Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso.
Solipsism in Winter
Mentre riprendeva fiato, si lasciò cadere piano sul prato umido
di pioggia.
Dio, se aveva faticato.
Gli occhi le bruciavano, si sentiva le ossa rotte e la testa le scoppiava dal
dolore, per giunta l'affanno le rompeva di continuo il respiro come chi è
rimasto troppo a lungo sott'acqua.
C'era d'aspettarselo.
Del resto si era dedicata con meticolosa pazienza a distruggersi il corpo.
Gli allenamenti massacranti con Neji-niisan servivano
a questo, fondamentalmente. E per fortuna non aveva
iniziato a piovere.
Non che lei odiasse poi così tanto la pioggia, ecco.
Preferiva senz'altro vederla cadere oltre il vetro, seduta con Hanabi davanti al caminetto nel profumo di una tazza di
cioccolata bollente.
Ma stava mentendo.
A casa loro non c'era nessun caminetto, Hanabi era
allergica al cioccolato ed erano settimane che non parlava davvero con sua
sorella.
E poi, a essere sinceri, quando mai aveva parlato con Hanabi -senza l'astio, le frecciatine
velenose, il sarcasmo e il disprezzo?
Mai.
A fatica si rimise in piedi, scrollò via le goccioline
di cristallo impigliate nei capelli e nei vestiti in un vago tentativo di
rassettarsi, poi i suoi occhi gelidi incontrarono un cortile deserto e un cielo
grigio altrettanto gelidi.
Neji-niisan se n'era andato via già da una buona mezz'ora. A parte
distruggerla, lui non faceva altro.
E comunque andava bene così. Tutto normale.
S'incamminò esitante verso l'imponente villa che costituiva il cuore dei
Quartieri Hyuuga, una villa maestosa, imperiale e
anche un po' patetica -ma come tutti loro, del resto.
Gettò uno sguardo incolore alle finestre dei piani più alti. Una candela brillò
spavalda oltre il velo di un futon in carta di riso.
Hanabi, pensò.
Quella
sera a cena ci sarebbe stato meno silenzio.
Hinata comunque non parlava
mai durante i pasti con la sua famiglia, proprio mai.
Nessuno sembrava curarsene.
Lo trovavano normale.
"Parte prima di pranzo, tra un paio d'ore."
Hyuuga Hanabi svuotò lo
zaino da ninja con un gesto secco e sicuro. Vestiti,
guanti, il coprifronte, svariati kunai
orlati di macchie rugginose e una bottiglia d'acqua si sparpagliarono con
ordine sul suo letto.
Come una cascata di oggetti che cadevano dall'alto
potesse tecnicamente disporsi in modo ordinato, Hinata proprio non lo sapeva. Non l'aveva mai capito. Però
era sicura che, se lei ci avesse provato, metà delle sue cose sarebbero finite sul pavimento, rotte o rovinate.
Se c'era dell'ironia in tutto questo, Hinata non avrebbe saputo dirlo. Nè
le importava davvero, in fondo.
"Sarà la duecentesima missione di recupero, o comunque
un numero molto vicino a quello."
I vestiti scivolavano veloci in quelle sue piccole mani da pianista per poi
finire impilati nell'armadio o nel cesto dei panni da lavare (panni sporchi,
panni sporchi, panni sporchi che si lavano in famiglia...)
Hinata invidiava sua sorella per quella sbalorditiva
agilità nell'utilizzo degli arti superiori, capacità che, unita a un talento
innato nell'uso del Byakugan e a una mente analitica,
ne avevano fatto la più giovane e brillante Chunin
dell'Accademia, ormai quasi Jonin, nonchè costante termine di paragone con la sorella maggiore
-Hinata, appunto. Che in quello sfolgorio di ambizione restava sempre, cronicamente tagliata fuori.
Nonostante gli anni, nonostante il tempo.
"E' un inguaribile ottimista. O un colossale idiota, a
seconda dei punti di vista."
Hanabi non le concedeva neppure il lusso di un
sorrisino malevolo. Parlava perfettamente atona, non una ruga d'espressione sul
piccolo viso a punta, non un luccichio nello sguardo. Niente.
Hinata non le rispose neppure.
Avrebbe dovuto importarle di rispondere, avrebbe dovuto
scattare punta sul vivo, ma in quel momento sentiva solo il vuoto. Un vuoto
così grande che nessuna parola, per quanto melodiosa, per quanto roboante, per quanto scelta con cura, avrebbe potuto
colmarlo.
"Non torneranno. No, non tornerà questa volta.
Nell'aria c'è proprio questo."
"Invece tornerà" Hinata strinse
i pugni in un riflesso involontario.
L'ha sempre fatto, c'è sempre stato tempo, perchè questa volta non...
"Beh, suppongo che tu sia inguaribilmente ottimista -o colossale idiota-
esattamente come lui, forse è per questo che ti piace tanto."
Perchè inseguite entrambi qualcosa che non c'è, si tenne per sé Hanabi, le dita che sfioravano il coprifronte
della Foglia in una carezza disinteressata.
Hinata ancora una volta non rispose. Guardò
distrattamente il quadro di fiori essiccati che aveva
appeso tempo prima accanto alla finestra, per coprire quella macchia di umido
che nessuno aveva mai provato a mandar via, quasi non fosse importante. E non lo era, davvero.
Hanabi non le badava neanche più, presa com'era a
riordinare il suo equipaggiamento da ninja. I suoi
occhi, una lastra di ghiaccio compatto, sembravano fasciare le else dei kunai e degli shuriken come la
stessa mano salda che l'impugnava in battaglia.
Occhi senza luce, realizzò Hinata.
Anche lei non faceva altro che distruggerla, come Neji-niisan.
Ma un po' come tutto.
Il silenzio le fece terra bruciata intorno: Hinata lo
sentì gorgogliare fin nel profondo delle vene.
Due ore.
Le venne voglia di vomitare.
Lasciò la stanza senza dire una sola parola.
Ichiraku era chiuso. Ferie invernali, tra l'altro
meritate.
Ogni negozietto di Konoha, di solito così festoso e
rutilante di voci, era stretto nel silenzio di una serranda abbassata, come se
l'inverno avesse colto tutti quanti impreparati.
Quasi fosse arrivato all'improvviso, assediando ogni cosa coi
suoi strali di gelo, come un nemico inaspettato contro cui Hinata
non aveva difese.
La piazzetta principale del villaggio era vuota e gelida, un po' come lei.
Hinata gettò le gambe oltre la panchina, si appoggiò
contro la superficie fredda dello schienale di pietra e lanciò un lungo sguardo
allo spicchio di cielo color luna che si allungava fino all'orizzonte.
I raggi di sole, deboli e pallidi, l'attraversavano, ma non facevano male.
Dopotutto era questo che significava il suo nome: Hinata,
attraverso il sole. Così come il sole, sbadatamente, la trapassava senza
neppure vederla.
Ancora un'ora e mezza.
C'era sempre tempo.
Hinata inspirò ed espirò, un gesto così normale e meccanico che
sul momento le risultò solo la fotocopia di mille
altri respiri già dissoltisi nell'aria fredda.
Niente di nuovo, respirare era normale.
Non classificò subito l'odore che violento come un pugno le colpì le narici.
Poi in lei si fece strada subdola, determinata e inequivocabile
la consapevolezza.
Quello era l'odore della sconfitta.
Mancava un'ora.
C'era ancora tempo.
Ma lei voleva che ce ne fosse?
"A-avevi detto che
la prossima volta saresti stata più forte."
"C'è ancora tempo."
"Ma lo avevi d-detto!"
"Lo ricordo."
"L'avevi promesso!"
"Lo ricordo."
"E allora p-perchè n-non arriva mai l-la
prossima volta?!"
...Perchè sì?
"Hinata."
Mancava mezz'ora, e gli occhi gelidi si erano persi in un
altro cielo, questa volta azzurro.
Aveva sorriso debolmente.
"Naruto-kun."
Il Chuunin aveva ricambiato il sorriso, una sciabola
di luce che aveva attraversato Hinata come uno
specchio.
Poi si era avvicinato e si era seduto al capo opposto della panchina.
In un silenzio un po' pensoso un po' corrucciato, Naruto
andava ricontrollando con zelo lo zaino e il tascapane dove per un istante luccicarono sinistre le punte dei kunai.
Un'espressione terribilmente seria gli dominava il viso, di solito fin troppo
allegro e spensierato, viso di ragazzino impudente che rifiutava di crescere (fin quando, alla fine, la vita l'aveva fatto
crescere per forza).
Un'altra Hinata sarebbe arrossita fino alla radice
dei capelli, avrebbe avuto difficoltà a respirare e per concludere
sarebbe caduta preda dell'ennesimo umiliante svenimento.
L'Hinata del presente si trovò a disagio, rughe
candide le solcarono la fronte e le labbra si strinsero all'ingiù in una posa
che si sarebbe potuta definire o stizzita o dolente. Seguì il contorno statico
degli edifici del villaggio, guardò il brullo paesaggio invernale splenderle
accanto nel suo gelido bagliore e poi, quando non seppe proprio più dove posare
gli occhi, li fissò sulla stradicciola di terra
battuta.
Le era sfuggito l'inaspettato silenzio di Naruto, solitamente così incline a soffocare in tutti i
modi le oasi di stasi che si aprivano nelle conversazioni, risultando spesso
irritante e impertinente -non per lei, ovvio.
"Partiamo; l'hanno avvistato al confine Nord del Paese."
Una piatta constatazione quella di Naruto, sotto cui Hinata lesse un lume inestinguibile
di speranza.
"...Uchiha-kun?"
Naruto annuì con un ghigno che non mancò d'essere
sicuro di sé:"Già, quel bastardo. 'Sta volta lo
riportiamo indietro."
...La duecentesima missione di recupero, o un numero molto vicino.
E l'odore nell'aria la stordiva, ma Naruto, Naruto non l'avrebbe mai
capito.
"Non avete chiesto il nostro aiuto." Questa, sì, fu una piatta
constatazione, che Hinata forzò con un tono vago e
fioco.
"Oh, Kakashi-sensei, Sai, Sakura-chan
e io bastiamo e avanziamo, te l'assicuro.
Poi è una faccenda tra noi, ecco" aggiunse l'Uzumaki
più brusco di quanto avesse voluto.
Hinata non si scusò, non si sentì mortificata, non
reagì. Si limitò a tacere.
L'aria era irrespirabile.
Non ha importanza, c'è sempre tempo, c'è sempre stato, c'è
sempre tempo, prese a cantilenare incrollabile fra sé e sé.
Non vide gli occhi e il sorriso di Naruto farsi
ancora una volta risoluti:"Torneremo presto,
tutti interi. Oddio, Sas'ke
un po' meno, ma se l'è cercata. 'Sta volta una lezione
coi fiocchi non gliela leva nessuno, garantito, dannato bastardo che non è
altro. Mi sono stufato di rincorrerlo come una vecchia balia,
'sta volta le prende sul serio. Lo trascinerò qui a calci in culo, mordendo la polvere e pronto
a ridargli un fracco di legnate se solo osa pronunciare la parola
"vendetta"...
Questa volta andrà così, sicuro!"
Hinata non vide che quegli occhi non la guardavano
neanche più, assorti a definire i contorni del sogno che Naruto
custodiva gelosamente nell'azzurro delle iridi.
...Non lo senti quest'odore, Naruto-kun?
Mancava un quarto d'ora.
La nausea cominciò minacciosa a sussultarle nello stomaco.
"Buona fortuna, Naruto-kun."
"Grazie, Hinata."
Andava incontro alla sua fine, Naruto. E sorrideva.
Il sole invece la trapassava.
Ma lei, come al solito, non faceva niente.
Normale.
"Naruto!"
Sakura alzò un braccio, richiamò
in lontananza il compagno di squadra. Il suo sguardo era scuro, l'addensarsi di
un temporale in cui brillava una lama di determinazione: Hinata
la guardò appena, indifferente.
Sai, accanto a lei, non lo calcolò neppure.
Dietro di loro balenò l'ombra autorevole di Kakashi-sensei,
come al solito seppellito in uno di quei libretti che
ormai doveva aver imparato a memoria. Hinata non badò
neanche a lui.
Naruto si alzò in piedi, diede un paio di colpetti
alla sgargiante tuta arancione e nera come se questo potesse renderla più
dignitosa, poi alzò il pollice sinistro verso l'alto, un sorriso che gli
correva su tutto il viso: "Tranquilla, torneremo presto, dattebayo!"
Tutto le suonava così incredibilmente vuoto.
E quell'odore, Naruto-kun, quell'odore...
E tutti gli avvertimenti inascoltati in questi mesi, la mezza parola
lasciata cadere per sbaglio da Neji-niisan, le
macchinazioni degli ANBU, le indiscrezioni, le voci di guerra, la quiete prima
della tempesta, i morti, Tsunade-hime che vince alle
tre carte, l'inverno...
Naruto ancora non si decideva a
incamminarsi verso il resto del Team Seven.
Mancavano cinque minuti.
Se c'era stato tempo per dieci anni, come
poteva improvvisamente non essercene più?
Era impossibile.
C'è sempre stato tempo e sempre ci sarà. La prossima volta invece non
ci sarà mai.
"Hinata," chiamò Naruto, improvvisamente di nuovo quel blu cupo e serio
-così fuori luogo per lui- nei grandi occhi sgranati,"non c'è qualcosa che
devi dirmi?"
"No."
Hinata non sapeva che fosse così dolce, così
mormorante e quasi timido il suono di qualcosa che si frantuma: un po' come
abbandonarsi lentamente all'abbraccio dell'acqua, senza rimpianti.
Naruto la osservava col sorriso più doloroso che
Probabilmente era quello il sorriso di chi riconsegnava le armi e si arrendeva
al boia.
"Ah, bene. Non importa. A presto!" Le voltò le spalle e prese a
camminare.
In un attimo raggiunse Sai, Sakura
e Kakashi-sensei.
Naruto andava incontro alla sua fine.
E, come sempre, sorrideva.
Hinata chiuse gli occhi.
Si mise in piedi e con lunghi passi misurati imboccò in perfetto silenzio la
strada che l'avrebbe riportata ai Quartieri Hyuuga.
Non c'era più niente da vedere.
Il tempo era scaduto.
Fin
Note
dell'Autrice
Questa storia ha partecipato al Concorso NaruHina
indetto da Ferula_91 e Ayumi Yoshida
classificandosi sesta.
Beh, che dire, non sono molto dell'umore giusto per rispondere ai vostri
splendidi commenti, dunque lo farò al prossimo aggiornamento (che sarà presto,
non dubitate u.u). Comunque
vi abbraccio e vi amo tutti indistintamente, non sapete quanto le vostre parole
siano importanti per me e mi spronino ad andare avanti e scrivere.
Recensire è fondamentale, non mi stancherò mai di
ripeterlo. Non sapete quanto mi aiutano le vostre righe di commento. Ancora,
mille volte grazie: non basterebbe una pagina per quante volte vorrei ringraziarvi :).
Grazie
dell'attenzione,
Hipatya