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Autore: Lady Liv    03/12/2013    3 recensioni
Ciao a tutti! :D Questa è al prima volta che pubblico, spero venga fuori qualcosa di buono! Dunque, la storia è questa: parla di una ragazza, una principessa, di nome Adelle che sta per sposarsi con un uomo che ha visto solo una volta ma di cui è convinta di essere innamorata. Ma scoprirà ben presto e a proprie spese che non solo che si è innamorata solo dell'idea che si è fatta di questa persona, ma che potrebeb persino essere innamorata di un altro... e cosa succederebbe se la principessa dell'intera galassia si innamorasse del proprio sarto squattrinato? Sarebbe uno scandalo! Riuscirà Elle a rinnegare la propria vita precedente, passata a cercare di compiacere il regno e sua madre, la gelida e intransigente regina Tullia? E soprattutto, questa volta l'amore è quello vero o è ancora tutta un'illusione? Scopritelo leggendo! Spero tanto che vi piaccia, grazie mille comunque! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ciao a tutti, rieccomi con un nuovo capitolo! Devo scusarmi infinitamente, perchè questa volta ci ho messo davvero tanto tempo a scriverlo, la verità è che non avevo molte idee su come far continuare la storia (e questa non è una bella cosa dal momento che sono solo al terzo capitolo), ma adesso per fortuna ho superato il cosidetto ''blocco della scrittrice''... anche se non sono una scrittrice xD Okay, passiamo ad altro... come vi ho già scritto nel precedente capitolo, mi piacerebbe davvero un sacco se mi scriveste il vostro parere sulla ff, anche solo due parole! Chiuqnue volesse esprimere la sua opinione è ben accetto! Detto questo, ringrazio ancora Lady Yoru per aver recensito entrambi i capitoli precedenti e anche la sua amica Lady Tsuky per averli letti insieme a lei! Non sapete come mi renda felice sapere che la storia piaccia a qualcuno :)

Mi scuso anche per eventuali errori di battitura che mi sonos fuggiti (sono una frana a scrivere sul computer u.u) Okay, molto bene, ora smetto di annoiarvi e vi lascio al capitolo, sperando che non vi annoi ancora di più... Ci si legge sotto ;)





CAPITOLO 3

Il nome dei gabbiani






Noah sospira e aggrotta la fronte corrucciato. Mi guarda per un po' e il fatto che io non riesca a decifrare la sua espressione mi intimorisce, ma alla fine dice: -Non voglio farti del male.

Queste parole sembrano riempirmi interamente il corpo e hanno l'effetto di una grossa tazza di cioccolata calda davanti al camino in una serata di inverno, quando fuori nevica e tu sei tutta infreddolita. Senza farlo apposta sorrido.

-Questo non vuol dire che ti lascerò andare.

Oh. Fantastico. Sono ultracontenta adesso. -Ma che senso ha trattenermi con te in questo carro?- domando furibonda, i pugni serrati.

-Nessuno potrà toccarmi con te come ostaggio. Mi dispiace.

Resto in silenzio. In effetti gli farei piuttosto comodo. Ma questo non giustifca niente. Sto per ripartire con una carrellata di insulti quando mi fermo, pensando che non porterebbe a niente. Piuttosto sono curiosa di sapere perchè le guardie non lo volessero fare uscire dalla città, così glielo chiedo, ma lui tace. Attendo pazientemente e alla fine si arrende e ammette: -Okay, ho rubato il carro dove ci troviamo adesso e mi hanno scoperto.

-Aspetta, vuoi dire che con tutti i carri che potevi rubare ti sei preso questo ammasso di legna ammuffita?

-Ehi, vacci piano. Guarda che sono stato fin troppo fortunato a trovarne uno nei dintorni che non avesse il portellone chiuso col catenaccio. Il proprietario deve essere un idiota.

Stringo le labbra infastidita e tra noi cala il silenzio.

-Dove stiamo andando?

-Non sono affari che vi riguardano, principessa.

-Certo ce mi riguardano! Sono chiusa in un carro bestiame e non so nemmeno se ne uscirò! Come potrebbe non riguardarmi dove diavolo siamo diretti?

-Calmatevi, per favore. Vi garantisco che una volta raggiunta la meta vi lascerò libera.

Lo guardo negli occhi cercando di stabilizzare il respiro e a poco a poco la mia rabbia svanisce come è arrivata, vedendo la sincerità di cui sono intrisi.

-Dovete essere affamata- dice Noah in un sussurro dopo un lungo silenzio. Sì, in effetti, e anche molto. Il mio stomaco brontola come per darmene atto e lo copro involontariamente con le mani. Distolgo lo sguardo, ma non sono abbastanza veloce e vedo gli angoli delle labbra del sarto incurvarsi all'insù. Non voglio ammettere che ho fame, quindi stringo i denti e scuoto la testa. Ma non gliela do a bere. -Ti ho conservato qualcosina. Tieni- e mi lancia un involucro di carta. Non lo afferro e cade per terra di fianco a me, mentre gli lancio un'occhiatina avida e deglutisco.

-Mangia- ordina Noah perentorio raccogliendolo e ficcandomelo in mano.

Sospiro; tanto prima o poi dovrò pur mangiare o morirò di fame. Quindi mi arrendo e lo srotolo. Vedo comparire due pezzi di pane secco con in mezzo una sottile fetta di formaggio e qualche pezzo molliccio di pomodoro, e storco il naso. Non ho mai mangiato niente di così povero, ma temo che me lo dovrò far andare bene. Lo esamino attentamente con occhio critico e dopo aver constatato che non sembra esserci niente di dannoso nascosto all'interno, lo mordo cautamente. Ma la fame ha la meglio e lo divoro in un paio di morsi, mentre evito lo sguardo di Noah che non mi ha ancora abbandonata.

-Che c'è?- farfuglio a bocca piena. -Non hai mai visto qualcuno mangiare?

-Credetemi, ho visto mangiare persone di gran lunga più affamate.

Mando giù lentamente il boccone e lo guardo allontanarsi in silenzio, la mascella contratta. Il carro riprende a traballare sulle sue quattro ruote mentre mi succhio le dita impiastrate di succo di pomodoro, incredula. Cosa direbbe mia madre vedendomi in certe condizioni? Decido di lasciar perdere quell'idea e sospiro, stringendomi nella coperta logora con un brivido. Dalle fessure tra le assi di legno della parete del carro filtrano spifferi gelidi che mi solleticano la nuca e ficco anche la testa sotto la coperta.

È mattina tarda quando mi sveglia un sonoro trambusto. Strizzo le palpebre intontita e mi alzo sui gomiti, cercando di capire da dove venga quel frastuono: da fuori, non c'è dubbio. Sembrano versi di animali, probabilmente di uccelli. Non ho mai sentito versi del genere, così striduli e festosi... ispirano allegria. Per un attimo, mentre guardo entusiasta il cielo azzurro fuori dalla finestrella mi spunta un sorriso a fior di labbra e dimentico la situazione in cui mi trovo. Grandi uccelli bianchi e neri planano insieme e si rincorrono stendendo le lunghe ali flessuose. Hanno una testa tonda e bianca e un becco giallo-arancio. Sembra che sorridano.

La voce del mio sarto mi giunge da fuori: -Ehi!

Sussulto e lo vedo: semisdraiato tra l'erba, fuori dal carro. A guardare il cielo con un vago sorriso. Mi sta chiamando: -Ehi, dico a voi, principessa!

Assumo un'espressione burbera e borbotto: -Mmm. Cosa vuoi?

Noah ride del mio tono scocciato mentre stringo le labbra irritata e lo sento dire: -Che aspettate ad uscire da quel carro? Ormai ne avrete la nausea...

È vero: non vedo l'ora di mettere piede fuori di quì. Soprattutto perchè, ora che ci faccio caso, Bertie ne ha appena sganciata una veramente letale e sto per svenire.

Raccolgo la coperta – che durante la notte deve essermi scivolata via – e me la drapperggio intorno alle spalle a mo' di scialle. Sto per far notare al sarto che perchè io possa raggiungerlo ci sarebbe bisogno che mi slegasse quando noto che i miei polsi non sono più costretti dalla fune, che giace a terra abbandonata. Sorpresa, apro la bocca per dire chissà cosa il mio cervello malato abbia elaborato ma la richiudo subito. Sposto lo sguardo sul cancelletto del mio gabbiotto. Sembrerebbe aperto. Piano e con estrema cautela, faccio per spingerlo e quello si apre in parte con un raccapricciante cigolio. Lo spalanco del tutto ed esco, costeggio la parete passando accanto ad una sfilza di cassette accatastate l'una sull'altra, su cui sono state appoggiate una candela ormai sciolta e una scatoletta mezza vuota di fiammiferi primo prezzo. Lì accanto c'è un secchio di alluminio a cui è accostato uno spazzolone per le pulizie e quà e là ciuffi di paglia giallognola disseminano il pavimento polveroso.

Mi sollevo la gonna mentre scavalco con disgusto qualcosa di maleodorante che temo provenga dal didietro roseo di Bertie e poi mi blocco: finalmente mi trovo davanti alla porta sgangherata del carro, e non è tutto!

La porta è aperta.

Traggo un profondo respiro e scendo con un saltello, atterrando nell'erba che fruscia sospinta dal vento, accarezzandomi i piedi. Per amor di precisione un piede fasciato dalla scarpetta e l'altro nudo, sempre grazie a Bertie, (per favore, non mi odiate se gli ho tirato una scarpa sul muso, è che non la smetteva più d'insozzare l'aria già poco respirabile con quelle sue bombe assassine).

Alzo il viso e chiudo gli occhi beata, inspirando profondamente e pensando che non ci sia niente di meglio al mondo dell'aria fresca sulla pelle. Poi qualcosa mi riporta bruscamente alla realtà. Questa volta sono io che ricevo un paio di scarpe in testa. Stivali, per l'appunto, e pure piuttosto orribili: grossi, pieni di pieghe, con lungi lacci spessi e marrone fango. Ne sollevo uno tenendolo con la punta delle dita e guardo Noah con un sopracciglio inarcato.

-Bè? Non siete contenta, milady, del mio regalo?- È seduto tra alcuni massi in mezzo all'erba e poco lontano i due cavalli brucano tranquilli dei ciuffi verdeggianti.

Sbuffo e bofonchio tra me e me qualcosa di incomprensibile mentre lo raggiungo a passo di marcia.

-A cosa dovrebbero servirmi questi cosi da uomo?

-Lo scoprirete presto.

Quanto lo odioooooo! -Puoi almeno dirmi dove diavolo siamo?

-Lande di Candal.

Strabuzzo gli occhi e lo fisso a bocca aperta. Devo aver sentito male. Sono certa che questo posto non fa parte del regno di mia madre. -Cosa?

-Avete capito bene, madame.

-Madamoiselle, se permetti. E solo grazie a te!- gli ricordo con un broncio lungo fino a terra. Lui alza gli occhi al cielo e mi fa segno di sedermi accanto a lui. Scuoto la testa e rimango in piedi a fissare per terra cocciuta, prima di sentirlo sospirare.

-Perchè siete tanto sorpresa di trovarvi in questo luogo?- domanda curioso dopo un po'.

Mi stringo nelle spalle, tutto d'un tratto mi sento in imbarazzo.

Noah mi scruta perplesso. -Che c'è?

-Proprio niente- mormoro arrossendo. Un guizzo negli occhi di lui mi dimostra che ha capito e dopodichè la sua risata – arricchita da una punta di stupore – me lo conferma. Lo fulmino con lo sguardo ma non riesco a evitare che esclami: -Non mi direte che non siete mai uscita dal regno, milady!

-Infatti non è così- mento. Sto ancora fissando per terra e mi accorgo che il ragazzo è a pochi centimetri da me solo quando mi bisbiglia in un orecchio: -Permettetemi, Adelle, di dirvi che siete una pessima attrice.

Sobbalzo e mi scosto precipitosamente da lui, rossa come un pomodoro, mentre nel cervello riecheggia la sua ennesima risata divertita. Noah torna a sedersi in mezzo all'erba verde e questa volta mi siedo accanto a lui. Guardiamo il cielo senza proferir parola e di nuovo mi perdo nell'inseguimento delle rotte di quegli uccelli, che gridano rauchi e si rincorrono come ragazzini dietro un pallone.

-Si chiamano gabbiani.

Mi volto sorpresa verso il sarto. -Eh?

-Gabbiani. È il nome di quegli uccelli.

Torno a rivolgere lo sguardo alle loro aggraziate ali bianche e tra me e me mormoro senza quasi rendermene conto: -Gabbiani... mi piace.

-Non li avevate mai visti, eh?

Mi rabbuio. Per la seconda volta è riuscito a farmi notare la mia ignoranza. Ma scuoto la testa lo stesso. Ha ragione: mentire non è mai stato il mio forte.

-Non dovete vergognarvene: nemmeno io li ho mai visti.

-E allora come fai a conoscere il loro nome?- faccio di rimando, guardandolo di sottecchi sospettosa.

-Me ne parlava da piccolo mio padre. Era un ornitologo.

-Oh. E ora dov'è tuo padre?- mi pento di questa domanda un attimo dopo averla pronunciata. Perchè chiacchiero tranquillamente con questo sconosciuto, che per giunta mi ha presa come ostaggio e rinchiusa in un carro con un maiale incline a scoreggiare? È assurdo, lo so, ma in un certo senso la sua presenza – e i suoi occhi celeste-grigio – mi trasmettono una sensazione di calma indescrivibile e allo stesso tempo mi riempono il cuore di ansia ed emozione. So che è la cosa peggiore che mi possa capitare in una situazione del genere, ma per quanto desideri negarlo è così.

Sto giusto rimuginando sulla mia pazzia cerebrale che mi accorgo che questa volta tocca a Noah rabbuiarsi, in risposta alla mia domanda su suo padre. La consapevolezza mi riempe il cuore insieme ad una colata densa di compassione, che mi spinge a sussurrargli: -Mi dispiace. Non dovevo chiederlo, avrei potuto immaginare... scusami.

Il ragazzo scuote la testa, un'espressione improvvisamente dura e adulta a corrugargli il volto, e risponde: -Non scusatevi. Non è colpa vostra s'è morto.

Non riesco a trattenermi dallo scoccargli un'occhiata stranita. Cosa vuole dire? Certo che non ho alcuna colpa se suo padre è morto! Non lo conoscevo nemmeno, come potrebbe essere colpa mia?

-So che anche voi avete subito una perdita del genere.

Sospiro e mi raccolgo le ginocchia tra le braccia, poggiandoci sopra la guancia. -Sì. Anche mio padre... un tumore- dico stringendomi nelle spalle, quella insulsa parola a riassumere i lunghissimi anni di dolore passati al suo capezzale, passati a sperare e ad avere paura, quegli anni che fino ad ora ho cercato di accantonare in un angolino della mia mente, rifiutandomi di andare a recuperare.

-Quanti anni avevate?- La voce del sarto è tornata dolce, adesso, e mi scalda il cuore in un modo inconcepibile, che odio e amo insieme e che mi spinge a voltarmi dall'altra parte per non mostrargli lo sguardo tormentato che si è impossessato dei miei occhi.

-Sette. Mia sorella maggiore dieci. Per lei è stata molto più dura... aveva un rapporto speciale con il re.

Mi rivolge un'occhiata strana e chiede: -Perchè lo chiamate così?

-Così come?

-Il re. Perchè non semplicemente "padre" o "papà"?

A disagio, mi stringo di nuovo nelle spalle. -Non lo so... ci hanno educate così, credo. Sono stata abituata a portare rispetto ai miei genitori e a non dimenticare mai che nonostante fossi loro figlia restavano comunque il mio re e la mia regina, ecco tutto.

Lo guardo annuire assorto e tornare a guardare i gabbiani, che ora si sono quietati e ciambellano pigri sul filo delle nubi all'orrizzonte, insieme ai compagni. Non so perchè, ma quell'immagine mi trasmette un'insopportabile malinconia. Improvvisamente mi alzo da terra e torno al carro. Con voce fredda e piatta, senza emzione, dico: -Sbrighiamoci a ripartire. Prima arriviamo dove dobbiamo arrivare e prima sarò libera di fare ritorno a casa.

Il sarto non solo non mi risponde ma non si degna nemmeno di voltarsi a guardarmi in faccia. Resto ancora per un attimo a fissare il suo profilo e i suoi occhi chiari che scrutano il cielo e poi balzo sul carro trascinandomi dietro il mio paio di stivali nuovi (si fa per dire. Sono piuttosto malconci, quindi proprio nuovi non devono essere) e mi dirigo al mio gabbiotto indossando una cupa espressione rannuvolata. Una manciata di minuti dopo Noah mi raggiunge e mi posa accanto un altro involucro di carta accompagnato da una tazza d'acqua calda e foglie di menta che potrebbe spacciarsi per tè.

-La colazione- dice solo, e poi torna alla guida, ridestando la coppia equina dal loro pasto e incitandola a ripartire. Abbasso lo sguardo sull'involucro che ora stringo tra le mani e scosto i lembi di carta mordendomi le labbra senza volerlo. Vedo comparire un paio di biscotti un po' sbricciolati e una caramella a stringa alla fragola. L'addento titubante e curiosa miomalgrado. È dura e gommosa, ma buona. Ha un sapore dolciastro con una punta asprigna, singolare. Mando giù il boccone e prendo un sorso di tè, prima di dedicarmi ai biscotti, pensierosa. Intanto il carro ha ripreso ad avanzare. Appoggio la testa alla parete e chiudo gli occhi rassegnata, scossa dal moto traballante del veicolo, che sobbalza insieme a me ad ogni buca e dissesto del terreno. Non mi resta altro da fare se non aspettare. Per tenermi occupata in qualche modo inizio a giocherellare distrattamente con la gonna del mio abito spiegazzato, seguendone con l'indice gli splendidi ghirigori rosa e scintillanti. Un debole grugnito mi fa distogliere l'attenzione e vedo Bertie aprire il cancelletto con il muso ed entrare nel mio gabbiotto trotterellando e grugnendo allegramente. Si avvicina a me con noncuranza e mi zampetta intorno per un po' finchè non individua il punto giusto in cui acciambellarsi e mi appoggia il suo grosso naso rosa in grembo fissandomi con quegli occhietti neri e piccoli come spilli. La guardo di rimando, pensando che perlomeno ho un compagno di sventure.

-Cosa ti succederà una volta che saremmo arrivati, eh?- mormoro prima di rendermene conto. Bertie emette una specie di gemito triste che mi stringe il cuore. Fantastico! Ora ho la prova di essere definitivamente uscita di testa: sto parlando con un maiale e, cosa non trascurabile, lui mi risponde. Oh, dimenticavo: mi sento triste per questo maiale... perchè?!

-Principessa- drizzo le orecchie nel sentire la voce profonda di Noah. -Siete sveglia?

-Mmm- brontolo. Non so cosa mi sia preso poco fa, forse a turbarmi è stato parlare dei miei genitori e di quanto siano stati lontani dall'idea di mamma e papà durante la mia infanzia e quella delle mie sorelle...

-Stavo pensando che, se vi fa piacere, potreste sedermi accanto...

-Scordatelo, idiota di un sarto fasullo che non sei altro- abbaio fuori di me. Cioè, questo tipo prima mi rapisce e costringe a dormire accanto a un maiale e poi vuole sedersi vicino a me. Mi sembra un po' folle, a dire il vero.

-Non fatela tanto lunga, insomma. L'ho detto solo perchè mi fate pena, ecco tutto...

Scatto in piedi facendo cadere per terra il muso di Bertie, che protesta indignata. Raggiungo il posto di guida e tuttavia non mi siedo. Resto a fissare Noah con il fuoco che mi inonda la gola. Il mio sguardo irato lo colpisce a segno; lo capisco dai suoi occhi, seppur facciano di tutto per restare impassibili.

-Se davvero provassi pena mi avresti già lasciata andare da tempo- gli ringhio contro. -Quindi non dirmi mai più che provi pena per me o giuro che te ne farò pentire!

Noah ha recuperato la sua aria da duro e mi squadra freddamente. -Sì? E come pensate di fare, Elle?- il suo è un sussurro, ma il sole sentirlo pronunciare quell'appellativo così intimo mi manda in bestia.

-Non osare chiamarmi così! Non più, capito?

-Eppure siete stata voi a darmene il permesso- ribatte fermo. Non mi stacca gli occhi di dosso e, per quanto mi odi per questo, la cosa riesce a mettermi a disagio.

-Quel permesso non vale più!- urlo arrabbiata, anche per il fatto che è riuscito ad intimorirmi con quel suo sguardo gelido.

-Come desiderate, principessa- sussurra cortese. Il suo modo di fare mi da sui nervi e allo stesso tempo spegne le fiamme che un momento prima avevo nel cuore. Mi lascia senza parole e non so più cosa dire. A questo punto non posso far altro che fare dietro front per tornare al mio gabbiotto senza una parola.

Quando il cancelletto si apre con il solito cigolìo da far accapponare la pelle, sfioro Bertie con un'occhiata miomalgardo rattristata, ma lei grugnisce altezzosa e zampetta via con fare indignato. Sospiro lasciandomi cadere per terra con un tonfo. Come mi manca la reggia! I suoi interminabili corridoi, i soffitti affrescati sorretti da altissime colonne, i pavimenti in marmo candido, i saloni ampi dove oragnizziamo balli e ricevimenti... dove avrebbe dovuto avere luogo il mio matrimonio. Cosa starà facendo adesso Lord Tradeshire? Mi sorprendo a chiedermi se mi stia cercando, magari in sella a Drago, il suo meraviglioso e invidiatissimo purosangue bianco. Sospiro malinconica.

La mattinata passa lentamente che è una noia quasi quanto quella caratteristica delle lezioni di Mrs Lewtton. Sono passate parecchie ore dall'ultima sosta quando finalmente il carro si arresta di nuovo. Sbircio oltre il recinto per chiedere a Noah spiegazioni.

-Siamo già arrivati?- domando speranzosa.

-No. Ma ho pensato che avremmo potuto fermarci in questo paesino per mangiare qualcosa, dato che le provviste scarseggiano.

Mi astengo dal commentare che essendo solo al primo giorno di viaggio non è una bella cosa che le provviste scarseggino... ma sono contenta di poter mettere piede fuori dal carro per un po' e ho anche piuttosto fame. Non mi sono mai fermata a mangiare fuori dal palazzo, eccezion fatta per ricevimenti o inviti a cena a casa dell'alta aristocrazia. Sono curiosa, ma anche leggermente intimorita all'idea di trovarmi in una trattoria locale.

-Vi consiglio di indossare gli stivali- dice Noah senza guardarmi mentre lega il carro ad una quercia nel bel mezzo della pianura. Sbuffo contrariata, ma accetto il consiglio e m'infilo le scarpe, abbandonando a malincuore la mai scarpetta rosa infondo al gabbiotto.

Scendo dal veicolo sgangherato e vedo Noah salire in sella a uno dei cavalli, – marrone cioccolato – e battere affettuosamente con la amno sul possente collo. La bestia nitrisce e scrolla la criniera e il ragazzo ride iniziando a sussurrargli qualcosa all'orecchio. Sono affascinata. Sembra che i due stiano parlando proprio come due amici e dai gesti di Noah traspare una profonda dolcezza. Un pensiero si affaccia nella mia mente e Scarlet fa capolino insieme a una domanda: c'era anche tra lei e il suo cavallo un'amicizia così? Anche lei lo accarezzava e rideva con lui? Provo a immagianre cosa abbia provato quando la mamma lo fece uccidere e rabbrividisco, chiedendomi come avrebbe reagito Noah al posto di mia sorella.

-Bè, non statevene lì imbambolata. Prendete pure Lily.

La voce del sarto mi riscuote e lo guardo confusa. Poi focalizzo l'attenzione su Lily. Intende ovviamente l'altro cavallo: il più strano che abbia mai visto. Mi avvicino timorosa per osservare il suo manto nero e beige chiazzato di bianco e di grigio. Sembra che un pittore nervoso abbia mandato tutto all'aria scaraventando la tavolozza dei colori contro la tela. La criniera è color crema, di un morbido biondo pallido tendente al bianco panna. Ha occhi grigi e trasparenti, che non ho mai visto priam in un cavallo.

-Che razza è?- chiedo perplessa.

Noah si stringe nelle spalle. -Boh, lo sa Dio. Credo sia un incrocio tra due razze.

Annuisco assorta, ma non mi muovo di un centimetro.

-Allora? Che aspetti a salirci?

Senza staccare lo sguardo dal cavallo, arrossisco. -Ehm... diciamo che non credo di essere molto brava a cavalcare, ecco...

-Non c'è problema. Tanto andremo piano, per oggi. Non credo che le tue guardie del corpo ci siano ancora alle calcagna.

Mi volto a fissarlo senza parole. -In che senso? Vuoi dire che...

Mi rivolge una lunga occhiata.-Già. Ci stavano seguendo, ma li ho seminati.

M'impongo di mantenere la calma. Stringo i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi e sento i denti scricchiolare da quanto tengo serrata la mandibola. Avrei potuto gridare, fermare il carro in qualche modo, lanciarmi giù... e invece non l'ho fatto. E non so se mai me ne si ripresenterà l'occasione. Sospiro: ormai quel che fatto è fatto.

-Non siete ancora salita sul cavallo- mi fa notare Noah.

Gli indirizzo un'occhiata risentita. Non mi va di salire su un animale, soprattutto al pensiero di cosa direbbe Tullia se sapesse che ho fatto una cosa del genere. Ma... d'altra parte, muoio dalla voglia di provare anch'io quel legame speciale che leggo negli occhi celesti e argentati del sarto. Resta però il fatto che non ho mai nemmeno sfiorato un cavallo.

Mi schairisco la gola imbarazzata.

Noah mi lancia l'ennesima occhiata, ma questa è più incredula che altro. -Aspettate un momento... avete cavalcato almeno qualche volta in tutta la vostra vita, vero?

-Certo...

Il suo sguardo si riempe di sollievo.

Mi mordo il labbro e abbasso lo sguardo. -Okay, no, non l'ho mai fatto.

Strabuzza gli occhi ed esclama: -Cosa?!

-È così- mugugno.

Tace per un po. Un bel bo'. Inizio a preoccuparmi. Cosa farà, mi caricherà a forza sul cavallo? All'idea mi coglie il panico. All'improvviso Lily non mi sembra più una dolcissima cavallina dagli occhi grigi e trasparenti, ma più qualcosa che potrebbe farmi capitombolare per terra spaccandomi il cranio a metà. Una situazione per niente carina.

Alla fine Noah sospira e si accinge a scendere dal suo cavallo per elgarlo allo stesso albero a cui a assicurato il carro e per avvicinarsi a me. Indietreggio sconvolta. Allora ci ho azzeccato!

-Stammi lontano! Non ho intenzione di salire su quel coso e spiaccicarmi al suolo!- sentenzio.

Ma lui rotea gli occhi esasperato e mi sorpassa. Lo guardo saltare in sella a Lily e tendermi una mano. Inarco un sopracciglio.

-Dài, aggrappati. E metti il piede quì per issarti in groppa davanti a me.

Apro al bocca per protestare ma mi ha già afferrato la mano e non mi resta nient'altro da fare che seguire sue istruzioni mentre mi arrampico come una scimmietta un po' impedita sulla povera Lily. E... finalmente sono seduta in sella, con le gambe divaricate. Inorridisco immaginando la faccia che farebbe la regina al solo sapere che sono salita su un cavallo e cerco di non pensarci. Infatti, c'è qualcosa di più urgente che richiede la mia massima concentrazione per riuscire a mantere un battito cardiaco per quanto possibile stabile. E non parlo del fatto che l'equino si sia messo a galoppare placidamente, ma delle braccia di Noah che mi circondano la vita per arrivare a stringere le redini. Sento il suo respiro sulla nuca e, senza volerlo, arrosssisco di nuovo.

-Allora, è stato così terribile?

Scuoto al testa impacciata. -Per ora. Quando andremo più veloce non so proprio cosa succeder... AAAAHHHH, ma cosa diavolo faiiiiiii sei scemooooooo?!

Noah ride come un matto mentre lancia il cavallo al galoppo, questa volta incitandolo a correre. La treccia abbarbicata ancora per magia in cima alla mia testa cede e si scioglie e i capelli mi ricadono in bocca e sugli occhi mentre rincorrono il vento.

Grido, ma pian piano le mie urla si trasforamno in risate, perchè non ho mai fatto niente di così divertente in tutta la mia vita.

Mi ci vuole un attimo per realizzarlo, non senza una punta di sbigottimento: sono felice. Come non lo sono mai stata. E il merito è tutto del ragazzo dietro di me, a cui mi stringo per non venire disarcionata. È tutto così... assurdo. Non riesco a credere che sia proprio io, che questa sia la mia vita. Voglio dire, solo un giorno fa ero una perfetta (okay, quasi perfetta) dama aristocratica: indossavo le calze di pizzo e i guantini col merletto, avevo il viso incipriato per bene, i capelli raccolti alla perfezione e mi muovevo aggraziata per la reggia salutando educatamente i cortigiani e i consiglieri che incontravo. Stavo per sposare un ricco nobile e coronare il massimo desiderio di mia madre: non avermi più tra le scatole. E ora, invece, guardatemi: sono in sella ad un cavallo, – neanche un purosangue, per giunta –, con un paio di stivalacci da uomo ai piedi, che rido come una pazza con un guanto sì e uno no, i capelli sciolti e spettinati, il vestito sgualcito più di uno straccio mentre sfreccio in mezzo ad una pianura mezza abbracciata al mio sarto... non posso essere io. Epppure è così.

Questa sono io, finalmente.

E la cosa peggiore è che non sono più così sicura di voler tornare indietro...


Dunque! Allora, cosa dire di questo capitolo? Di sicuro non ne sono molto convinta e spero che non risulti piatto e noioso o che Elle sembri troppo infantile... anche se, rileggendolo, mi da un po' quest'impressione. Nel caso vi interessi, il mio personaggio preferito inq uesto capitolo è Bertie ^^ W BERTIE! Ok, non vi fate una cattiva idea di me, per favore u.u Detto questo, aspetto con ansia un vostro parere o un consiglio e chiedo ai miei lettori silenziosi di non essere poi così silenziosi! Mi fa piacere sapere che leggete la mia storia, ma mi farebbe ancora più piacere sapere cosa ne pensate :) Quindi ora vi saluto e spero a presto! Un bacio!

Bianca

  
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