<< Hey Jewel, è pronta la cena! >> la voce di Johannah rimbombò nella mia testa, tornai al mondo reale e mi morsi le labbra.
<< non... non ho fame >> ascoltai il mio stomaco brontolare, lui non era d'accordo.
Qualcuno bussò alla porta << avanti >> sussurrai.
Johannah si sedette sul letto vicino a me << che hai Jewel? >>
mi allontanai e abbassai lo sguardo << nulla. Non ho fame. Tutto qui >>.
Volevo chiederle di chi fosse quel cavallo a dondolo, di chi fosse quella stanza ma non ne ebbi il coraggio. Mi limitai a guardarmi con ansia le punte dei piedi che si muovevano ad un ritmo lento, una musica inventata dalla mia testa. Era così che cercavo di non farmi notare... ma questo mi faceva sembrare così insicura. Ma io non sono insicura, non per gli altri almeno.
Lei sorrise e si alzò battendo le mani sulle cosce e sospirando.
<< immagino sia difficile per te. Comunque sappi che se hai voglia di scendere siamo giù ad aspettarti. Vorrei davvero che conoscessi tutti >> se ne andò.
La guardai allontanarsi e scendere le scale. Non che non volessi conoscerli, non che non mi piacessero. Anzi. Per quel poco che li avevo conosciuti mi sembravano una famiglia così felice, così allegra.
E forse era proprio questo che mi faceva paura, avevo paura di affezionarmi a loro, paura di sentimi bene con qualcuno. Io ero sola, solo io e nessun'altro. La mia vita, la mia famiglia, era andato tutto a puttane; anche se poco mi ricordo, sapevo che avevo perso tutto. E' per questo che mi terrorizzava, perdere ancora tutto. Sapevo quando potevo distruggermi se rimanevo delusa, ero giovane ma ne avevo passate troppe. Per questo mi ero creata quella corazza da dura, sperando di vivere cent'anni;
avevo fatto troppe cazzate che come risultato portavano solo il peggiorare delle cose, la bulimia, l'anoressia, mi sentivo uno schifo in quel periodo della mia vita; più di ogni altro giorno. E le famiglie non mi erano mai state d'aiuto, nessuna madre si era mai avvicinata per chiedermi come stavo, nessuna si era mai preoccupata dei tagli sulle mie braccia.
Respirai profondamente e mi alzai, uscii dalla porta e attraversai il corridoio. Rimasi a guardarmi nello specchio che era appeso sulle scale per un tempo che mi sembrò infinito.
Fissai i miei capelli mori, il ciuffo blu cadermi leggero sul viso. Sotto i miei occhi due enormi solchi neri erano ben visibili. Sembravo distrutta. Un finto sorriso si dipinse sulla mia faccia. Arrivai in fono alle scale e mi diressi verso la cucina, dalla quale proveniva un chiaccericcio animato.
Mi sporsi sull'uscio, contai le teste. Solo sei. Johanna, Daisy, Phoebe, altre due ragazzine bionde e un uomo. Una delle due ragazze doveva essere Lottie.... ma Johanna non aveva detto di avere cinque figli?
<< Ciao Jawel! >> urlarono in coro le due gemelline notandomi, tutti si girarono verso di me sorridenti e radiosi
<< b.. buona sera >> balbettai
<< Tesoro, vieni pure a sederti qui con noi >> disse l'uomo a capotavola, doveva essere il padre delle ragazze, il marito di Johannah.
Che brutta sensazione, io non sapevo proprio nulla di loro e loro non sapevano nulla ti me. Ero stata presa nemmeno dieci ore fa dall'altra parte dell'Inghilterra per essere scaraventata in un paese di cui non conoscevo niente, se non il nome. Doncaster.
<< oh, hem.. grazie mille >> mormorai sedendomi sulla sedia che mi era stata consigliata dal signore. Mi sentivo tremare l'anima.
<< Io sono Dan >> disse lui << loro sono Fizzy e Lottie >>. Con un gesto della mano indicò le due ragazze, Lottie doveva avere la mia età Fizzy invece era sicuramente più piccola. << Loro tre le conosci sicuramente >> e scoppiò in una fragorosa risata. Sorrisi incerta.
Per tutta la cena non feci altro che giocherellare con il cibo e guardare la famiglia felice raccontarsi del più del meno.
Mi sentivo così sbagliata, così diversa. Un punto nero tra puntini chiari.
La cena finì. Si riunirono tutti attorno alla tv, mancava qualcosa, mancava qualcuno.
Una poltrona in più, un posto in più a tavola, un figlio in meno. Non volendo rovinare il quadretto felice uscii dalla porta sule retro e mi diressi verso il fondo del giardino. Il buio padroneggiava davanti a me, l'eterno in una notte.
Accesi una sigaretta, la piccola fiamma dell'accendino mi illuminò il volto. Feci un tiro profondo e guardai il fumo uscire denso dalle mie labbra e volatilizzarsi nell'aria
<< Tu devi essere Jawel >> una voce calda mi colse di sorpresa.