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Autore: Ciajka    29/11/2013    0 recensioni
"Avete mai visitato Venezia?
Quella strana città che sorge come un miraggio appena sopra la superficie del mare? Piena di storia e arte, che tutto il mondo invidia?
Bene, Aurora la odia.
Ma il fato ha un gran senso dell'ironia e non sapete quante risate si è fatto quando la ragazza ha deciso di iscriversi ad un corso di studio che ha sede proprio nella sua odiata Venezia.
Eppure questo è un fatto marginale se si considera che la sua normalissima esistenza vacillerà, quando scoprirà che, oltre a quello che gli occhi comuni riescono a scorgere, esiste un altro mondo nascosto, molto più interessante e misterioso. Ma anche molto più pericoloso."
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO
 
La promessa di Aurora fece la fine della maggior parte delle promesse che si esprimono quando si è bambini, cioè si infranse nel giro di qualche anno.
La seconda volta che tornò a Venezia fu in seconda media, in gita scolastica. E dovette ammettere che la sua impressione rimase immutata. Rimaneva sempre una città brutta, sporca, puzzolente e piena di gente. Certo, forse qualche scorcio era anche interessante per l’occhio, ma per il resto era solo un gran casino.
Ritornò qualche anno dopo, per il carnevale.    Non poteva scegliere un periodo peggiore.
Se prima era brutta, sporca, puzzolente e piena di gente, ora era solo piena di gente. Infatti le strade erano così affollate che non riusciva nemmeno a vedere dove metteva i piedi e questo comportava che neppure il suo olfatto riusciva a funzionare in modo efficace, circondato com’era da profumi sintetici, ciprie, stelle filanti spray e cibi fritti proveniente dai costosissimi bar.
Un incubo.
Così non rimise più piede a Venezia per un lustro, pensando che ormai, per lei, quella città era un capitolo chiuso.
 
Ma il fato, che vede e prevede, decise che quella città non sarebbe uscita dall’esistenza di Aurora tanto facilmente. Non basta mettere la parola fine al termine di un capitolo, se il libro non è ancora concluso.
Quando la piccola Aurora non fu più tanto piccola, ma bensì stava per affrontare gli esami di maturità, si rese conto che doveva decidere al più presto il suo immediato futuro.
Problema numero uno: continuare il percorso di studi, oppure no? 
Siccome di lavorare non ne aveva proprio voglia, la risposta era decisamente sì.
Problema numero due: che corso di studi?
Questo era già qualcosa di più complicato da decidere. La risposta precisa arrivò quando il tanto temuto esame orale della maturità l’aveva già terminato da due settimane.   Chimica.    Perché no? Alla fine lei aveva studiato in un liceo scientifico, quindi era logico scegliere una facoltà scientifica.
Perfino Spock avrebbe approvato.
Va bene, ora che sapeva qual era la meta, non le restava di decidere la strada. Problema numero tre: quale università?
Si informò quali atenei veneti fossero i migliori in campo chimico (e ovviamente il fattore vicinanza da casa era un requisito fondamentale) e concluse che erano quelli di Padova, Verona e Venezia.
Verona si è ritrovata ad escluderla quasi immediatamente, siccome il nome della facoltà biotecnologie chimiche le faceva venire il fiato corto. Lei e la biologia non erano decisamente grandi amiche.
Quindi decise di puntare tutto su Padova e sul suo corso di laurea di Chimica Industriale.
Venezia, non c’era neanche bisogno di chiederlo, era esclusa per principio.
Ottimo, tutto era deciso e tutti, parenti, amici e lei, erano felici e contenti.
Ma Aurora non aveva tenuto conto di un particolare fondamentale.
Per entrare nella facoltà di Chimica Industriale bisogna fare un test d’ingresso, dove ti accettano solo se raggiungi un punteggio minimo.
Ah, non fraintendetemi! Non è che lei non sapesse che quello fosse un corso a numero chiuso, anzi, per tre mesi non fece altro che studiare (nei limiti dell’abbiocco che colpisce nel periodo estivo) per superarlo.
Quello che non aveva previsto era il fatto di non passarlo.
Quando ricevette la notizia, rimase di sasso.
Si rinchiuse nella sua stanza e rimase mummificata sopra il letto fino al giorno seguente, o quasi.
L’idea di perdere un anno era insopportabile e la delusione in generale la faceva sentire uno schifo.
Finché sua madre ebbe una brillantissima idea.
“Tesoro! Invece di stare lì a piangerti addosso, potresti scegliere un altro corso di laurea.” le disse, cercando di rianimare il cadavere steso sopra il letto.
“Sì, certo. Il periodo dei test è finito, ma immagino che per me faranno un’eccezione.” rispose con sarcasmo.
Sua madre le lanciò un’occhiataccia. “Non fare la sciocca. Potresti prendere in considerazione Venezia. Anche lì hanno un corso di Chimica Industriale. E anche un’altro molto carino… come si chiama… Chimica per le Tecnologie Sostenibili o qualcosa di simile.”
Aurora la guardò come se davanti a lei fosse apparso un extraterrestre con addosso un tutù rosa.
“E la cosa più importante è che non hai bisogno di fare un test d’iscrizione! Nel sito c’è scritto che ti accettano in qualunque caso.”
Aurora continuò a scrutarla, in silenzio e con serietà.
La madre continuò, ignorando gli sguardi taglienti della figlia: “Potresti prenderlo in considerazione! Alla fine le materie sono simili. Non mi sembra una brutta idea.”
“Mamma.” la interruppe la ragazza con tono greve “È a Venezia.”
“Oooh quante storie!” Le spazzolò i capelli biondi in fare scherzoso “Tu pensaci. Non essere troppo testarda.”
Aurora non mosse un muscolo, nemmeno quando la madre le scompigliò i capelli, formando una matassa che assomigliava ad un gatto spelacchiato. Disse solamente un “Ok.” mezzo mangiucchiato.
“Bene.” La donna uscì dalla stanza e aggiunse: “Ancora dieci minuti, poi la cena è pronta!”
 
Passò una settimana, dove Aurora la riempì con musica malinconica, telefilm e scambi di sms con la sua migliore amica.
Poi giunse ad una conclusione.
Si sarebbe iscritta a Venezia.
Aveva un piano in mente: avrebbe frequentato solamente il primo anno, poi avrebbe chiesto il trasferimento a Padova. Alcuni esami potevano essere accettati in entrambe le università, quindi non avrebbe perso un anno a girarsi i pollici e a frignare. 
Geniale.  
Compiaciuta della sua trovata, andò sul sito internet dell’università e, senza pensarci una seconda volta, si immatricolò.
 
Il primo giorno d’università giunse fin troppo presto per i gusti di Aurora.
Era una calda e soleggiata giornata di settembre, l’acqua dei canali faceva da superficie riflettente dei raggi solari, scomponendoli in mille colori vivaci.
L’umore di Aurora era nero.
Non solo per la meta in sé, non solo per aver passato un’ora in piedi sul treno prima di giungere al capolinea, non solo per la gente che intralciava il suo percorso con valige e valigette quando stava attraversando il Ponte Nuovo*,  ma soprattutto per il fatto che non riusciva a trovare quella stramaledetta sede.
“Ma che due balle!” imprecò ad alta voce.
Si era perfino stampata da internet una cartina con il percorso e l’aveva seguito pari passo: stazione, sinistra, Ponte Nuovo, Piazza-Molto-Grande detta anche Piazzale Roma, sinistra, dritto, terzo calle a destra, ponte, dritto, ponte, dritto, arrivo.
Ora era ferma al punto “arrivo” ma tutto quello che vedeva era unicamente una via deserta, circondata da strette case di cui i mattoni fuoriuscivano timidamente dalla tintura crepata.  Appena dietro di lei si trovava una minuscola zona verde con un campo da basket mezzo abbandonato, fiancheggiato da due giostre per bambini che, di bambini, sembravano non vederne da anni.  Intorno a lei non c’era nessuna anima viva.
La cosa l’aveva leggermente sorpresa: non pensava che a Venezia esistessero vie prive di gente.  Un fatto positivo, certamente, ma ora le serviva un qualcuno da chiedere informazioni e quel qualcuno non si trovava.
“Sfiga del cazzo.” imprecò nuovamente.
Si ricordò che precedentemente aveva scorto un bar aperto, quindi optò di tornare indietro.
Stava per fare retro front, quando intravide due ragazze accostate vicino ad un passaggio in muratura, proprio a qualche metro davanti a lei.
Le osservò brevemente.
Zaino in spalla, capelli castani raccolti in una coda, jeans e sneakers comode.
Borsa ampia, lunghi capelli scuri leggermente scompigliati dalla brezza, occhiali e felpa grigia.
Aurora non faticò a dedurre che entrambe erano studentesse, come lei, e non due semplici turiste.
Contro la sua natura ritrosa, si avvicinò a loro e, interrompendo la loro conversazione, chiese dove si trovava e dove cavolo era la sede universitaria.
La ragazza con gli occhiali le rispose con un gran sorriso: “Sei proprio nel luogo giusto!”
Aurora appiattì le sopracciglia, perché grazie tante, essere più precisi no, eh?
L’altra ragazza le indicò l’arco da dove erano appena sbucate, aggiungendo: “Esattamente qui!”
“Ah.” fu il semplice commento di Aurora.
A prima vista non sembrava affatto l’entrata di una sede universitaria, ma di un magazzino.
“Lo so che non fa tutto questo grand’effetto, ma dobbiamo accontentarci.” continuò la ragazza con gli occhiali “Inoltre ci dovrebbe essere una targa, da qualche parte…”
La ragazza si avvicinò al muro e, scostando dei rampicanti che stavano esplorando la zona, apparve un piccolo rettangolo d’ottone, con impressi alcuni simboli a prima vista illeggibili. Aurora si avvicinò maggiormente e, sforzando gli occhi per leggere oltre quella patina consumata, distinse il nome della sua università.
Voleva staccare la targa e buttarla nel primo canale sotto tiro.
Ma si trattenne.
Era solo il primo giorno, doveva ancora iniziare la prima lezione e già non ne poteva più di quel luogo.
 
La giornata procedette con lentezza.                                                      
Nella sua testa, un corso universitario se l’era immaginato con un programma incredibilmente complicato, quest’ultimo illustrato da un vecchio docente restio dallo staccarsi dalla lavagna, mentre gli innumerevoli studenti lo accerchiavano in un’aula a gradoni, completamente presi dalle sue spiegazioni.
Invece si dovette ricredere.
L’insegnante era sulla trentina, anche se non così interessante per i gusti di Aurora, visto l’eccessiva magrezza e la sua strana pronuncia delle s. Il programma da lui spiegato era praticamente un ripasso di quello che aveva fatto alle superiori. Inoltre l’aula era un semplicissimo spazio rettangolare con una trentina di file di banchi, una cattedra e una lavagna, tutto posto nello stesso piano.
Ben presto si ritrovò a non ascoltare più quella monotona cantilena e iniziò a scarabocchiare sul quaderno.
La ragazza con gli occhiali, anch’essa frequentante il suo stesso corso di laurea, notò il suo calo d’attenzione. Quest’ultima, all’inizio della lezione, aveva genialmente pensato di prendere posto affianco di Aurora, nonostante la brevità della loro precedente conversazione.
Persino l’altra ragazza, quella con la coda di cavallo, era presente in aula e si era seduta tra la sua amica e il corridoio.
“Come mai non ascolti?” le domandò.
“Queste cose le so già.” Fu la lapidaria risposta di Aurora.
“Pure io. Che barba, eh?” le sorrise cordialmente.
Aurora si ritrovò a sorridere di rimando. Alla fine non sembrava antipatica. Tanto valeva chiacchierare un po’.
La interrogò: “Liceo scientifico?”
La ragazza annuì.
“Anch’io. Ah, mi chiamo Aurora.”
“Concetta.”
Aurora, ci pensò un attimo prima di chiedere: “Vieni dal sud?”
“Oh no!” esclamò quella “Lo so che il mio nome può confondere, ma sono veneta!”
“Ah. Capito. Mi sembrava, infatti, che non avevi nessun accento strano.”***
Concetta alzò le spalle, a mo’ di scusa “Ai miei genitori piaceva tanto...”
“Non c’è nulla da vergognarsi.”
Non c’era veramente nulla da vergognarsi, eppure nessuna delle due ragazze fu abbastanza coraggiosa da continuare la conversazione.
 
Il ritorno a casa fu più tranquillo del precedente. Aurora riuscì addirittura a trovare un posto per sedersi.
Si mise le cuffie e attaccò la musica a tutto volume: non voleva nessuno, ma proprio nessuno, che le rompesse le scatole.
Proprio quando iniziò il suo brano preferito, apparve il controllore.
Sentì un grave “Biglietti prego!” tuonare per la carrozza.
Aurora sospirò, aprì lo zaino e cercò con agitazione il portafoglio contenente l’abbonamento, nuovo di zecca. Ovviamente il portafoglio sembrava essere misteriosamente scomparso, anche se lei era convinta al cento per cento che doveva essere lì, da qualche parte.
“Mi scusi, devo solo trovare il portafoglio…” mormorò, con voce spezzata dall’ansia.
Quando lo trovò, con un sospiro di sollievo, alzò gli occhi verso il controllore, aspettandosi di coglierlo con un’espressione scazzata. Invece la sua espressione era più vicina allo sbalordimento.
Oh no, caro lettore, non lo sbalordimento da “oh, ma che bella gnocca!” ma lo sbalordimento da “O cazzo, cosa ci fa il mio cocorito sopra il tetto?”
 Aurora rimase parecchio sconcertata. L’uomo non rilassò un muscolo neppure dopo aver visto l’abbonamento: fece unicamente un rigido cenno di capo e se ne andò, bianco bianco, come se avesse visto un fantasma.
La ragazza si abbandonò allo schienale, pensando se per caso le era cresciuto un brufolo enorme sulla fronte, regalo di quella meravigliosa giornata, oppure se al controllore gli era venuto un colpo di mal di pancia così forte da farlo impallidire. Si sa, gli sbalzi termici possono essere devastanti.
Ma bastarono pochi minuti per rinchiudere quell’accaduto nell’oscuro e indefinito labirinto della sua memoria.
Aurora si concentrò totalmente sulla sua musica, assaporando la magistrale orchestrazione del concerto per pianoforte n°1 di Tchaikovsky.
 
* Quello che ha suscitato molte polemiche nei tg del Veneto. Tra scalini ammazza-gambe, ovovia porta-disabili che non ha lo spazio sufficiente per far entrare una carrozzina**, stabilità di un grissino e fashionosa esteticità che a molti fa suscitare un gran bel senso di perplessità.
** Incredibile, qualche giorno dopo aver scritto questa frase, sono passata per il ponte e ho visto che hanno messo in funzione l’ovovia! Ommadonnasantissima un miracolo!
*** Per i veneti, qualunque lingua al di fuori del proprio confine viene ritenuta foresta (estranea). Già solo un padovano, sentendo la cadenza di un vicentino, lo considera foresto. Quindi, per un veneto di qualunque provincia, una persona di un’altra regione è come un alieno di un altro mondo. È tutta questione di orecchio. Non è cattiveria, state tranquilli. Posate pure quei forconi di protesta e quei cartelloni con scritto “abbasso i veneti”, grazie.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE: E così è finito il primo capitolo! E non è successo ancora nulla d’interessante! Wow! Mi sto applicando nel parlare a vanvera.
Spero che non vi ho annoiato troppo.
E mi scuso anche per aver pubblicato così tardi! Purtroppo ho problemi di rete e, soprattutto, di studio e di orari universitari di mmmmerda che non mi lasciano tempo nemmeno di scrivere una frase.
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma sto facendo il possibile!
Grazie! A presto!
Ciajka 
  
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