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Autore: Northern Lights    19/12/2013    0 recensioni
"Mi chiedo frequentemente quale sia il senso della vita. Quando si è giovani la si da quasi per scontato, poiché si pensa che si vivrà per sempre. Qualcuno invece non riesce a goderne a fondo perché non ha a disposizione i mezzi, oppure non glielo permette il contesto nel quale si svolgono le vicende che lo vedono protagonista. Conoscevo una persona che apparteneva alla seconda categoria." Questa è la prima storia che pubblico, è molto triste, ma spero che vi piaccia lo stesso. Grazie a coloro che leggeranno e/o commenteranno.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In cuor mio ero consapevole del fatto che quell'addio sarebbe stato definitivo. 
Non mi dispiaceva più di tanto dal momento che l'amicizia tra Marcella e me era una pura illusione e mi chiesi come mai la coltivavamo da così tanto tempo, se i nostri caratteri erano totalmente incompatibili. Forse il timore di soffrire la solitudine e di non trovare qualcun altro che mi sopportasse mi avevano spinta a continuare, ma adesso che quel debole legame si era spezzato temevo davvero che il mio "oscuro" segreto venisse a galla e determinasse la mia rovina. Talmente segreto ed "oscuro" che non l'ho mai e poi mai raccontato ad anima viva, quindi molti si chiederanno "Allora perché Marcella, di cui non ti fidavi, ne era a conoscenza?". Non ne parlai di mia spontanea volontà, bensì fu lei ad attendere il momento propizio per rovistare nei miei cassetti e cercare il mio diario personale, che infine trovò e lesse per apprendere ciò che non le rivelavo così da ricattarmi in caso di necessità. Ed io che pensavo che un lucchetto avrebbe ben protetto quelle pagine colme di emozioni inconfessabili! Invece no, Marce lo ruppe con facilità ed aprì il quadernetto. Questo segreto "oscuro" riguardava me e me sola e non mi sentivo ancora pronta a rivelarlo. Gli altri cosa avrebbero detto di me alle mie spalle? Eppure era diventato così pesante recentemente, pochi mesi prima, con l'arrivo nella mia vita di una persona a me carissima. Sì, proprio lei, Sam. Odiavo l'idea di mentirle, ma si trattava di qualcosa di troppo grave per essere condiviso ed ancora oggi mi pento e mi do della stupida per aver fatto le mie confidenze ad un dannato pezzo di carta, convinta che bloccato in parole d'inchiostro sarebbe stato al sicuro, lontano dalla consapevolezza altrui, ma mi ero sbagliata. E' che non ce la facevo più, capite? Dovevo alleggerirmi il cuore, ma al tempo stesso non potevo dirlo a nessuno... Che ne sarebbe stato di me? Samantha era la mia migliore amica, la mia unica vera amica, e temevo profondamente di perderla, di ricadere nel baratro della solitudine... Sospirai, gli occhi mi pizzicavano. Una lacrima calda sfuggì al mio controllo e cadde, andando a rigarmi la guancia sinistra. Non ero per niente orgogliosa di quello che avevo fatto. Ma mi ero sentita in dovere, dovere di salvare mio fratello. Era giovane, più vecchio di me di qualche anno, ma pur sempre giovane. Era un bravo ragazzo, aveva una vita davanti e tanto talento, avrebbe realizzato i suoi sogni senza troppi problemi. Era brillante, aveva il massimo dei voti in tutte le materie, ma le amicizie sbagliate lo portarono sulla via della perdizione. Non aveva mai infranto la legge sino quel giorno, quello fu l'unico errore della sua vita... Era uscito coi suoi amici come ogni Sabato sera, sicuro che avrebbero fatto le solite cose, ma questa volta fu diverso. I suoi amici lo spinsero a fumare, bere e ad ingerire qualche sostanza, così, "tanto per provare". Aveva cercato di opporsi, ma i suoi sforzi furono inutili. Non l'aveva mai fatto prima d'allora. A fine serata non era più se stesso e posso solo immaginare come si sentisse. Ma guidò, incurante di tutto quello che sarebbe potuto accadere. Ed accadde il probabile. Investì un coppia appena uscita da un pub e che stava attraversando la strada per raggiungere la propria autovettura parcheggiata accanto al marciapiede sul lato opposto. Non li aveva visti, mi spiegò. Era terrorizzato, non si fermò neanche ad aiutarli. Avevano tre figli. Mi raccontò tutto nei minimi dettagli e con le lacrime agli occhi. Non cercò di giustificarsi o di passare per una vittima del fato, mi rivelò semplicemente la cruda verità. Si è sempre fidato di me, sapeva che non lo avrei mai tradito. Ed io gli volevo ancora bene, nonostante tutto. Si sentì rincuorato quando glielo dissi. Dal canto suo, non era così spaventato dal futuro, e non perché sentisse di meritare la punizione della giustizia - il suo fu un mero errore e non era per niente intenzionato di passare il resto della sua vita dietro le sbarre -, ma perché era certissimo che non ci fossero stati testimoni. Certezza che si rivelò infondata e profondamente sbagliata. Quanto avrei voluto che non fosse così. Il proprietario del pub aveva visto ogni cosa, preso la targa della sua auto e denunciato l'accaduto alla polizia. I miei genitori scoprirono tutto la sera in cui due poliziotti vennero a prenderlo, erano disperati e delusi. Non dimenticherò mai l'espressione sui loro volti, quanto male fece a me e a mio fratello, l'espressione di qualcuno che ha fallito e perso ogni singola cosa nella vita. Soffocai un singhiozzo e mi rinchiusi in camera mia, impotente e in balia di pensieri oscuri. Amavo troppo mio fratello, avrei rischiato tutto pur di salvarlo dalle conseguenze delle sue stesse azioni. E così, qualche giorno dopo andai dall'ispettore di polizia e glielo dissi. 
<< Faresti qualunque cosa? >>, ripetè lanciandomi un'occhiata maliziosa. I suoi occhi erano neri quanto la pece e in quel momento mi sembrarono due pozzi senza fondo, due tunnel diretti verso le tenebre dell'Inferno. Deglutii ed annuii sperando di sembrare convincente. Bastava che chiedesse, ma in fondo, sapevo fin troppo bene cosa stava per propormi, quale fosse la merce di scambio. Mi ero informata su di lui prima di andare ed avevo scoperto che da un po' di tempo giravano voci su questa sua presunta tendenza alla corruzione. Ecco perché mi trovavo lì. Si alzò lentamente e chiuse la porta dell'ufficio a chiave, doppia mandata. Avevo 14 anni. Tutti mi dicevano che sembravo più grande di qualche annetto, particolare accentuato dal filo di trucco in più che stavo indossando. Mi chiesi se effettivamente avrei potuto escogitare un altro modo per ottenere la libertà di mio fratello, ma ormai era troppo tardi. Inesorabilmente tardi. 
Il giorno dopo mio fratello fu rilasciato; la ragione fornita fu semplice: era notte fonda e il testimone aveva letto male il numero di targa della macchina, ma inizialmente non si era accorto del suo sbaglio. Inutile dire che i miei genitori ne furono contentissimi. C'era stato uno scambio di persona, la reputazione del loro unico figlio maschio era salva e il loro affetto per lui intatto. Organizzarono una gran festa in suo onore, al quale invitarono tutto il quartiere, e si scusarono pubblicamente per aver dubitato di lui anche solo per un istante. Io me ne restai al sicuro sotto le mie coperte bianche e profumate ed abbracciata al cuscino, quel giorno, autoconvincedomi che il gesto commesso fosse segno di grande maturità da parte di una ragazzina della mia età. Mio fratello non seppe mai cosa fosse realmente accaduto, ma ancora oggi credo che ne abbia avuto il sospetto. Sta di fatto che quella sera stessa, dopo la festa, mise tutti gli oggetti a lui più cari in un'unica valigia e partì. Non lo rividi più.
Era sparito. Così, da un momento all'altro. Sparito senza lasciare traccia, nel nulla più assoluto.
  
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