Kisshu:
non ci credo…
Taruto:
ma davvero?!
Selena:
no dai… Ragazzi, mi fa un po’ tristezza…
Ichigo:
ç_ç anche a me!
Insomma! Non vi siete che lamentati fino ad ora e adesso
che siamo arrivati in fondo, piangete?!?
Tutti: …
Certo che siete incontentabili! Vabbè, lasciando perdere
questi dettagli… Ebbene sì, gente, questo è L’ULTIMO CAPITOLO de Il
Collezionista! Non ho molto da dire per presentarlo, solo… A voi la lettura, ci
vediamo in fondo :’)!
Cap. 55 – Il giorno in cui
ti incontrerò di nuovo
Era uno spettacolo
meraviglioso vedere l'alba indorare la superfice piatta del mare, accompagnata
solo dal ritmico sciabordio della risacca, ma in quel momento a Lory non
bastava quella visione per distendere i nervi tesi come corde. Strinse con
forza la mano che Pie le stringeva e non disse niente, smettendo di camminare,
per poi guardare con rabbia il sole che finiva di fare capolino dall'orizzonte.
Quando la sera
prima la festa era finita, non era voluta rientrare a casa. Non c'era un
motivo, qualcosa di importante da dire, o qualche posto particolare da
mostragli; voleva solo poter stare con lui ancora qualche ora. Gliel'aveva
chiesto e Pie, con sua sorpresa, non aveva protestato: docilmente l'aveva seguita
nel suo vagare, incurante della gamba ancora malconcia
Era solo uno
stupido espediente per illudersi di avere più tempo, assolutamente insensato e
inutile, ma lo aveva assecondato comunque.
Ora, però, il
tempo lo avevano esaurito tutto.
- Dobbiamo tornare.
Lory annuì
soltanto e lui la sentì stringergli la mano più forte. Lei lo guardò ancora,
senza una parola o una lacrima, e si allungò sulle punte dei piedi per baciarlo
un’ultima volta, sorridendo triste.
- Va bene.
*__________________
Alla fine quella
notte non aveva chiuso occhio, ma la cosa non lo sconvolgeva più di tanto; era
abituato a fare lunghe notti in bianco per motivi anche più inutili (o che,
almeno, in quel momento gli sembravano ben più inutili). Si mosse appena per
evitare che la luce del sole svegliasse Keris, raggomitolata contro il suo
torace, e prese a fiorarle distrattamente la pelle diafana della guancia.
Non l'avrebbe
svegliata. Non finchè non fosse stato necessario.
Keris stessa aveva
tentato di rimanere sveglia il più a lungo possibile per parlare e stare con
lui, per allungare il loro tempo, ma alla fine aveva ceduto alla stanchezza;
ora spettava a Ryan tergiversare, impedendole di svegliarsi.
Il biondo le
sfiorò la fronte con le labbra, scostando la frangetta di quel delizioso e
improponibile colore, lasciando sfuggire alla ragazza un mugolio soddisfatto.
"Finché dormi
qui con me, non puoi sparire."
Finché non se ne
fosse dovuta andare via davvero.
*__________________
Paddy prese due
respiri profondi e si schiaffeggiò leggermente il viso, facendo un sorriso:
“Ok, siamo
pronti!”.
Spalancò la porta
della camera e scese quasi trottando per le scale, piombando in cucina con un
sorriso da un orecchio all'altro. Tart se ne stava seduto con aria annoiata, le
gambe incrociate sulla sedia, e la fissò inespressivo:
- Eccoci qui! -
esclamò Paddy – Sei pronto, Taru-Taru?
- Sì, sì… -
borbottò lui con aria triste.
Il sorriso svanì
un secondo dal viso della biondina.
No, forza
Paddy, sorridi…!
- Dai, cos’è
quella faccia? - continuò allegra - Stai per tornare a casa, non sei contento?!
Lui rannicchiò le
gambe al petto e nascose la bocca dietro alle ginocchia, borbottando un “sì”.
- E allora perché
fai quella faccia? - chiese lei con voce meno decisa.
Tart si morse il
labbro:
- Niente… E’ solo
che…
- Solo che…?
Tart prese un bel
respiro e fissò il tavolo, arrossendo un poco:
- Solo che…! Un
po’… Tanto…! Vorrei…
“No lo dire, non
lo dire…!!!”
- Vorrei… Restare
qui.
Paddy lo fissò un secondo
e deglutì a vuoto, prendendo un altro bel respiro.
E allora resta,
no?!
- Ma Gaea è casa
tua, no? - si sforzò di sorridere radiosa - Non puoi mica restare qui!
- Però io…!
Paddy gli fece
l’occhiolino:
- Vedrai che
quando sarai lassù ti passerà la malinconia!
Lui la guardò per
niente convinto, ma Paddy si sforzò di non smettere di sorridere.
“Ti pass…!“?!
Ma che cosa sto dicendo?!
“La verità, non è
mica casa sua questa!”
Però…!
“Però niente, è
giusto così!”
Io… io però…
Non voglio… Non
voglio, non voglio!
- E-ehi, che ti
prende?!
- Eh?
Paddy sbattè un
secondo le palpebre, confusa; Tart la stava fissando preoccupato e lei si
accorse di stare piangendo:
- Ah…! No…! - si
sfregò gli occhi con decisione e fece un altro sorriso - Non è niente…!
- Come sarebbe non
è niente?! - replicò lui - Da quando la gente piange per niente?!
- Sul serio! -
rispose di nuovo - Niente…
Anche dicendo
così, però, non riusciva a smettere di piangere. Continuò a borbottare “non è
niente”, mentre si asciugava insistentemente le lacrime che non accennavano a
smettere.
Non voglio…!
Non voglio che
te ne vai via di nuovo!
- … Sta…
- Che
(gocciolone)?
A Paddy sfuggì un
singhiozzo e prese a piangere senza ritegno:
- RESTA! Non voglio che tu vada via! - fece
con tutto il fiato che aveva in gola - Non…
Non andare via!
Il ragazzino la
fissò attonito, la biondina che oramai sembrava non riuscire più a calmarsi:
- Se… Ripartite… -
mormorò - Di sicuro… Non ti rivedrò più…!
Tirò sonoramente
su col naso:
- Non andartene!
Tart arrossì,
guardandola piangere in silenzio. Le fece appena una carezza sulla testa:
- Dai, non
piangere… Paddy…
Cercò di calmarla,
ma ci volle del buono prima che smettesse di piangere abbastanza da ascoltarlo.
- Ti prego…! Pensi
sul serio che non mi vedresti più?!
Fece con tono
acido. Paddy lo fissò un po’ scioccata, ma poi lui sembrò addolcirsi:
- Guarda che
anch’io… Voglio rivederti, sai?
Fissò per terra,
rosso come un papavero.
- Sul serio?
- Ma sei scema
(gocciolone)?! - sbottò - C’è anche da chiedermelo?!
Lei si lasciò
sfuggire un sorrisino.
- Però… - replicò
poi - Come…?
Tart le fece segno
di tacere e le porse la mano destra, il mignolo alzato:
- E’ così che fate
le promesse qui sulla Terra, no?
Paddy annuì:
- Ti prometto che
ritorno! - fece un po’ brusco - Però tu la smetti di piangere, ok?
La biondina fece
un gran sorriso e strinse il mignolo:
- OK!
Poi tacque un
altro istante:
- Posso… Fare una
cosa?
- Uh?
La biondina si protese
verso di lui piano piano e lo baciò, gli occhioni umidi chiusi e la mano
stretta attorno alla sua; quando si rimise seduta dritta vide che Tart la
fissava ammutolito e un poco accigliato, rosso fino alla punta delle orecchie:
- … E questo?
- Questo cosa? -
domandò Paddy innocentemente con un gran sorriso. Lui sbuffò:
- Scema.
- Scusa, non lo
farò più!
Tart fece una
faccia strana e lei ridacchiò:
- Però ti
dispiacerebbe vero?
- CRETINA!
Si alzò di scatto
e si avviò a passo marziale verso l'uscita, ma Paddy lo bloccò dopo pochi
passi, stringendolo per un braccio mentre rideva:
- Non ti
arrabbiare dai!
- Certo che mi
arrabbio! – fece offeso – Mi prendi sempre in giro!
- Perchè tu non
sei onesto con me, ecco!
Sbuffò lei
gonfiando le guance. Tart arrossì un'altra volta e alzò gli occhi al cielo
esasperato, ma quella ragazzina era in grado di dire ogni singola microscopica cosa che le passava per quell'antro che aveva
tra le orecchie?!
- E che vorrebbe
dire?!
- Che dovresti
dire per bene "voglio rivederti perché ti voglio bene!"!
Ormai l'intero
incarnato di Tart e perfino i suoi capelli avevano cambiato colore e raggiunto
tutti i toni del rosso:
-
C-c-c-c-c-c-che?!
- È per questo che
io non voglio che vai via. – continuò seria – E perché ti bacio. Perché ti
voglio bene, perché mi piaci e mi mancherai troppo!
- T-t-t-tu come
cavolo fai a parlare in questo modo?! – mormorò lui – Vuoi farmi venire un
infarto?!
Lei però stavolta
non battè ciglio e rimase ferma a fissarlo. Tart si morse la lingua nervoso,
non era stato già abbastanza esplicito con la frase "guarda che anch'io
voglio rivederti"?!
Sospirò sotto lo
sguardo nocciola e un po' triste di lei, evidentemente no…
Chinò la testa,
chiaramente il suo cuore doveva aver passato tutti i muscoli e le ossa e si trovava
appena sotto la superficie della sua pelle, perché lo sentiva battere troppo
chiaramente.
Si rese conto che
Paddy non aveva mai lasciato la sua mano e la tirò piano verso di sé, perché
potesse sentirlo anche se stava sussurrando:
- Io… Non ci
riesco, a fare come te. – mormorò – Se ci provo… Ecco, mi sento stupido a dire
queste cose… Perché non so come dirle!
Lei sorrise e lo
abbracciò stretto:
- Non te lo
chiederò più. Ma visto che ci dobbiamo salutare per tanto tempo…
- Non sarà tanto tempo…!
– cercò di ribattere, ma la voce gli morì in gola – Non…
Paddy poggiò la
fronte contro la sua senza smettere di sorridere; Tart si morse il labbro e con
voce ancor più fioca continuò:
- Non voglio che
sia per tanto tempo. Perché… Ti voglio…
Si fermò e deglutì
talmente forte che sembrò ingoiare un sasso:
- Ti voglio bene…
Ti voglio bene, ti voglio così tanto bene…!
Paddy sorrise e
non disse niente. Restarono fermi così per qualche minuto, finchè pian pianino
la biondina non si allontanò e senza lasciare la sua mano si avviò fuori.
Non sarebbe stata
pronta all'ultimo saluto.
Ma forse, in quel
momento sarebbe stato meno peggio che in un altro.
*__________________
Selena, Quiche e
Strawberry arrivarono al Caffè per primi. La rossa li fece entrare grazie alla
sua copia delle chiavi e tutti e tre si accomodarono nel locale deserto e
quieto, senza rompere quel silenzio in alcun modo.
Quiche si
massaggiò il collo con un sospiro, l'aria era troppo pesante per i suoi gusti.
La felicità e la calma per i guai terminati, ma anche la malinconia dell'addio
erano palpabili e si mescolavano tra loro in una brodaglia malriuscita, cosa
che guastava l'umore perfino a lui. Come se non bastasse, c'era anche
qualcos'altro che turbava le due ragazze che aveva di fronte.
Quello che
preoccupava Selena sapeva bene di cosa si trattasse, ne avevano già parlato a
lungo; e a confermare ciò, la ragazza non faceva altro che guardare in alto
verso la cima delle scale, in attesa.
Non capiva invece
in alcun modo cosa potesse preoccupare Strawberry. Così, quando la rossa si
alzò e gli fece quella domanda, restò con la mascella a mezz'asta a fissarla
come un ebete.
- Scusa, Quiche…
Possiamo parlare un attimo?
- Eh?
Lei non rispose e
si scambiò una rapidissima occhiata con Selena, sorpresa anche lei, ma molto
meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare: incrociò lo sguardo cioccolato
della rossa, palesemente in difficoltà, e sorridendo come avesse capito (Quiche
si domandò come fosse possibile, ma preferì non chiedere) si alzò e disse:
- Vado a chiamare
Kyle.
Quindi sparì verso
il basso delle scale. Quiche fischiò piano trattenendo una risatina:
- Ragazze,
cominciate a spaventarmi…!
Strawberry non
reagì alla frase e restò in piedi con le
mani strette in grembo, guardando fisso a terra.
- Ohi – il ragazzo
era quasi intimorito da tutta quella rigidità – che ti prende?
Per tutta risposta
lei fece un mezzo inchino e mormorò:
- Scusami.
- Che?
- Per tutto
quanto. – continuò flebile – Per… Prima, ecco.
- Koneko-chan, giuro, non ti seguo più.
- Per Deep Blue! –
soffiò – Per Ao No Kishi e… E…
Le parole le
morirono in gola e non riuscì a guardarlo in faccia, pregando solo che Selena
tornasse subito.
Non era da poco
che pensava a delle scuse, ma doveva ammettere (sebbene non fosse molto bello
da dire) che non aveva mai avuto molta voglia di esprimerle; non perché se ne
vergognasse, o perché pensasse fossero una scocciatura, solo…
"Perché ho
ancora tempo".
Tempo.
Al di fuori delle
lotte e dei pericoli che dovevano affrontare, lei come tutti gli altri, aveva
trovato rapporti nuovi: amore, affetto, amicizia, legami che, in fondo, tutti
sognano essere slegati dal tempo.
Invece il tempo
era finito.
Finite le
battaglie, finita la festa, Strawberry aveva di colpo avuto l'impressione di
non avere più neppure un minuto, di trovarsi di fronte ad un addio, ed era
stata colta dall'ansia.
- Io… Non ti ho
mai chiesto scusa… Né detto "grazie"…
Scusarsi per non
aver dato credito al suo amore. Per aver dato la sua vita per lei.
Grazie per quello
stesso motivo, grazie per il suo amore.
Grazie per essere
diventato suo amico.
Così tanto da
esprimere e di colpo così poco tempo… Doveva essere semplice. Invece,
Strawberry riuscì solo a restare a testa china, le dita serrate sulla stoffa
della gonna, sentendosi immensamente stupida e cattiva.
Deglutì forte e
sentì una mano passarle con malagrazia fra i capelli:
- Era per questo?
- Quiche rise piano – Sei proprio scema, eh?
Lei fece per
protestare e sollevò un po' la testa, ma lui la interruppe ammiccando:
- E' tutto a posto.
Sai… Sono stato felice di essermi innamorato di te, anche se non mi hai
ricambiato.
Strawberry sgranò
gli occhi e lo guardò sorridere; il groppo alla gola le si sciolse di colpo e
si sentì più leggera.
- Qu… AHIA!
Si portò la mano
alla fronte dove lui l'aveva colpita col dito senza alcun preavviso, scoppiando
a ridere maligno:
- Uff, quanto sei
cervellotica! Mi fai paura sai?
- Mi… Mi hai
picchiata in fronte?!
- Ti ho colpito
con l'unghia, esagerata.
La corresse.
- Io ti stavo
facendo un discorso serio!
Sbottò.
– Guarda che non
devi fare quella faccia arrabbiata, che ti vengono le rughe.
- Tu…! Tu sei
davvero…! Un imbecille!
Lui rise
scatenandole un'altra ventata di insulti, che spaventarono non poco Selena,
Kyle e Mintaka in risalita dal sotterraneo.
- Ehm… Sibi-chan,
tutto ok?
- Sel! – la rossa
indicò furibonda il ragazzo di fronte a lei guardando l'amica – Portatelo via!
Su Gaea o su Marte, ma toglimelo dalla vista prima che mi arrabbi per davvero!
L'altra le rivolse
una smorfia tirata guardando poi Quiche, che rispose con un sorrisetto
sibillino e un'espressione divertita; Selena potè solo sospirare.
- Bene
(gocciolone)… Direi che sarà meglio andare a svegliare Ryan…
- Sono sveglio,
Kyle.
Il bruno si girò
verso le scale e incrociò il viso compassato del biondo, alle cui spalle
spuntava la Keris con l'aria più mogia che ricordasse.
- Vi ho sentiti
entrare.
Non era la solita
critica acida tipica di Ryan, ma più una constatazione, quasi una resa di
fronte all'inevitabile saluto. Strawberry sentì lo stomaco contrarsi per la
pena alla vista sua e dell'amica, avrebbe voluto dire qualcosa di adatto, di
confortante, ma non riuscì di nuovo a dire niente e si limitò a mordersi il
labbro frustrata. Selena invece, vedendo
quella scena si sentì ancor più risoluta e sfiorò un poco l'oggetto che portava
in tasca.
"Anche se… Mi
mancherai."
Nel giro di una
decina di minuti furono tutti riuniti. Poche parole, ancora qualche saluto,
mentre in lontananza cominciava a diffondersi il rumore distante del traffico.
Nessuno pronunciò
parole fatidiche come "è ora" o "dobbiamo andare",
sarebbero state inutili. Senza essersi detti niente gli alieni, Mintaka
compreso, si ritrovarono riuniti al centro della sala, pronti a partire; solo
Keris tentennò, sfiorando la punta delle dita di Ryan con le proprie, ma quando
finalmente prese risoluzione e si girò, Selena fece un passo avanti e la fermò,
sorridendole. Keris la guardò confusa:
- Che succede?
- Ho una cosa per
te.
Dalla tasca tirò
fuori la sua vecchia tiara; Keris continuò a studiarla senza capire e Selena le
prese una mano:
- Ki-chan… Lo sai
che ti voglio bene vero?
- Che scemenze
dici Se-chan? Certo…!
- E quindi – la
interruppe – quello che ti propongo non è per mandarti via, ma… Perchè so che
non saresti felice se ora partissi.
Keris la fissò
senza rispondere. La guardò porgerle la tiara e la prese titubante:
l’aveva vista talmente tante volte sulla
fronte dell’amica da accorgersi subito che aveva qualcosa di diverso.
- Abbiamo saputo
tante cose… Sono successe tante cose.
Selena si fermò un
secondo e sospirò a fondo per acquietare il lieve tremolio della voce:
- Se ora tornassi
su Gaea tu… Non sarebbe giusto, ecco. Io… Vorrei che tu vivessi per te stessa,
pensando solo a te, almeno per un po’.
Keris aveva gli
occhi sgranati e le labbra dischiuse come a voler parlare, ma senza emettere
suono. Di colpo, come se avesse colto un senso nascosto nel discorso, prese a
scuotere la testa e cercò di restituire la tiara a Selena, ma lei le afferrò
entrambe le mani e le fece indossare il diadema: ci fu un lieve baluginio e in
un istante, non fosse stato per i curiosi abiti gaeiani, Keris apparve come una
qualunque ragazza umana.
- Sai dove abbiamo
lasciato l’astronave, no? – le ammiccò Selena con lo sguardo lucido e un tenero
sorriso – Quindi ogni tanto vieni a trovarmi.
Keris continuò a
tacere, attonita, guardandosi quasi non si riconoscesse; quando incrociò infine
lo sguardo di Selena strinse le labbra in un a morsa e, trattenendo le lacrime,
le saltò al collo stritolandola in un abbraccio soffocante.
Le lasciarono così
per alcuni minuti finchè, lentamente, Ryan non si avvicinò accompagnando Keris
perchè lasciasse l’amica.
Selena
indietreggiò senza smettere di sorridere e fece un cenno al gruppo di fronte a
sé, scomparendo nel tremolio del teletrasporto:
- Ci rivedremo
presto…!
Cinque anni dopo.
Tokyo.
- Sorellina, devi
sbrigarti! – urlò il ragazzino, rivolto alle scale – È tardi!
- Arrivo, arrivo!
Per l’ennesima
volta Paddy sbuffò, lo vedeva anche lei che era tardi: che poteva farci se la
scuola era il suo ultimo pensiero?
Quella mattina,
come sempre, s’era svegliata presto, aveva rassettato casa, sistemato le
camere, preparato la colazione per tutti e i bento per i fratellini e la sorella,
e si sarebbe anche messa a lavare i panni (sei persone producono un’esorbitante
quantità di vestiti sporchi), se uno dei suoi fratelli non avesse domandato
perché lei non si stesse vestendo, dato che quella mattina ricominciava il
trimestre.
Così Paddy,
lasciato cadere il cesto della biancheria pallida in volto, si era lanciata di
testa nell'armadio e saltellando si era cambiata e vestita nel giro di cinque
minuti.
“Per lo meno –
pensò, ridacchiando – ho battuto il mio
record personale.”.
Mentre finiva di
pettinarsi lanciò un’occhiata fulminea al suo orologio, aveva meno di venti
minuti per raggiungere a piedi la parte opposta della città.
“Vorrà dire che
per oggi niente bento per la sottoscritta – pensò, sistemandosi l’uniforme –
andiamo di panino in mensa. E forse anche un’oretta di fuori in corridoio coi
secchi (gocciolone)… (**)"
Si fermò un
istante, dando un’occhiata alla sua immagine nello specchio.
La piccola Paddy
che passava le giornate a fare acrobazie e saltellare sulla palla sembrava quasi
scomparsa, richiamata solo dai soliti, solari occhi castani e dai ciuffi biondo
grano che ormai le sfioravano le spalle, legati in una coda; si era alzata,
ovviamente, stringendosi in certi punti e ammorbidendosi in altri quel che
bastava perchè le sue forme, seppur minute, risaltassero armoniose, ma il suo
fisico restava quello forte ed agile di quand’era bambina. E, poteva dirlo con
un certo orgoglio, non c’entravano nulla certi geni da scimmietta che
possedeva, come le ripeteva la dolce voglia rosa che le spuntava da sotto la
frangia.
- Sorellina! Noi
andiamo!
- Ah…! – Paddy
fece ricadere lo sguardo sull’orologio, ora iniziava a preoccuparsi del ritardo
– Sì…! Andate, ci vediamo stasera!
- Non fare tardi!
– urlarono in coro i quattro bambini e la piccola Heicha, chiudendosi la porta
dietro.
Scendendo le scale
Paddy digrignò i denti, se quella era una battuta non faceva ridere.
Tenendo la sua
cartella stretta contro il fianco, Paddy correva come una disperata per le strade,
prendendo delle curve così a gomito che rischiò un paio di volte di investire i
passanti.
“Proprio
stamattina – pensò disperata – doveva venire ‘sto freddo?! È impossibile
correre così…!”.
Maledisse il
giaccone che s’era infilata addosso e quel vento di settembre così freddo,
domandandosi se anche il tempo s’era messo contro la sua (scarsa) buona volontà
di finire il liceo e poter finalmente chiudere il capitolo “scuola”.
Non che fosse
stupida né ignorante, anzi, poteva considerarsi abbastanza intelligente, almeno
nella media; ma stare china sui libri era una cosa che non sopportava, le dava
quasi l’allergia.
Erano cose più da
Kyle, o Ryan…!
O da Pie.
Ecco, lui
l’avrebbe facilmente visto intento a sfogliare un libro.
Si fermò ad un
semaforo, esausta.
Ecco, aveva
nominato una delle poche persone che non
doveva, perché la sua testa aveva fatto nel giro di un secondo
l’inevitabile collegamento mentale.
Tart.
Negli ultimi tempi
ci pensava spesso, più del solito almeno. In quei cinque anni che non si erano
visti non aveva mai smesso di pensarci: prima con tenerezza, ma adesso quel che
sentiva era una nostalgia così bruciante che le si stringeva la gola ogni volta
che succedeva.
Il semaforo
divenne verde, poi ancora rosso, ma Paddy restò ferma. Guardò distrattamente
l’orologio che svettava sul palo di fianco alle strisce pedonali, la campanella
era suonata ormai da dieci minuti. Pazienza, sarebbe entrata alla seconda ora;
in ogni caso sarebbe stata punita, quindi tanto valeva prendersela comoda.
Aspettò ancora il verde e attraversò, osservando distratta la strada ai suoi
piedi, cercando di non pensare al suo “amico”. Speranza vana.
Certo, di tanto in
tanto, si erano sentiti, ma comunicare tra centinaia di anni luce di distanza
era complicato, e i messaggi che si scambiavano erano sempre così brevi e
difficili da inviare…
Quanto tempo era
che non poteva sentire la sua voce?
Qualche volta
aveva provato a parlare con qualcuno nei momenti in cui si sentiva più giù. Con
Strawberry e le altre, certo, ma non poteva certo relegare sempre i suoi sfoghi
al momento dell’incontro al Caffè; aveva dovuto parlarne anche con le sue
compagne di scuola, con quelle amiche lontane dal MewProget e tutto il resto.
Ovviamente, si era
limitata al quadro generale della situazione… Dire che il suo cruccio era un
alieno non credeva le avrebbe dissuase molto da chiamare il reparto di
neurologia dell’ospedale.
Qualcuna, molto
politicamente, le diceva di avere pazienza, che se era così convinta dei suoi
sentimenti allora doveva aspettare; qualcun’altra, forse un po’ più cinica, le
aveva detto di lasciar perdere, tentando di convincerla a seguirla ad un
appuntamento combinato (e ignorando l’aria dubbiosa di Paddy). Soltanto Mei,
quella che forse poteva considerare la sua più cara amica fuori dal gruppo
delle MewMew, sembrava averla ascoltata sul serio, anche se il consiglio che le
aveva dato era stato molto sgradevole.
- Capisco quel che
provi – aveva detto – ma, lo sai, le persone cambiano. Anche il loro cuore.
Potrebbe succedere che, magari, tra qualche tempo ti… Diciamo, rassegnerai. Paddy l’aveva guardata
storta. Mei aveva subito scosso la testa:
– Non dico che
devi rinunciare, ma se un giorno sentissi che i tuoi sentimenti sono cambiati,
mi devi promettere che non starai ancora ad aspettarlo.
Però, e
ogniqualvolta ci pensava Paddy si faceva sempre sfuggire una risatina amara, si
vedeva che il destino aveva deciso di prenderla per il naso.
Perché i
sentimenti della piccola Paddy non erano mai cambiati. S’erano trasformati,
rafforzati, ma non se n’erano mai andati.
Si avviò
sovrappensiero verso il parco in cui si era esibita tante volte da bambina. Le
piaceva quel posto, aveva incontrato lì le altre MewMew, lo era diventata lei
stessa, custodiva tanti ricordi tra quella panche e quei vialetti tranquilli.
A quell’ora del
mattino il posto era quasi deserto; meglio così, non le piaceva la confusione
quando si sentiva così giù di corda. Continuò a camminare senza meta,
inoltrandosi nei vialetti un po’ più isolati e continuando a fissare per terra
con aria assorta.
Così si accorse
che qualcuno la stava chiamando, solo quando questo qualcuno mandò un fischio
tanto forte da perforarle i timpani.
- Insomma! –
sbottò una voce maschile – Vabbè che sono cinque anni che non ci vediamo, ma
ignorarmi in questo modo mi sembra eccessivo!
Paddy restò
congelata in mezzo alla strada:
“No, non può
essere…”.
Si girò
pianissimo, quasi guardinga, col cuore che le martellava all’impazzata;
probabilmente non lo avrebbe nemmeno riconosciuto se non fosse stato per le orecchie
ferine e gli occhi color oro.
- Con tutta la
fatica che c’ho messo per trovarti…! – sbottò acido – Fin qui ho dovuto
seguirti!
Tart la fissò
seccato, pregando che quel che stava provando davvero non gli apparisse sulla
faccia come succedeva di solito.
Quando l’aveva
trovata il suo cuore aveva fatto un triplo carpiato dritto nello stomaco, per
poi rischizzargli in gola: insomma, quella che aveva davanti non poteva essere
Paddy, immaginava che fosse diventata più “adulta”, ma non poteva essere diventata…
Così bella! Avrebbe voluto abbracciarla, ma si trattenne.
Paddy continuava a
guardarlo basita senza reagire in alcun modo, e lui si sentì un po' deluso:
“Ecco… Lo sapevo
che dare retta a quell’idiota era una cattiva idea!”.
Pensò stizzito a
Quiche, che l’aveva minacciato di prenderlo a calci se non fosse salito su
un’astronave e se non fosse tornato subito sulla Terra.
- Sei abbastanza
grande perché io e Pie la smettiamo di farti da balie. – aveva detto con
decisione – Perciò, muovi quelle chiappe e fila dalla biondina, che se sta
ancora un po’ a sospirare per te diventerà un mulino a vento!
Tart non era
nemmeno sicuro che il fratellastro sapesse di preciso cosa fosse un mulino a
vento, né cosa gli desse tutte quella sicurezza nelle sue affermazioni, fatto
era che lo aveva ascoltato; probabilmente era successo solo perché Selena s’era
messa in mezzo, ed era altrettanto probabile che Quiche avesse premeditato il
suo intervento fin dall’inizio. Tart s’era molto affezionato alla ragazza, era
la sorella premurosa che non aveva mai avuto, quella che lo consigliava, stava
attenta che il fratello mezzano non gli rompesse troppo le scatole e traduceva
i silenzi del maggiore, che spesso, per via della sua fredda compostezza, non
riusciva a dire quel che avrebbe dovuto.
Così, per un
motivo o per l’altro, alla fine era partito.
Ed ora eccolo lì,
fermo a fissare come un idiota la ragazza di cui era innamorato, senza dire una
parola.
Cosa poteva dirle?
Come stai?
Banalissimo e
forse un po’ patetico.
Mi sei mancata.
Era un po’ troppo
riduttivo dirle solo così.
Mi sono innamorato di te più di prima!
Ecco, quella era
già un po’ più carina, ma non l’avrebbe detta ad alta voce neppure in punto di
morte.
Però era la cosa
che più si sentiva di dire, soprattutto vedendosela davanti in quel momento,
con quell’aria un po’ stupida e tremendamente carina.
All’inizio le era
mancata, gli era mancato sentire i suoi terribili schiamazzi, ridere assieme,
ma riusciva ancora a sopportare la nostalgia; poi era arrivato qualcos’altro,
qualcosa che gli pungeva il cuore ogni volta che leggeva quei maledettissimi
messaggi sullo schermo.
Com'era quel detto
terrestre…?
La lontananza
rafforza l'amore.
"Mai frase fu
più giusta…".
Il suo amore di
bambino si era rafforzato e trasformato, portando la sua tristezza ad un
livello impensabile.
Leggeva i messaggi
di Paddy, felice come non mai, e subito dopo si sentiva triste più di prima,
pensando a chissà quanto tempo avrebbe dovuto aspettare per leggerne uno nuovo;
vedeva il fratello felice con la ragazza che amava e l'invidia gli corrodeva lo
stomaco, non era giusto, perché lui non poteva stare vicino a chi desiderava?!
Alla fine si era
dovuto arrendere a se stesso: voleva poterla vedere; doveva vederla. Da vicino, non da un monitor o da qualunque altra
genialata di Pie, voleva esserle tanto vicino da poterla sfiorare, poterla
abbracciare, poterla sentire ridere, poterla (“oh, kami-sama…!”) baciare.
E ora l’unica cosa
che lo bloccava dal farlo era il semplice pensiero che lei non gli volesse più
bene… Non come lo intendeva lui,
almeno.
Forse aveva
trovato qualcun altro che le piaceva…
"No, me
l'avrebbe detto… Oppure no…?"
Forse ci stava
anche insieme.
“Magari è quel
pinguino di Yue-qualcosa…”.
La sola idea gli fece
salire una tale bile in corpo che si sarebbe volentieri avventato contro
l’albero più vicino per disintegrarlo, ma riuscì a restare immobile,
benedicendo i geni in comune con Pie che, almeno in minima parte, dovevano
essere anche quelli del sangue freddo.
Paddy, invece,
stava zitta semplicemente perché non era ancora sicura di averlo sul serio
davanti. Era cambiato tantissimo.
La sua voce,
innanzitutto. Qualche volta aveva provato ad immaginarla, pensando a com’era
cambiata a qualche suo compagno di classe, ma nessuna di quelle supposte
assomigliava alla sua; forse perché era proprio la sua, le sembrava più bassa e
allo stesso tempo dolce, affascinante. E poi era diventato bello. Ormai si
vedeva chiaramente la parentela con Pie: oltre ad essersi irrobustito un po’,
era diventato alto (“incredibilmente alto!” pensò un po’ incredula, dato che la
superava di almeno tutta la testa) e anche i suoi lineamenti erano diventati
quasi identici a quelli del fratello maggiore, sebbene a vederli sul viso di
Tart a Paddy facessero molto più effetto. Almeno, a giudicare da come i suoi
polmoni avessero deciso di entrare in sciopero. I codini che Tart portava
sempre erano spariti, anche se i capelli erano ancora un po’ lunghi e cadevano
attorno al viso in un caschetto scomposto di ciuffi castani, sfiorandogli gli
occhi con una frangia forse un po’ troppo lunga.
- T…
Non sapeva nemmeno
più come chiamarlo; forse se avesse usato il solito nomignolo si sarebbe
arrabbiato, ma quello le uscì da solo dalle labbra:
– Taru-Taru?
A quel nome
l’ansia di Tart scomparve in un istante. Rilassò le spalle, stemperando un
sorriso felicissimo:
- Da quant’è che
non mi sento chiamare così…!
Anche la tensione
di Paddy si ruppe e la ragazza, mollando la cartella e con le lacrime agli
occhi, gli si buttò addosso, abbracciandolo:
- Taru-Taru! – singhiozzò, stritolandolo –
Taru-Taru…! Taru-Taru…!
Tart ringraziò che
in quel momento non lo stesse guardando in faccia, perché la sua compostezza
era andata a farsi benedire:
- Sì, sono io… -
mormorò, rosso come un pomodoro – Me lo ricordo come mi chiamo.
Paddy lo guardò,
gli occhi ancora lucidi anche se sorrideva, spostò la morsa delle braccia dal
suo torace al collo e, allungatasi in punta di piedi, lo tirò verso di sé senza
una parola, baciandolo dolcemente.
- Bentornato…! –
sorrise poi – Taru-Taru, mi sei mancato tant…
Prima che
continuasse, Tart l’aveva baciata di nuovo. Non quei baci dolci che s’erano
scambiati fino a quel momento, ma adulto, impulsivo, desiderato; Paddy avvertì
un piacevole brivido passarle rapido sul collo, mentre lui le schiudeva appena
le labbra stringendola a sé, col braccio sull’incavo della sua schiena.
Lasciò la presa
dopo qualche minuto, allontanandola solo quel che serviva per guardarla in
viso: Paddy non gli aveva mai visto quello sguardo così dolce, così
evidentemente perso per lei, e le piacque da morire.
- E questo? – gli
domandò.
- Questo cosa?
- Dove hai
imparato a… Baciare a questo modo?
La guardò con
un’aria maliziosa che lo rendeva terribilmente simile a Quiche e Paddy pensò
che Pie avesse sempre avuto ragione: quel ragazzo dava pessimi insegnamenti.
Eppure Paddy non
riuscì a fare a meno di sentirsi le farfalle nello stomaco sotto gli occhi
ambrati di Tart.
- Da nessuna
parte…
Fece lui con
noncuranza; Paddy lo fissò un po’ più accigliata:
- Ah sì?
- Cos’è, sei
gelosa? – la prese in giro.
- Sì.
La sua espressione
imbronciata così buffa non bastò a non dare una stretta alle viscere del
ragazzo: la schiettezza di quella biondina era sempre eccessiva per i suoi
gusti.
- Da nessuno… -
mormorò, rosso in viso, persa la baldanza – L’ho fatto e basta.
- E vorrebbe dire?
- Niente…!
Insomma…
Lei lo guardò
eloquente, aspettando finisse; Tart si chiese dove fossero i geni del sangue
freddo, in quel momento:
- Volevo… Insomma,
volevo solo baciarti…! Non ti vedo da cinque anni, porca miseria! – sbottò in
imbarazzo – Se vuoi proprio saperlo, non ci stavo pensando! Stavo pensando…
- Al fatto che sei
felice di vedermi?
Gli sorrise. Lui
fece una faccia imbronciata e Paddy
sorrise di più:
- Bentornato!
Camminarono per un
po’, mano nella mano, con Paddy che continuava a parlare a macchinetta, ma Tart
la lasciava fare senza smettere di sorridere.
- A proposito –
s’interrupe ad un certo punto la ragazza – prima hai detto che mi cercavi?
- Sì – rispose –
sono passato a casa tua (per fortuna mi ricordavo dove stava!), ma non c’era
nessuno. Ho pensato che fossi andata a scuola, così…
- Non potevi
aspettare tornassi? – gli domandò inclinando la testa.
Tart voltò la
testa dall’altra parte, borbottando qualcosa d’incomprensibile. A Paddy bastò,
l’idea che si fosse messo subito a cercarla così freneticamente la rendeva a
tal punto felice che pensò potesse esploderle il cuore.
- Ti sei camuffato
bene – notò, guardando i jeans e la maglietta che Tart aveva addosso – ma non
hai freddo (gocciolone)?
- Io soffro il
caldo, non il freddo. – puntualizzò – E comunque sono io che ti chiedo come fai
ad andare in giro con quel giaccone!
- Spiritoso!
Si fermò,
allungando lo sguardo verso le orecchie del ragazzo: subito dopo aver indossato
uno strano orecchino, queste avevano preso la forma di quelle dei terrestri, e
anche i suoi occhi ferini erano diventati simili ai suoi, anche se erano
rimasti dorati.
- Come hai fatto?
- Me l’ha
costruito Selena nee-san – disse,
sfiorando l’orecchino – ha detto che funziona come la sua tiara, e che mi
sarebbe servito qui sulla Terra…
Lasciò la frase in
sospeso; Paddy lo guardò, sentendo la domanda che da alcuni minuti l’assillava
premere per uscire:
- Perché? –
domandò speranzosa – Per… Per quanto ti fermerai?
Tart si passò una
mano sul collo, impacciato sotto il suo sguardo nocciola:
- Beh… Non lo so…
- fece vago - … A dire la verità, forse potrei anche restare…
Bastò dire quelle
ultime tre parole che Paddy cacciò un urlo di parecchi decibel sopra il livello
standar della voce umana, facendolo sobbalzare dallo spavento.
- M-ma sei scema
(gocciolone)?!
- Resteresti?! – esclamò, al settimo cielo
– Qui?!
- Dovrei trovare
un posto dove stare – continuò a dire atono – Creare una dimensione da solo è
faticoso, e anche trovare un posto e crearci una barr…
- Verrai da me! –
continuò Paddy frenetica, interrompendolo – È grande, e poi c’è una stanza in
più!
- B-beh – si grattò
la guancia con un dito, continuando a fare l’indeciso – non so…
Paddy gli si
piazzò di fronte, risoluta mentre lo guardava con un leggero broncio; gli
occhi, però, erano tristi:
- Non ti permetto
di andartene di nuovo! – sbottò – Ti prego…!
Tart la scrutò in
silenzio; non trattenne un sorrisetto:
- Da quand’è che
sei diventata tanto piagnucolona? – le afferrò le guancie tra le dita, tirando
leggermente con aria divertita – Se non la pianti riparto subito!
- Molhami shubito! – biascicò lei – Te l’ho sgià detto che non lo shopporto!
Tart rise,
liberando la presa; Paddy si massaggiò le gote, arrabbiata:
- Sei il solito
antipatico!
- E tu sei
diventata noiosa. – disse, sfiorandole il viso col dorso della mano – Certo che
voglio restare, cretina. Mi sarei organizzato tutto ‘sto sbattimento di viaggio
solo per vederti due ore?!
Paddy sorrise un
istante, per poi gonfiare le guance arrabbiata:
- Mi hai presa in
giro!
- È la mia
vendetta per prima, noiosona. – la rimbeccò, facendole una linguaccia.
- Per cosa?!
- Perché mi prendi
sempre in giro tu, di solito.
- Io non ti prendo
in giro! – esclamò quasi offesa – Ma sei troppo carino quando diventi tutto
rosso.
- … A un sedicenne
non puoi dire che è carino (gocciolone)!
- Perché, cosa
devo dire?
- E io che ne so?!
– sbottò; lei fece un sorrisetto furbo:
- Vuoi che ti dica
sul serio quello che penso di te?
- In che senso?
- Chissà… - disse
misteriosa facendogli l’occhiolino – Chissà…
- E-ehi…! Mica
puoi chiudere il discorso così!
- Ah no?
- Sei antipatica,
nanerottola bionda!
- Io non sono una
nanerottola!
- Invece –
ridacchiò, scompigliandole i capelli – direi proprio di sì!
Gli urlò dietro
qualcosa in cinese, mentre lui, divertito, accelerava il passo proseguendo per
il vialetto.
Paddy, sbuffando,
lo raggiunse senza nascondere l’ennesimo sorriso: quel giorno nessuno avrebbe
potuto punirla per aver marinato.
*______________________
Canada. Isola di Terranova, zona
nordorientale della Penisola di Avalon
Con delicatezza Lory
si avvicinò all’animale, compiendo piccoli passi sulla sabbia umida della
battigia. Quando fu a meno di un paio di metri da lui si accucciò e sorrise
dolcemente:
- Stai tranquilla…
- sussurrò – Io sono tua amica. Voglio solo controllare come stai…
L’animale, una
foca grigia, sentendo la sua voce mosse un poco il muso, quasi sorpresa. Emise
un verso nasale simile ad un abbaio, che alle orecchie della ragazza suonò
all’incirca così:
- Io ti conosco…
Lory sorrise e
annuì, quindi si girò e fece un cenno alle sue spalle:
- Professor
Jersey! Venga!
Un uomo sulla
cinquantina, imbardato in una pesante giacca a vento e con una grossa valigetta
di cuoio in una mano, si avvicinò circospetto alla ragazza, guardandola con
ammirazione:
- Perfetto,
ragazza mia.
Aprì con uno
scatto la valigetta, tirandone fuori uno stetoscopio. Nel vederlo la foca emise
un altro mugolio, più spaventato, e fece per indietreggiare.
- No, no! Stai
tranquilla – la rassicurò Lory – Non ti farà niente…
L’animale sembrò
guardarla e si calmò un poco. Il professor Jersey indossò lo stetoscopio e le
accarezzò la pancia, grossa e rotonda come una luna piena:
- Buona bella…
Sentiamo come va…
Passò lo strumento
sul pelo lustro della foca, che si lamentò:
- E’ di ferro…! Non mi piace…!
- Sta controllando
come sta il tuo piccolo – le disse Lory, accarezzandole con due dita il muso
umido – abbi pazienza.
L’animale abbaiò,
muovendo la coda con fare un po’ seccato.
- Bene. –
sentenziò alla fine il professore – Entrambi in gran forma…!
- Quanto manca,
professore?
- Poco, poco…! –
gongolò lui, e prese a controllare la testa dell’animale, finchè non trovò un
piccolo orecchino di plastica, con attaccato un trasmettitore – Per fortuna c’è
ancora!
- Me l’ha messo lui quell’affare?! –
protestò la foca nasale.
- Così possiamo
sapere dove sei. – le spiegò Lory premurosa – E quando sarà il gran momento,
potremmo venire a controllare che vada tutto bene.
La foca sembrò
guardarla un istante e poi abbaiò in assenso; si voltò e si ridiresse
goffamente in acqua, zompettando nella spuma.
- Grazie!
- Fai attenzione!
La ragazza guardò
la foca finchè non scomparve tra i flutti, quindi si alzò e si voltò verso il
professor Jersey, che guardava il limite bianco delle onde con aria trasognata:
- Sarà il secondo cucciolo
in una settimana! I nostri dati erano giusti!
- Già. – gli
sorrise Lory di rimando.
- Per quanto
l’alichero sia una specie poco a rischio, ero preoccupato dei dati sulle
nascite dello scorso anno… - borbottò a mezza voce – Grazie al cielo la situazione
sembra in miglioramento!
Lory annuì e gli trottò dietro, mentre con indifferenza
cercava di registrarsi per la centesima volta quell’altro assurdo nome della
foca grigia (che cavolo voleva dire, poi, alichero?!).
Il professore continuò a parlare praticamente da solo per dieci minuti, mentre
si dirigevano alla stazione di ricerca, e alla fine si voltò verso la
giapponese e sorrise:
- Tu, poi, ci sei
di grandissimo aiuto! – disse allegro – Hai un così buon rapporto con gli
animali…! Nemmeno ti capissero!
Il sorriso della
ragazza ebbe un tremito, ma lei riuscì comunque a restare impassibile,
limitandosi a ridacchiare.
Oh, invece la
capivano!
E lei capiva
perfettamente loro, come capiva le persone.
Lo aveva scoperto
circa quattro anni prima, quando aveva cominciato il liceo, durante le vacanze
in Egitto coi suoi: le era quasi venuto un colpo quando, per scherzare, aveva
rivolto la parola al delfino che saltellava accanto alla loro barca, e quello
le aveva risposto! Poi era venuta l’agitazione, il non sapere cosa fare, la
paura che le stesse succedendo quel che era accaduto a Strawberry (e l’idea di
trovarsi nella vasca da bagno con una coda alla sirenetta), il contattare Kyle
e Ryan dall’altra parte dell’oceano… Una gran confusione!
Ma alla fine ci si
era abituata, e aveva trovato anche un modo saggio di usare quella sua dote.
Appena preso il diploma, circa un anno prima, aveva iniziato a frequentare
l’università di biologia marina, e dopo sei mesi ed un paio di uscite sul campo
col professor Jersey, era arrivato quello stage nella città di St John’s, dove
ora aiutava il professore nella ricognizione delle colonie di foca attorno
all’isola di Terranova.
Una volta
raggiunto la stazione di ricerca, un centinaio di metri più su, verso la
scogliera, Lory e il professore si diressero un istante nel cortile
dell’edificio: era un quadrato di assi di legno ritagliato da una depressione
negli scogli, da cui si poteva accedere al mare attraverso una scaletta di
ferro battuto, e in un angolo dello spiazzo c’era una vasca di un paio di
metri, piena di acqua gelida, dentro a cui un esserino di nemmeno un metro
sguazzava allegro, giocando con altri due studiosi del centro, dei ragazzi
all’incirca di vent’anni.
Lory corse verso
la vasca con un gran sorriso, facendo un cenno ai ragazzi che le lasciarono il
posto: l’animaletto nella vasca, un cucciolo di foca comune di un paio di
settimane, nel vederla emise un uggiolio di gioia e si sporse oltre il bordo,
facendosi accarezzare il muso.
- Come va,
Shiro-chan?
Il piccolo abbaiò in
assenso. Lory sospirò deliziata, aveva battezzato quel cuccioletto “shiro”,
ossia bianco, ben prima di scoprire che il candido mantello che aveva addosso
sarebbe sparito quasi subito, ma ormai quel nome le piaceva e anche lui
sembrava apprezzarlo, da come rispondeva ai suoi richiami, quindi non lo
avrebbe cambiato.
- Hai fame?
Gli chiese
solleticandogli il musetto. Shiro abbaiò di nuovo e Lory afferrò un grosso
biberon posto vicino alla vasca; il cucciolo si allungò subito verso il cibo
fino a prendere in bocca la tettarella, mangiando avidamente.
Uno dei due
ragazzi alle spalle di Lory, i capelli color miele e un forte accento tedesco,
protestò scherzosamente:
- Che antipatico!
Finchè ci siamo stati noi non ha nemmeno voluto toccarla la pappa…
- E ora arrivi tu
con quei tuoi occhioni da principessa e lui si avventa sul biberon come uno
squalo!
Concluse il
secondo, un ispanico dai capelli neri e gli occhi nocciola. Lory li guardò
rassegnata:
- Hardwin-san,
Gomez-san, insomma (gocciolone)!
Il professor
Jersey scoppiò a ridere, imitato dai due ragazzi:
- Beh, non si può
dargli torto! Del resto sei stata tu a salvarlo…
Lory sorrise
impacciata e finì di dar da mangiare a Shiro. Quando aveva trovato quel
piccolino, un paio di mesi prima, sperduto e solo sulla spiaggia a gridare,
aveva creduto che sarebbe morto: sapeva che, per quanto potessero far pena, non
era mai un bene prendersi cura di animali selvatici, si rischiava di dargli
qualcosa che li avrebbe fatto male, o di non potergli più permettere di tornare
tra i simili, a causa dell’odore umano che gli si lasciava addosso. Ma il
professor Jersey l’aveva tranquillizzata e incitata a prendere subito il
cucciolo con sé. Le aveva spiegato che quello, probabilmente, era il secondo
piccolo di un parto gemellare, e se non l’avessero accudito loro sarebbe morto
di fame: le foce comuni non erano in grado di provvedere a due piccoli assieme,
così se nascevano due gemelli il secondo veniva abbandonato a piangere sulla
spiaggia; questi cuccioli, meglio conosciuti come “strilloni”, non erano
rarissimi e capitava spesso che gli abitanti della costa se li prendessero in
casa, lasciandoli liberi una volta adulti. La pappa? Latte di mucca e olio di
fegato: insopportabile per il naso, ma buonissimo per loro.
- Bene ragazzi. –
esordì all’improvviso il professore – Per oggi abbiamo finito. Tornate pure a
casa e riposatevi, domani ci sarà da lavorare.
I ragazzi
annuirono. Lory finì di dare da mangiare a Shiro, gli fece un’altra carezza e
lo guardò sgusciare fuori dalla vasca e sdraiarsi sulle assi, in un angolino
soleggiato, mettendosi a prendere il sole.
I tre ragazzi
risalirono a livello della strada, salutarono il professore che rientrava nella
stazione e si avviarono verso il centro città, passeggiando per la via che rasentava
la costa.
- Uff, sono stanco
morto! – protestò il ragazzo tedesco stiracchiandosi.
- Coraggio
Hardwin-san, non fare quella faccia!
- La piccola Lory
ha ragione, Aaron! – lo rimproverò l’altro – Anche se, devo ammetterlo, dopo
una giornata di lavoro farsi anche la strada di ritorno a piedi…
- E alla fine ti
lamenti anche tu Nadir.
- È solo una
passeggiata. – sorrise Lory – E poi è così bella la costa qui…!
- … Piccola Lory, sei così dolce! – mormorò
Nadir teatrale – La gemma in mezzo ad un villaggio di rozzi omaccioni che
passano la vita a pescare!
- Gomez-san
(gocciolone)…
- Nadir, piantala
di dire cretinate (gocciolone)!
I tre raggiunsero
l’incrocio che portava fuori dalla città in poco meno di un quarto d’ora.
- Bene. – disse
Lory – Allora ci vediamo domani.
- Un secondo
piccola Lory, sei sicura di non voler venire con noi? Andiamo a mangiare
assieme con gli altri del centro, dai!
- Davvero, ti
ringrazio Gomez-san – rispose gentile – ma sono stanca anch’io… Preferisco
andare a casa.
- E dopo cena?
Lory non rispose.
Nadir la fece allontanare appena da Aaron e la guardò fisso negli occhi,
stavolta serio:
- Ti va? Andiamo a
berci qualcosa, io e te.
Lory si mordicchiò
un istante il labbro, un po’ confusa da quel suo sguardo, ma poi scosse la
testa e gli sorrise dispiaciuta:
- Ti ringrazio, ma
non posso accettare.
Fece un lieve
inchino col capo e salutò sia lui che Aaron, avviandosi di corsa verso casa.
Nadir continuò a guardarla finchè non fu sparita dietro l’angolo, poi si voltò
verso l’amico:
- Mi ha scaricato!
– fece abbattuto.
- Visto che non
c’era ancora stato niente, non è il termine che userei (gocciolone)…
- Prendi pure in
giro! – sbottò – Guarda che ci sono rimasto male!
- Sì, sì…
Aaron gli battè il
palmo sulla spalla, mentre l’altro s’infilava le mani in tasca:
- Ma che ho che
non va?! – protestò.
- Proprio niente,
ma non sai che Lory ha il ragazzo?
- CHE?!
- Certo. – replicò
tranquillo – Da parecchio, anche.
- E tu come fai a
saperlo?!
- Me l’ha detto
lei, mi sembra ovvio…
- Ma come?! Non ne
sapevo niente!
- Guarda che io ho
cercato di dirtelo (gocciolone)…
- E come fai ad
esserne sicuro? – gli chiese Nadir con aria cospiratrice – Io non le ho mai
visto ricevere una chiamata o un messaggio da ‘sto tizio. Magari ci sta
mentendo perché le piaccio!
- Non penso
proprio (gocciolone).
- Eddai,
sostienimi almeno!
Con un sospiro
Lory si sedette alla scrivania e finì di scrivere l’e-mail per Strawberry, che
già da un quarto d’ora brillava sullo schermo, e la inviò; controllò che non le
fossero arrivati altri messaggi, poi spense il pc e il cellulare.
Non voleva sentire
né farsi sentire da nessun’altro, almeno fino al mattino successivo.
Prese la sua
adorata macchina fotografia, una magnifica Reflex comprata coi sudatissimi
risparmi del Caffè, e prese a visualizzare una per una tutte le foto che aveva
ancora nella memoria digitale.
Le era sempre
piaciuta la fotografia, ma fino a qualche anno prima si era limitata a
sfogliare libri con foto di altri, immaginando di essere nei magnifici luoghi
ritratti. Poi aveva voluto provare a farne lei delle foto, e aveva scoperto di
essere abbastanza brava, tanto da potersi permettere di usare quel gioiellino
senza pensare di fare solo scatti orrendi e sfocati. Da quando l’aveva presa
aveva fatto sempre più foto, anche la sua stanza lì a St. John’s ne era zeppa:
foto delle ragazze, del Caffè, della sua famiglia, col professor Jersey e gli
altri ragazzi del centro, delle sua amiche all’università, dei bellissimi
paesaggi dell’isola.
“Solo una persona
non c’è…”
A quel pensiero
Lory sentì una morsa allo stomaco, spegnendo la macchinetta. Se la strinse al
petto, incupita, certo avere una sua foto non l’avrebbe fatta stare meglio, ma
almeno avrebbe potuto vederlo.
Mise la macchina
fotografica nella sua custodia, spense la luce, s’infilò la giacca e, chiavi di
casa in tasca, uscì di corsa.
Prese a
passeggiare senza meta lungo la costa, fino a tornare alla stazione di ricerca.
Il professor Jersey era ancora dentro, e la ragazza sgattaiolò senza farsi
vedere fino al cortile; Shiro si svegliò subito sentendola, ma lei gli fece
segno di tacere:
- Non chiamare qui
il professore! – sussurrò – Non voglio che mi veda…
- Cos’hai Lory? Sei triste?
Lei gli accarezzò
il muso e annuì:
- Un po’…
- Non mi piace vederti triste!
Lei sorrise e giocò
un poco con lui, schizzandolo piano con l’acqua; sentì un brivido quando toccò
la superficie gelata con le dita.
- Senti Shiro…
- Sì?
- … Se io me ne
andassi, tu ti ricorderai di me?
- Certo! – esclamò il cucciolo.
- Anche se non
riuscissi più a capire quello che mi dici?
Lui uggiolò con
fare convinto:
- Certo! Anche se non mi capissi, io ti
riconoscerei e ti farei capire che sono io!
Lory sorrise un
poco. I cuccioli “adottati” di foca erano in grado di ricordarsi anche a distanza
di tempo di coloro che li avevano accuditi, ma le faceva piacere sentirselo
dire dal diretto interessato.
- Me lo dici sempre… Io però non voglio che tu
vada via.
- Ma un giorno tu
dovrai tornare a nuotare coi tuoi amici! – lo ammonì lei – E io…
Si fermò,
intristendosi nuovamente. Il cucciolo le battè il nasino umido contro il palmo
della mano e Lory lo abbracciò, per quel poco che riusciva ad afferrare del suo
corpo che non fosse immerso.
Salutò il
piccolino e scese dalla scaletta fino alla spiaggia. La maggior parte delle
coste della Penisola di Avalon erano a strapiombo sul mare, ma in quella zona
il confine tra terra e mare avveniva dolcemente, e lei poteva passeggiare per
quasi un chilometro prima di dover arrampicarsi sugli scogli.
Si sedette sulla
sabbia, un po’ più lontano del punto in cui quel pomeriggio avevano trovato
l’altra foca; la luce di una falce di luna, pallida e splendente, inondava la
spiaggia, la scogliera e le onde, comprendo tutto con un velo di seta
argentata. La ragazza raccolse le gambe al petto e si mise ad ascoltare la
risacca; quel suono la rilassava, l’aveva sempre fatto: la faceva sentire in
compagnia di un amico fidato a cui poteva confidare tutti i propri segreti,
sapendo che li avrebbe conservati gelosamente fino alla fine dei tempi.
Chiuse gli occhi,
respirando a fondo la salsedine e l’aria pungente, quando avvertì qualcuno
vicino a lei.
“Chi può essere?
Non mi sono accorta di nessuno…”
La figura dava la
schiena alla luna e lei non riuscì a vederla in viso, ma si rese conto che non
c’era una seconda fila di impronte sulla sabbia compatta dietro le sue spalle,
solo quella dei piedi di Lory.
Cosa impossibile.
Per tutti quelli
che conosceva, almeno.
Tranne per un paio
di persone.
Tranne che per
una.
La giapponese
sentì il battito accelerare tanto che quasi si spaventò. Forse si era
addormentata. O forse aveva le visioni.
- Ti prego… -
sussurrò – Se sei un sogno o… O una sorta di miraggio… Per favore, sparisci
subito, perché non credo di riuscire a sopportarlo…
- Non credo che si
possa soffrire di miraggi durante la notte.
Lory trattenne il
fiato, coprendosi la bocca con le mani:
- … Pie…
Lo vide annuire
appena; le sembrava anche sorridesse, ma era impossibile dirlo con certezza con
quella luce scarsa.
Lory deglutì un
poco, la bocca di colpo secca. Avrebbe voluto correre, abbracciarlo, ma le
gambe non le ubbidivano, permettendole solo di starsene ferma in piedi, a
fissarlo.
Pie si avvicinò
piano, quasi cauto. Lory lo lasciò fare, la vista che si annebbiava dietro le
lacrime e gli occhiali appannati, e sentì la sua mano prenderle la guancia. Pie
non disse nulla per un po' domandandosi perché lui, con la sua intelligenza e
la sua capacità di analisi, non riuscisse in quel momento a comporre una frase
di senso compiuto.
- … Ti sono
cresciuti i capelli…
“Ma che sto
dicendo?! Ti sono cresciut…?!”
Una frase di senso
compiuto, sì, ma possibilmente con un nesso logico alla situazione.
Nella sua testa
mandò un’imprecazione così pesante che se l’avesse detta ad alta voce perfino i
gabbiani sarebbero precipitati, anche se non ne capivano il senso.
Lory annuì in
silenzio, le labbra serrate, e afferrò la sua mano dandosi anche lei della
stupida, perché non riusciva quasi a guardarlo in faccia.
- … Sei tornato… -
sussurrò alla fine con voce rotta.
Lui prese un bel
respiro. Era inutile stare tanto a girarci attorno e stare lì con lei non
avrebbe fatto altro che farlo vacillare, non poteva avere ripensamenti. Erano
già cinque anni che l’aveva deciso.
O sì o no.
La scelta spettava
solo a Lory, lui non aveva scelte.
Una vocina maligna
nella testa gli diede una fitta al cuore:
E se dicesse no?
Già… Che avrebbe
fatto? Sarebbe finita così, e basta? Se ne sarebbe ritornato tranquillo su Gaea
a fare il bravo ragazzo, salvatore della patria, soldato esemplare e si sarebbe
lasciato tutto alle spalle?
La vocina maligna
(che, con suo sommo orrore, gli sembrava terribilmente quella di Quiche)
sghignazzò:
Se lo fai sei un emerito coglione!
Lo sapeva anche
lui… Ma che altro poteva fare?
Si sforzò di non
visualizzare sé stesso lì, su quel pianeta, accanto alla ragazza che amava, e
fece un altro respiro profondo.
- Lory… Mi
dispiace… Di averci messo tanto. – disse piano – E mi spiace di… Piombarti qui
così.
Si lasciò sfuggire
un sogghigno amaro:
- Non posso
fermarmi qui per molto tempo. – continuò imperterrito – Se sono venuto è solo
per…
Lory gli portò un
dito sulla bocca e fece il sorriso più dolce che era in grado di fare:
- Ti avevo già
dato la mia risposta l’ultima volta. -
disse delicatamente – E non ho cambiato idea.
Pie la fissò
incredulo; poi la guardò più serio, convincendosi che una parte del suo
cervello amasse farlo comportare da masochista:
- … Ne sei sicura?
– le sollevò il mento con due dita – Dovrai lasciare la tua casa, la tua famiglia,
le tue amiche… la tua vita! Tutto quello a cui sei abituata.
- Non potrò
tornare?
Domandò lei
d’istinto; la sua voce era stata attraversata da una nota triste e Pie,
continuando a contraddirsi da solo e in barba al proposito di dissuaderla, fece
per tranquillizzarla:
- Beh, no… Però
non sarà semplice, hai visto quanto ci ho messo io. E poi…
- Sarà esattamente
come vivere all’estero. Come avevo già detto. – rispose candida sorridendo – E
comunicare non è impossibile, l'abbiamo fatto per anni senza problemi. E
comunque, anche stando qui… Guarda, sono sulla Terra e vedrò la mia famiglia si
e no una volta ogni due mesi!
- … Potrebbe
essere per più tempo… Sarà per più
tem…
- Vorrà dire che
quando andrò a trovarli mi fermerò più di una settimana.
Pie continuò a
fissare il suo sorriso disarmante senza parole. Non si era mai sentito così
felice, eppure non riusciva a spegnere quella parte del cervello che gli
ripeteva, incessante, che far lasciare a Lory la Terra per portarla su Gaea era
un puro esempio di egoismo, anzi no, follia.
“Almeno io devo
continuare a ragionare.”
No, tu devi farti una lobotomia al cervello e usare un po’ di
più quel muscolo congelato che hai in mezzo al petto, testa di cazzo!
- Lory…
- Non vuoi che
venga?
La domanda, così a
bruciapelo, lo lasciò confuso. Pie guardò l’aria ferita di Lory e decise che
era il momento che la parte razionale se ne andasse a quel paese; le prese il
volto tra le mani, baciandola:
- No. – disse
piano – No. No. Ma non voglio che tu poi rimpianga la tua scelta.
Lory ricambiò il
suo gesto e gli poggiò le mani sul viso, sorridendo con tutto l’amore che
provava:
- Questo mai.
Pie sorrise
finalmente disteso, e la baciò di nuovo. Non esisteva nessun’altro in tutto
l’universo capace di placarlo come faceva lei.
Alla buon’ora…!
“Chiudi il becco.”
- Ho il tempo di
fare qualche saluto?
- Tutti quelli che
ti occorrono. – rispose accarezzandole i capelli.
- Ma avevi detto…?
Per la prima e
forse unica volta nella sua vita, Lory gli vide fare l’occhiolino:
- A casa potranno
aspettare un po’ di più. Tu hai delle
cose più importanti da fare, prima.
Il modo in cui
disse quella frase, come se al mondo per lui non contassero altro che i suoi
desideri, fece arrossire Lory al punto che credette che gli occhiali le
sarebbero evaporati.
- Allora… Allora
comincio subito!
Lo prese per mano
e se lo trascinò dietro, incurante della sua aria scettica.
- Stai tranquillo
– ammiccò, interpretando il suo sguardo – Non lo spaventerà il tuo aspetto
alieno.
- Ah no?
- No… Ah, non hai
paura di un cucciolo di 50 kg vero?
*______________________
- E così Paddy si
è presentata con lui al Caffè senza dire niente? – la giovane ridacchiò,
sentendo il tono divertito dell’amica – E Strawberry ha fatto crollare il
vassoio?
Mentre Mina
descriveva il circense tentativo della rossa di non far fracassare per terra un
intero servizio da tè, in stile Lory (cosa che poi era avvenuta comunque, con
frustrazione di Ryan), la mora vide con la coda dell’occhio la sua agente
venirle incontro.
- Per oggi abbiamo
finito, Pam. Ora puoi… Ma va tutto bene?
La mora annuì e si
asciugò gli occhi umidi dal troppo ridere, mandando uno strano pigolio per la
risata trattenuta.
- Benissimo. –
fece, più composta – Devo andare Mina, ci vediamo dopo.
L’agente la guardò
un po’ confusa:
- O-ok
(gocciolone)… Ehm, comunque, ti dicevo, per oggi abbiamo finito, se vuoi che ti
accompagni a casa…
- Non occorre. –
ringraziò Pam con un cenno della mano – Ho voglia di fare due passi.
Indossò la giacca e,
senza darle tempo di replica, uscì dagli studi.
I servizi
fotografici la sfinivano sempre. Ore e ore in pose sempre diverse, acconciare
di continuo i capelli, le sedute interminabili di trucco; però era il suo
lavoro e a lei piaceva, poteva sopportarlo.
Shibuya a
quell’ora del pomeriggio era sempre affollata, centinaia di ragazzi si
disperdevano nelle sue strade rumorose e alla moda, e quando era così stanca
Pam era contenta di passeggiarvi in mezzo, anonima tra i tanti.
Sovrappensiero
urtò un passante con la spalla e, come chiunque altro, si limitò a gettargli
un’occhiata distratta e a scusarsi; ma quell’occhiata distratta bastò a
scorgere due occhi celesti intervallati da un triste sfregio, che la fermarono.
- … Yo.
La mora alzò un
sopracciglio e si abbassò gli occhiali scuri:
- E tu che ci fai
qui?
- Lavoro.
- Qui? – Pam fissò l’alieno dalla testa ai
piedi con aria allusiva – Io non credo.
- Cerco lavoro. –
precisò Mintaka.
- Dubito anche per
quello.
Lui mandò uno
sbuffo divertito, come a dirle che era sempre troppo sicura di troppe cose. Lei
si accigliò impercettibilmente.
- Dove vai?
- … A
Setagaya(**).
- Bene. – sorrise
lui – Se ci vai a piedi, c’è tutto il tempo di bersi un cappuccino.
Il grosso
contenitore di cartone cilindrico era già vuoto per metà, ma Pam sentiva ancora
tutto il calore della bevanda irradiarsi piacevole nelle mani.
- Spiegami come
fai a conoscere il cappuccino.
Mintaka fece un
sorriso sornione:
- Intuizione
divina?
Pam lo fissò.
- Avevo bisogno di
qualcosa che scaldasse per bene. – rispose ancora lui, alzando le mani in segno
di resa – E questa era la cosa che più riempiva il bicchiere e non sapeva di
sciacquatura per piatti amara.
Pam fece un lieve
sorriso.
I due camminarono
ancora in silenzio, mentre la zona attorno a loro si riempiva di belle villette
e giardini curati.
- Quindi sei
venuto a cercare “lavoro”. – disse dopo un po’ la mora – Più specifico?
Lui si limitò a
dare un’alzata di spalle:
- Quello che
trovo… Non sono schizzinoso.
- Niente più caccia
a criminali intergalattici?
Lui le mandò un
sorrisetto sghembo al tono canzonatorio:
- No. Non mi rende
abbastanza, faccio troppe eccezioni quando mi trovo davanti il “delinquente”.
Pam non rispose e
ridacchiò, prendendo un'altra sorsata di cappuccino.
- E che vorresti
fare?
- Non saprei.
Mintaka aprì il
coperchio del contenitore e girò un po’ in mano la tazza, sorseggiandone poi il
contenuto:
- Anche un lavoro
di bassa manovalanza mi va bene. Non mi spaventa la fatica, e da quel che mi
sono informato su questo pianeta servono tanti di quei pezzi di carta per fare
altri lavori più specializzati…
- Come la vedi
tragica!
- Mi sbaglio
forse?
- Dipende dal
lavoro…
- Non penso ci
siano posti per “insegnanti di combattimento corpo a corpo alieno”.
Pam rise. Finì di bere il suo cappuccino e sospirò soddisfatta:
- Grazie del caffè…
- Di nulla.
L’uomo buttò i due contenitori vuoti e i due ripresero a camminare in
silenzio, il sole che tramontava e il traffico sempre più lontano.
- Come mai proprio la Terra?
Mintaka la fissò con un sorriso imperscrutabile, le iridi celesti in
quelle cobalto di lei.
- Così…
- Quando menti così spudoratamente non ti sopporto!
Mintaka rise. Aveva una risata bassa e calorosa, eppure suonava sottile
come un sussurro, come se non la usasse spesso.
Pam sospirò
rassegnata, anche se un sorriso le incurvava le labbra:
- Beh, allora
buona fortuna. – si avviò verso una traversa, mentre lui accennava a proseguire
– La prossima volta ti offrirò una cioccolata calda, scalda meglio del
cappuccino.
- Perché, ci sarà
una prossima volta?
Pam girò appena lo
sguardo sopra la spalla e incrociò un altro sorriso sornione. Per tutta
risposta lei ricambiò con aria da sfinge e se ne andò senza una parola e senza
voltarsi.
La prossima volta.
Intanto, stavolta aveva vinto lei.
*______________________
Gaea
- Io dico che
torna da solo.
- Quiche, questa è
solo una cattiveria!
- Perché? È la
verità, sai com’è fatto il ghiacciolone…
- Figurati se Lory-chan
non viene! – sbuffò Selena seccata – E non ti azzardare a progettare cattiverie
da dirle quando arriva, sono stata chiara?!
- Cattiverie? –
fece Quiche innocente – Io?! E perchè mai?
Sorrise sornione e
strappò a Selena un sospiro, a cui seguì un sorriso rassegnato. La ragazza si
affacciò alla finestra e guardò il paesaggio notturno sotto di lei: il piccolo
e giovane bosco attorno alla casa era illuminato da una luce appena
percepibile, e tra le fronde verde scuro s’intravedevano bassi edifici puntellati
da calde lucine. Sovrappensiero accarezzò il legno dell’infisso sopra la sua
testa e sentì Quiche stringerle la vita, appoggiando la testa nell’incavo del
suo collo:
- Ti fa ancora
strano questa casa?
- Un po’… Mi
stupisce che sia venuta così bene.
- Penso che dovrei
offendermi.
- Beh, non evochi
proprio l’immagine di un buon muratore amore mio!
- Di un che?
- Lasciamo
perdere…
Lei ridacchiò e
Quiche la girò verso di sè bloccandola contro la finestra, le mani appoggiate
sui fianchi di lei:
- Preferisci
tornare all’altra casa e iniziare un’entusiasmante vita a quattro?
- Quando fai il
sarcastico diventi acido!
- E tu sei noiosa,
ad ognuno il suo.
Sussurrò
baciandole il collo. Selena ridacchiò e gli portò le braccia attorno alle
spalle, poggiando la fronte contro la sua:
- Adoro questo
posto. E’ grande e tutto nostro…
- Forse troppo
grande solo per due?
- Come?
Lui parve
riflettere e poi alzò le spalle:
- Mmm… No, per il
momento per due va bene.
- Ma di che parli?
Per tutta risposta
la prese in braccio e la portò fuori dalla stanza:
- Niente di che.
Cosa dici allora, se ti piace tanto ce la godiamo un po’?
- Il tuo
doppiosenso è palpabile, te ne rendi conto?
Borbottò lei con
un sorrisetto, arrossendo appena.
- Avevo
quest’impressione… Ma ho anche l’impressione che non ti dispiaccia troppo.
- Sei uno stupido.
- E tu sei
fantastica.
Selena rise piano
e lo baciò. Se esisteva la felicità nell’universo, lei era certa di averla
trovata.
- Allora potresti
mettere giù la tua fantastica ragazza, prima di rotolare sulle scale e romperci
entrambi l’osso del collo?
(*) Quiche lo dice
a Strawberry nel manga (volume 7, ultimo capitolo) prima di lasciare la Terra.
La frase mi sembrava più adatta qui che non in quel momento (che mi ha causato
una tracimazione di bile e un fortissimo desiderio di tirare una sassata nel
coppino alla micia e al suo fidanzato stoccafisso -.-***….)
(**) punizione
tipica giapponese… Non so quanto sia efficace stare fermi come pali coi secchi
in mano, mah ^^””…
(***) Uno dei 23
quartieri speciali, cioè quelle 23 municipalità che formano il centro di Tokyo.
Setagaya è uno dei quartieri più residenziali e qui risiedono molte celebrità
legate alla televisione
~ THIS IS THE END ~
Non so proprio che dire… Questa fanfic è cominciata nel
2005 e posso dire con tutta onestà che è cresciuta con me: si è trasformata,
mutata, ha seguito i miei umori e le mie vicissitudini, ha rischiato di essere
abbandonata per sempre, è stata sospesa, ma alla fine, forse perchè dentro di
lei c’è anche tutto l’amore che un autore può provare per una sua creatura,
grande o piccola che sia, sono riuscita a concluderla.
Il Collezionista ha molti punti che probabilmente ora rivedrei, ma è una cosa
che ho deciso di non fare; come ho detto dentro i suoi capitoli c’è tutto
quello che desideravo e sentivo il bisogno di metterci, revisionarlo mi darebbe
l’impressione di privarlo di quella genuinità che (probabilmente mal scritta,
ma a me cara) ne riempe le parole.
Amo profondamente Selena e Keris, due dei primi
personaggi originali che abbia mai creato. Un giorno mi piacerebbe poterle
affiancare a quelli che negli ultimi anni hanno popolato le mie storie manga,
renderle protagoniste di una storia originale e viva nel suo essere (anche se
mi piangerebbe il cuore separare Se-chan da Kisshu xD).
Ci sarebbero così tante altre cose che vorrei dire su
questa storia…! Eppure sento di aver già detto tutto.
L’unica cosa è un giudizio che chiedo a voi lettori, e
con cui vorrei lasciarvi prima dei ringraziamenti finali.
In realtà Il Collezionista avrebbe un seguito, per cui
nel tempo ho collezionato materiale, eprsonaggi, bozze e capitoli interi.
Quello che vorrei sapere da voi, e vi chiedo il più sincero dei giudizi, è:
LO PUBBLICHIAMO O NON LO PUBBLICHIAMO IL SEGUITO DE IL
COLLEZIONISTA?!?!
Tutto il cast di TMM: NO!!
Non l’ho chiesto a voi -.-!
Cari lettori, rispondetemi ^^! Nel frattempo, potrete seguirmi con Green-gold
memories & Emerald temptation e con Crossing
(oltre che sulle mie pagine FB e dA, che trovate sul mio profilo ;P, per
vedere anche i miei lavori mangosi ;3).
Gli ultimi doverosi e sentitissimi ringraziamenti ^w^!
A Danya, darklullaby88 e mobo, che hanno commentanto lo scorso
capitolo commuovendomi enormemente per come si sono unite alle traversie
emotive dei protagonisti :’) (grazie millissime!!)
Ad Akly, alexandra995,
Ally_Lady_Lioncourt, angelika4ever, annina94, blackmoon007, blackmoon07,
CookieKay, Danya, darklullaby88, Freckles_, helmi, Killkenny, lalex, le 3
casinare, Mary_Cry, Mizuiro_Chan, mobo, Picci93, piccola_chlo, Purinsun, Selta,
Soul_Heart, tYTy, Viola_merida_32, zakuro_san, che hanno messo Il
Collezionista tra le fanfic Preferite <3
A Hypnotic Poison e _Alex99_ che l’hanno inserita nelle
fanfic da Ricordare
A andrea83 2007, Avly, blackmoon007,
Danya, dragon queen, Freckles, ilary chan, lovemanga93, marotti92, mobo,
vegeta12 che l’hanno inserito nelle fanfic Seguite
Grazie per tutte le 184 recensioni e per le migliaia di
visite!
Vi bacio e vi abbraccio tutti, vi auguro buone feste e
buon anno nuovo J! E
forse con un seguito nel 2014? Chissà… ;) Mi direte voi ^w^!!!