verso di lei con un cofanetto di legno, il quale conteneva la spilla per capelli, la quale era stata indossata dalla nonna di Augusta al suo matrimonio, e da Dalia il giorno del suo. Era una farfalla d’oro, con le ali colorate di rosso e arancione.
<< Mamma, non posso indossare quella! >> protestò lei debolmente, sapendo quanto sua madre fosse affezionata a quell’oggetto raffinato e prezioso.
Sua madre la ignorò e la sistemo con cura tra i suoi capelli castani, pettinandoli in una crocchia da un lato, lasciando che una parte di essi scivolasse sulla sua spalla.
<< Sei splendida, Augusta… >> disse Dalia, gli occhi traboccanti di lacrime per la commozione.
<< Vorrei che tuo padre potesse vederti con la mia spilla. Sarebbe fiero di te, Hale gli piaceva tanto… e …e…>>
Non riuscì a continuare. La sua voce era rotta dal pianto per la gioia e per i ricordi permanenti e malinconici, ancora dolorosi dopo tanto tempo. C’erano sempre ferite che restavano aperte nel corso degli anni, che neanche lo scorrere del tempo poteva risanare.
Augusta non pianse, anche se il ricordo di suo padre fece vacillare la sua espressione fiera e forte. Si avvicinò alla madre e la abbracciò stretta con tutto l’affetto e la gratitudine, che provava verso di lei. Era lei che doveva ringraziare per essere diventata la donna fiera e forte che era: lei l’aveva cresciuta anche dopo la morte di suo padre, con una forza d’animo davvero notevole, che nessuno avrebbe mai immaginato potesse avere.
<< Lui sarà sempre orgoglioso di noi, mamma. Grazie di tutto quello che hai fatto per me, ti vorrò sempre bene. >>
Augusta sapeva di non aver dato alla voce il tono che voleva, ma sua madre capì lo stesso come si sentisse e cosa volesse dire. Non c’era bisogno di spiegazioni tra loro.
 Sorrise alla figlia e le accarezzò il viso con fare materno.
<< E’ ora di andare, piccola mia… >>
Era vero, stava per cominciare il giorno che avrebbe legato per sempre Hale, il suo Hale, a lei.
Si avviò verso la porta, con sua madre al fianco, e sparì oltre la soglia, diretta verso l’ingresso della chiesa. Al di là di quella porta, in fondo al corridoio, il suo futuro sposo la aspettava con trepidazione.
Le campane suonarono e lei capì che quello era il segnale che la invitava ad entrare. Fece un passo sul lungo tappeto rosso, che si protraeva fino all’altare, e cominciò a camminare nel mezzo, tra le due file di panche gremite di persone, tutte indaffarate a sporgere al testa per guardarla.
In fondo, vestito con un elegantissimo abito nero, con sotto una camicia bianca, Hale le stava sorridendo: non stava male con quel completo, con il fazzoletto color crema nel taschino e la spilla dorata all’altezza del petto.
Abbozzò un sorriso, che solo quell’elegante ragazzo potè vedere, inginocchiandosi accanto a lui sull’altare.
 
 
 
Le cerimonia si stava protraendo per troppo tempo, secondo i gusti di Augusta, la quale non vedeva l’ora che finisse. Tutti quegli occhi alle spalle sue e di Hale la mettevano a disagio.
Per suo fortuna, Hale era un uomo comprensivo e, al momento della fatidica domanda, le riportò l’attenzione sul prete, con un impercettibile movimento del braccio.
Non glielo avrebbe detto mai, probabilmente, ma gliene fu molto grata. Prima di rispondere, guardò Hale e sorrise, - era il loro matrimonio, per Godric! Poteva permetterselo! -, per poi guardare attentamente l’uomo che le stava di fronte.
<< Sì, lo voglio. >> rispose tranquilla, sentendo sia i mormorii, sia le esclamazioni eccitate, provocate dalla sua risposta. 
La stessa domanda fu fatta ad Hale e la stessa risposta fuoriuscì dalle sue labbra: << Sì, lo voglio. >>
Fu allora che grida festanti, fischi e risate scoppiarono in un attimo, stordendo all’istante la povera Augusta, non abituata a tanto chiasso e allegria. Infatti, sentì a malapena il prete dire che lo sposo poteva baciare la sposa, desiderando ardentemente di aver capito male: doveva proprio baciare il ragazzo pubblicamente?
Era decisamente più allettante l’idea di combattere da sola contro un intero gruppo di maghi oscuri.
Cercò aiuto negli occhi di Hale, ma lui era totalmente tranquillo, e le si era avvicinato, prendendola per i fianchi. Da quella distanza, potevano sentirsi solo loro due.
<< Se proprio devi, fa che sia rapido, Paciock! >> borbottò Augusta a labbra strette, con l’imbarazzo che le aveva imporporato le guance.
Il ragazzo rise e avvicinò il volto al suo viso, baciandola rapidamente, ma dolcemente, sulle labbra, soffermandocisi solo per un istante. Lentamente si allontanò dal suo viso, voltandosi verso la folla ancora più festosa e chiassosa, sorridendo a tutti i presenti.
Augusta, che non era fatta per quel genere di cose, - atti osceni in luogo pubblico, ecco cos’erano per lei -, sentì il sangue farsi più caldo e tingerle la pelle, facendo prendere il sopravvento all’imbarazzo. Camminò a capo chino tra la fila di panche, nascondendo lo sguardo fino a trovarsi al di fuori dell’edificio. Ovviamente, nessuno si aspettava di vederla sciolta e allegra come lo era l’uomo che le camminava di fianco.
In quel momento invidiava veramente Hale: se c’era qualcosa in cui lui era migliore di lei, era proprio il suo manifestare le emozioni con sincerità e tranquillità, a volte anche fin troppo ingenuamente.
Lui era ciò che la completava: era il tassello mancante del suo carattere. Ciò che lei non riusciva ad essere, lo era lui; e viceversa.
Non poteva desiderare di meglio, se non un uomo che l’apprezzasse per come era, pronto a sostenerla nei momenti difficili e tenerla allegra in qualunque momento con la sua simpatia. Voleva averlo al suo fianco per tutto il tempo che la vita avrebbe concesso loro. Avrebbe amato tutti i lati nascosti che lei stessa ignorava, e lei avrebbe amato i suoi. Sarebbero stati fedeli l’un l’altro per tutta la vita.
 
 
Quel giorno fu un susseguirsi di danze, giochi e cibo a non finire, talmente gioioso, che Augusta non credeva ne avrebbe vissuto un altro così.
Quando Hale la invitò galantemente a ballare, le sembrò comportarsi da vero uomo e cavaliere, guidando il ballo in modo tale da nascondere la goffaggine della ragazza, che proprio non riusciva a sopportare i tacchi.
Per fortuna, gli invitati erano numerosi e nessuno fece caso a loro nella confusione dei festeggiamenti. Rimasero a bordo pista a ballare lentamente, indisturbati e tranquilli, per poi filare via dalla folla festante, in modo da avere un po’ di privacy e tranquillità, da soli.
<< Paciock, non ti aspetterai mica altre sdolcinatezze da me, vero? >> lo aggredì Augusta, non appena misero piede nel salotto della casa di Hale.
Il povero ragazzo sussultò, preso alla sprovvista da quell’attacco improvviso.
<< Beh…credo che essere stati al centro dell’attenzione per tutto il tempo sia abbastanza anche per me, non credi? >> rispose lui, cadendo di peso sul divano, seduto.
La ragazza annuì e fisso un punto indeterminato al di fuori della finestra, dove le luci della festa si facevano più fievoli mano a mano che il tempo scorreva.
<< Credo che penseranno mia madre e i tuoi genitori a salutare gli invitati per noi…direi che ora possiamo andare a let- >>.
Si bloccò prima di finire la frase, come se la verità l’avesse colta di sorpresa, schiaffeggiandola duramente.
Erano soli. Loro due. Nella casa di Hale.
Il ragionamento era stato facile e rapido, abbastanza per permettere ad Augusta di assumere un colorito rosso accesso e un’espressione arrabbiata e imbronciata.
<< N-non ti a-aspetterai mica…che dormiamo insieme, vero, PACIOCK!? Non ti aspetterai quella cosa…come la chiamano i Babbani? Luna di miele? >>
Le parole le uscirono fuori di bocca come un ringhio, il quale fece intimidire il pacifico ragazzo, che si era rintanato sul bracciolo del divano, vedendo Augusta avanzare minacciosa, con il dito puntato verso di lui.
<< TE LO PUOI SCORDARE, CHIARO? >>, e senza aspettare risposta, filò via nella stanza degli ospiti di casa Paciock. I loro genitori avevano insistito nel lasciarli soli in una delle loro case, ma non avevano parlato di farli dormire insieme.
Dopo aver sbattuto con violenza la porta della stanza, Augusta cominciò a cambiarsi per la notte, chiedendosi il motivo di tanta agitazione.
Di cosa doveva avere paura? Lei stessa non lo sapeva.
Sentì la porta di fronte alla sua aprirsi, per poi chiudersi con un lieve rumore, indicando che Hale stava per coricarsi.
La ragazza si sedette sul letto, con le mani intrecciata sul grembo, a pensare ai momenti passati poco prima.
Era forse stata troppo dura con lui? Aveva esagerato nel reagire in maniera così violenta e intimidatoria?
Si morse un labbro, sapendo già in anticipo la risposta a quelle domande. Forse non avrebbe dovuto essere così spaventata, forse doveva solo fidarsi più di Hale. Lui era gentile e calmo, non l’avrebbe mai sfiorata senza il suo permesso.
Si alzò dal letto con uno scatto e si diresse verso la stanza del ragazzo, bussando con energia, decisa ad affrontare la sua paura.
Non passò molto prima che Hale le aprisse, e prima che potesse parlare, lei lo zittì con un dito.
<< Lasciami parlare, Hale >>, l’uso del nome era già un netto miglioramento per il temperamento di Augusta, << poco fa, ero spaventata…e ho reagito male, d’impulso. Ecco, quello che cerco di dire…è che magari possiamo fare un tentativo. >>
La voce era ferma, ma il suo corpo era scosso da un tremolio leggero. In fondo, le paure sono i nemici più difficili da sconfiggere.
Il ragazzo sfoggiò il suo sorriso più gentile e i spostò di lato, invitandola ad entrare.
<< Sono anni che ti conosco, mi aspettavo una reazione del genere. Ci sono abituato, ecco! >>, disse lui, facendo spallucce e ridendo allegramente.
Augusta parve leggermente più rilassata e entrò nella sua stanza, osservando il letto ampio e spazioso, abbastanza grande per due persone.
Hale chiuse la porta alle sue spalle e la fece accomodare su di esso, sedendosi di fianco a lei.
<< Va tutto bene, se vuoi metto una linea da non oltrepassare! >>, scherzò il ragazzo, capace di trovare l’umorismo in qualsiasi momento.
Quell’affermazione fece sorridere Augusta, che si voltò verso di lui.
<< Non serve, mi fido di te. >>
Detto ciò, entrambi si sdraiarono nel letto, con le palpebre pesanti per la stanchezza per la giornata intensa e piena di emozioni.
Lei gli permise di abbracciarla: dormire tra le sue braccia di certo non l’avrebbe uccisa, o almeno così sperava. Il cuore che batteva forte nel petto, tradiva la sua finta indifferenza.
Quando fu certa che Hale dormisse, gli sfiorò le labbra con le sue e osservò i suoi capelli assumere un riflesso argentato alla luce della luna, che filtrava attraverso la finestra. Si strinse più al suo petto, insinuandosi tra le sue braccia robuste.
Era più facile agire mentre non la osservava, ma la bocca di Hale era storta in un sorriso, quasi consapevole nel sonno di ciò che era accaduto.
  
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