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Autore: Stanys    19/11/2013    2 recensioni
...e infine si arrese.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alfred non ci pensò due volte: si girò e cominciò a correre a perdifiato nella penombra. Sperava di guadagnare l'uscita, mentre sentiva in lontananza le risate delle Vergini, più simili tuttavia ad urla terrificanti di nera gioia, che coprirono le ultime parole di Krys: «Come preferisci». Si avvicinò alla stele e col dito aggiunse in calce il nome di Alfred, tornando poi nello stato pietrificato in cui l'Uomo l'aveva trovato.
Nel frattempo Alfred era quasi arrivato all'uscita, intravedeva il rosone della facciata, e stava per ringraziare il cielo di essere giunto all'ingresso, ma si rese conto di quanto quella frase avesse perso senso dopo quello che aveva scoperto, a patto che fosse tutto vero. Aperto il portone, voleva continuare la sua fuga sotto la pioggia, ma la vista sull'uscio del cane incontrato precedentemente con le guardie lo paralizzò. L'animale con un balzo cercò di azzannarlo al collo, e Alfred istintivamente si protesse con un braccio, che fu così addentato. Le urla di dolore arrivarono rapide alle orecchie delle guardie poco lontane che stavano accorrendo affannosamente, tanto rapidamente quanto i denti del mastino lacerarono la manica dello smoking ed affondarono nella carne. Alfred invocava disperato aiuto, ma il cane sembrava insistere sempre più nella sua morsa.
Poi si fermò.
Accecato dal dolore, Alfred riuscì ad intravedere appena le quattro figure delle guardie avvicinarsi a lui, una delle quali aveva in mano un fischietto sottile ad ultrasuoni.
«Visto Rufus, che ti avevo detto? Ecco il nostro fuggiasco. Su, riportiamolo indietro»
«Sì, Capo» rispose Rufus con la stessa voce insicura con cui si era rifiutato di ispezionare il vicolo qualche ora prima. Cercò però di darsi un tono una volta davanti ad Alfred, che giaceva inerme a terra e si teneva stretto al petto il braccio sanguinante.
«Dove pensavi di andare, eh Umano? Non è posto per te questo, non ancora almeno»
Estrasse quindi dalle tasche degli anelli che infilò ai polsi del prigioniero, e poi una struttura rettangolare per unirli ed immobilizzarli. Al bloccaggio delle manette, gli anelli si ispessirono fino a bloccare i polsi e la struttura centrale si illuminò, mostrando diverse cifre. Rufus diede un'occhiata e chiamò il suo superiore affinché chinandosi vedesse anche lui.
«Guarda guarda» disse questi, scrutando il suo sguardo, come fosse in cerca di qualcosa nei suoi occhi. «Pare che tu sia venuto qui per prendere confidenza col posto, vero?». Si alzò ed osservò soddisfatto il viso dolorante di Alfred, prima di estrarre la pistola dalla fondina e puntargliela in fronte. Alfred cercò di muoversi, ma le sue manette cominciarono ad emettere un segnale sempre più forte, mentre il suo corpo diventava pesante fino a risultare completamente immobilizzato. Il rumore emesso dalle manette era diventato talmente forte che Alfred quasi non sentì le parole della guardia, che non ne sembrava per nulla infastidita. Caricò l'arma e si congedò sorridendogli ancora.
«Bene, fai buon viaggio Alfred, e a prestissimo»
Il segnale acustico svanì, e la guardia premette il grilletto.


Fino ad un attimo prima della sua fine, Alfred si sentiva completamente padrone di sé, e fu questo che lo spaventò di più. 
Dopo, più niente. Di nuovo il mondo si spense ai suoi occhi, coperti da un manto che, se all'inizio di  questo suo viaggio nero e buio come il vicolo in cui si era svegliato, stavolta appariva di una luce bianchissima, mentre lui era sospeso a mezz'aria, quasi galleggiando. Immaginava di provare la stessa sensazione di un neonato che sta per nascere e trascorre le sue ultime ore nel caldo e sicuro grembo materno, prima di essere accolto in un mondo che lo avrebbe storpiato moralmente, truffato, tradito, e che in fondo (Alfred ne era sicuro) non lo voleva affatto.
Una volta di più non sapeva che fine avesse fatto, ma stavolta non gli importava nulla, perché si sentiva bene: la ferita al braccio era sparita e quel caldo grembo gli piaceva davvero.
Poi lentamente la luce si spense: lento ma inesorabile, il candore cedeva il posto al grigio e poi al nero, mentre Alfred urlava senza voce, nudo, proprio come un neonato, e la sua disperazione aumentava ad ogni secondo. Venne quindi la notte, e un attimo dopo Alfred cadde, come rilasciato dalla sottile rete su cui era stato fino a quel momento adagiato. Ma la caduta fu brevissima, appena qualche centimetro. Strizzò gli occhi per il dolore causato dall'urto della schiena col duro e freddo pavimento, e urlando si accorse di avere di nuovo la voce.
«Ehi, cella ventisette»
La voce fastidiosamente familiare di uno dei secondini lo sorprese facendolo scattare in piedi.
«Piantala di urlare e agitarti. Vai in fondo alla cella piuttosto, è quasi ora»
Era davvero nella sua cella, e la cosa non gli piaceva affatto. Si sentiva scosso, gli girava la testa e aveva una fame tremenda, ma tutto questo passava in secondo piano davanti all'esigenza di capire se tutto quello che aveva visto e sentito l'aveva solo immaginato, o se da qualche parte Krys e le Vergini stessero davvero aspettando la sua prossima mossa.
«Guardia, che giorno è oggi? Che ore sono?»
La guardia gli sorrise con uno di quei ghigni che bene aveva imparato a conoscere. «Oggi? È sant'Alfredo abbrustolito, e quanto all'ora, ti basti sapere che hai giusto il tempo per un'ultima pisciata»
Aggrappato alle sbarre della sua cella, Alfred si lasciò cadere sconcertato. Era stata una splendida ma fugace illusione la sua: proprio quando aveva deciso di concedere il beneficio della possibilità a quell'assurda storia, era stato scaraventato indietro alla sua miserabile realtà. Tra poco sarebbe morto, e a nessuno sarebbe importato della sua fede. Strinse i pugni per la rabbia, e solo allora si accorse che la manica destra della sua divisa carceraria era lacera. Scostando un lembo vide lunghe cicatrici sull'avambraccio, all'apparenza vecchie di anni, come fossero ferite d'infanzia, anche se lui sapeva bene quale fosse l'unica occasione in cui se le sarebbe potute procurare.
Era salvo. Sorrise al suo braccio, e poi cominciò a ridere, sempre più forte. Si sentiva felice come un bambino a cui era stato promesso che dopo la visita dal dentista sarebbe stato accompagnato al luna park. Si presentarono tre secondini alla porta della cella, accompagnati dal cappellano del carcere. «Cos'hai da ridere, morto che cammina?» gli disse una delle guardie mentre apriva la porta.
«Nulla» rispose Alfred, «sono contento. Posso, signore?»
«Ah certo che puoi, e tra poco lo sarai ancora di più, promesso»
Il prete fece un timido passo avanti e si schiarì la voce: «C'è qualcosa di cui vuoi pentirti, figliolo? Qualcosa di cui vuoi parlarmi prima di andare?»
Alfred a stento tratteneva le ristate. «Non si preoccupi, padre. Ho già tutto quello che mi serve: la mia fede»
«Ne sono contento, ragazzo, così andrai in pace»
«La ringrazio, ma dubito fortemente che si rallegrerebbe se conoscesse la mia fede»
I secondini nel frattempo gli avevano legato mani e piedi, così lo condussero nel corridoio del braccio della morte.
«Ehi, gente» urlò Alfred «attenzione: uomo di fede che cammina! Ci vediamo davanti al Tempio dell'Uomo!»

   
 
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