Vedo
che ho suscitato un pò di stupore con questa storia messa qui
senza nessun tipo di annuncio e così apparentemente
incomprensibile (vero, Ruby? :D).. ma non vi preoccupate, capirete col
tempo!
Spero che vi piaccia!!
Mi raccomando, recensite!!
Nella casa, il ragazzo da tutti soprannominato “l’oracolo” aveva cominciato a stare male. Era pallido e avevano dovuto metterlo a letto.
“Porca di quella puttana! Ma cos’hai?!” gli aveva chiesto un
vecchio, stringendogli la mano fredda.
“Sta male… Diana, Diana sta male…” aveva risposto in un
rantolo il ragazzo, che intanto sudava e sudava…
“Dev’essere quell’inetto che le sta dicendo o facendo
qualcosa…” intervenne una bionda longilinea dai capelli cortissimi.
“Gordon, vieni con me!” ordinò all’istante il vecchio che
teneva la mano all’oracolo, fiondandosi fuori dalla casa.
Il diretto interessato sospirò e disse, mentre lo seguiva:
“Tutte le volte finiamo nei casini… Keith, non siamo più ragazzini, non vorrei
dovertelo ricordare tutte le sante volte!”
“Uomini!” esclamò rassegnata una donna bionda con i pattini
a rotelle “Dovrei seriamente pensare di tagliare qualcuno dei loro piccoli
cazzetti mosci un giorno…”
“Maddie, sii gentile, và a prendere un altro cuscino per
Michael…” le chiese gentilmente un’altra donna bionda come lei, ma molto meno
appariscente.
“Perché non mi chiami più?”
“Ancora insisti! Ti ho detto che non ne voglio parlare!”
“E invece ne parliamo adesso! Perché non ne posso più!!!”
Ormai avevano alzato la voce e diverse persone si erano
girate a guardarli con aria perplessa.
Neanche Diana ormai cercava di trattenersi.
“Se continui così, me ne vado!”
Per un attimo, era rimasta senza fiato.
“Ah, adesso ci stai zitta, eh? Finalmente!”
Si era rimessa a sedere, con le lacrime agli occhi.
E così l’aveva anche ricattata.
Aveva strinto i pugni.
E la solita vocina, quella bellissima vocina, le aveva detto: “Diana, NO!” con tono disperato.
Aveva ragione.
Faceva male, ma doveva dire no.
“No, non ci sto zitta!” aveva esclamato, rialzandosi in
piedi.
“Smetti di fare la rompicoglioni!” l’aveva insultata Dario.
“Io rompo i coglioni quanto mi pare! Ne ho abbastanza!!!”
Deciso, preciso, forte.
Era caduta sull’erba.
La guancia aveva pulsato a lungo.
Ma lei non aveva neanche fatto in tempo a dire “AHI!”.
“Razza di cafone! Cosa fa, cosa fa?!?!” aveva cominciato a
urlare, lasciando Diana sbalordita, lì sull’erba.
Anche Dario era rimasto stupito, ma si era subito ripreso
per ribattere: “Si faccia i cazzi suoi lei!!”
“Ah, pure volgare! Non provarci con me, ragazzetto! Sei
grande e grosso, ma se anche un gran coglione, hai capito?! Non si toccano le
ragazze, razza di stronzo! Signorina, come sta?”
Diana era rimasta con una mano sulla guancia e a bocca
aperta: da dov’era spuntata fuori quella sagoma di uomo?
“E’ la mia ragazza e ci faccio quel che mi pare, si tolga di
mezzo!” aveva urlato Dario, ma il vecchietto gli aveva tirato una bastonata in
uno stinco ed era andato verso Diana per farla alzare.
“Vigile, vigile, carabiniere, poliziotto, sbirro, come cazzo
si chiama!!!” aveva poi sbraitato, agitando per aria la sua “arma”, che
stranamente non sembrava fungere anche da sostegno.
Subito era arrivato un carabiniere che stava girando in quel
momento nei dintorni: un signore distinto, biondo e con due occhi di un azzurro
molto chiaro, in quel momento assai duri.
Diana era convinta di aver già visto quegli occhi da qualche
parte.
“Che cos’è questa confusione, insomma, siamo in pubblico!”
li aveva ammoniti, ma il vecchietto aveva subito ribadito: “Questo ammasso di
merda ha tirato uno schiaffo a questa signorina!”
“Lei non dica queste cose! E lei, favorisca i documenti,
forza!” aveva tuonato il gendarme con un’autorità e una freddezza da fare
invidia a Hitler.
Inveendo contro l’anziano soccorritore della sua ragazza,
Dario aveva dato la carta d’identità al carabiniere, che aveva dato una veloce
occhiata per poi annunciare: “E’ scaduta!”
“Come sarebbe a dire?!” aveva esclamato il ragazzo,
spiazzato.
“Criminale!” l’aveva offeso il vecchietto, tenendo
sottobraccio Diana, che si era messa una mano davanti alla bocca, un po’ per la
sorpresa, un po’ perché stava iniziando a voler ridere di gusto.
“Sì sì, è scaduta, e pure da qualche mese! Senta, lei ora
viene con me a rispondere a qualche domanda in centrale…”
“Questo è abuso di potere!!!”
“No, sei tu che sei un gatto attaccato ai coglioni,
obbedisci, ragazzino!!!”
Il carabiniere non aveva detto nulla: si era impossessato con fermezza il braccio di Dario e lo aveva trascinato verso la sua macchina, mentre il vecchietto era rimasto con Diana.
“Tutto a posto, signorina?” le aveva chiesto.
“Credo di sì…” aveva risposto lei, cercando di sorridergli.
Quell’uomo non aveva una bella faccia, era davvero degno di tutte le sue parolacce. Ma con lei si era comportato da vero signore.
“Quel bastardo non le avrà fatto sputare qualche dente,
spero!”
“No, no, non si preoccupi… sto bene…” aveva ribadito la
ragazza, un po’ incerta.
“Meglio così… mi perdoni, ma io stavo andando a prendere il
bus, quindi adesso devo lasciarla! Lei vada a casa e si piazzi un po’ di
ghiaccio su quella guancia rossa!”
Diana, per sdebitarsi, si era proposta di accompagnare il signore alla fermata del bus più vicina tenendolo sottobraccio, per far sì che non si affaticasse troppo, ma lui aveva insistito per andarci da solo, con un sorriso da tartaruga, e l’aveva lasciata raccomandandole più volte di andare a denunciare “quello schifoso”.
Poi era tornata a casa, frastornata. Ma soprattutto delusa.
Un bacio solo, dato velocemente e senza passione.
Una litigata.
Uno schiaffo.
E un mattone che si aggiungeva a quell’orrendo muro che li
divideva.
Stavolta era un mattone davvero grande e pesante.
Aveva voglia di piangere: si sentiva come uno scalatore
ubriaco aggrappato a una corda che stava per spezzarsi, sopra un orrido buco
nero di cui non riusciva a vedere il fondo.
“Dovevi proprio chiamarlo con tutti quegli
epiteti?” aveva
chiesto con sarcasmo Gordon, togliendosi il cappello da
carabiniere.“Oh, stà zitto, gli avrei spezzato volentieri
qualche
costola se avessi avuto con me la mia Les Pauls!”
“Volete stare zitti, insomma!” si era intromesso l’uomo
baffuto “Si sta riprendendo…”.
“Ehi, Mike… Mike, per l’amor del cielo, svegliati, ragazzo
mio…” aveva implorato una donna nera e in carne, sull’orlo delle lacrime.
Il ragazzo fortunatamente si era risvegliato. Era ancora debole e sudato, ma stava meglio.
“Razza d’invertebrato! Ci farai prendere un colpo a tutti
quanti!” lo aveva rimproverato scherzoso l’uomo capellone e dalla bocca larga.
“Che battuta del cazzo, Steven!” lo aveva ripreso un ragazzo
dai capelli lunghi e mossi, lanciandogli uno sguardo fulminante.
“Vuole dire qualcosa…” aveva detto la donna bionda e premurosa
che si era presa cura di lui insieme alle altre.
Il ragazzo si era alzato lentamente a sedere e aveva detto a
bassa voce: “Credo che stia tornando a casa…”
“Dannazione! Dobbiamo muoverci! Tutti al loro posto!” aveva
ordinato agitata la ragazza dai capelli platinati.
Tutti le avevano obbedito, eccetto Gordon e Keith, che si erano messi ad aiutare “l’oracolo” ad alzarsi.
“Ci avete messo lo zampino voi?” aveva chiesto con un
sorriso il ragazzo.
“Puoi dirlo forte! Gordon è stato forte! Dopo ti spiego…”
aveva risposto Keith con un ghigno soddisfatto.
“E lui è stato sboccato come al solito…” aveva ribattuto
Gordon sospirando.
Era rientrata in casa. Avevano fatto appena in tempo a
nascondersi, poco prima che lei entrasse.
Cazzo se faceva male.
Si rannicchiò su se stessa, cercando di calmare la testa, il
cuore, il tremolio del suo corpo.
E la solita vocina rassicurante tornò a parlarle…
“Fai la cosa giusta…” la incitò dolcemente.
Diana stavolta la sentiva davvero vicina, non era più solo un sussurro.
Poi girò la testa verso il suo letto e il suo sguardo fu
catturato dal suo paio di All Star verdi; le aveva lasciate lì per mettersi i
tacchi.
Accanto a loro c’erano altre scarpe.
Diana aggrottò le sopracciglia e guardò meglio, senza
muoversi.
Non erano scarpe sue. Erano mocassini neri.
Lei non portava i mocassini.
Sopra questi ultimi, qualcosa che forse poteva assomigliare
ad un paio di calzini.
Ma Diana non aveva mai visto dei calzini pieni di paillettes.
Non addosso alla gente “normale”, almeno.
Alzò lo sguardo…
Due mani sopra le ginocchia.
Un paio di pantaloni neri, a sigaretta.
Un cappello copriva un viso.
Un viso da cui si stava sentendo osservata.
Ma non era sicura di sapere chi era, lo vedeva in controluce.
O meglio, sapeva chi era, ma non voleva crederci, semplicemente.