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Autore: drewsvoice    22/11/2013    1 recensioni
Mi distrussi e mi ricomposi da solo allo stesso modo.
E, solo in quel momento, mi balenò in testa che era tutto inutile.
Ero semplicemente sbagliato e la mia vita era un disastro.
Così come era sbagliato ubriacarsi ogni venerdì sera.
Era sbagliato vivere senza farlo veramente.
Era sbagliato non credere più in nulla ed in nessuno.
Era sbagliato fingere, cercare di apparire agli altri qualcosa che non ero e che non mi apparteneva.
Ma lo facevo comunque. Ogni giorno.
E alla fine della giornata, prima di cadere fra le braccia di Morfeo, riponevo quella maschera e mi lasciavo consumare dalle mie stesse lacrime, promettendo a me stesso che il giorno successivo sarebbe cambiato qualcosa.
Larry- George Shelley- Calum Hood.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Comincio il primo capitolo con questo commento qui su.
Allora, spero vi piaccia e se trovate errori, mi dispiace
tantissimo, perché io sono un po' distratta in
queste cose, ma ho fatto del mio meglio.
Buona lettura, bellissime.



«Ehi, hai una sigaretta?» mi domandò un ragazzo moro dalla pelle olivastra, avvicinandosi.
Negai con il capo, ma prima di poter aprire solamente bocca Becky Dee fece una delle sue solite battutine.
«Credi davvero che quello abbia delle sigarette? È uno sfigato finocchio, figurati se fuma.»
Sbuffai, passando lo sguardo sulle mie converse bianche ormai rovinate.
Non c’era giorno in cui quella ochetta tutta tette non osava smerdarmi ed ogni volta lo faceva alla grande, grazie al sottoscritto che non sapeva proprio replicare.
Il ragazzo accanto a me invece avanzò verso di lei.
«Dimmi di più, bellissima.» la pregò in tono dolce, affondando le mani nelle tasche suo giubbotto blu notte.
Mi ricordava molto quello di babbo, quello dalle mille tasche che usavo da piccolo per scacciare via i mostri la notte e quando arrivava il temporale o per correre in veranda ad aspirare l’aria fresca della pioggia la domenica mattina.
Lei gli sorrise e aspirò la sua sigaretta. «Perché dovrei?»
Sentivo l’aria tesa come una corda di un violino, sapevo che nel giro di un minuto sarebbe potuto succedere di tutto.
E sinceramente me la sarei data a gambe in quel preciso istante, se non fosse stato per il fatto che per una volta la mia fottutissima coscienza mi diceva che dovevo affrontare la situazione.
Risvegliandomi dai miei pensieri, vidi il moro avvicinarsi alla ragazza e sfilarle la sigaretta per poi tirarne un tiro.
«Perché, sai com’è..» lasciò in sospeso. «io sono uno sfigato finocchio e fumo, anche tanto direi.»
Sbarrai gli occhi, guardandomi attorno per scrutare le facce dei presenti.
Lo aveva davvero detto? Aveva contraddetto quella stronzetta? Le condizioni erano solo due: o stava finendo il mondo o era un nuovo arrivato.
Becky rivolse uno dei suoi sguardi verso di me, quindi di conseguenza affondai le unghie nel palmo della mano e guardai di nuovo il pavimento.
Lui fece un altro tiro e le restituì di nuovo la sigaretta, per poi andare indietro e portarmi con lui.
Nel momento esatto in cui la sua mano avvolse il mio avambraccio mi sentii compreso e protetto, nonostante io fossi leggermente più alto di lui.
Era esattamente come mi sentivo quando stavo con babbo, perché io ero più alto di lui e mi sentivo come se fossi in dovere di proteggerlo, ma non ero nelle capacità di farlo.
«Sei davvero gay?» gli chiesi imbarazzato, sentendo già le guance velarsi di quel colore rosato che odiavo terribilmente su di me.
«Sì, certo.» ridacchiò fermandosi. «Sono gay e sono Calum.»
«Io sono George, piacere!» mi presentai con enfasi.
Continuammo a camminare in silenzio fino all’uscita della scuola.
«E per l’informazione, io non sono gay.» ridacchiai a mia volta.
Lui alzò le mani e si allontanò di qualche centimetro. «Mai pensato!»
«Mi chiamano così solo perché ho due padri, cioè nel senso che sono stato adottato perché loro son-»
Lui scoppiò a ridere e mi fermò, convincendomi che aveva capito e non c’era bisogno di spiegare.
«Ti va di fare una stronzata?» mi chiese dopo una decina di secondi, guardandomi sottecchi.
E chiunque, conoscendomi, avrebbe detto che ero troppo fifone per fare qualunque cosa che equivalesse ad una stronzata, ma il George che era in me stava lottando tra la paura e la voglia di cambiare quello schifo una volta per tutte.
«Spara!»
«Chiama i tuoi e di’ loro che mangi fuori con un tuo amico. Ora ci filiamo le ore della Pender, andiamo a mangiare qualcosa e poi andiamo in un parco dove mi aspetta la mia migliore amica e ci fumiamo qualcosa.»
La figura di Ange mi si presentò subito in mente, così affondai le unghia ancora più in profondità.
Nonostante questo presi velocemente il cellulare e feci il numero di papà, spiegandogli la situazione, evitando però tutto ciò che c’entrasse con il fumo.
Quando ebbi finito mi girai verso Calum, pronto a esultare per il sì, ma lo trovai a fissare il pavimento tristemente.
«Ehi, cos’hai?»
Non mi era mai successo, oltre Ange ovviamente, di provare a confortare qualcuno.
Diciamo che in questo campo ero proprio negato, non sapevo cosa  potesse far stare meglio e alla fine di tutto mi ritrovavo sempre ad attorcigliarmi le mani a fissare qualcun altro che al posto mio confortava quella persona.
Invece con lei era diverso, la prendevo di slancio e l’abbracciavo, fin quando non smetteva.
Le accarezzavo i capelli, facendo con l’altra mano dei cerchi immaginari sulla sua pelle.
E le sussurravo qualche parola, ma sapevo bene che non c’erano bisogno di parole.
E così feci con Calum: lo abbracciai fin quando non lo sentii sospirare e spingermi con dolcezza.
Lui scosse la testa e sforzò un sorriso, sorpassandomi di qualche passo. «Nulla, sono solo stanco di avere a che fare con la gente di merda che viene in questa scuola, e non solo questo.»
«Tranquillo per prima, non è successo nulla.» dissi amaramente, affondando i canini nel labbro inferiore.
Gli occhi di Calum mi studiarono per qualche secondo, colmi di tristezza e trapelati da uno strato lucido che mi fece preoccupare più del dovuto probabilmente.
«Tu meriti di più, Jay.»
E con una singola frase spazzò via tutte le bugie indirizzate a me stesso di cui mi ero ricoperto in questi anni.
«Di che parli?» smorzai il discorso con una risata, allungando impercettibilmente il passo .
«Ti ho osservato molto quest’anno, sai? E tutti sanno che io, Calum Hood, sono davvero un bravo osservatore.»
Le gambe mi tremarono al solo pensiero che qualcuno oltre me potesse aver visto quanto schifo faceva la mia vita. Nonostante tutto però, allungai ancora di più il passo, dirigendomi dritto alla cassa del Mc Donald’s.
«Che cosa inquietante.» sdrammatizzai ancora, una volta finito di ordinare.
«E mi dispiace tanto che una bellissima persona come te non mostri al mondo quanto vale.»
Mi bloccai a mezz’aria, sentendo lo stomaco che si contorceva continuamente. Posai il vassoio lentamente, mi sedetti e presi un bel respiro, riflettendo prima sulle sue parole.
«S-scusa è che non mi piace molto parlare di me.» mi scusai, cercando di cambiare il più velocemente discorso.
Lui sfoderò un sorriso, uno di quelli veri, e mi si avvicinò leggermente.
«Allora, pronto?»
Diedi un pugno leggero al tavolo e ridacchiai. «Da morire.»
La verità? Mi stavo cagando sotto.
 


«Allora dove sei stato oggi, giovanotto?» mi chiese babbo sorridente, appena misi piede in cucina.
«Ho pranzato al mc con un mio amico, ve l’ho detto.»
«Così.. hai un amico?» papà, che stava cucinando, si girò verso di me aspettando la risposta.
«Amico, sì ho un amico, sempre se si può chiamare così.» sbuffai, togliendo le scarpe e posandole sul tappetino verde.
Una smorfia si fece strada sul viso di papà. «Perché, piccolo?»
«Perché non ci conosciamo nemmeno da ventiquattro ore, pa’.»
Presi il piatto e solo quando tutti e tre fummo seduti cominciai a stuzzicare il cibo.
«Ed Ange? Sei andato a trovarla?» esordì babbo, curioso ed intimorito dalla risposta allo stesso tempo.
Vidi papà tirargli un calcio da sotto il tavolo, serrando la mascella e bevendo poi un sorso d’acqua per calmarsi.
Allontanai il piatto e bevvi anch’io, riprendendo il discorso dopo qualche minuto di silenzio. «Ricordo che lei era davvero una ragazza difficile, cambiava idea di continuo e diceva di odiare tutti quando in realtà amava con tutta sé stessa.» ricordai malinconicamente.
«Oh Jay, tutte le ragazze sono difficili, è normale!» rise babbo. «Pensa che zia Lottie quando aveva la tua età aveva una mega cotta per Niall e lo snobbava con fare altezzoso quando lei veniva a trovarci.»
Mi buttai sulla sedia e sorrisi. Babbo era molto attaccato ai ricordi e una cosa che amava fare era proprio raccontarli.
«E non puoi immaginare Gemma, Dio mio.» scoppiò in una fragorosa risata, lanciando un’occhiata divertita a papà.
«Be’ sì, lei era davvero difficile. Ricordo che per il suo ballo di fine anno sia io che il suo ragazzo le comprammo un vestito, era uno di quei gesti amorevoli che fa un buon fratello quando guarda sua sorella spalmata sulla vetrina di una boutique a guardare un abito che le piace da impazzire.» raccontò con un luccichio negli occhi.
«E poi che vestito mise?» chiesi con la stessa vivacità di un bambino, giocherellando con la tovaglia violacea a quadri.
«In un primo momento decise di mettere quello del fidanzato, ma prima del ballo loro due si lasciarono, lei mise quello che le avevo regalato e ci andò con me.»
Scoppiai a ridere e cominciai a sparecchiare.
Quella giornata era stata piena di sorprese, di cose impreviste, tutte cose che odiavo.
Quando allungai il braccio per riporre il bicchiere, sotto la manica della mia felpa blu sbucò fuori ciò che Calum mi aveva scritto sul polso.
Non era esattamente dolce cosa, ma quel “ehi coglione” mi fece sorridere, appunto, come tale.
Senza accorgermene, senza sapere ciò a cui stavo andando incontro mi catapultai alla porta, spalancandola.
«George, dove vai?» urlò babbo, affacciandosi.
«Sto uscendo, devo fare una cosa importantissima!» urlai di rimando, prima di chiudere velocemente la porta alle mie spalle e cominciare a correre verso casa di Calum.
Quando arrivai attaccai l’indice al campanello, incurante del fatto che i suoi genitori avrebbero potuto infastidirsi.
Ma per mia fortuna fu il moro ad aprire la porta, con sguardo corrucciato.
«George, che ci fai qui?» mi domandò, prima che lo investissi da mille parole.
«Il fatto è che non sono semplicemente felice perché ci sono fin troppe cose che dovrei mettere a posto e troppe cose che non ho il coraggio di fare. Il fatto è che io non ho mai avuto qualcuno con cui parlare apertamente di ciò che sono e di ciò che vorrei essere, di tutti i sogni irrealizzabili e di tutte le speranze perse. Il fatto è che tu sei un osservatore ed io sono un ascoltatore, perché quando lo faccio sento di imparare quel qualcosa di nuovo che poi non metto mai in pratica. Il fatto è che sbaglio sempre, che faccio del male alle persone che amo e non voglio farlo anche con te. Il fatto è che io non sono felice, perché questa vita non mi appartiene.»
Lui aprì le braccia ed io mi ci fiondai dentro, ignaro di ciò che chiunque persona in quei paraggi potesse dire.
Il cuore mi batteva all’impazzata, ero quasi convinto che da un minuto all’altro sarebbe balzato fuori dal petto e mi avrebbe supplicato di smetterla con tutto quel dolore.
«Shh, calmo.» la mano di Calum vagava nella mia schiena, dandomi quell’affetto che prima d’ora non avevo mai ricevuto.
«Dov’è che dovresti andare quando è da te che vuoi scappare, Cal?»
 
 

Quel mattino freddo di Novembre fu il primo momento in tutta la mia vita che fremevo dalla voglia di andare a scuola.
La stessa mattina non avevo nemmeno aspettato che venisse papà a tirarmi via le coperte di dosso, poiché aprii gli occhi contemporaneamente al suono della sveglia. E cosa ancora più strana, balzai giù dal letto e mi precipitai in bagno, cominciando a prepararmi velocemente, alla meno peggio.
Penso che papà sapesse il motivo per la quale alle sette in punto ero già pronto e profumato e, ahimè, era lo stesso che stavo cercando di reprimere in ogni modo.
Perché io non potevo, non potevo proprio.
Mi ero ripromesso ogni sera, dopo di Ange, che non mi sarei più fidato di qualcuno, che non avrei mai più incentrato la mia esistenza su qualcuno che non ero io.
Ed adesso stavo correndo di nuovo il rischio di cadere, di ridurmi in pezzi per l’ennesima volta.
Non potevo e non volevo.
Mentre la mia mente si concentrava su questo e rifletteva un George calmo e freddo, i miei piedi si catapultarono fuori casa e corsero fino a scuola, incuranti dei chilometri.
Qualcosa mi ripeteva che dovevo stare calmo e tenere a freno la mia stupida lingua, ma quando mi ritrovai di fronte Calum cominciai a parlare e a far uscire un fiume di parole incontrollate e disconnesse fra di loro.
Potetti vedere il suo sguardo sorpreso dalla mia parlantina e, credetemi, lo ero anche io.
Perché Calum Hood in meno di ventiquattro ore era riuscito a far uscire una parte di me che nemmeno sapevo esistesse, ma soprattutto a farmi sentire a mio agio quando io non ci mi ero sentito mai in sedici anni.
La sera prima ci eravamo seduti sul divano di casa sua a guardare un film e a mangiare la pizza come due comuni amici.
Lui mi aveva parlato della sua migliore amica e del fatto che i suoi avevano accolto bene la sua omosessualità.
Anche io gli avevo poi accennato qualcosa della mia disastrosa famiglia e di Ange, ma non mi ero mai sbilanciato più di tanto.
Mentre continuavo a parlare di cose insensate, lo vidi ridacchiare e allungare l’indice verso la fossetta che avevo sulla guancia destra.
Tutto mi si bloccò in gola, interdetto da ciò da dire o ciò da fare.
«È dolce il fatto che tu abbia solamente una fossetta, insomma non ho mai incontrato una persona con una sola fossetta, è raro!» incatenò i suoi occhi con i miei.
 E pensai che se gli occhi avessero potuto parlare, i nostri avrebbero urlato fino a non avere più fiato in gola.
Perché se davvero Calum pensava di avermi capito ma di non esser stato letto da me si sbagliava, ed anche di grosso, perché io l’avevo fatto eccome.
«Io trovo dolce il fatto che sei fissato con Harry Potter, anche io lo amo.» scrollai le spalle. «Magari un giorno di questi ci vediamo tutti i film con tanta cioccolata calda, che dici?»
La sua tenue risata riecheggiò nelle mie orecchie e, voltando velocemente il capo per osservarlo ridere, vidi i suoi occhi brillare.
«Sei pazzo, ti adoro.»
Inutile dire che quella fredda mattina mi sentii completo come non mai.
 

 
«Chi è quello?» domandai al moro, entrando in mensa e volgendo lo sguardo verso il tavolo vuoto che era sempre occupato solo ed esclusivamente da me.
Sinceramente non sapevo dove si sedesse Calum prima di tutta quella faccenda, ma avevo intuito che non mi avrebbe lasciato più un attimo solo in quell’inferno.
Così, aggiungendomi alla fila, continuai a guardare il ragazzo.
«Non ne ho idea, io non l’ho mai visto quello lì.» si giustificò lui.
Decisi di non darci tanto peso, che sarei andato dritto al mio tavolo e gli avrei chiesto chi fosse e perché fosse lì.
In ogni caso, ritornai con lo sguardo sul piatto del giorno: zuppa, un tozzo di pane e una mela.
Una smorfia comparve contemporaneamente sui nostri volti.
«Tu dici che ci hanno messo a dieta?» bisbigliai, ridendo sotto i baffi.
«Io dico che ci hanno catapultato nel Distretto 12.»
Mi si illuminarono gli occhi. «L’hai letto pure tu?»
«Certo che sì, cazzo. È stupendo, quel libro.» cominciò ad incamminarsi verso quello che era il mio tavolo.
Guardai Calum camminare davanti a me, corpo mozzafiato e lineamenti delicati.
Io ero un po’ più alto e magro rispetto a lui, ma allo stesso tempo più fragile.
Con un passo deciso, più lungo rispetto agli altri, arrivai al tavolo e poggiai delicatamente il vassoio su di esso.
Il ragazzo seduto alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e fece incontrare i suoi occhi con i miei.
Si alzò di scatto e prese tutto, balbettando qualcosa come «Scusatemi, non sapevo fosse occupato.»
Mi sentii in dovere di tranquillizzarlo, di dirgli che non aveva fatto nulla di male, così alzai la mano e lo bloccai per il braccio.
Sentii le sue ossa tremare sotto il mio tocco ed i suoi occhi riempirsi di un velo di malinconia al contatto con i miei.
La sua malinconia, intrisa in quel azzurro tenue, incontrò il vuoto dei miei, grigiastri.
«Tranquillo, puoi restare se vuoi,» mi sedetti. «basta che non rompi i coglioni.»
Un sorriso timido fece strada sul suo volto e fece lo stesso.
Mi guardai alle spalle e vidi Calum rilassarsi, per poi sedersi proprio accanto a me.
«Che ti stavo dicendo?» ripresi il discorso, inzuppando un pezzo di pane nella zuppa insipida.
Gli occhi neri pece del moro si poggiarono sul ragazzo e sul libro che stava attentamente leggendo e poi ritornarono a me.
«Ehm, che sembra ci abbiano sbattuti nel Distretto 12?» chiese, smorzando una risata.
Gli occhi azzurrini del ragazzo si posarono curiosi su di noi e poi sullo scarso pasto che ci avevano offerto quel giorno. «Condivido in pieno.», ridacchiò.
«Sei nuovo?» colsi quel momento per chiederglielo.
Lui annuì e alzò gli angoli della bocca. «Mi chiamo Charlie, voi?»
Bofonchiai il mio nome e mi allungai per prendere quello che mi sembrava un altro libro.
Quando feci per toccarlo, le sue mani mi bloccarono ed i suoi occhi diventarono color ghiaccio.
«È la mia agenda, ci scrivo cose molto personali.»
Annuii comprensivo, mentre le mie guance si coloravano di un velato rossore.
A spezzare quell’imbarazzante momento fu un biondino tutto ricci. «Ehi Charlie, eccoti qui!» esclamò allegro, sedendosi come se nulla fosse.
Occhi di ghiaccio tossicchiò e, stendendo le labbra in una linea dritta, lo ammonì con un «Ashton, presentati.»
Il biondo ci guardò, sorpreso dalla nostra presenza, e ci porse la mano, prima a me e poi a Calum, con ancora quel sorriso stampato in faccia.
«Solo una domanda..» feci per cominciare, torturando i polsi della felpa per il nervoso a fior di pelle.
«Chi cazzo sei?» andò dritto al punto Calum.
Risi sotto i baffi e gli tirai una gomitata, che lui ricambiò con un’occhiata di fuoco.
Capelli d’oro fece per parlare, ma il mingherlino accanto a lui lo anticipò. «È un mio amico.»
A quel sorriso timido non feci altro che tranquillizzarmi. Charlie portava l’apparecchio, il che addolciva ulteriormente i suoi lineamenti.
Al contrario il biondo aveva un sorriso smagliante, la carnagione scura e gli occhi verdi, accesi e pieni di vita. I suoi lineamenti erano dolci e marcati allo stesso tempo, doveva avere altre origini perché era difficile vedere tipi abbronzati lì, ad Holmes Chapel.
«Da quanto vi conoscete?» domandai curioso.
«Da.. una vita, forse?» rise Ashton, battendo un pugno sul braccio di Charlie.
Risi con loro e continuai a stuzzicare il mio pasto, guardando sottecchi Calum che mi porgeva una cuffietta e bofonchiava fra sé e sé che si stava rompendo le scatole.
«E voi?» la voce dolce del moretto mi arrivò fioca, quasi intimidita.
Guardai Calum e sorrisi, vedendo le sue guance riempirsi e le labbra mostrare un grosso sorriso. «Da ventiquattro ore.» disse con nonchalance.
Potei chiaramente notare lo stupore negli occhi di entrambi.
«Io pensavo..» cominciò il biondo, bloccato poi dal suono della campanella.
Una mano calda e soffice mi fasciò velocemente il polso, facendomi alzare.
Abbassai lo sguardo e vidi la mano di Calum fare meno tensione, per poi portarmi dolcemente qualche passo indietro.
«Adesso dobbiamo andare, noi due.» li congedò velocemente.
Alzai la mano libera verso loro due, in segno di saluto, e sorridendo incrociai per l’ultima volta gli occhi di Charlie, per poi lasciarmi trasportare dal moro.
Fissai i miei piedi scorrere sul pavimento, lenti e impacciati.
«Ti ha colpito, eh?» ridacchiò Calum, affondando le mani nelle tasche della felpa. «È normale, quando in certe persone ci trovi te stesso.»
«Dico, è così che ti sei sentito tu quando mi hai visto per la prima volta?» chiesi timidamente, fermandomi di fronte a lui.
I suoi occhi mi fissarono a lungo ed in quel nero pece trovai tutte le risposte, qualcosa di più di un semplice sì. Trovai un luccichio che dava vita a quel nero profondo ed un vortice di emozioni contrastanti, trovai un’infinita varietà di sfumature in lui.
Perché Calum era allegria, speranza, luce, sogni spensierati. Era un picnic nelle domeniche di primavera, un giro in vespa con il vento che ti scompiglia i capelli.
Una telefonata  a notte fonda ed una stanza tappezzata dai poster.
Era la maglietta dei Ramones regalata da papà ed una canzone dei The Fray.
Baci proibiti, vodka, la spiaggia di sera con l’odore della salsedine.
Un cd degli anni settanta e una tazza di cioccolata calda.
Era inverno ed estate insieme, un vecchio libro ritrovato anni dopo. Era libertà, arte.
Un maglione caldo e mille pensieri.
Calum era rivoluzione, cambiamento, lui era un ciclone.
Ed io, io ero esattamente il suo opposto.
«Sì, esattamente così Jay.»


 
Eccomi di nuovo qui, yup.
Bene, non so davvero che dirvi.
Ditemi cosa ne pensate, se avete consigli o altro.
Devo ancora fare il banner, ma non penso ci riuscirò: sono decisamente negata in queste cose HAHAH.
Spero di non avervi deluso, perché ci resterei seriamente una merda.
Comunque, riguardo ai personaggi, penso che ognuno di loro vi piacerà, ho già grandi idee.
Charlie lo vedo un po' una via di mezzo fra Logan Lerman e Austin.
Non so se riuscirò ad aggiornare entro la prossima settimana, lo spero davvero tanto.
Anyway, adesso vi lascio.
Love ya dkjfbsd.
  
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