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Autore: unicorn_inthemind    01/12/2013    3 recensioni
[Mermaid!AU]
In un'epoca indefinita, mentre le navi solcano ancora i mari scontrandosi con letali mostri marini, Rei Ryugazaki è un giovane con i piedi troppo per terra per credere all'esistenza di tali creature.
Un libro di mitologia marina, capitatogli in mano per caso, lo porterà a conoscere degli esseri per cui si spingerà in un viaggio quasi suicida per mare.
Sirene, le aveva chiamate quel pescatore - belle e fatali - ma Rei non gli aveva creduto. Era disposto persino a raggiungere la Grotta Verde e ritornare pur di dimostrare l'inesistenza di quelle creature.
Ma se quei mostri, quelle leggende, si rivelassero veri?
[...]
«Non sono una sirena, sono un tritone. Tri-to-ne.» protestò Nagisa agitando leggermente infastidito la coda color porpora.
Rei sbatté più volte le palpebre, non poteva essere vero. «Non è possibile.»
«Ma ti ho salvato dal Kraken, Rei-chan.»
«Non è possibile.»
«Ho curato le tue ferite con la mag-...»
Rei scosse la testa, risdraiandosi e chiudendo gli occhi con forza.
«La magia non esiste, e nemmeno tu. Sto delirando perché ho bevuto troppa acqua del mare. Quando mi sveglierò non ci sarai.» e si rifiutò di riaprire gli occhi.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il canto e la risacca.
 

Acqua.
L’Oceano è potente anche nei suoi momenti più placidi, le sue acque scure s’increspano creando disegni geometrici astratti. La bianca schiuma lambisce e trascina la rena, incessante, logorante, con la sua risacca che a lungo andare dona alla testa. E la risacca continua, e continua, non cessa, dal suo risuonare più potente fino allo scrosciare dell’acqua, al deciso sciabordio dell’onda, alla profonda cacofonia degli abissi.
Rende folli, quell’incessante e implacabile sciacquio, giorno e notte, notte e giorno.
Notte.
Oceano. Un uomo ad un passo dall’infinito.
 
Rei osservava i giochi di luce dei pallidi raggi lunari sulle sue braccia, accovacciato con i gomiti sulle ginocchia, un vento lieve spirava dall’Oceano, messaggero di tutta quell’immensità. Si muoveva di poco, di tanto in tanto un braccio cadeva verso il basso e disegnava un cerchio sulla sabbia ai suoi piedi, non c’era molto da fare sotto quella notte, quella luna, su quell’isola sin troppo estranea per infondere sicurezza, per permettergli di addormentarsi. E poi c’era l’Oceano, che non si prendeva mai un attimo di pausa, ma continuava nella sua logorante lotta contro la sanità mentale di Rei; erano mesi che non conosceva silenzio all’infuori di quello sciabordio, gli veniva da domandarsi se non fosse impazzito, se ciò che vedeva non fosse solo il frutto della sua follia. Ma poi notava Nagisa, che appariva sin troppo reale e tangibile per essere solo un mero frutto della sua follia.
«A cosa pensi, Rei-chan?» gli strinse al fianco Nagisa, ma tutto ciò che uscì dalla bocca di Rei furono una serie di parole sussurrate. “Io... io...”, silenzio. Rei infossò il capo tra le scapole, totalmente alla mercé delle sue elucubrazioni mentali.

Le onde s’infrangevano placide, nulla era silenzio, e ancor meno lo era il filo di voce limpida e dolce che salì verso il cielo notturno, fino ad arrivare ad incantare la luna:
«Quando lasciai la mia casa per l’alto mare, dissi “cara madre, pregate Dio per me”
Migliaia e migliaia erano le leggende sui canti delle sirene, e tutte riconducevano ad un’unica morale: quella voce, quel canto, è l’ultima cosa che un marinaio ode prima di morire.
«E prima di salpare andai a prendere tenero congedo da Nina, che pianse come se il suo cuore si spezzasse.»
“Sai cosa fanno, le sirene?” aveva rivelato quel pescatore a Rei, in quel fatidico giorno che può essere considerato come l’origine dell’avventura del giovane “Attirano i marinai cantando, con quella loro bella voce, li chiamano e quando questi si avvicinano se li mangiano.”.

La bocca di Nagisa si muoveva appena, lasciando sgusciare suadente fuori dalle sue labbra una melodia dolce come l’ondeggiare dell’acqua, come la schiuma che lambisce gli scogli. Una droga per le orecchie di Rei, gli occhi inchiodati sul viso del tritone, all’apparenza così fragile, infagottato com’era in una camicia sin troppo grande per lui.
« Nina, se dovessi morire, e sulla schiuma dell’Oceano una sera dovesse venire a te leggera una colomba bianca...» gli occhi di Nagisa s’incrociarono in quelli dell’altro, c’era un viola mai sfiorato neppure negli abissi più profondi, che in un istante preferivano passare dal blu al nero, ignorando quella gradazione così vivida e intensa.
Rei-chan aveva quel qualcosa che lo aveva colpito, quando lo aveva visto lì abbandonato su quell’asse di legno spezzato, era sembrato stanco, arreso, succube dell’Oceano come mai nessun altro uomo era mai stato, come mai Nagisa aveva visto una sua preda. Gli si era avvicinato desideroso di apparirgli davanti, quella mattina, di spaventarlo, vedere la sua confusione; ma Rei era rimasto ben fermo sulla tavola, il respiro flebile di chi stava per andarsene da quel mondo, e poi era sprofondato. Si era conceduto all’Oceano come nessuno mai, neppure come un figlio che si cedeva al mondo nascendo, neppure come una sposa sull’altre al marito. Rei si era lasciato andare ancora più dolcemente di una goccia di pioggia che cadeva in acqua, aveva avuto un che di magico, straordinariamente tragico tanto da smuovere il cuore di un predatore avanti alla sua presa. E ciò l’aveva salvato.

«Apri la tua finestra, mia cara, che sarà la mia anima fedele che con amore torna a te!» terminò le ultime strofe di una delle tante melodie che conosceva per attirare i marinai tra le sue grinfie.
Rei era rimasto lì inchiodato a guardarlo, ipnotizzato come ogni Figlio della Terra rimaneva al sentire il canto di un Figlio dell’Oceano; si era avvicinato, man mano che la canzone di Nagisa era proseguita. Se fossero stati alla stessa altezza le loro spalle si sarebbero sfiorate, ma Nagisa era indubbiamente più basso e accovacciato su se stesso, così si limitava a lambire la pelle del braccio di Rei con la spalla. E guardarlo.
Quando la melodia era scemata, l’incanto era sfumato poco a poco, mangiato dai secondi che si accumulavano; si era diradato piano lasciando spazio alla lucidità, negli occhi di Rei, facendolo rendere conto della situazione, della vicinanza, del sorriso di Nagisa che colpiva come un pugno allo stomaco e dei suoi occhi così intensi anche di notte. E si era scostato, spostando gli occhi sull’Oceano, ma stando ben fermo al suo posto in modo da non allontanare la spalla di Nagisa. Gli donava una maggiore sicurezza: sapersi al fianco di qualcuno così rilassato anche in una notte buia su un’isola solitaria.
Le onde erano un accavallarsi di andirivieni e schiuma.
Il giorno dopo avrebbe avuto la sua prima lezione di nuoto, e i suoi istruttori sarebbero stati dei tritoni.
Che follia.
Sospirò, ormai si era arreso all’idea che il mondo fosse molto più misterioso e fantastico di quanto avesse creduto fino a quel momento. Un lato di lui avrebbe voluto scoprire tutto quello, un altro avrebbe voluto solo tenere occhi e orecchie fissi solo sullo scorcio ristretto di mondo che conosceva fino a pochi giorni prima, anzi, meglio ancora che conosceva fino a pochi mesi prima, quando neppure sapeva cosa fossero le sirene. Sì, quel giorno in cui aveva deciso di comprare un nuovo libro avrebbe scelto l’erbario sul terzo scaffale e a quell’ora sarebbe stato tra i campi fuori della sua cittadina, a collezionare fiori e foglie da conservare seccati tra le pagine di un grosso libro.
E invece ogni singolo granello di sabbia di quella spiaggia lo richiamava alla realtà.
Nagisa aveva iniziato a cantare una seconda canzone, più lenta di quella precedente, se la prima cantava di partenze e ritorni e aveva il sapore della melma del porto, questa era profonda come una fossa oceanica e attirava come l’oblio dell’acqua scura. Rei crollò nuovamente a dormire, il canto e la risacca a danzare sui timpani.
 
 
 
Di prima mattina, poche ore dopo il sorgere del sole, Nagisa aveva svegliato Rei in malo modo: i capelli e le alghe erano un groviglio giallo e scomposto sulla sua testa. Rei si era sentito tirare per un braccio, scuotere e persino spinto sino a rotolare su un fianco.
«Buongiorno, Rei-chan!» squillò il giovane tritone aprendosi in un sorriso immenso, i denti bianchi avrebbero potuto far concorrenza al sole.
Rei rimase ancora per qualche attimo nel limbo del dormiveglia, gli occhi assonnati ma dischiusi gli permettevano di vedere solo un susseguirsi di immagini sfocate, confuse.
«Pronto per la tua prima lezione di nuoto?»

Rei si tirò su con un sussulto, andando a cozzare contro il capo dell’altro giovane - che aveva pensato bene di gettarglisi addosso per svegliarlo meglio -, la botta arrivò con un rumore secco e un dolore alla testa. Rei se la sentiva pulsare tra le dita mentre si massaggiava la fronte. “Ahi!” squillò nell’aria mattutina, Nagisa si strofinava forte con il dorso della mano il naso, colpito durante lo scontro.
Dovevano essere circa le otto del mattino, i raggi del sole avevano preso già da un po’ a scaldare il mondo e la marea, salita durante la notte, si era ritirata assieme alla luna senza lasciar traccia. Rei avrebbe voluto chiedere a Nagisa  cos’era stata quella litania che aveva intonato sotto i raggi della luna, la sera prima. Il canto di sirene e tritoni era un’arma potente, incantava gli umani e li rendeva succubi del volere della creatura: se una sirena cantava di un amante perduto che tornava a lei, ecco che ogni marinaio, ipnotizzato, era disposto persino a gettarsi in mare e affogare, pur di raggiungere ciò che credeva essere la sua amante.
Belle e fatali, le aveva chiamate quel pescatore cieco per metà, con una rete bucata da riparare in grembo, e ora Rei capiva perché. Avrebbe dovuto averne paura, esserne terrorizzato, il suo cervello avrebbe dovuto registrare il pericolo e far squillare ogni possibile campanello d’allarme del suo corpo; ma Nagisa era così solare, così entusiasta e gentile che ogni dubbio sfumava nella certezza che lui non gli avrebbe fatto alcun male.
 
 
La prima cosa che Nagisa si domandò, quando Rei avanzò i suoi primi passi nell’acqua bassa, fu come ci si sentisse a percepire le proprie caviglie lambite dall’acqua. Lui non avrebbe mai potuto prendersi il lusso di entrare in acqua camminando, appena avrebbe immerso anche solo l’alluce la trasformazione si sarebbe effettuata fulminea e lui avrebbe perso la stabilità di due gambe per cadere muso in avanti. Nagisa, come qualunque altra sirena o tritone, si tuffava, in modo da ritrovarsi del suo elemento naturale già in posizione per nuotare via rapido.
Ma Rei no, Rei era un umano, un Figlio della Terra, e le sue gambe dolcemente lambite dall’acqua salmastra suscitavano in Nagisa una sorta di curiosità mischiata ad una punta d’invidia.

Quando Makoto e Haruka arrivarono, poco più tardi, trovarono Rei già immerso in un punto della costa in cui l’acqua gli arrivava al massimo alle spalle – quando le piccole onde si alzavano -, Nagisa gli nuotava attorno ilare: s’immergeva, riemergeva a pelo d’acqua e poi nuotava con solo il capo all’aria. E poi prendeva Rei per le mani, lo incitava ad allungarsi con il corpo a pelo d’acqua e gli donava indicazioni su come battere i piedi. L’aveva sempre visto fare ai marinai che catturava, muovere le gambe su e giù nell’acqua, schizzando in ogni dove per la foga. Ma questo, a Rei, non lo avrebbe mai detto; quando, infatti, l’umano gli aveva chiesto com’era possibile che un tritone conoscesse alcune delle tecniche di nuoto umane, Nagisa aveva scrollato le spalle e allargato il sorriso sino a scoprire i denti con dolcezza:
«Segreto, Rei-chan!»

Makoto osservava i due da lontano, Rei sembrava muoversi tranquillo nell’acqua, ma appena Nagisa lasciava le sue mani quello affondava come un sasso e non accennava a risalire. Gli veniva da ridere, Rei aveva un qualcosa di strano - quell’umano lo preoccupava non poco – eppure quella caparbietà che gli leggeva stampata in faccia, quell’inarrendevolezza nonostante bevesse grandi sorsate d’Oceano ogni qual volta che Nagisa lasciava le sue mani lo facevano fermare a riflettere che, forse, Nagisa aveva ragione, che, probabilmente, Rei non era così male. Scosse appena il capo per scrollarsi via le sue elucubrazioni mentali e nuotò filato verso i due giovani.
Haruka, lì accanto, rimase fermo in acqua per poi girarsi a guardarsi alle spalle. Una sensazione negativa gli aveva percorso la colonna vertebrale. Ma preferì non darvi peso, continuò ad osservare in disparte quel goffo umano che arrancava in un elemento che non gli apparteneva.
Dietro gli scogli, nella quiete di uno sciabordio d’acqua, una pinna si mosse furtiva.



Angolo autrice:
Ehi, io qui vado di fretta! 
Voglio solo fare un ringraziamento particolare ad Hanon993, perchè mi è arrivata la sua seconda fanart in proposito a questa storia e io sono un susseguirsi di ajeunaknjua <3.
Dato che la volta scorsa non ve le ho fatte vedere, queste due sono le sue fanart: [Link 1] e [Link 2]
Tornando alla storia... Secondo voi di chi è mai quella pinna? 
Eheh, alla prossima! 
Uni.
   
 
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