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Autore: Evelyn Doyle    26/11/2013    2 recensioni
Evelyn McKee.
Un semplice nome, non ci sono dubbi.
Ma la persona che lo porta, non è altrettanto semplice.
Lei ha quindici anni.
Ma non quindici anni, come immaginate voi, tra la scuola e gli amici.
Bensì quindici anni di studi in casa, tra la trigonometria e la letteratura inglese, tra il pianoforte e la geografia.
Senza affetto, per via del lavoro dei suoi genitori, spesso e volentieri non in casa.
Senza amici, grazie anche al suo carattere piuttosto superbo, saccente ed irrimediabilmente sarcastico.
Esattamente paragonabile alla soda caustica.
Un fato piuttosto avverso segnerà una nuova partenza dei suoi facoltosi genitori e la costringerà a trasferirsi per parecchi mesi in un bell’appartamento di lusso della city londinese e, di conseguenza, condividere il proprio spazio vitale con un certo Alexander Harrison, diciotto anni, figlio di carissimi amici di famiglia.
Ma Alexander Harrison, non solo è un viziato sicuro di sé e un bastardo all’ennesima potenza, ma ha anche “abitudini notturne” che la piccola McKee non gradisce granché, soprattutto per via della vicinanza delle loro stanze.
- Le Cose Che Non Sapete -
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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~~Chapter 1.

Evelyn era ferma davanti alla soglia dell’appartamento.
In quel momento nella sua testolina passavano più imprecazioni del dovuto, ma riuscì a trattenersi dallo sputarle tutte insieme e di getto, per fortuna.
La ragazza che aveva aperto la porta la guardò con aria interrogativa.
«Non sapevo che Alex aspettasse qualcuno» osservò poi scioccamente la ragazza che le aveva aperto, scostandosi una ciocca di capelli castani finita davanti all’occhio.
«E io non sapevo che questo appartamento fosse un bordello» sibilò Evelyn.
«Come, scusa?» chiese la ragazza, che evidentemente non aveva ben compreso.
«Lasciamo stare. Comunque, dov’è quel disgraziato?» disse Evelyn, con un tono aggressivo, ma pacato.
«Di chi stai...?» ma Evelyn non la fece nemmeno terminare di parlare, che la scostò di peso ed entrò.
Salì in fretta le scale ed entrò nella stanza adiacente alla sua.
Lì c’era un Alexander intento ad allacciarsi la camicia.
«Ah, sei venuta a farmi compagni...» le parole gli morirono in gola, mentre alzò lo sguardo incrociando gli occhi di ghiaccio di Evelyn.
«Ma salve, coinquilina. Cosa cazzo ci fai qua?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Senti, “bello”, non so tu come fai di solito, ma io non voglio zoccole nel giro di due anni luce, intesi?» sbottò Evelyn, puntandogli l’indice contro.
Per tutta risposta, Alexander le fece un secco e semplice medio.
«Senti, “bella”, non so tu come fai di solito, ma io non voglio rompicoglioni nel giro di... non so, dieci anni luce» disse poi Alexander, usando lo stesso tono di Evelyn.
«Mi spieghi quali problemi mentali hai? Magari ti chiamo un bravo psichiatra e li risolvi» rispose Evelyn acida.
«Mi chiami un bravo psichiatra? Lo stesso che cura te?» ghignò Alexander.
«Va’ al diavolo, Harrison. Sono qui da due ore e già voglio tornarmene a casa, fantastico»
«Beh, dillo ai tuoi mami e papi, che non vogliono lasciarti sola soletta perché sei piccina»
Questo era troppo, signori, Evelyn strinse i pugni, le pupille si restrinsero.
Era terribilmente impotente rispetto ad Alexander, però.
Una piccola pulce che litigava con un elefante, sembravano.
Solo che Alexander era molto più attraente di un elefante, tanto per la cronaca.
Ma ad Evelyn non importava, gli avrebbe sputato in faccia all’infinito molto volentieri.
«Senti, dolcezza, fai una cosa: chiuditi nella tua stanzetta a chiave fino a domani mattina e non scassarmi. Avrò pure il diritto di divertirmi, no?»
«Dio mio, sei senza dignità. Che schifo» sputò Evelyn, come se fosse veleno corrosivo.
«Aspetta, frena, frena. Non dirmi che sei quel genere di ragazza che fa finta di essere una santissima suora della carità. Cioè, lo sospettavo già, ma, insomma, potevo sbagliarmi» rise Alexander.
«Ti giuro, ho la cena di ieri che sta per uscire» rispose Evelyn.
Proprio in quel momento entrò nella stanza la ragazza che le aveva aperto la porta.
«Alex, chi è questa bambina? Non sapevo avessi sorelle» commentò, guardando malamente Evelyn.
Loro fratelli? Stava quasi per mettersi a ridere.
Insomma, era una parentela che non ci teneva affatto ad avere.
«No, è solo un’amica di colleghi dei miei. Sai, faccio anche il babysitter nel tempo libero» rispose Alexander, per poi fiondarsi sulle labbra della ragazza.
Con Evelyn di fianco, che stava seriamente per rimetterci la cena del giorno prima.
Insomma, da quella “comoda postazione” vedeva cose di cui avrebbe fatto benissimo a meno.
Come i continui palpeggi di Alexander alla ragazza.
Il “bello” era che quei due non si curavano affatto della presenza di Evelyn, di una sconcertata Evelyn completamente paralizzata e in preda all’orrore più totale.
Quel ragazzo non aveva il minimo pudore, pensò, mentre i suoi piedi si muovevano per cercare di uscire dalla stanza maledetta.
Si andò poi a chiudere nella camera di fianco, quella che doveva essere la sua.
Come se nulla fosse, prese Guerra e Pace dal suo bagaglio.
Avrebbe passato tutto il tempo a leggere, reclusa nella sua cella.
Certo, leggere con certi rumorini che provenivano dalla stanza a fianco non era una cosa molto carina.
Insomma, se ogni pomeriggio e notte fosse stato così, avrebbe fatto prima a spararsi seriamente.

* * *

Ad un certo punto, controllò l’orologio, giusto per essere sicura di quanto tempo fosse passato.
Le sei.
Erano quattro ore che quegli orrendi rumori le facevano da sottofondo alla lettura.
Sarebbe impazzita nel giro di poco, lo sentiva.
Chissà, magari intanto Alexander aveva cambiato ragazza.
Il solo pensiero le faceva rivoltare lo stomaco.
Era stata un'orribile giornata, quella.
Insomma, i suoi genitori l'avevano abbandonata in un lussuoso appartamento con un pervertito, fantastico, no?
Dopotutto, però, Alexander era – ora ne era più che certa – uno di quei figli di papà all’apparenza degli angeli con tanto di aureola, ma che sotto sotto erano peggio del demonio.
Ringraziò – ed Evelyn McKee che ringraziava era un evento più unico che raro! – chiunque le avesse donato un corpicino insulso e da bambina e riprese a leggere, mettendosi le cuffie con un valzer di Shostakovich al massimo volume per non pensare a cosa Alexander stesse facendo in quel preciso istante con quella ragazza.
Il tempo scorreva però lento, troppo lento.
Quanto avrebbe dato per andarsene, in quel momento? Tanto, davvero tanto.
Di fatto, Evelyn McKee, lo avrete notato, era impulsiva, anche tanto, ma riusciva a mantenere quasi sempre una calma alquanto innaturale.
Quasi sempre, appunto.
Ad ogni modo, non si era mai veramente confrontata con il vero mondo dei ragazzi della sua età.
Certo, c’era Arthur, ma Arthur era Arthur dopotutto.
Si erano conosciuti undici anni prima circa, Evelyn aveva appena iniziato il suo programma scolastico, che i “normali” bambini iniziano dopo circa un paio d’anni, mentre Arthur era un paffuto bambino iperattivo che amava giocare.
Gli Hudson erano altri amici dei McKee, soprattutto le madri, un tempo compagne di scuola.
Un giorno, la signora McKee e la signora Hudson, si ritrovarono appunto a chiacchierare del periodo universitario nel quale si erano perse di vista ed ebbero la brillante idea di portare con loro i due figli.
Evelyn era intenta a leggere – come aveva detto l’insegnante – un libro di fiabe.
La disgustavano quelle orrende storie su principesse e principi, preferiva di gran lunga quei meravigliosi racconti di Stephen King, che non aveva il permesso di leggere, ma che leggeva comunque, nonostante i suoi quattro anni.
Doveva ammettere che non ci capiva così tanto, a volte, ma quelle storie l’affascinavano molto più di quelle stupidate a lieto fine che doveva leggere.
Arthur, intanto, la osservava con le sopracciglia rosse aggrottate, chiedendosi cosa caspita stesse facendo quella bimbetta dallo sguardo arcigno.
Insomma, Evelyn non sprizzava esattamente allegria da tutti i pori, ma Arthur prese l’iniziativa e disse un timido “Ciao”.
Evelyn alzò lo sguardo dal libro e guardò quel bambino, quel bambino che si era permesso di rivolgerle la parola.
«Ciao» disse, con noncuranza, ritornando al suo libro.
«Cosa fai?» chiese nuovamente il rosso, cercando di capire come mai quella bambina lo guardasse così male.
«Leggevo» rispose Evelyn.
«Leggevi?» Arthur parve stranito.
Per lui leggere era da grandi, e quella bambina le sembrava tutto meno che grande.
Forse voi pensate, però, che Evelyn abbia usato il passato senza farci molto caso, in effetti sarebbe stato più sensato dire “leggo”, invece di “leggevo”, ma invece no, se c’è una cosa che Evelyn sapeva fare anche a quattro anni era usare le giuste parole.
«Sì, ora ci sei tu a disturbarmi» rispose quindi Evelyn.
Ecco, avete visto? La piccola Evelyn sapeva come togliersi dai piedi i rompiscatole.
Peccato che non conosceva Arthur Hudson.
«Divertente» commentò, dopo una breve risata.
Una risata così cristallina, che sembrava gradevole come il rumore delle onde.
Evelyn non era mai riuscita ad imitarne una, ma neanche ad inarcare le labbra con quella specie di “u”, come vedeva spesso fare agli adulti.
Insomma, dopo questo primo colloquio pieno di strane occhiate e parole dosate col contagocce, Arthur ed Evelyn divennero con gli anni una cosa molto strana.
Lei odiava definirlo “migliore amico”, era un sentimento troppo stupido da provare, ma in ogni caso qualcosa erano, non sconosciuti, di certo.
Comunque, dopo questo breve aneddoto, ritorniamo dalla nostra frustrata Evelyn.
Dov’era? Ah, già, nella sua stanza a leggere.
E anche da un bel po’, pensava.
Era quasi ora di cena, così tolse le cuffie per capire se Alexander era ancora intento nei suoi lavoretti ricreativi.
Non si sentiva alcun rumore, di nessun tipo.
Ottimo, pensò Evelyn, anche se questo non significava esattamente nulla.
Forse adesso era con una ragazza un tantino più silenziosa, chissà.
Aprì piano la porta della sua stanza, controllò il corridoio e decise di dirigersi in cucina, ovunque fosse.
Neanche il tempo di scendere le scale, che il campanello suonò.
Oh, oh.
Non aveva alcuna intenzione di aprire, poteva trattarsi di chiunque, un’altra amichetta di Alexander magari.
E lei non avrebbe mai voluto incontrarne nessun’altra.
Non sapeva dove fosse Alexander, ma ovunque fosse o faceva finta di non sentire mai quel dannato campanello, o era sordo per davvero.
Suonò per circa due minuti, dopodiché si stancò veramente di sentire quell’acuto rumore proveniente dalla porta, e aprì di getto.
Era un ragazzo.
Aveva i capelli corvini spettinati, la pelle olivastra e gli occhi di un candido azzurro.
Non poteva importagliene di meno, ad Evelyn.
«Finalmente, Alex, che cazzo stavi facen...» la voce del ragazzo si spense all’istante, notando che l’essere che gli aveva aperto era leggermente più in basso di quanto pensava.
«Ehm... salve?» azzardò il ragazzo, leggermente frastornato, ma con un sorriso sghembo sulle labbra.
«Se cerchi quel disgraziato, non ho la più pallida idea di dove sia» sputò Evelyn, roteando gli occhi.
Il ragazzo la guardò in modo così strano e così divertito, che Evelyn per poco non ebbe l’impulso di sbattergli la porta in faccia.
«E tu chi saresti?» le chiese, con un tono completamente diverso dal precedente.
Più mieloso e impastato, simile a quello di Alexander, ma più dolce.
E lei lo odiava già.
«Chi saresti tu, forse» rispose Evelyn, con il suo solito tono duro.
«Terence Wilson, ma puoi chiamarmi Ter» rispose il ragazzo, senza cambiare tono.
«Interessante, davvero. Non cercavi Alexander?» tagliò corto Evelyn, disgustata dal tono del ragazzo.
«Oh, la tua compagnia sarebbe molto più accattivante, in realtà» rispose Terence, appoggiandosi alla soglia.
Ma quanto era sfacciato? Pensò Evelyn, alzando un sopracciglio.
«Contaci» disse Evelyn.
Si fece da parte per fare entrare quel ragazzo, lei sarebbe ritornata nella sua stanza alla fine, le era addirittura passata la fame.
«Bene, non ti aspettare che vada a chiamare quello sciagurato. Io vado, au revoir» avanzò verso le scale per salirle, ma il braccio del ragazzo le bloccò la vita.
Una qualunque ragazza avrebbe sicuramente notato il brivido a quel contatto azzardato e sfacciato, ma Evelyn avrebbe soltanto voluto prendere a schiaffi il mondo intero, in quel momento.
«Tu. Mollami. Subito» disse Evelyn.
Il ragazzo rise un attimo, poi la lasciò.
«Scusami, non volevo, davvero. Però spiegami esattamente cosa c’entri con Alex. Dio, non riesco proprio a capirlo e mi sto scervellando da un minuto» rise Terence.
Evelyn fece un profondo respiro e scosse la testa.
«Prima dammi una pistola» disse sarcastica.


-Author’s Corner-


Salve! So che è una vita che non aggiorno la long, comunque ecco qua il primo capitolo.
So anche che il finale non è proprio un finale, ma l’ho spezzato in due, per creare un po’ di suspense (?)
Comunque, le recensioni sono sempre gradite ovviamente, mi farebbe piacere sapere il vostro parere :)
Detto questo, vi lascio, e alla prossima ;)

Evelyn.

   
 
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