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Autore: TeenSpiritWho_    22/11/2013    4 recensioni
Il futuro può essere cambiato anche solo dal più piccolo errore, e Duncan lo scoprirà presto. Verrà trascinato in un luogo sconosciuto e dovrà lottare contro chi amava per salvare chi ama. Perché non sempre le persone di cui ti fidi si conoscono del tutto...
Genere: Azione, Guerra, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Geoff, Gwen, Un po' tutti | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Quella notte sognai.

Mi trovavo nella casa in cui avevo passato la mia infanzia e la mia adolescenza, a Peterborough, in Canada. Ma era diversa da come la ricordavo: i colori erano più spenti, più grigi. Oltretutto, sembrava quasi che un tornado l'avesse attraversata e messa totalmente a soqquadro. I mobili erano distrutti, i quadri a terra, le mensole spezzate. L'atmosfera era tetra e la luce quasi assente, tranne per qualche lampadina che si accendeva e spegneva a intermittenza, come se stesse lottando tra la vita e la morte.

Come succede spesso nei sogni, non sapevo come fossi arrivato lì né perché, ma sentivo che qualcosa stava per accadere. E non era di certo qualcosa di bello.

In ogni caso, se fossi rimasto lì immobile per sempre non l'avrei mai scoperto. Mi avviai a passi lenti verso il salotto, l'orecchio teso a ogni minimo rumore, i muscoli pronti a scattare. Raccolsi la gamba di una sedia spezzata, abbastanza resistente da essere usata come oggetto contundente se necessario. Perché, per quello che ne sapevo, la cosa che aveva messo a soqquadro casa mia poteva essere ancora lì dentro. E non credo che sia venuta in pace, pensai.

Raggiunsi il salotto. Al centro, tra il divano e il televisore, c'era un elegante tappeto persiano. Mia madre l'aveva sempre adorato. Era il suo fiore all'occhiello, il vecchio e costoso regalo di nozze di cui si poteva vantare con le amiche e che curava come un figlio.

Ora, su di esso, si trovavano cinque figure scure, incappucciate, accovacciate a terra e chine su qualcosa in mezzo a loro, ringhianti come animali che si litigano la preda.

Socchiusi gli occhi, fermo sulla soglia della porta, cercando di osservarli meglio nella penombra. C'era qualcosa di familiare in loro, ma cosa?

Di sicuro il loro strano modo di comportarsi non mi tranquillizzava. Deglutii, nervoso.

Quasi come se mi avessero sentito, le cinque figure si voltarono verso di me, lentamente e rigidamente. Mi fissarono per qualche istante, poi, come se mi avessero riconosciuto solo ora, fecero un macabro sorriso, portandosi un dito alle labbra. Mi stanno... chiedendo di fare silenzio?, pensai, mentre un brivido mi attraversava la schiena.

Cercai di ignorare il panico che mi attanagliava lo stomaco e mi concentrai di più nel focalizzare i loro visi, ma non c'era abbastanza luce, la stanza era quasi del tutto immersa nell'oscurità. Ma fu solo quando la quinta figura incappucciata, una donna, l'unica che non aveva compiuto quell'inquietante gesto, alzò gli occhi sui miei che mi resi conto della loro identità.

La luce, che continuava a funzionare a intermittenza, illuminò per un momento il viso della Mamma e i suoi quattro figli, l'adorabile famigliola che avevamo incontrato e che aveva cercato di mangiarci mentre ci dirigevamo verso Toronto.

Mi immobilizzai, e la gamba della sedia mi cadde di mano.

La donna indicò la cosa, o meglio la persona, che stava in mezzo a loro, e sussurrò -Piano, la bambina sta dormendo.-

Trattenni il respiro e guardai ciò che puntava col dito ossuto, così simile a quello di uno scheletro. Il cuore mi si bloccò nel petto e mi sentii venir meno.

Shirley giaceva sul tappeto in una pozza di sangue, che ricopriva anche il suo corpicino e le bocche ghignanti dei cinque intorno a lei. Era stata sbranata, dilaniata, lacerata e divorata, tanto che alcune parti del corpo erano ridotte completamente a brandelli. Gli occhi, vuoti, senza vita, fissavano il soffitto, in un'ultima vana richiesta d'aiuto.

Sentii il dolore pervadermi. Cercai di urlare, gridare, correre verso di lei e stringerla tra le braccia, come se questo avesse potuto fare la differenza, ma non riuscii a muovermi di un solo millimetro. Sebbene stessi impiegando tutte le mie forze non riuscii a fare nemmeno un passo, o dire una parola. Rimasi lì, come imbambolato, mentre il cuore mi si spezzava a metà.

La Mamma scoppiò in una lugubre risata, seguita dai suoi figli.

Poi, improvvisamente, Shirley si alzò a sedere, come se non le fosse successo nulla. Per un momento sperai che forse potevo aver visto male, forse lei non era morta, ma i suoi occhi erano ancora privi di vita e le braccia piene di morsi e tagli.

La piccola inclinò la testa di lato, guardandomi confusa con i suoi occhi privi di espressione.

-Ducky, perché? Perché hai lasciato che succedesse?- chiese.

La voce mi uscii flebile dalle labbra -Sherry, io...- mormorai, senza sapere veramente cosa dire.

Ma lei mi interruppe e disse -E' solo colpa tua. Lo sai che papà mi fa paura di notte, io te lo avevo detto.-

-Mi dispiace, zuccherino... non... non volevo...- risposi.

Non stavamo più parlando di quanto era appena successo sul tappeto del mio salotto da incubo, ma quasi non me ne accorsi. La mia sorellina si riferiva a un episodio successo molti, troppi, anni prima. Un episodio che avevo sempre cercato di reprimere ma che mi tornava puntualmente alla mente, risvegliando il senso di colpa.

-Se tu fossi rimasto non sarebbe successo.- mormorò la bambina, e abbassò il capo, lasciando che i riccioli castani incrostati di sangue le coprissero il viso -Avresti dovuto proteggermi. Tutti i fratelli maggiori lo fanno.-

Calde lacrime iniziarono a solcarmi il viso.

-Mi dispiace così tanto...-

Mi tornarono alla mente le immagini di quella notte: il sangue, le urla, la corsa in ospedale, mio padre che balbettava insulse scuse ai poliziotti.

-Si, Duncan, avresti dovuto. Che razza di fratello sei?-

Ora la voce era cambiata, non era più quella di Shirley, ma quella roca e profonda di mio padre. Alzai gli occhi e lo vidi lì, in piedi davanti a me, svettante come quando ero bambino e lo guardavo dal basso, quasi fosse un gigante spaventoso.

Tirai su col naso, cercando inutilmente di nascondere il fatto che stessi piangendo, e dissi, con voce tremante -Sei stato tu. Non è colpa mia, è solo tua.-

-Duncan, Duncan.- continuò con tono falsamente paterno -Non si da la colpa agli altri per i propri errori.- scosse la testa.

Era esattamente come lo ricordavo, i lunghi capelli brizzolati, la fossetta sul mento, gli occhialetti tondi che coprivano quei due occhi color ghiaccio così simili ai miei. Era lì, davanti ai miei occhi, l'uomo che avevo odiato di più in tutta la mia vita mi stava davanti e mi guardava con disgusto. Avrei tanto voluto colpirlo, ma sapevo che non sarebbe servito. Ricordavo tutte le notti in cui lo avevo aspettato sveglio dai bar dove andava a rifugiarsi dopo il lavoro, e ogni volta finivamo per litigare e fare a botte. E non ero quasi mai io il vincitore.

-Sei sempre stato una delusione.- schioccò la lingua con disapprovazione.

Nel momento in cui stavo per sbottare, per urlargli contro tutta la rabbia nei suoi confronti, un'altra voce interruppe il nostro discorso.

-Sei un bambino. Sei arrogante, cinico, egocentrico e idiota!-

Riconobbi immediatamente quelle parole. Erano le parole che mi aveva rivolto Gwen quando, diverse sere prima, al Rifugio, avevamo litigato furiosamente. Ma quando mi voltai verso la voce non fu la mia dolce darkettona, di cui, nonostante tutto, ero ancora innamorato, che uscì dal buio mettendosi sotto la fioca luce della lampadina morente, bensì Courtney. Ma c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che subito non notai. Quando lo vidi, però, il mio cuore cominciò a battere più velocemente. Il corpo formoso e delicato di Courtney era stato sostituito in gran parte da arti robotici e metallici. A parte per il viso, che era rimasto lo stesso di sempre, assomigliava in tutto e per tutto a un Grigio.

Cosa significava?

Mi guardò con lo stesso sguardo disgustato di mio padre mentre Shirley, che ora aveva assunto un'espressione rabbiosa, che poco si intonava al suo visino di bambina, mi diceva, sempre con la voce di Gwen -Va' al diavolo, Duncan Cooper.-

Il mio respiro si fece veloce e affannoso. Vedevo tutti nella stanza ingrandirsi fino ad assumere proporzioni spaventose, mentre le loro figure si facevano scure e minacciose, e la stanza dietro ad essi si dissolveva fino a diventare una macchia di colori indefiniti.

Le cinque figure incappucciate continuavano a ghignare, mio padre scuoteva la testa, Courtney mi guardava con orrore e Shirley mi lanciava sguardi carichi di rabbia.

Feci un passo indietro, spaventato, mentre ripetevo “no, non volevo, mi dispiace...” e il senso di colpa che mi pungeva il cuore si acuiva.

Ma le figure continuavano ad allungarsi su di me, ridendo, ringhiando e ricordandomi di tutti gli errori che avevo commesso nella mia vita.

Sei una delusione.

Non riesci bene in niente.

Stupido, davvero credevi che una ragazza come Gwen ti amasse?

E' tutta colpa tua.

Mi rannicchiai in un angolo e presi la testa tra le mani, continuando a balbettare inutili scuse e serrai gli occhi, cercando di trattenere le lacrime amare che minacciavano di scendermi lungo le guance.

 

Quando mi risvegliai ero più o meno nella stessa posizione, rannicchiato come una animale spaventato contro un albero. Ero in un bosco, più o meno vicino al lago Ontario.

Mi toccai le guance: erano bagnate. Dovevo aver veramente pianto durante il sonno.

Lentamente, cercai di alzarmi, ma le mie gambe, un po' per aver dormito per terra e un po' per il freddo e l'umidità, erano dure e insensibili. Faticai un po', appoggiandomi al tronco, ma, dopo qualche tentativo, riuscii finalmente a mettermi in piedi. Mi pulii le mani sui pantaloni militari e mi strinsi più stretto nella felpa scura, continuando però a battere i denti per il freddo.

L'inverno si sta avvicinando, pensai, e sospirai.

Dopotutto, cosa me ne importava? Non sapevo cosa ne sarebbe stato di me. Ero nel futuro, lontano miglia e decine di anni da casa, e tutto quello che credevo certo ormai non lo era più. Chi erano veramente i Ribelli? Davvero mi stavano solo usando? E Gwen? Non mi aveva mai amato?

Stupido, davvero credevi che una ragazza come Gwen ti amasse?

Ricordando le parole del sogno rabbrividii, ma questa volta non per il freddo. Non avevo mai fatto un sogno così inquietante e spaventoso. E poi era stato un duro colpo per la mia autostima che, negli ultimi tempi, non era stata già di suo molto buona.

In più, nel mio sogno c'era anche Courtney, ma aveva parlato con la voce di Gwen. Non so perché davo tanta importanza a questo particolare, forse per quello che mi aveva detto Geoff prima che partissi per la missione. Aveva detto che sognavo Courtney perché ancora la amavo. E quindi, il fatto che Courtney nel mio sogno avesse la voce di Gwen cosa significava? Che amavo entrambe allo stesso modo?

No, pensai, io ho scelto Gwen. Non provo più nessun sentimento per quel mostro.

Ripensai al discorso che Heather mi aveva fatto la sera prima. Tutta la missione era una farsa e, di conseguenza, anche l'amore di Gwen nei miei confronti. Quindi, non aveva più molta importanza che io avessi scelto lei, perché lei non aveva scelto me.

Mi passai le mani sul viso, stanco. Mossi qualche passo lungo il sentiero sterrato che attraversava il bosco, poco convinto su che direzione prendere. Guardai a destra e a sinistra, confuso. Da che parte ero arrivato?

Oh, ma che importa!, pensai, e presi una direzione a caso. Camminavo piano, con la testa fra le nuvole ma senza un pensiero in particolare. Mi ero semplicemente estraniato dal mondo. La mia situazione mi sembrava troppo brutta perché fosse vera. La realtà era persino peggiore dell'incubo di quella notte.

Il sentiero terminava in un dirupo che precipitava nel lago Ontario.

-Merda.- mormorai.

Camminai fino al bordo del dirupo, guardando verso l'acqua cristallina e lasciando che il vento mi sferzasse il viso. Un pensiero giunse improvviso.

Se mi buttassi giù di qui tutto questo finirebbe.

Deglutii nervosamente e mossi un altro passo verso il vuoto. Ora ero pericolosamente vicino a cadere.

Ripensai a qualche settimana prima, quando avevo cercato di togliermi la vita ingoiando le pastiglie di Bridgette. Era davvero la soluzione? D'accordo, forse i Ribelli mi avevano usato, ma potevo davvero cercare di dare il mio contributo. Avrei completato la missione. Cosa dovevo fare? Non lo sapevo. Ma almeno avrei potuto provare che non ero una delusione. L'unica cosa che dovevo fare era stare lontano dalle altre persone, perché non potevo fidarmi di nessuno.

Guardai nuovamente giù e improvvisamente l'altezza mi sembrò terrorizzante. Come potevo aver pensato di fare una cosa tanto stupida? Tremante, feci un balzo indietro, inciampando a terra ma continuando a indietreggiare.

Appena ebbi ripreso fiato mi misi in piedi e corsi nella direzione opposta al dirupo. Corsi in mezzo ai rami, che mi graffiavano il viso, corsi in mezzo all'erba e tra gli alberi, cercando solo di allontanarmi da quel dirupo spaventoso. Uscii dal bosco. Mi trovavo in un campo d'erba che brillava sotto il sole con, in lontananza, una fattoria semi diroccata. Quella vista mi tranquillizzò. Rallentai e chiusi gli occhi, odorando il profumo dei fiori.

Non andava così male: ero solo, e forse avevo trovato un posto dove passare la notte. Cosa potevo volere di più?

Mi vennero in mente migliaia di cose che avrei potuto volere di più, ma scacciai il pensiero. Dovevo godermi il presente.

Mi diressi verso la fattoria diroccata. Sembrava vuota, e da molto tempo. Le piante avevano cominciato a crescere sul legno della veranda e dei davanzali, mentre il tetto era crollato per metà. Ma poteva bastarmi per una notte, almeno avrei dormito al chiuso.

Entrai lentamente, mettendo un passo davanti all'altro. La porta si aprì con facilità, ormai ruotava su solo un cardine. Attraversai la cucina, guardandomi intorno. La famiglia che aveva lasciato quella casa doveva averlo fatto con molta fretta, perché il tavolo era ancora apparecchiato per la colazione come se fosse una normale mattinata, a parte la nuvola di moscerini che girava intorno al cibo e alle sedie rovesciate a terra. Era come se qualcuno fosse entrato lì a forza e li avesse trascinati via, ma doveva essere accaduto molto tempo fa.

Mi avvicinai ai mobili della cucina e rovistai nella dispensa in cerca di cibo. Non mangiavo da ore e stavo morendo di fame. Purtroppo, però, non era rimasto nulla, tutto era stato svuotato.

Lanciai un verso di esasperazione. Non avrei mangiato per un altro giorno.

Richiusi le ante e mi diressi verso la scala che conduceva al piano superiore, quando uno scricchiolio alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto, pronto a difendermi, ma la stanza era vuota.

Te lo sei sognato, Duncan. Probabilmente te lo sei solo sognato.

Scossi la testa e ripresi a camminare, ma solo qualche istante dopo lo scricchiolio si ripeté.

Mi voltai di nuovo, questa volta più determinato. L'avevo sentito, non c'erano dubbi. Feci qualche passo in direzione della cucina, cercando di scorgere una qualche presenza. La stanza sembrava vuota. Mi rilassai di nuovo.

Di nuovo uno scricchiolio, questa volta dietro di me. Molto vicino.

Mi voltai e vidi un paio di occhi grigi che mi fissavano, divertiti.

-Sorpresa.- disse una voce, prima che qualcuno mi afferrasse la bocca, impedendomi di urlare.

 


Buooooonsalve a tutti!

*si prostra ai piedi dei lettori*

IMPLORO IL VOSTRO PERDONO!

E' vero, è vero, sono stata assente per troppo tempo. Spero che questo capitolo vi ripaghi abbastanza!

Il problema è che la scuola mi sta prendendo davvero molto tempo, e, per quanto io abbia molta voglia di scrivere, non sempre ci riesco. In più, qualche tempo fa, mi ero messa a scrivere la scena del sogno e il mio amatissimo computer ha pensato che fosse un'idea molto divertente cancellare tutto quello che avevo scritto, costringendomi così a riscriverlo da capo. *sclera*

Ma ce l'ho fatta, ecco il capitolo. Ditemi cosa ne pensate!

Grazie come sempre del vostro appoggio, scusate il mio imperdonabile ritardo!

Un bacione <3

  
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