~ a thousand {years}
more.
# illusione
«Ho combinato un disastro.»
Jack le fece
spazio sullo stesso appiglio di roccia in cima alla cascata dove – così le
aveva raccontato – l’aveva vista la prima volta, quando Hiccup
era arrivato in groppa alla sua storia triste, quando la Principessa Perduta
era ancora perduta per tutti. Non disse nulla, solo continuando a giocare con
una palla di neve che andava sciogliendosi nel caldo tramonto scozzese.
«Mia madre»
esordì Merida, incerta su come presentare la cosa
nella luce meno ridicola possibile. «Anche se non è più la regina reggente,
pensa che dobbiamo comunque consolidare le nostre alleanze con le altre
famiglie di nobili del Paese. Così...»
«Così il
matrimonio combinato è ancora valido» concluse Jack per lei, e Merida dovette soffocare un sospiro. Non era così semplice, accidenti. «Non devi averla
presa bene.» Impossibile definire il suo stato d’animo; sembrava divertito, ma
in qualche modo anche seccato.
«No, infatti»
si rassegnò a confermare. «Sono andata da una strega.»
Jack si voltò
per la prima volta a guardarla, sorpreso, ma neanche troppo. Il sole creava
riflessi di fuoco sui suoi capelli di neve. Merida si
chiese disperatamente quanto l’avrebbe
trovato divertente.
«Per sbaglio» sottolinea, «per sbaglio l’ho trasformata
in un orso...»
«La strega?»
«No! Mia
madre.»
Jack rimase
per un istante in un silenzio attonito, poi emise un verso inconfondibile – Merida avrebbe potuto giurare che fosse stata questa la
prima cosa ad avere avvertito di lui; prima di vederlo, prima di sentirlo, in
qualche modo conosceva già il suono della sua risata. Per un attimo si domandò
se anche per Rapunzel fosse stato così... Poi si
scosse, si ricordò di cosa stavano parlando e lo spintonò.
«Non c’è
niente da ridere, Jack!»
Non c’è mai stato niente da ridere.
«Merida.
So che la realtà è difficile da accettare.»
Lei si agita a
disagio sulla seggiola di una scadente plastica bianca, attorcigliandosi un ricciolo
attorno a un dito. Non è mai facile parlare con la figura in ombra, specie perché
non le crede, non le ha mai creduto.
«Per favore,
raccontami tutto daccapo. E questa volta sii sincera, d’accordo?»
Merida
sospira. Sa già che non arriveranno a niente.
«E va bene.
Sono nata nel regno di DunBroch, due anni dopo la
legittima erede al trono. Quando lei fu rapita in culla, i suoi genitori
impazzirono di dolore e abdicarono in favore del nostro ramo della famiglia
reale. Poi, un anno fa, un ragazzo con un drago è arrivato nella mia terra e si
è messo in testa di ritrovare la principessa. Dio solo sa perché. L’ho seguito
perché ero preoccupata per lui, ma non l’avrei trovato senza l’aiuto di Jack
Frost... Perché vede, Jack Frost esiste,
del resto si trova qui anche lui...»
La figura in
ombra non replica. Merida si raddrizza un po’ sulla
sedia, prosegue con più decisione.
«Ho cominciato
a credere in lui e sono riuscita a vederlo e a parlargli. Anche Jack era sulle
tracce della principessa, perché sapeva che la sua carceriera era pronta a tutto
pur di riprendersela e chiuderla di nuovo nella torre in cui l’aveva tenuta
segregata per diciotto anni. Non mi chieda come si erano conosciuti, per
favore. Qualche volta sospetto che Jack vada a ficcarsi apposta nei pasticci
peggiori. Comunque, insieme li abbiamo trovati, tutti e due, Hiccup e Rapunzel, e li abbiamo
aiutati a salvare Berk dalla Morte Rossa – lo sa, Hiccup
poi era tornato a Berk, Rapunzel lo aveva convinto ad
affrontare il suo passato prima che a restituirle il regno, e là c’era tipo la
fine del mondo e se non fosse stato per Hic...» S’interrompe ancora e
deglutisce. Ora arriva il difficile. «Quando siamo tornati a DunBroch, subito dopo l’incoronazione ufficiale di Rapunzel, ho mandato tutto a rotoli. Mia madre continuava a
programmarmi la vita e io... io mi sono rivolta a una strega. Solo che non è
andata come volevo... Io volevo solo farle cambiare atteggiamento, ma lei è
diventata un orso. Cioè, un orso vero. Letteralmente. Da quel momento è andato
tutto storto e...»
«Ed è per questo che sei qui.»
La voce della
figura è una sferzata cattiva in un flusso di ricordi già di per sé piuttosto
duri. Merida china il capo, sforzandosi di non
piangere. Non piange mai, lei. Solo la figura in ombra riesce a condurla quasi
fin lì.
«Quello che tu
mi chiedi, Merida» riprende la voce, in un tono atono
e gelido che le sembra di conoscere fin troppo bene – lei le parlava così, quasi sempre così... finché non è stato troppo
tardi per parlare – «è di credere a una storia di draghi, di folletti delle
nevi invisibili, di incantesimi e di streghe.» La voce assume una nota appena
percettibile di rimprovero: anche così è ancora molto familiare. «Devi capire
che mi è difficile, nel contesto, dare per scontato che tu mi stia dicendo la
verità su ciò che ti ha portato qui.»
«Ma è così» protesta Merida,
con uno scatto che la porta a tirarsi dolorosamente i capelli, ormai ridotti a
un garbuglio informe tra le sue dita; «è la verità.»
«No, Merida, non lo è.»
«Insomma, cosa
devo fare per farle capire che non sono pazza?»
«Cosa devi
fare?» La voce della figura, a questo punto, è quasi compassionevole. Fa ancora
più male del solito. «Oh, ma è molto più facile di quanto pensi. Devi solo
smetterla di credere che tutte queste sciocchezze siano reali.»
~
Gli sedette vicino sforzandosi di
non guardare la protesi metallica che aveva sostituito la sua gamba dal
ginocchio in giù, provando l’ennesima fitta di rimpianto per il modo in cui era
andato a finire il salvataggio di quello stesso mondo che gli aveva sempre
voltato le spalle – e l’ennesima fitta d’imbarazzo perché non era riuscita a
fare nulla, nulla se non baciarlo e
mescolare le lacrime al suo sangue. Si sarebbe domandata per tutta la vita se
per lui fosse contato più quello che
non la sua canzone e i suoi capelli, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il
coraggio di chiederglielo.
Hiccup
le rivolse un mezzo sorriso e poi tornò a guardare il reame che, dopo una lunga
giornata di festeggiamenti e speranze ritrovate, si preparava al sonno meritato
di chi ha risolto tutti i problemi del mondo, dondolando nel vuoto quel suo
nuovo surrogato di arto. Rapunzel fece scorrere la
mano sul dorso di Sdentato, accoccolato lì accanto, e cercò di non pensare che
sua madre – no: la donna che aveva sempre creduto
sua madre – era caduta da un’altezza non molto più alta di quella della
terrazza del palazzo. Il suo palazzo.
La sua vera casa, dove già quasi si sentiva sola.
E pensare che
non aveva mai avuto così tanti amici.
«Cosa farai,
adesso?»
Come se
intuisse i suoi pensieri, come se sapesse che lei aveva solo bisogno di non pensare, Hiccup
esibì una stiracchiata e assunse un’aria sicura che non gli apparteneva – a meno
che non ci fossero draghi selvaggi e giganteschi da spedire tra le fiamme dell’inferno.
Rapunzel sapeva che faceva così solo per distrarla, e
gli fu più grata che mai, più di quanto non lo fosse stata allora, all’inizio, quando era venuto alla torre e le aveva
promesso che l’avrebbe fatta volare.
«Viaggerò. Sì,
proprio come Jack – non mi fermerò mai. Non voglio tornare per sempre a Berk,
adesso che ho scoperto quante cose meravigliose ci sono al mondo... Non si
tratta più solo dei draghi.» Sorrise a qualcosa che forse vedeva solo lui, tra
il mare e il cielo, tra le stelle e le luci fluttuanti che, aveva scoperto,
erano lanterne. «E poi non ho intenzione di abbandonare Merida
o te.» Arrossì di colpo; c’era abbastanza luce per vederlo, ma Rapunzel finse di non darvi peso. «Se non fosse stato per
voi, io...»
«Lo so.»
Non c’era
bisogno di parlarne. Nessuno di loro ce l’avrebbe fatta da solo, senza gli
altri. Hiccup annuì e Rapunzel
si chiese che cosa avrebbe fatto lei,
d’ora in poi.
Nessuno di loro ha mai potuto fare nulla da solo, senza gli altri.
«Parlami di tua madre.»
Rapunzel
sa che dovrebbe abituarsi a quella domanda. Arriva tutti i giorni, tutte le
volte che viene a sedersi sull’unica seggiola dell’unica stanza dove non
possono stare tutti insieme – dove ciascuno di loro è costretto a restare da
solo. Eppure è sempre doloroso come fosse la prima volta.
«Non era mia
madre» risponde automaticamente, memore delle parole di Merida.
Non era mia madre e non è stata colpa mia.
«Va bene,
allora» le concede con ostentata condiscendenza la donna dai lineamenti sfocati
dalle ombre. «Parlami della persona che ti ha cresciuto come una figlia.»
Rapunzel
non può sottrarsi. Non può mai farlo, del resto – per la stessa ragione per cui
non può più festeggiare la Festa dei Fiori, o vedere le luci fluttuanti, o
volare stretta a Hiccup sulle ali di Sdentato: non c’è
via d’uscita da qui.
«Non mi ha mai
permesso di uscire dalla torre» comincia in un sussurro, ben consapevole di quante volte abbia già raccontato questa
storia. «Né di tagliarmi i capelli. Diceva che erano un dono, un bel dono da
conservare per sempre e da proteggere a qualsiasi costo...» Chiude gli occhi. «Soltanto
quando sono fuggita ho scoperto il perché. Non lo faceva per il mio bene, ma
perché voleva che i miei capelli appartenessero solo a lei. Che servissero solo a lei... È stato Jack, alla
fine, a dirmi tutta la verità, e ho subito sospettato che gli altri l’avessero
capito da un pezzo. In quel momento l’ho davvero odiata, cerchi di comprendere..»
La donna senza
volto ignora la sua pausa intrisa di qualcosa che a metà è rancore, a metà
compassione. «Parlami di come è morta» la incalza, cruda.
Rapunzel
batte le palpebre e cerca di riordinare le idee. «È stato un incidente. Mi
aveva seguita fino a Berk... Sospettavo che non mi avrebbe lasciata andare per
la mia strada senza fare nulla, ma non mi aspettavo di vederla lì. E a Berk c’era
una guerra, una come non avrei mai immaginato che ce ne fossero. La Morte Rossa
era un nemico così temibile che gli uomini non sarebbero mai sopravvissuti, non
se Hiccup non fosse riuscito a collaborare con i
draghi, invece che combatterli...»
Soffoca un singhiozzo. «Ma a lei non importava dei draghi, era venuta solo per
me. Non se n’è quasi accorta, quando la terra le è franata sotto i piedi. Mi
teneva stretta per i capelli e... e Jack e Merida mi
hanno tirata in salvo... e poi... poi...» Cerca di guardare la donna in
penombra dritto negli occhi, ma non li trova, e forse è solo colpa delle
lacrime nei suoi. «Mi ricordo che sul momento non me ne sono nemmeno resa
conto. Hiccup era precipitato nel fuoco, solo questo
sapevo. Non appena mi sono sentita libera, sono corsa da lui. E solo quando ho
saputo che era salvo ho realizzato... che lei non c’era più. Non c’era più e in
realtà non c’era mai stata. Non era mia madre.»
La donna senza
volto resta a lungo in silenzio, e Rapunzel sa che
non lo fa per riflettere sulle sue parole, ma perché lei stessa si renda conto
di quanto suonino false. Però è la verità, Dio, è la verità. Non era sua madre e non è stata colpa sua.
«Che cos’è
successo dopo?» chiede la donna, anche se sa benissimo cos’è successo dopo.
Rapunzel
abbassa lo sguardo, segue con gli occhi il percorso sinuoso delle ciocche che
le cadono dalle spalle per svolgersi su tutto il pavimento. Non è mai riuscita
a tagliarli, alla fine; le sembrava sbagliato.
«All’inizio ho
avuto una fase di rifiuto. Ho chiesto a Hiccup di
riportarmi alla torre. È stata Merida a farmi capire
che volevo uscire, che sapevo già
benissimo che restando lì non avrei cambiato nulla di quello che era stato...
Allora sono tornata a DunBroch, e sono tornata ad
essere la principessa.»
La donna
raccoglie in silenzio le cartelle e i documenti sparsi sulla scrivania davanti
a sé. Poi si alza e, senza più mostrare interesse, esce dalla stanza.
«Raddoppiatele
le dosi» la sente dire a qualcuno che l’aspetta nel corridoio, «come anche a
tutti gli altri.»
La porta si
chiude e Rapunzel si concede finalmente di piangere.
~
Quando se la vide galoppare
incontro più veloce del vento, il primo pensiero di Hiccup
fu che Merida volesse fermarlo. Smise per un istante
di assestare la sella di Sdentato, e il drago lo fissò come per chiedergli
perché esitasse. Hiccup gli diede una pacca
rassicurante sul dorso e si mosse sulle gambe ben ferme – non ci aveva messo
molto ad abituarsi alla protesi: era vero, adesso
erano proprio uguali, lui e Sdentato – per fronteggiare Angus, che si
fermava in quel momento con la lingua in fuori e i fianchi schiumanti a qualche
passo da lui.
Merida
smontò con uno svolazzo dei riccioli rossi. «Ci sono riuscita, Hic! Ho capito
tutto!»
Hiccup
scambiò un’occhiata con Sdentato. Non era la premessa che si aspettava. Tornò a
fissarla e si rese conto di non averla mai vista così felice; era sempre stata sorridente,
questo sì, a parte forse per la faccenda della sua gamba... Ma adesso era
veramente, completamente felice.
«Hai capito
tutto?» le fece eco, e nello stesso istante ricordò la storia della strega e
del dolcetto. Spalancò gli occhi. «Oh!... Hai trovato l’antidoto?»
Merida
rise e lo abbracciò, così improvvisa e impetuosa che Hiccup
non cadde solo perché Sdentato aprì un’ala e lo sorresse. «Sono io l’antidoto. Ricucire lo strappo... Non si riferisce
all’arazzo, si riferisce a noi. A me e alla mamma. Adesso so cosa devo fare!»
«Oh... Giusto»
sorrise lui, ricambiando la stretta e cercando allo stesso tempo di ritrovare l’equilibrio.
«Ma, uhm, se è così, non capisco perché stai abbracciando me.»
Lei smise di
ridere e lo strinse un po’ più forte. Per qualche istante non parlò. Hiccup si chiese se non avesse detto qualcosa di sbagliato.
«Non lasciare
che tuo padre senta ancora la tua mancanza» la sentì mormorare alla fine. «Torna
da lui. Non dico subito, non dico per sempre, ma torna a casa, un giorno.» Si
ritrasse quel tanto necessario a guardarlo negli occhi, a mostrargli un sorriso
nuovo. «Non ti sto dicendo di andartene, bada! Ma Rapunzel
aveva ragione. Se c’è una cosa che abbiamo guadagnato da tutta questa storia, è
una famiglia.»
Hiccup
comprese. Parlava di loro quattro, ma parlava anche di Stoick,
di Elinor, dei genitori veri o falsi di Rapunzel.
Annuì. Qualunque
cosa fosse accaduta, non avrebbero mai più perso quel che avevano trovato.
Se c’è una cosa che hanno guadagnato da tutta quella
storia, sono loro stessi.
«Ed è così che è finita. Ti sei
ritrovato qui. Proprio come i tuoi amici, vero?»
Hiccup
tiene gli occhi fissi sulla forma dormiente di Sdentato. Prima di
acciambellarsi in quel punto come un enorme gatto soddisfatto ha quasi incenerito
il pavimento, ma lui sa per certo che l’uomo nell’ombra non vede neppure la bruciatura. Non risponde,
limitandosi a pensare con rammarico che alla fine hanno perso tutto, tutto quello che avevano lottato
così duramente per ottenere; non è rimasto altro che loro e la consapevolezza di essere soli. Jack continua a sentirsi
invisibile, Rapunzel continua a sentirsi in colpa, Merida non ha mai superato la cosa dell’orso e lui...
«Ti ricordi
com’è cominciata?»
Lui ha Sdentato, vorrebbe dire a se stesso,
ma sa fin troppo bene dove vuole arrivare la domanda dell’uomo nell’ombra.
«Con i draghi»
sospira. «È cominciata con i draghi.»
«Sii più
preciso.»
«È cominciata
col fatto che tutti combattevano i draghi per istinto, perché era naturale, perché
era giusto. Io ero quello che non ci sarebbe mai riuscito. E quando mi sono
trovato faccia a faccia con un drago – quando ho preso la Furia Buia» si corregge, felice del fatto che Sdentato
stia dormendo e non possa sentirlo parlare di quel momento, «ho capito di
essere diverso per davvero. Non è che non ho potuto. Non ho voluto
uccidere un drago.»
Ricorda distintamente
di aver raccontato questa storia anche agli altri. E sei stato il primo a cavalcarne uno, gli hanno detto.
L’uomo nell’ombra
non è altrettanto bendisposto a vedere il lato positivo della cosa. La domanda
successiva non ha affatto un tono incoraggiante.
«Dov’è il tuo
drago ora, Hiccup?»
«Proprio alla
sua destra» gli risponde brusco, senza un attimo di esitazione.
L’uomo non gli
dà la soddisfazione di voltarsi a guardare. Del resto sanno entrambi che non
può vederlo. Del resto è per questo che Hiccup è qui.
«Su almeno un
punto della tua versione dei fatti siamo d’accordo, Hiccup.»
L’uomo nell’ombra sparge sulla scrivania alcuni fogli solcati da righe e righe
di valutazioni tutte uguali. «Il tuo sentirti e riscontrarti diverso, per tua stessa ammissione – è
su questo punto che vorrei tu ti concentrassi.»
Hiccup
serra le mascelle, preparandosi al seguito.
«Vuoi sapere
come la penso io?» Non attende risposta. «Io penso che tu ti sia sempre sentito
profondamente incompatibile, in aperto contrasto con l’ambiente che ti
circondava fin dalla nascita. Tuo padre – correggimi se sbaglio – è il tipo di
persona che si fa certe aspettative e non si cura troppo di nasconderle, non è
vero?» Hiccup non si sogna nemmeno di correggerlo, e
lui prosegue. «Ebbene, è proprio qui che entra in gioco il tuo drago.
Attraverso di lui hai modo di esorcizzare la tua paura di non essere all’altezza, Hiccup. Lui è il
tuo successo, non il tuo fallimento... Credimi quando ti dico che è una storia
piuttosto comune nei giovani della tua età.»
No, pensa Hiccup, non lo è.
«L’unico
aspetto... originale, se vogliamo
metterla in questi termini... della tua situazione» conclude l’uomo, «è che è
molto raro crearsi addirittura un drago
come amico immaginario.»
Hiccup
guarda tristemente Sdentato, lieto che l’uomo nell’ombra abbia almeno scelto di
usare la parola amico.
~
«Posso farti una confidenza?»
Jack rimase
sospeso nel vento fuori dalla finestra di Rapunzel,
come aveva fatto innumerevoli volte in un altro luogo, quando lei era una bambina
alle prese con gli incubi peggiori. «Dimmi.»
La Principessa
Ritrovata giocherellò con la treccia che un’orda di efficienti dame di
compagnia avevano assicurato per lei. Sembrava a disagio, ma un timido sorriso
le splendeva sulle labbra.
«Quando ho
lasciato la torre...» S’interruppe, forse in cerca delle parole giuste. Jack
realizzò soltanto allora che quella era la prima volta che restavano soli da
Berk, da quando lei l’aveva visto,
non appena lui e Merida erano arrivati giusto in
tempo per dare manforte a Hiccup... Forse per questo
era nervosa. «Insomma, c’era qualcosa che volevo verificare.»
«Lo so» disse
Jack, «volevi capire cos’erano le lanterne.»
«Sì, anche
quello» ammise Rapunzel. «Ma soprattutto... sai...
volevo trovare una conferma che tu esistessi.»
Jack rimase
così sorpreso da perdere la corrente. Dovette appollaiarsi sul davanzale, e la
ragazza si ritrasse appena. La guardò: era stata Merida
la prima a vederlo davvero, e poi lei, e poi Hiccup –
ma mai come adesso avvertiva così forte
la consapevolezza di essere vicino a qualcuno. E allora ricordò una cosa.
«Mi stai
dicendo che hai ancora quell’orrendo disegno che hai fatto a otto anni?»
Rapunzel
avvampò e cercò di colpirlo, ma rideva quanto lui. Jack tornò a fluttuare nel
suo elemento, pronto a lasciare il Paese per trasferire il freddo altrove,
felice di sapere di non essere il solo ad aver trovato il proprio posto.
Mai come adesso avvertono la consapevolezza che il loro
posto è – non importa dove – insieme.
«Se quanto dici è vero, Jack,
spiegami come faccio a vederti.»
Jack
sogghigna, dondolando la sedia su due gambe senza la minima intenzione di
assumere un atteggiamento più decoroso. Vogliono trattarlo da pazzo. Ebbene,
allora potrà anche prendersi qualche libertà.
«Sinceramente?
Non ne ho la più pallida idea.»
La sagoma
indistinta sospira. «È encomiabile il tuo modo di accettare le cose così come
sono. Peccato che tu non riesca ad applicare questa capacità a tutto il resto
della tua vita. Trovi facilissimo credere che i tuoi amici abbiano potuto riconoscere
la tua esistenza per puro slancio di fiducia... ma non sai spiegare come sia
possibile che il ghiaccio e la neve non facciano ciò che tu vuoi.»
Questa volta
Jack si rabbuia. «È questo posto maledetto» non può fare a meno di giustificarsi.
«È un posto sbagliato. Non è il nostro.
Non c’è altro da capire.»
«Ma mi
racconti che sei felice di vivere insieme agli altri ragazzi.»
Ci mette qualche
istante per rispondere.
«Sì...» Non
può negarlo, infatti. Non può negare che sia bello, svegliarsi la mattina e
sentire Rapunzel cantare, giocare a cuscinate con Merida, sbirciare i disegni di Hiccup
e nascondergli la sciarpa... Dopo tanto tempo passato da solo, senz’altra
compagnia che quella dei Guardiani, gli stessi che lo hanno sempre visto
soltanto come uno scherzo della natura, e della luna, anche, quella luna
impietosa che non ha mai voluto rispondere al suo disperato perché – dopo tutto
quel tempo, quei tre sono stati la cosa più bella che potesse capitargli. E fa
male, fa male vederli tristi, fa
molto più male che non riuscire più ad incantare la neve e il ghiaccio. «Sì»
ripete, «ma questo non significa essere felici.»
La sagoma
indistinta emette una sorta di risolino. Questa è una cosa nuova. «Non esiste
la felicità, Jack.»
«No?» Jack
alza le sopracciglia. «Strano. Sarà un secolo che Nord e Calmoniglio
cercano di convincermi del contrario. Meraviglia, speranza, felicità... A dirla
tutta ho cominciato a crederci, quando Merida e poi Rapunzel e poi Hiccup mi hanno
visto.»
«Il punto,
Jack, è che tu credi nelle cose sbagliate. E so che non è colpa tua, ma non
potrò aiutarti finché non sarai disposto a collaborare...»
«La sa una
cosa?» Jack fa ricadere la sedia di colpo, si sporge verso la scrivania, ma
ancora non riesce a distinguere i tratti della figura. «Preferisco credere in
qualcosa di sbagliato che in quella che secondo voi è la verità. E se questo mi rende un pazzo, tanto meglio. Non
abbiamo più niente da dirci.» Si alza. «L’aspetto per il giro di iniezioni,
dottore. Passi pure quando vuole, sa dove trovarmi.»
Percorre la
stanza vuota fischiettando, lasciandosi alle spalle soltanto il silenzio.
~
I have died
every day waiting for you
Darling, don’t be afraid
I have loved you for a thousand years
I’ll love you for a thousand more
È
la Festa dei Fiori, oggi, e le strade e le piazze sono di nuovo piene di musica
e colori. Rapunzel fa sempre del suo meglio, ma è in
questo giorno che dà il massimo di se stessa. A qualsiasi ora del giorno e
della notte la si può trovare che danza, che canta, che dipinge un qualsiasi lastricato
a colori vivaci. Non è mai sola.
«Si può sapere che hai, Merida?
Oggi non sei in te.»
«Oh, scusa, Punzie. Ho
fatto uno strano sogno...»
«Davvero?»
«Sì, c’eravamo noi quattro in questa strana stanza
misteriosa, era quasi buio e a turno dovevamo parlare con qualcuno...»
«Io dico che prima di dormire mangi troppo, Merida.»
«Jack, smettila di prenderla in giro!»
«Lascia perdere, Hic, è più forte di lui, è così
felice di essere qui che deve per forza mettersi in mostra...»
«Beh, potete darmi torto?»
Jack ha ragione, tutti lo sanno. Ridono insieme, e
festeggiano un altro anniversario da che le loro vite, toccandosi, si sono
colorate di luci nuove.
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I’ll love you for a thousand more
Spazio dell’autrice
Ce l’ho fatta. Dio, ce l’ho fatta. *esulta da sola*
Eccovi infine la conclusione, la
spiegazione del modernverse, il cosiddetto epilogo
della storia forse più strana che abbia mai concepito. Ebbene sì, i
quattro ragazzi vivono ai giorni nostri e sono rinchiusi in una sorta di
piccolo manicomio, situazione che hanno deciso di fronteggiare inventandosi
tutta una storia comune su ciò che hanno passato prima di finire là dentro – o forse
no. Già, forse no. Universo parallelo, sogno, reincarnazione: sentitevi liberi
di interpretare il brano finale come più vi piace. Non sono così cattiva, in
fondo. ^^’
Le due strofe che aprono e chiudono
quello stesso brano sono tratte da A thousand years, brano di Christina
Perri che dà il titolo all’intero delirio headcanon.
Spero di avervi finalmente chiarito
tutti i punti oscuri dell’intricata vicenda. Per qualsiasi dubbio chiedete
pure, anche se non vi assicuro che io per prima abbia capito i retroscena di ciò che ho scritto. XD
Oh, un piccolo appunto che mi sembra
doveroso: non ho volutamente specificato la fisicità dei dottori dell’istituto
perché, nella mia testa, ciascuno dei personaggi tende a identificare lo
strizzacervelli di turno con una figura legata a quel passato doloroso che è
costretto a rievocare – quindi Merida vede Elinor, Rapunzel vede Gothel, Hiccup vede Stoick, e Jack probabilmente Nord (anche se la storia che
porta Jack a diventare un Guardiano, come certo avrete rilevato, non è nemmeno
menzionata perché qui preferisco restare sul canon:
penso che in quell’epoca non si fosse ancora pronti ad accettare come quinta
Leggenda quella di Jack Frost).
E ora passo a ringraziarvi tutti, o voi
individui meravigliosi: ;^;
a Kiki75,
EmmaStarr,
Chandrajak,
BeyonBday,
kuma_cla, Fred Halliwell, PiccolaEbe, Ray08, KikiWhiteFly,
ToLaura, Kelloggs Snowflakes, Hana Pond, ryoko96, Dance e Ucha
per le adorabili e, a onor del vero, spesso fin
troppo buone recensioni;
a Abby_Yakumo, Ai_il Fiore di Ciliegio, barricadeuse, chiara_directionislife, Chicca293,
Cristie, Dance, Danielle_Lady of Blue Roses,
elemontana,
EmmaStarr,
F13, Fifi97, Fred Halliwell, Gioia1998, giorgtaker, GufoScarlatto, iscizu, Kiki75, KikiWhiteFly, Lady V, Marina94, marotti92, Melardhoniel, mintheart, Miriam48, Morgana le fay, Nice to meet you, Night_chan, Nonhounnicknamefigo,
Paramour_, RH_Simon, S h a i l a, Vaniglia_28,
YueKono, _ F i r e, _Cris e _Niniel per aver avuto tanta fiducia in
questa cosa da seguirmi “fin proprio alla fine”;
a bramsbaby, causapersa, Gioia1998, Kaity,
marotti92, Nightingale_Ocean Soul, Ragazza Lupo, ripeer, Shadow Eyes e silvia brolin per averla aggiunta alle storie ricordate;
a cameliarossa_, Chandrajak,
Chicca293, DJ_AmuStar, fairynight95, Gioia1998,
H13, Harmony394, iwannabe_drunk,
Jacqueline, Kelloggs Snowflakes, Kikki Dexter, KuroCyou, Leyna_s_heart, Mary143, Peroniana, PiccolaEbe, PioggiaDiLuglio, RH_Simon, ryoko96, S h a i l a e Zamieluna per averla aggiunta addirittura alle preferite;
nonché ai silenziosi ed egualmente encomiabili
lettori che hanno sopportato secoli d’attesa per ritrovarsi a leggere...
questo.
Semplicemente grazie. Non sono sicura
che questa storia meritasse tanta attenzione, ma sono più che sincera nel
ringraziarvi di cuore, perché questo mi ha spinta a scrivere ancora su di loro e
non so se è un bene XD e non vedevo l’ora di farlo.
E niente, alla prossima, se vorrete. ♥
Aya ~