Sono ancora viva!
Incredibile ma vero, non ho dimenticato le drabbles su Diana e non le ho abbandonate; ho solo avuto tantissimi altri pensieri e cose da scrivere, un poco più urgenti, e non sono mai riuscita a tornare a questa parte delle mie storie che tanto amo e che tanto, tutt'oggi, mi dona.
Niente, eccoci qua: la maggior parte delle drabbles sono incentrate su Dan, il mio adorato, odiato Dan. La prima drabble credo sia l'unica che abbia bisogno di una spiegazione: si tratta di una scena che avviene durante i diciassette anni del matrimonio di Diana e Blaise, durante una non precisata missione di Dan che, come al solito, cerca di farsi ammazzare xD la seconda è uno Slice of Life della Regina, mentre la terza, la quarta e la quinta sono pezzi del passato di Diana. :)
Inoltre, QUI potete trovare la nuova versione di Luce e Buio, riveduta, riscritta e con molte aggiunte all'originale; se vi va, fateci un salto :)
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U.
Alla
prossima!!
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The Big Damn Table
The Chronicles of
Diana
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041.
Forme.
-Dan!
DAN!-
Attorno
a lui, attraverso la vista annebbiata dal dolore opprimente che gli
riempie lo
stomaco, vede soltanto forme sfocate ed evanescenti che si muovono ai
limiti
della sua sfuggente realtà.
-Non
osare! Maledetto idiota, non osare morire un’altra volta!-
È
tutto lontano, senza significato, in quel mondo a già cui
non sente di
appartenere più; ma sono quegli occhi d’argento,
vividi, illuminati da una
magia che nulla ha a che fare con il suo essere Regina, a farsi nitidi
nella
sua mente confusa.
Sono
passati tanti anni, ormai: lei è sposata, ha una figlia,
è felice… ma, ancora
una volta, vede quelle iridi riempirsi di paura e di lacrime mentre
sente il
Fuoco lambire gli squarci sul suo petto e le sue mani –
sempre fredde – premute
sul viso.
-Non
andartene di nuovo…-
Forse
dovrebbe, Dan. Forse dovrebbe lasciarla andare, forse dovrebbe dirle
addio,
forse non sarebbe mai dovuto tornare… ma vale la
pena vivere, si dice, pur
di poter godere di qualche istante ancora con lei.
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042.
Triangolo.
Stringe
i denti, Diana, le mani che fremono per il desiderio di distruggere
qualcosa.
Lei
– l’altra sé, quella rossa maledetta
– l’ha costretta a
fare del male a Dan. L’ha costretta a desiderarlo, a volerlo,
l’ha spinta fra
le sue braccia come diciassette anni di continua vicinanza non sono
riusciti a
fare.
Ha
preso il controllo della sua mente, e lei__ ma chi vuoi
prendere in giro,
Diana?
Serra
le palpebre pur di non permettersi di piangere –
perché quelle lacrime sarebbero
la conferma di quanto ciò che è successo fra lei
e Dan l’abbia toccata,
risvegliando corde rimaste sopite troppo a lungo, sentimenti racchiusi
con
diligenza in un angolino della propria anima.
…l’ha
davvero costretta?
È
questo che Diana si chiede, è questo che le fa male,
è questo che la tormenta.
Tutto
ciò che ha sempre cercato di evitare con tutte le sue forze
ora sta succedendo
– e lei non vuole, vorrebbe scappare, codarda e vile
com’è sempre stata davanti
ai sentimenti.
In
quasi vent’anni ha pregato perché quel doloroso
triangolo non riuscisse mai a
nascere fra lei e gli uomini che ha amato e che ama tuttora; adesso
però, per
la prima volta in vita sua, non è più sicura di
niente.
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043.
Diamante.
Dan
dice sempre che, quando la magia prende il sopravvento, i miei occhi
assumono
un colore opalescente, cangiante, simile ai riflessi che si creano
quando la
luce attraversa i cristalli di diamante.
Forse
è vero. Non ho mai avuto occasione di guardarmi allo
specchio quando Ael prende
il sopravvento su di me.
Sospiro,
alzando gli occhi sul cielo irrealmente bello e azzurro del mio amato
Texas:
non c’è una nuvola e Diablo scalpita al mio
fianco, già impaziente di librarsi
nell’aria torrida che spira attorno a noi.
Il
deserto, attorno a me, sussurra in un modo che adesso riesco a
comprendere; il
vento, invece, mi accarezza e m’invita a perdermi fra le
mille correnti che
possono portarmi via, lontano, immersa negli Elementi che sono
diventati la mia
stessa essenza.
Sorrido,
rendendomi conto di quanto io sia stata cieca e sorda per tutta una
vita e
balzando in groppa a Diablo per poi lasciarmi annegare
nell’immensità
dell’universo che, ora, appartiene a me.
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044.
Cerchio.
Gli
indiani cantano, ballano attorno al fuoco, il martellio profondo e
travolgente
dei tamburi mi rimbomba nella cassa toracica mentre aspiro lentamente
il fumo
della sigaretta.
Guardo
mio cugino assieme a Kelly, entrambi forse fin troppo ebbri dei fumi
evanescenti delle erbe dei calumet; sorridono l’uno
all’altra e non posso che
non sorridere a mia volta, intenerita dallo sguardo pieno
d’amore che riempie
gli occhi di Scott.
Accanto
a me, invece, c’è Dan.
Da
qualche tempo, ormai, ho cominciato a guardarlo in un modo diverso: non
riesco
più a sostenere il suo sguardo quando mi stuzzica, quando mi
fa arrabbiare –
non riesco più a non arrossire sotto quelle iridi nere e
calde come i tizzoni
ardenti in un caminetto.
Vorrei
sapere da dove cominciare, con lui: Dan è
un’incognita, per me, e non so
davvero come affrontare questa cosa che sta
sbocciando lentamente dentro
di me.
Gli
lancio un’occhiata di sottecchi, approfittando della vaporosa
nuvoletta
argentea che vela il mio sguardo; lui però non sta guardando
me, ma il cerchio
che stanno componendo i ragazzi indiani attorno al falò.
È
immobile, a gambe incrociate, e ha in volto quell’espressione
dura e
determinata che ho imparato ad associare alla sensazione di calma che
mi
pervade ogni volta che incrocio quello sguardo.
-Andiamo.-
Sobbalzo,
colta di sorpresa, quando lui si alza di scatto e mi prende per mano,
trascinandomi con sé.
-Dan!
Cosa fai!?- strillo, avvampando e tentando di divincolarmi; lui
però mi lancia
un’occhiata e sorride – quel sorriso spigliato, da
furfante, che mi manda in
pappa il cervello e non mi fa capire più niente.
-Seguimi.-
mi dice soltanto – e, davvero, mi manda in bestia quando fa
l’enigmatico!
Lo
seguo, anche perché è più grosso di me
e mi sta praticamente trascinando, fino
a che non raggiungiamo la piccola altura che protegge il luogo in cui i
ragazzi
indiani festeggiano il solstizio d’estate.
-Si
può sapere che cosa stai facendo!?- brontolo, imbronciata,
ma Dan si limita a
scuotere la testa – io lo odio!
Mi
arrendo alla sua stretta e mi lascio condurre fino al punto
più alto, la
sporgenza che sovrasta la festa indiana, fino a che non ci ritroviamo
ad almeno
cinque, sei metri d’altezza sopra gli altri ed un
po’ più lontano rispetto a
prima.
Alimentando
in maniera esponenziale il mio imbarazzo, improvvisamente Dan mi tira
contro di
sé e mi stringe la mano, accennando verso il basso con un
gesto elegante della
testa arruffata.
-Ecco,
da qui è meglio.- mi fa notare, spingendomi a spostare
l’attenzione da lui
verso il basso.
E,
davvero, non posso dargli torto.
Il
falò è immenso, visto da qua: sembra quasi un
fiore scarlatto e lucente in
procinto di sbocciare nel pieno del deserto, e le figurette scure che
vi
danzano attorno paiono tante minuscole lucciole che sfogano la propria
gioia
attorno alla loro più antica fonte di vita.
-In
effetti hai ragione.- commento, sorridendo appena quando una sensazione
intensa
ma indefinita mi riempie e mi stringe dolcemente la gola in una morsa
amorevole
e dolcissima.
C’è
qualcosa, in quest’aria che si sta riempiendo di musiche
antiche e di ancor più
antichi canti di gioia, che risuona nella mia anima e sfiora corde che
non
pensavo nemmeno esistere dentro di me: in un lampo di consapevolezza
comprendo
di aver già vissuto tutto questo, di aver già
assaporato l’energia pura e
vitale che sale dal falò verso il cielo.
Tutto
questo è meraviglioso.
La
magia del cerchio, però, è nulla in confronto a
ciò che provo sentendo la mano
di Dan stringere la mia.
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045.
Luna.
Ho
ucciso un uomo, stanotte.
Cerco
di non ascoltare la voce di Scott e quella del colonnello Auror, cerco
di sfuggire
allo sguardo indagatore e tagliente dell’uomo che mio cugino
ha chiamato Moore:
non può essere vero, avanti. Ho soltanto dodici anni, che
diritto ho avuto, io,
di uccidere un uomo? Che diritto ho, io, di essere viva?
Eppure
è stato così facile, così dannatamente
semplice… ho imbracciato quel
fucile senza nemmeno sapere dove ho imparato, ho mirato, ho fatto fuoco
– e
l’ho ucciso, senza nemmeno sbagliare di un millimetro.
Ho
tolto la vita ad un uomo.
Stringo
i palmi sulle tempie, cercando di impedire che la mia testa esploda nel
nulla
vuoto e totale che ha preso il posto dei miei pensieri: le voci degli
uomini
intorno a me mi stanno facendo diventare pazza.
Mi
alzo, ignorando l’occhiata d’ammonimento che mi
lancia Scott – il mio adorato
Scott, che sta cercando in tutti i modi di trovare una soluzione al
casino che
ho combinato: l’uomo che ho ucciso era una persona importante
per alcuni
delinquenti e adesso, secondo lui, potrei trovarmi in pericolo.
È
assurdo.
Mi
infilo fra le tende bianche che velano la portafinestra, sospirando di
sollievo
quando la notte buia e limpida mi accoglie nel suo confortevole, oscuro
abbraccio.
Appoggio
le mani sulla ringhiera di metallo, prendendo fiato e lasciando che
l’aria
fresca penetri nei miei polmoni atrofizzati dal rimorso e dalla
vuotezza che
sento accompagnarmi sin da quando mi sono resa conto di ciò
che ho fatto.
La
Luna, immensa e tonda sopra di me, brilla di una luce meravigliosa,
bianca, che
dona a tutto ciò che mi circonda – me compresa
– una luminescenza candida che
riesce, più d’ogni altra cosa, a rischiarare i
miei pensieri.
Respiro,
adesso, per la prima volta da troppe ore.
-È
bella, vero?-
Sobbalzo
quando una voce dall’accento spiccatamente ispanico risuona
sorprendentemente
vicina a me; abbasso lo sguardo giusto in tempo per vedere Dan Galindez
arrampicarsi agilmente sulla ringhiera di metallo scuro, i capelli neri
bagnati
d’argento nella luce della Luna.
Arrossisco,
distogliendo gli occhi, quando mi rendo conto di essere davanti alla
persona
per cui ho ucciso senza esitare.
-Sì.-
rispondo soltanto, riportando le iridi sul bianco satellite sopra di
noi,
cercando in tutti i modi di non guardarlo.
Mi
fa male guardare Dan: ogni volta che capita faccio fatica a distogliere
gli
occhi da quanta bellezza emani quel ragazzo – fuori, certo,
è uno schianto, ma…
sono quelle iridi, scure e calde, che riescono a farmi dimenticare
persino come
mi chiamo.
Rimane
in silenzio, appoggiandosi alla ringhiera accanto a me – troppo
vicino a me:
riesco quasi ad avvertire il calore del suo corpo trasmettersi al mio,
sempre
gelido.
-Non
avresti dovuto farlo.- mormora ad un certo punto, senza spostare gli
occhi dai
crateri che si distinguono su quella Luna piena e tonda che osserva
questi due
ragazzi diventati, per sbaglio, due assassini.
-Avrei
dovuto lasciarti morire?- inarco un sopracciglio, scettica.
Lui
sbuffa, invece, lanciandomi una breve occhiata in grado
d’inchiodarmi lì dove
sono, improvvisamente conscia di quanto il ragazzo che ho davanti abbia
vissuto
più di me.
C’è
l’universo negli occhi di Dan – un universo che non
riesco a togliermi dalla
testa, un universo che mi ricorda tanto quel baratro che mi porto
dentro io.
-Uccidere
non è bello, Diana.- mi dice, le labbra carnose che si
piegano in un breve,
malinconico sorriso. -Mi dispiace.- aggiunge, e sento la sua voce piena
d’amarezza, di rimorso.
Scuoto
la testa mentre il battito del mio cuore accelera e pulsa nelle mie
orecchie.
-Non me l’hai chiesto tu.- mormoro, prendendo il coraggio a
due mani e posando
una mano sul suo braccio muscoloso e abbronzato.
Ha
la pelle calda, Dan, che si riempie di pelle d’oca al
contatto con le mie dita
gelide.
Mi
fissa con uno sguardo enigmatico che non riesco a decifrare prima che
la sua
mano – grande, callosa, appartenente non più di un
ragazzo ma già di un uomo –
si chiuda sulla mia, trattenendola lì, sul suo braccio.
-Andiamo
via.- sussurra, scrutandomi con quei carboni ardenti che
improvvisamente mi
trasmettono la bruciante sensazione di voler scoprire di
più, di volermi
appropriare di quel calore che io non ho mai provato, prima.
Sorrido
lanciando un’occhiata al cavallo alato che riposa,
tranquillo, pochi metri
sotto di me.
Lancio
un fischio, e Diablo mi sente immediatamente; alza la testa, nitrisce,
e si
leva subito in volo per raggiungerci.
Dan
mi guarda; io sfilo a malincuore la mano dalla sua presa per salire in
piedi
sulla ringhiera, rimanendo per un istante in equilibrio sul vuoto prima
di
saltare in groppa al cavallo, e Dan sorride a sua volta –
quel sorriso da
furfante che tanto mi dava sui nervi fino a poco tempo fa –
seguendomi con
molta più destrezza di me e sistemandosi alle mie spalle.
Potrei
morire, adesso, quando mi passa un braccio attorno alla vita e mi tira
contro
di sé, il torace caldo e muscoloso che aderisce alla mia
schiena in tensione.
-Andiamo.-
E Diablo si alza nel cielo ad un colpo di talloni, mentre sento la calma e la dolcezza della Luna avvolgermi in un abbraccio che posso paragonare soltanto alla stretta di Dan.