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Autore: Brooke Davis24    22/11/2013    3 recensioni
Sono trascorsi mesi dall'avventura presso l'Isola che non c'è: Henry è stato salvato, Emma e gli altri hanno fatto ritorno presso la Foresta Incantata, Hook è tornato a salpare verso mete conosciute e sconosciute. Galeotte furono Neverland e la Jolly Roger.
Tratto dal primo capitolo:
"Erano trascorsi mesi dall’ultima volta che l’aveva visto e il suo cuore mancò istintivamente un battito: non si concedeva spesso il lusso di pensare a quel passato recente, perché, tutte le volte che accadeva, bruciava la consapevolezza di aver commesso un errore del quale, a distanza di tempo, si pentiva amaramente. La sua mente, infida, le fece ripercorrere ancora e ancora le immagini dell’avventura presso l’Isola che non c’è, quando, alla ricerca di Henry, erano partiti a bordo della sua nave e, preso il largo, avevano lottato fianco a fianco, bene e male uniti sullo stesso fronte per amore di un’unica persona."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo capitolo lo dedico a Fanny93 e a Summer001 in particolar modo, per aver recensito, per seguire la mia storia, per tenerla sempre presente e per dirmi sempre cosa ne pensate. Senza di voi, non sono sicura che avrei continuato. E, poi, la dedico a tutti i CS come me, che fino a Marzo non ci arrivano, se continuano ad uscire spoiler su baci e abbracci.
Buona lettura!

P.S. Chiedo scusa per eventuali errori, ma non ho il tempo di ricorreggere adesso. Prometto di ricontrollarla entro stanotte; quindi, prendetevi la libertà di posticipare la lettura a fra qualche ora o domani.



Atto V


Aveva fatto freddo, quel giorno, a New York, più freddo di quanto Emma non si fosse aspettata. Le era servita una buona decina di minuti per comprendere come fosse possibile tanta insofferenza al freddo, nonostante avesse vissuto nella metropoli per più tempo di quanto lei stessa non si fosse aspettata: erano trascorsi pochissimi giorni dall'ultima volta in cui la Jolly Roger aveva solcato le torbide acque dell'Isola che non c'è e la temperatura cui erano stati abituati negli anfratti più profondi del luogo preferito dai bambini aveva raggiunto vette tropicali, che mal si adattavano alla capacità di sopportazione al freddo di qualsiasi persona, persino Emma. 

Spossata, aveva sospirato pesantemente e si era guardata attorno, scandagliando con lo sguardo l'aspetto trascurato del pub nel quale aveva deciso di avventurarsi per concedersi il lusso di una pausa. Quel giorno più che mai, aveva avuto percezione di quanto assurda fosse diventata la sua vita a dispetto delle sue più rosee aspettative. Non era trascorso che un anno dal giorno in cui Henry aveva fatto ingresso nella sua vita ed Emma, prima di vederselo piombare nel salotto di casa, non aveva avuto dubbi su cosa avrebbe fatto e su come l'avrebbe fatto. Era stata un garante per cauzione, sagace, brillante, brava nel suo lavoro e più avvezza ai rifiuti di quanto i suoi colleghi non lo fossero stati. I suoi genitori non l'avevano mai voluta e l'unico uomo che avesse mai amato si era servito di lei per scampare alla galera  (O, almeno, quello era ciò che per lungo tempo aveva pensato, prima che si rincontrassero e le fossero date le spiegazioni che per dieci lunghi anni aveva profondamente desiderato, mente e cuore)... Quanto più spiacevole avrebbe potuto essere sentirsi dire no, più o meno garbatamente, dalle persone cui aveva dato la caccia, dopo tutto ciò che aveva passato?

New York era uno di quei posti che aveva avuto il potere di risvegliare in lei la parte più razionale del suo essere, la più schiva, perfino la più dura e rancorosa, come la definiva lei. Seduta al tavolo di quel pub, aveva avuto più di un serio minuto di tentennamento a convincersi che quanto le era accaduto fosse stato reale e, se i suoi occhi non si fossero alzati all'indirizzo del pirata vestito in pelle alla cui presenza si era oramai abituata, le probabilità che potesse chiedere l'aiuto di una psichiatra non sarebbero state poi così remote. Aveva sorriso e sbuffato al contempo, concentrando la propria attenzione sullo smalto nero che aveva indossato qualche giorno dopo l'arrivo a Storybrooke, prima che l'ennesima avventura avesse inizio, prima che l'ennessima disgrazia si abbattesse su di loro come un'onda anomala sulla terraferma. La sua mente era corsa alla scenetta cui aveva assistito qualche minuto prima, quando, in disparte con Neal, era stata costretta a distogliere la propria attenzione dalle incombenze che gravavano su di loro per concentrarla su suo figlio e Uncino.

«Sei proprio strano, ragazzino!» aveva detto l'uomo rivolto a Henry.
«Io sarei strano? Sei tu il pirata che gira vestito in pelle e truccato più di entrambe le mie madri.» aveva ribattuto il ragazzino, un sorriso divertito sulle labbra mentre pizzicava Uncino deliberatamente. Neal aveva ridacchiato, attratto tanto quanto Emma dalla conversazione che si stava svolgendo a qualche metro da loro.

«Oh-Oh! Non sono io di certo quello ad avere per nonno l'Oscuro.» lo aveva pungolato a sua volta l'altro.
«Che, ci terrei a precisare, tu hai quasi ucciso prima ancora che lo scoprissi con il veleno mortale di una pianta.» aveva detto Henry. «Senza contare il fatto che hai sparato a Belle, preso a pugni mio nonno e che ci provi senza pudore con mia madre in mia presenza.» Emma si era sentita arrossire, intimamente imbarazzata dal fatto che il figlio si fosse accorto delle attenzioni che Uncino aveva dimostrato per lei. Sia lei che Neal, a quelle parole, avevano visto il pirata chinarsi verso Henry con un sorriso sornione sulle labbra, uno di quelli che Emma gli aveva visto fare più e più volte, prima di capire quanto altro si celasse oltre la maschera dello spavaldo e spietato seduttore.
«Non sono io quello che si è strappato il cuore...» e aveva accostato l'indice al petto di Henry. «... E lo ha volontariamente conficcato nel petto di un altro!» 

La reazione che era seguita Neal ed Emma non avrebbero potuto aspettarsela nemmeno volendolo: il ragazzino era scoppiato a ridere come mai avevano avuto modo di sentirlo ridere prima d'allora e il sorriso di Uncino si era fatto più ampio, mentre accarezzava la barba ben curata con la mano buona. Quando Neal aveva spostato lo sguardo sulla donna che amava e che avrebbe desiderato poter amare ancora, meglio di quanto non avesse fatto in passato nella promessa di non commettere gli stessi errori, i suoi occhi avevano scorto sulle labbra di lei e in tutto il suo volto una tenerezza che non aveva avuto solo i contorni dell'amore materno; una parte di quella tenerezza era indirizzata ad Uncino e i margini di quell'affezione gli erano improvvisamente parsi molto più marcati di quanto non si fosse mai accorto fino a quel momento.

Quando l'arrivo del cameriere l'aveva riportata alla realtà, i suoi occhi avevano incontrato quelli blu dell'uomo, intensamente fissi su di lei come desiderassero abbattere le mura dietro le quali gli capitava di vederla trincerarsi al fine di fornirle il suo aiuto. Un po' com'era stato da quando si erano conosciuti. Prendendo il bicchiere di birra tra le mani, Emma aveva finto indifferenza e, accennando al suo indirizzo con la bevanda, aveva bevuto una buona sorsata del liquido ambrato col solo desiderio di nascondersi alla prepotenza di quello sguardo che pareva distruggere qualunque stratagemma difensivo lei tentasse di porre sulla strada che conduceva alla parte più intima e fragile di sé, quella che non le capitava di lasciare intravedere spesso neppure a se stessa. 

Silenziosa, lo osservò imitare le sue mosse e trangugiare una buona porzione di birra. Alzando il bicchiere come a voler osservare meglio la consistenza di ciò che aveva mandato giù, Emma lo aveva visto piegare le labbra in una smorfia a metà tra il soddisfatto e l'insoddisfatto, come il suo corpo gli chiedesse qualcosa di più forte ma, nonostante tutto, le sue aspettative non fossero state disattese più di tanto. E la donna aveva fatto fatica a soffermarsi su quella bocca e non pensare al bacio che si erano scambiati sull'Isola che non c'è in un impeto di gratitudine che aveva avuto i contorni di una passione troppo a lungo rimasta latente, una passione che li aveva logorati entrambi dall'interno. Quando aveva alzato lo sguardo ad incontrare quello di Uncino, aveva saputo di essere stata colta in fallo.

«A cosa stai pensando?» le aveva chiesto, sebbene i suoi occhi le stessero trasmettendo le stesse immagini che la sua mente aveva tentato di debellare con scarsi risultati.

«Henry...» aveva risposto e, benché stesse mentendo, la reazione del suo volto era apparsa credibile e lo sarebbe stata per chiunque l'avesse osservata. Chiunque non fosse stato lui. «Meriterebbe un po' di tranquillità, dopo tutto quello che ha passato.» aveva continuato, ricordando l'espressione addolorata del figlio quando la maledizione era arrivata nella favolistica cittadina del Maine, portando via con sé alcune delle persone che amavano di più, Regina compresa.

«Merita di avere accanto te e tanto basta perché stia bene.» Aveva finto di credere alle sue parole; non che non fossero state vere, che non vi avesse pensato intensamente quasi ogni singolo minuto degli ultimi giorni, ma non era quello l'indirizzo che le sue riflessioni avevano seguito quando le aveva chiesto cosa le passasse per la testa. «Sai, ha qualcosa negli occhi...» Sulle labbra di Uncino era apparso uno di quei radi, timidi sorrisi  che si concedeva di tanto in tanto, simile a quello che Emma aveva visto quando lui aveva tentato di starle vicino a modo suo nella caverna di Neal e lei lo aveva respinto senza prestare ascolto alle sue parole, senza credere che qualcosa avesse potuto spingere Killian Jones a diventare Capitan Uncino e qualcos'altro avrebbe potuto spingere Capitan Uncino a tornare Killian Jones. A volte, si diceva che una parte di lei si era rifiutata a lungo di accettare la verità per paura delle conseguenze che ne sarebbero derivate. «... Quando sei con lui, ha questa luce negli occhi, la stessa luce vedo nei tuoi quando lo guardi.» lo aveva detto come soltanto lui avrebbe saputo dirlo, guardandola  per attribuire un certo peso e significato a quelle parole; era stato lo stesso modo con cui le aveva confessato di credere in lei, nel fatto che avrebbe salvato Henry e che li avrebbe condotti a Storybrooke, prendendo per le redini il controllo della sua vita e manovrandola al fine di raggiungere i suoi obiettivi. Aveva dovuto bere più a lungo di quanto non avesse voluto per ricacciare indietro la commozione che si era annodata nella sua gola.

«E' ora di andare...» aveva sentenziato, non prima di averlo ringraziato con uno dei suoi sorrisi rapidi, quasi timidi, come a dare l'impressione di non saper fare di più, di non potersi permettere il lusso di sorridere per tutto quello che la vita l'aveva costretta ad affrontare.

Uncino l'aveva vista lasciare dei fogli di un verde sbiadito sul tavolo - "Sono l'equivalente delle tue monete o dobloni, Hook. E' denaro!" gli aveva spiegato - e l'aveva seguita fuori dal locale. Il maggiolino giallo, quell'aggeggio strano e al quale un pirata come lui, che aveva viaggiato a bordo di navi ampie e spaziose, non poteva certo abituarsi dall'oggi al domani, era stato parcheggiato a pochi metri di distanza e, prima che Emma potesse raggiungerlo, Uncino l'aveva presa per il polso, costringendola a voltarsi.

«Che c'è?» gli aveva domandato, lo sguardo curioso e lievemente allarmato.
«So a cosa stessi pensando poco fa e non era Henry.» le aveva detto, gli occhi blu fissi in quelli verdi che lo fissavano in confusione. Le sopracciglia di Emma si erano arcuate e l'aveva osservata mentre faceva fatica a realizzare per qualche secondo.

«Cosa?» L'espressione di lei, a quel punto, era mutata, un rivolo di consapevolezza insinuatosi tra i suoi pensieri.
«Lo so perché è la stessa cosa cui sto pensando io adesso.» le aveva confessato e, rapidi, in un'osservazione che era durata appena il tempo di un battito di ciglia, i suoi occhi avevano puntato alle sue labbra con un'intensità che l'aveva consumata. Poi, come nulla fosse, aveva lasciato la presa sul suo braccio e l'aveva oltrepassata. Inspirando profondamente, Emma aveva stretto i pugni quel tanto che bastava a darle la forza di riprendersi e sussurrare le seguenti parole:

«Sono la Salvatrice, ho spezzato una maledizione, ho ucciso un drago e salvato mio figlio dalla versione adolescenziale di uno psicotico Peter Pan. Ce la posso fare!»


http://www.youtube.com/watch?v=Te11UaHOHMQ
«Emma, va tutto bene?»
La voce di Uncino la raggiunse così improvvisamente e inaspettatamente che Emma non potè impedirsi di trasalire e prendere un profondo respiro. Quando la sua attenzione tornò a concentrarsi sull'uomo, i dubbi che fosse preoccupato per lei non avrebbero avuto modo di sussistere: una ruga profonda solcava la sua fronte e l'atteggiamento baldanzoso che aveva tenuto da quando si erano incontrati era stato definitivamente rimpiazzato da quel modo di fare protettivo che tanto bene gli si addiceva, lo stesso che aveva tenuto nel corso dell'intera avventura sull'Isola che non c'è. Aveva protetto tutti nei limiti delle sue possibilità, che si fosse trattato di Henry, dei suoi genitori o di lei; non aveva mentito, non li aveva tratti in inganno, non aveva ceduto alle tentazioni che si erano presentate lungo il percorso e che avrebbero potuto spingerlo a tornare al lato oscuro, alle cattive abitudini che a lungo avevano definito la persona che era stata. E non si era risparmiato in nessun modo, fisicamente, mentalmente, sentimentalmente. Prima di addormentarsi, durante un momento di quiete e riflessione, le parole che le aveva sussurrato nella radura avevano assalito Emma con tutto l'impeto di cui avrebbero potuto caricarsi e lei ne era stata sopraffatta.

"Quando conquisterò il tuo cuore, Emma, e lo conquisterò, non sarà per via di alcun trucco, sarà perché tu vuoi me."

Per quanto si fosse impegnata, per quanto arduamente si fosse ripetuta che c'era qualcuno, che doveva esserci qualcuno che, prima di Uncino, avesse combattuto in maniera così strenua e disinteressata per lei, non solo non era riuscita a darsi una risposta plausibile, ma aveva presto realizzato che anche il solo tentativo fosse offensivo. Che senso aveva fingere? Fingere che lui non avesse lasciato perdere un proposito di vendetta durato 300 anni per amor suo; fingere che non le avesse confessato di provare un sentimento che si era impedito di sentire per lunghissimo tempo al solo scopo di permetterle di salvare il padre di suo figlio, l'unico ostacolo che avrebbe potuto recidere le fragili gambe alla loro nascente alchimia; fingere che non avesse affrontato i demoni del suo passato per permetterle di vivere il suo futuro; fingere che saperlo capace di amare tanto profondamente e con una simile devozione non le avesse fatto desiderare di sapere cosa si provasse; fingere che tutto quello non avesse avuto effetto di lei e che lasciarlo andare, vederlo salpare a bordo della Jolly Roger non le avesse spezzato il cuore.

«Sì...» esalò in un sussurro, incapace di proferire una frase di senso compiuto, incapace di fronteggiare le emozioni che aveva testardamente represso e alle quali aveva promesso eterna prigionia. Se non fosse tornato indietro, se non fosse stato lì con lei, se la sua sola presenza non fosse stata sufficiente a sopraffarla, Emma sapeva che sarebbe stata in grado di tenere sbarrate per sempre quelle porte che si era promessa di non riaprire mai a nessun altro che non fosse Henry.

«Henry sta bene? I tuoi genitori? Neal?» domandò, la voce incalzante, il petto che sfiorava quello di lei, negli occhi quell'arcana, semplice, profonda, tormentata bellezza che doveva averla tratta in inganno.

«Sì, va tutto bene. Stanno tutti bene!» rispose, riprendendo il controllo di sé. «Scusami, è che è stato un periodo faticoso.» gli disse, facendo spallucce per minimizzare il periodo di tempo trascorso a riesplorare i sentimenti che aveva provato per Neal nel tentativo di fare felice Henry, di fare quello che tutti si aspettavano facesse. Era quello il motivo per cui, al timone della nave, le aveva detto addio!

"Devi fare chiarezza, Emma. Forse, devi darvi una possibilità come famiglia."

Le aveva spezzato il cuore con quelle parole. Quando avevano raggiunto la Foresta Incantata e Neal, correndo loro incontro, aveva stretto amorevolmente sia lei che il figlio, qualcosa era improvvisamente cambiato: Uncino aveva smesso di combattere, aveva fatto un passo indietro e le era stato lontano per giorni interi, l'aveva evitata e, per l'ennesima volta, Emma aveva avuto l'impressione di non essere voluta, di non essere abbastanza, di aver deluso senza nemmeno accorgersene le aspettative di qualcuno al punto da allontanarlo da sé. E aveva ferito lui, la sera che si era recata sulla Jolly Roger per salutarlo, in gola una rete di parole che, incespicando le une sulle altre, non erano riuscite a venire fuori. Avevano brindato ai vecchi tempi, alla sua ritrovata famiglia, all'imminente viaggio che Uncino avrebbe affrontato, a Henry. Quando era stata sul punto di tornare al castello e scendere la rampa della nave, lui l'aveva fermata e le aveva chiesto perché fosse tanto arrabbiata con lui; c'era voluta una buona dose di autocontrollo per sorridergli e fare spallucce, nelle orecchie il ronzio prepotente creato dal battito frenetico del suo cuore. Per un attimo, aveva temuto che tutto quel pompare non l'avrebbe fatta reggere sulle gambe.

"Addio, Emma."

«E' tutto così nuovo, diverso che...» si fermò, gettando uno sguardo oltre la spalla di lui. «E' solo difficile lasciare andare quello che è stato.»
Uncino sorrise di un sorriso amaro, pensieroso, e, per un attimo, distolse lo sguardo. D'un tratto, su quel volto bello, giovane e mascolino, intravide il peso dei trecento anni trascorsi nel tentativo di vendicare un amore troppo prematuramente perduto.

«Perdonami!» fece e lui tornò a guardarla. La sua mano raggiunse i capelli di Emma, sfiorandone una ciocca bionda, e lo vide sorridere quasi con condiscendenza, come se Emma avesse detto una sciocchezza, l'ennesima dopo tante altre.

«Non è quello che pensi...» la avvisò. Lentamente, le dita di lui si spostarono fino a sfiorarle la guancia. «E' stato difficile provare a lasciarti andare, Emma. Non... Non è possibile lasciarti andare!» le confessò e, com'era sua abitudine, si premurò di sostenere lo sguardo di quegli occhi verdi con il blu intenso dei suoi. 

Con la dolcezza che era solito riservare solo e soltanto a lei, si chinò verso il suo volto e, piano, poggiò le sue labbra sulla bocca di Emma. Non importava cosa le avesse detto, non importava che stesse con Neal o meno, non importava che fosse sconveniente e che potesse ridurgli il cuore in frantumi: tutto ciò di cui aveva bisogno era di sentirla vicina, di saperla sua, di alleviare le sue pene, di stringerla a sé come se il tempo potesse congelarsi e il suo unico desiderio fosse rimanere in quella posizione, con lei tra le sue braccia, per l'eternità. Una parte di lui, quando le labbra di Emma si schiusero per accogliere il suo bacio e contemporaneamente ricambiarlo, si disse che avrebbe speso volentieri altri trecento anni di dolore e perdita se ogni singolo movimento lo avesse portato a lei, che sarebbe nato altre migliaia di volte se ogni singolo momento della sua vita fosse stato proiettato verso l'istante in cui si sarebbero incontrati. 

«Ti amo, Emma.» sussurrò e fu quasi una promessa, la fronte poggiata contro quella di lei, il respiro che s'infrangeva contro le labbra arrossate che avevano tormentato ogni momento delle sue giornate, nel sonno come nella veglia. Con gli zigomi arrossati, cercò lo sguardo di Emma e, quando lo trovarono, vi scorsero qualcosa che non aveva visto prima, una sfumatura che pareva essere sfuggita alle sue attente osservazioni. Era quella la ragione per restare.

«Penso di amarti anch'io...»



  
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