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Autore: Ria    26/12/2013    4 recensioni
Lei lo guardò confusa:
- Ma che vuoi fare?
Lui fece qualche passo in avanti, leggermente più sicuro sulle gambe:
-Devo… Devo raggiungerla…
- Sei impazzito?! – lo fermò, afferrandogli un braccio – È già tanto se ti reggi in piedi!
- Strawberry. – la guardò con una fermezza impensabile, visto lo stato in cui era, e lei non potè che zittirsi – Ti prego.
La rossa non rispose. Quello era proprio il colmo! Quiche che chiedeva aiuto, e lo chiedeva a lei! […]
- Vorresti dirmi – sussurrò – che tutto quello che ho passato… Che tutto quello che
Shorai ha fatto…!
Il Girinoma annuì.
Era per liberare me.
Selena cadde in ginocchio, ammutolita. Prese a piangere pian piano, e avrebbe volentieri urlato, battuto le mani per terra per sfogarsi, ma le forze le erano mancate di colpo. […]
- Perciò, se tu vuoi, ti prometto che quando staremo
finalmente tranquilli ti porterò con me!

Sono trascorsi appena due mesi dalla sconfitta di Deep Blue, ma qualcosa si sta già muovendo… E questa volta ad essere in pericolo saranno soltanto loro…
[Nota: Tra i cap 37 e 38 ho postato un riassunto della storia fin'ora... correte a leggerlo!]
Genere: Avventura, Fantasy, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Kisshu: non ci credo…

Taruto: ma davvero?!

Selena: no dai… Ragazzi, mi fa un po’ tristezza…

Ichigo: ç_ç anche a me!

Insomma! Non vi siete che lamentati fino ad ora e adesso che siamo arrivati in fondo, piangete?!?

Tutti: …

Certo che siete incontentabili! Vabbè, lasciando perdere questi dettagli… Ebbene sì, gente, questo è L’ULTIMO CAPITOLO de Il Collezionista! Non ho molto da dire per presentarlo, solo… A voi la lettura, ci vediamo in fondo :’)!

 

 

 

 

Cap. 55 – Il giorno in cui ti incontrerò di nuovo

 

 

Era uno spettacolo meraviglioso vedere l'alba indorare la superfice piatta del mare, accompagnata solo dal ritmico sciabordio della risacca, ma in quel momento a Lory non bastava quella visione per distendere i nervi tesi come corde. Strinse con forza la mano che Pie le stringeva e non disse niente, smettendo di camminare, per poi guardare con rabbia il sole che finiva di fare capolino dall'orizzonte.

Quando la sera prima la festa era finita, non era voluta rientrare a casa. Non c'era un motivo, qualcosa di importante da dire, o qualche posto particolare da mostragli; voleva solo poter stare con lui ancora qualche ora. Gliel'aveva chiesto e Pie, con sua sorpresa, non aveva protestato: docilmente l'aveva seguita nel suo vagare, incurante della gamba ancora malconcia

Era solo uno stupido espediente per illudersi di avere più tempo, assolutamente insensato e inutile, ma lo aveva assecondato comunque.

Ora, però, il tempo lo avevano esaurito tutto.

- Dobbiamo tornare.

Lory annuì soltanto e lui la sentì stringergli la mano più forte. Lei lo guardò ancora, senza una parola o una lacrima, e si allungò sulle punte dei piedi per baciarlo un’ultima volta, sorridendo triste.

- Va bene.

 

 

 

*__________________

 

 

 

Alla fine quella notte non aveva chiuso occhio, ma la cosa non lo sconvolgeva più di tanto; era abituato a fare lunghe notti in bianco per motivi anche più inutili (o che, almeno, in quel momento gli sembravano ben più inutili). Si mosse appena per evitare che la luce del sole svegliasse Keris, raggomitolata contro il suo torace, e prese a fiorarle distrattamente la pelle diafana della guancia.

Non l'avrebbe svegliata. Non finchè non fosse stato necessario.

Keris stessa aveva tentato di rimanere sveglia il più a lungo possibile per parlare e stare con lui, per allungare il loro tempo, ma alla fine aveva ceduto alla stanchezza; ora spettava a Ryan tergiversare, impedendole di svegliarsi.

Il biondo le sfiorò la fronte con le labbra, scostando la frangetta di quel delizioso e improponibile colore, lasciando sfuggire alla ragazza un mugolio soddisfatto.

"Finché dormi qui con me, non puoi sparire."

Finché non se ne fosse dovuta andare via davvero.

 

 

 

*__________________

 

 

 

Paddy prese due respiri profondi e si schiaffeggiò leggermente il viso, facendo un sorriso:

“Ok, siamo pronti!”.

Spalancò la porta della camera e scese quasi trottando per le scale, piombando in cucina con un sorriso da un orecchio all'altro. Tart se ne stava seduto con aria annoiata, le gambe incrociate sulla sedia, e la fissò inespressivo:

- Eccoci qui! - esclamò Paddy – Sei pronto, Taru-Taru?

- Sì, sì… - borbottò lui con aria triste.

Il sorriso svanì un secondo dal viso della biondina.

 

No, forza Paddy, sorridi…!

 

- Dai, cos’è quella faccia? - continuò allegra - Stai per tornare a casa, non sei contento?!

Lui rannicchiò le gambe al petto e nascose la bocca dietro alle ginocchia, borbottando un “sì”.

- E allora perché fai quella faccia? - chiese lei con voce meno decisa.

Tart si morse il labbro:

- Niente… E’ solo che…

- Solo che…?

Tart prese un bel respiro e fissò il tavolo, arrossendo un poco:

- Solo che…! Un po’… Tanto…! Vorrei…

“No lo dire, non lo dire…!!!”

- Vorrei… Restare qui.

Paddy lo fissò un secondo e deglutì a vuoto, prendendo un altro bel respiro.

 

E allora resta, no?!

 

- Ma Gaea è casa tua, no? - si sforzò di sorridere radiosa - Non puoi mica restare qui!

- Però io…!

Paddy gli fece l’occhiolino:

- Vedrai che quando sarai lassù ti passerà la malinconia!

Lui la guardò per niente convinto, ma Paddy si sforzò di non smettere di sorridere.

 

“Ti pass…!“?! Ma che cosa sto dicendo?!

 

“La verità, non è mica casa sua questa!”

 

Però…!

 

“Però niente, è giusto così!”

 

Io… io però…

Non voglio… Non voglio, non voglio!

 

- E-ehi, che ti prende?!

- Eh?

Paddy sbattè un secondo le palpebre, confusa; Tart la stava fissando preoccupato e lei si accorse di stare piangendo:

- Ah…! No…! - si sfregò gli occhi con decisione e fece un altro sorriso - Non è niente…!

- Come sarebbe non è niente?! - replicò lui - Da quando la gente piange per niente?!

- Sul serio! - rispose di nuovo - Niente…

Anche dicendo così, però, non riusciva a smettere di piangere. Continuò a borbottare “non è niente”, mentre si asciugava insistentemente le lacrime che non accennavano a smettere.

 

Non voglio…!

Non voglio che te ne vai via di nuovo!

 

- … Sta…

- Che (gocciolone)?

A Paddy sfuggì un singhiozzo e prese a piangere senza ritegno:

- RESTA! Non voglio che tu vada via! - fece con tutto il fiato che aveva in gola - Non… Non andare via!

Il ragazzino la fissò attonito, la biondina che oramai sembrava non riuscire più a calmarsi:

- Se… Ripartite… - mormorò - Di sicuro… Non ti rivedrò più…!

Tirò sonoramente su col naso:

- Non andartene!

Tart arrossì, guardandola piangere in silenzio. Le fece appena una carezza sulla testa:

- Dai, non piangere… Paddy…

Cercò di calmarla, ma ci volle del buono prima che smettesse di piangere abbastanza da ascoltarlo.

- Ti prego…! Pensi sul serio che non mi vedresti più?!

Fece con tono acido. Paddy lo fissò un po’ scioccata, ma poi lui sembrò addolcirsi:

- Guarda che anch’io… Voglio rivederti, sai?

Fissò per terra, rosso come un papavero.

- Sul serio?

- Ma sei scema (gocciolone)?! - sbottò - C’è anche da chiedermelo?!

Lei si lasciò sfuggire un sorrisino.

- Però… - replicò poi - Come…?

Tart le fece segno di tacere e le porse la mano destra, il mignolo alzato:

- E’ così che fate le promesse qui sulla Terra, no?

Paddy annuì:

- Ti prometto che ritorno! - fece un po’ brusco - Però tu la smetti di piangere, ok?

La biondina fece un gran sorriso e strinse il mignolo:

- OK!

Poi tacque un altro istante:

- Posso… Fare una cosa?

- Uh?

La biondina si protese verso di lui piano piano e lo baciò, gli occhioni umidi chiusi e la mano stretta attorno alla sua; quando si rimise seduta dritta vide che Tart la fissava ammutolito e un poco accigliato, rosso fino alla punta delle orecchie:

- … E questo?

- Questo cosa? - domandò Paddy innocentemente con un gran sorriso. Lui sbuffò:

- Scema.

- Scusa, non lo farò più!

Tart fece una faccia strana e lei ridacchiò:

- Però ti dispiacerebbe vero?

- CRETINA!

Si alzò di scatto e si avviò a passo marziale verso l'uscita, ma Paddy lo bloccò dopo pochi passi, stringendolo per un braccio mentre rideva:

- Non ti arrabbiare dai!

- Certo che mi arrabbio! – fece offeso – Mi prendi sempre in giro!

- Perchè tu non sei onesto con me, ecco!

Sbuffò lei gonfiando le guance. Tart arrossì un'altra volta e alzò gli occhi al cielo esasperato, ma quella ragazzina era in grado di dire ogni singola microscopica cosa che le passava per quell'antro che aveva tra le orecchie?!

- E che vorrebbe dire?!

- Che dovresti dire per bene "voglio rivederti perché ti voglio bene!"!

Ormai l'intero incarnato di Tart e perfino i suoi capelli avevano cambiato colore e raggiunto tutti i toni del rosso:

- C-c-c-c-c-c-che?!

- È per questo che io non voglio che vai via. – continuò seria – E perché ti bacio. Perché ti voglio bene, perché mi piaci e mi mancherai troppo!

- T-t-t-tu come cavolo fai a parlare in questo modo?! – mormorò lui – Vuoi farmi venire un infarto?!

Lei però stavolta non battè ciglio e rimase ferma a fissarlo. Tart si morse la lingua nervoso, non era stato già abbastanza esplicito con la frase "guarda che anch'io voglio rivederti"?!

Sospirò sotto lo sguardo nocciola e un po' triste di lei, evidentemente no…

Chinò la testa, chiaramente il suo cuore doveva aver passato tutti i muscoli e le ossa e si trovava appena sotto la superficie della sua pelle, perché lo sentiva battere troppo chiaramente.

Si rese conto che Paddy non aveva mai lasciato la sua mano e la tirò piano verso di sé, perché potesse sentirlo anche se stava sussurrando:

- Io… Non ci riesco, a fare come te. – mormorò – Se ci provo… Ecco, mi sento stupido a dire queste cose… Perché non so come dirle!

Lei sorrise e lo abbracciò stretto:

- Non te lo chiederò più. Ma visto che ci dobbiamo salutare per tanto tempo…

- Non sarà tanto tempo…! – cercò di ribattere, ma la voce gli morì in gola – Non…

Paddy poggiò la fronte contro la sua senza smettere di sorridere; Tart si morse il labbro e con voce ancor più fioca continuò:

- Non voglio che sia per tanto tempo. Perché… Ti voglio…

Si fermò e deglutì talmente forte che sembrò ingoiare un sasso:

- Ti voglio bene… Ti voglio bene, ti voglio così tanto bene…!

Paddy sorrise e non disse niente. Restarono fermi così per qualche minuto, finchè pian pianino la biondina non si allontanò e senza lasciare la sua mano si avviò fuori.

Non sarebbe stata pronta all'ultimo saluto.

Ma forse, in quel momento sarebbe stato meno peggio che in un altro.

 

 

 

*__________________

 

 

 

Selena, Quiche e Strawberry arrivarono al Caffè per primi. La rossa li fece entrare grazie alla sua copia delle chiavi e tutti e tre si accomodarono nel locale deserto e quieto, senza rompere quel silenzio in alcun modo.

Quiche si massaggiò il collo con un sospiro, l'aria era troppo pesante per i suoi gusti. La felicità e la calma per i guai terminati, ma anche la malinconia dell'addio erano palpabili e si mescolavano tra loro in una brodaglia malriuscita, cosa che guastava l'umore perfino a lui. Come se non bastasse, c'era anche qualcos'altro che turbava le due ragazze che aveva di fronte.

Quello che preoccupava Selena sapeva bene di cosa si trattasse, ne avevano già parlato a lungo; e a confermare ciò, la ragazza non faceva altro che guardare in alto verso la cima delle scale, in attesa.

Non capiva invece in alcun modo cosa potesse preoccupare Strawberry. Così, quando la rossa si alzò e gli fece quella domanda, restò con la mascella a mezz'asta a fissarla come un ebete.

- Scusa, Quiche… Possiamo parlare un attimo?

- Eh?

Lei non rispose e si scambiò una rapidissima occhiata con Selena, sorpresa anche lei, ma molto meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare: incrociò lo sguardo cioccolato della rossa, palesemente in difficoltà, e sorridendo come avesse capito (Quiche si domandò come fosse possibile, ma preferì non chiedere) si alzò e disse:

- Vado a chiamare Kyle.

Quindi sparì verso il basso delle scale. Quiche fischiò piano trattenendo una risatina:

- Ragazze, cominciate a spaventarmi…!

Strawberry non reagì  alla frase e restò in piedi con le mani strette in grembo, guardando fisso a terra.

- Ohi – il ragazzo era quasi intimorito da tutta quella rigidità – che ti prende?

Per tutta risposta lei fece un mezzo inchino e mormorò:

- Scusami.

- Che?

- Per tutto quanto. – continuò flebile – Per… Prima, ecco.

- Koneko-chan, giuro, non ti seguo più.

- Per Deep Blue! – soffiò – Per Ao No Kishi e… E…

Le parole le morirono in gola e non riuscì a guardarlo in faccia, pregando solo che Selena tornasse subito.

Non era da poco che pensava a delle scuse, ma doveva ammettere (sebbene non fosse molto bello da dire) che non aveva mai avuto molta voglia di esprimerle; non perché se ne vergognasse, o perché pensasse fossero una scocciatura, solo…

"Perché ho ancora tempo".

Tempo.

Al di fuori delle lotte e dei pericoli che dovevano affrontare, lei come tutti gli altri, aveva trovato rapporti nuovi: amore, affetto, amicizia, legami che, in fondo, tutti sognano essere slegati dal tempo.

Invece il tempo era finito.

Finite le battaglie, finita la festa, Strawberry aveva di colpo avuto l'impressione di non avere più neppure un minuto, di trovarsi di fronte ad un addio, ed era stata colta dall'ansia.

- Io… Non ti ho mai chiesto scusa… Né detto "grazie"…

Scusarsi per non aver dato credito al suo amore. Per aver dato la sua vita per lei.

Grazie per quello stesso motivo, grazie per il suo amore.

Grazie per essere diventato suo amico.

Così tanto da esprimere e di colpo così poco tempo… Doveva essere semplice. Invece, Strawberry riuscì solo a restare a testa china, le dita serrate sulla stoffa della gonna, sentendosi immensamente stupida e cattiva.

Deglutì forte e sentì una mano passarle con malagrazia fra i capelli:

- Era per questo? - Quiche rise piano – Sei proprio scema, eh?

Lei fece per protestare e sollevò un po' la testa, ma lui la interruppe ammiccando:

- E' tutto a posto. Sai… Sono stato felice di essermi innamorato di te, anche se non mi hai ricambiato.

Strawberry sgranò gli occhi e lo guardò sorridere; il groppo alla gola le si sciolse di colpo e si sentì più leggera.

- Qu… AHIA!

Si portò la mano alla fronte dove lui l'aveva colpita col dito senza alcun preavviso, scoppiando a ridere maligno:

- Uff, quanto sei cervellotica! Mi fai paura sai?

- Mi… Mi hai picchiata in fronte?!

- Ti ho colpito con l'unghia, esagerata.

La corresse.

- Io ti stavo facendo un discorso serio!

Sbottò.

– Guarda che non devi fare quella faccia arrabbiata, che ti vengono le rughe.

- Tu…! Tu sei davvero…! Un imbecille!

Lui rise scatenandole un'altra ventata di insulti, che spaventarono non poco Selena, Kyle e Mintaka in risalita dal sotterraneo.

- Ehm… Sibi-chan, tutto ok?

- Sel! – la rossa indicò furibonda il ragazzo di fronte a lei guardando l'amica – Portatelo via! Su Gaea o su Marte, ma toglimelo dalla vista prima che mi arrabbi per davvero!

L'altra le rivolse una smorfia tirata guardando poi Quiche, che rispose con un sorrisetto sibillino e un'espressione divertita; Selena potè solo sospirare.

- Bene (gocciolone)… Direi che sarà meglio andare a svegliare Ryan…

- Sono sveglio, Kyle.

Il bruno si girò verso le scale e incrociò il viso compassato del biondo, alle cui spalle spuntava la Keris con l'aria più mogia che ricordasse.

- Vi ho sentiti entrare.

Non era la solita critica acida tipica di Ryan, ma più una constatazione, quasi una resa di fronte all'inevitabile saluto. Strawberry sentì lo stomaco contrarsi per la pena alla vista sua e dell'amica, avrebbe voluto dire qualcosa di adatto, di confortante, ma non riuscì di nuovo a dire niente e si limitò a mordersi il labbro frustrata.  Selena invece, vedendo quella scena si sentì ancor più risoluta e sfiorò un poco l'oggetto che portava in tasca.

"Anche se… Mi mancherai."

 

 

 

Nel giro di una decina di minuti furono tutti riuniti. Poche parole, ancora qualche saluto, mentre in lontananza cominciava a diffondersi il rumore distante del traffico.

Nessuno pronunciò parole fatidiche come "è ora" o "dobbiamo andare", sarebbero state inutili. Senza essersi detti niente gli alieni, Mintaka compreso, si ritrovarono riuniti al centro della sala, pronti a partire; solo Keris tentennò, sfiorando la punta delle dita di Ryan con le proprie, ma quando finalmente prese risoluzione e si girò, Selena fece un passo avanti e la fermò, sorridendole. Keris la guardò confusa:

- Che succede?

- Ho una cosa per te.

Dalla tasca tirò fuori la sua vecchia tiara; Keris continuò a studiarla senza capire e Selena le prese una mano:

- Ki-chan… Lo sai che ti voglio bene vero?

- Che scemenze dici Se-chan? Certo…!

- E quindi – la interruppe – quello che ti propongo non è per mandarti via, ma… Perchè so che non saresti felice se ora partissi.

Keris la fissò senza rispondere. La guardò porgerle la tiara e la prese titubante: l’aveva  vista talmente tante volte sulla fronte dell’amica da accorgersi subito che aveva qualcosa di diverso.

- Abbiamo saputo tante cose… Sono successe tante cose.

Selena si fermò un secondo e sospirò a fondo per acquietare il lieve tremolio della voce:

- Se ora tornassi su Gaea tu… Non sarebbe giusto, ecco. Io… Vorrei che tu vivessi per te stessa, pensando solo a te, almeno per un po’.

Keris aveva gli occhi sgranati e le labbra dischiuse come a voler parlare, ma senza emettere suono. Di colpo, come se avesse colto un senso nascosto nel discorso, prese a scuotere la testa e cercò di restituire la tiara a Selena, ma lei le afferrò entrambe le mani e le fece indossare il diadema: ci fu un lieve baluginio e in un istante, non fosse stato per i curiosi abiti gaeiani, Keris apparve come una qualunque ragazza umana.

- Sai dove abbiamo lasciato l’astronave, no? – le ammiccò Selena con lo sguardo lucido e un tenero sorriso – Quindi ogni tanto vieni a trovarmi.

Keris continuò a tacere, attonita, guardandosi quasi non si riconoscesse; quando incrociò infine lo sguardo di Selena strinse le labbra in un a morsa e, trattenendo le lacrime, le saltò al collo stritolandola in un abbraccio soffocante.

Le lasciarono così per alcuni minuti finchè, lentamente, Ryan non si avvicinò accompagnando Keris perchè lasciasse l’amica.

Selena indietreggiò senza smettere di sorridere e fece un cenno al gruppo di fronte a sé, scomparendo nel tremolio del teletrasporto:

- Ci rivedremo presto…!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cinque anni dopo.

Tokyo.

 

- Sorellina, devi sbrigarti! – urlò il ragazzino, rivolto alle scale – È tardi!

- Arrivo, arrivo!

Per l’ennesima volta Paddy sbuffò, lo vedeva anche lei che era tardi: che poteva farci se la scuola era il suo ultimo pensiero?

Quella mattina, come sempre, s’era svegliata presto, aveva rassettato casa, sistemato le camere, preparato la colazione per tutti e i bento per i fratellini e la sorella, e si sarebbe anche messa a lavare i panni (sei persone producono un’esorbitante quantità di vestiti sporchi), se uno dei suoi fratelli non avesse domandato perché lei non si stesse vestendo, dato che quella mattina ricominciava il trimestre.

Così Paddy, lasciato cadere il cesto della biancheria pallida in volto, si era lanciata di testa nell'armadio e saltellando si era cambiata e vestita nel giro di cinque minuti.

“Per lo meno – pensò, ridacchiando – ho battuto  il mio record personale.”.

Mentre finiva di pettinarsi lanciò un’occhiata fulminea al suo orologio, aveva meno di venti minuti per raggiungere a piedi la parte opposta della città.

“Vorrà dire che per oggi niente bento per la sottoscritta – pensò, sistemandosi l’uniforme – andiamo di panino in mensa. E forse anche un’oretta di fuori in corridoio coi secchi (gocciolone)… (**)"

Si fermò un istante, dando un’occhiata alla sua immagine nello specchio.

La piccola Paddy che passava le giornate a fare acrobazie e saltellare sulla palla sembrava quasi scomparsa, richiamata solo dai soliti, solari occhi castani e dai ciuffi biondo grano che ormai le sfioravano le spalle, legati in una coda; si era alzata, ovviamente, stringendosi in certi punti e ammorbidendosi in altri quel che bastava perchè le sue forme, seppur minute, risaltassero armoniose, ma il suo fisico restava quello forte ed agile di quand’era bambina. E, poteva dirlo con un certo orgoglio, non c’entravano nulla certi geni da scimmietta che possedeva, come le ripeteva la dolce voglia rosa che le spuntava da sotto la frangia.

- Sorellina! Noi andiamo!

- Ah…! – Paddy fece ricadere lo sguardo sull’orologio, ora iniziava a preoccuparsi del ritardo – Sì…! Andate, ci vediamo stasera!

- Non fare tardi! – urlarono in coro i quattro bambini e la piccola Heicha, chiudendosi la porta dietro.

Scendendo le scale Paddy digrignò i denti, se quella era una battuta non faceva ridere.

 

Tenendo la sua cartella stretta contro il fianco, Paddy correva come una disperata per le strade, prendendo delle curve così a gomito che rischiò un paio di volte di investire i passanti.

“Proprio stamattina – pensò disperata – doveva venire ‘sto freddo?! È impossibile correre così…!”.

Maledisse il giaccone che s’era infilata addosso e quel vento di settembre così freddo, domandandosi se anche il tempo s’era messo contro la sua (scarsa) buona volontà di finire il liceo e poter finalmente chiudere il capitolo “scuola”.

Non che fosse stupida né ignorante, anzi, poteva considerarsi abbastanza intelligente, almeno nella media; ma stare china sui libri era una cosa che non sopportava, le dava quasi l’allergia.

Erano cose più da Kyle, o Ryan…!

O da Pie.

Ecco, lui l’avrebbe facilmente visto intento a sfogliare un libro.

Si fermò ad un semaforo, esausta.

Ecco, aveva nominato una delle poche persone che non doveva, perché la sua testa aveva fatto nel giro di un secondo l’inevitabile collegamento mentale.

Tart.

Negli ultimi tempi ci pensava spesso, più del solito almeno. In quei cinque anni che non si erano visti non aveva mai smesso di pensarci: prima con tenerezza, ma adesso quel che sentiva era una nostalgia così bruciante che le si stringeva la gola ogni volta che succedeva.

Il semaforo divenne verde, poi ancora rosso, ma Paddy restò ferma. Guardò distrattamente l’orologio che svettava sul palo di fianco alle strisce pedonali, la campanella era suonata ormai da dieci minuti. Pazienza, sarebbe entrata alla seconda ora; in ogni caso sarebbe stata punita, quindi tanto valeva prendersela comoda. Aspettò ancora il verde e attraversò, osservando distratta la strada ai suoi piedi, cercando di non pensare al suo “amico”. Speranza vana.

Certo, di tanto in tanto, si erano sentiti, ma comunicare tra centinaia di anni luce di distanza era complicato, e i messaggi che si scambiavano erano sempre così brevi e difficili da inviare…

Quanto tempo era che non poteva sentire la sua voce?

Qualche volta aveva provato a parlare con qualcuno nei momenti in cui si sentiva più giù. Con Strawberry e le altre, certo, ma non poteva certo relegare sempre i suoi sfoghi al momento dell’incontro al Caffè; aveva dovuto parlarne anche con le sue compagne di scuola, con quelle amiche lontane dal MewProget e tutto il resto.

Ovviamente, si era limitata al quadro generale della situazione… Dire che il suo cruccio era un alieno non credeva le avrebbe dissuase molto da chiamare il reparto di neurologia dell’ospedale.

Qualcuna, molto politicamente, le diceva di avere pazienza, che se era così convinta dei suoi sentimenti allora doveva aspettare; qualcun’altra, forse un po’ più cinica, le aveva detto di lasciar perdere, tentando di convincerla a seguirla ad un appuntamento combinato (e ignorando l’aria dubbiosa di Paddy). Soltanto Mei, quella che forse poteva considerare la sua più cara amica fuori dal gruppo delle MewMew, sembrava averla ascoltata sul serio, anche se il consiglio che le aveva dato era stato molto sgradevole.

- Capisco quel che provi – aveva detto – ma, lo sai, le persone cambiano. Anche il loro cuore. Potrebbe succedere che, magari, tra qualche tempo ti… Diciamo, rassegnerai. Paddy l’aveva guardata storta. Mei aveva subito scosso la testa:

– Non dico che devi rinunciare, ma se un giorno sentissi che i tuoi sentimenti sono cambiati, mi devi promettere che non starai ancora ad aspettarlo.

Però, e ogniqualvolta ci pensava Paddy si faceva sempre sfuggire una risatina amara, si vedeva che il destino aveva deciso di prenderla per il naso.

Perché i sentimenti della piccola Paddy non erano mai cambiati. S’erano trasformati, rafforzati, ma non se n’erano mai andati.

Si avviò sovrappensiero verso il parco in cui si era esibita tante volte da bambina. Le piaceva quel posto, aveva incontrato lì le altre MewMew, lo era diventata lei stessa, custodiva tanti ricordi tra quella panche e quei vialetti tranquilli.

A quell’ora del mattino il posto era quasi deserto; meglio così, non le piaceva la confusione quando si sentiva così giù di corda. Continuò a camminare senza meta, inoltrandosi nei vialetti un po’ più isolati e continuando a fissare per terra con aria assorta.

Così si accorse che qualcuno la stava chiamando, solo quando questo qualcuno mandò un fischio tanto forte da perforarle i timpani.

- Insomma! – sbottò una voce maschile – Vabbè che sono cinque anni che non ci vediamo, ma ignorarmi in questo modo mi sembra eccessivo!

Paddy restò congelata in mezzo alla strada:

“No, non può essere…”.

Si girò pianissimo, quasi guardinga, col cuore che le martellava all’impazzata; probabilmente non lo avrebbe nemmeno riconosciuto se non fosse stato per le orecchie ferine e gli occhi color oro.

- Con tutta la fatica che c’ho messo per trovarti…! – sbottò acido – Fin qui ho dovuto seguirti!

Tart la fissò seccato, pregando che quel che stava provando davvero non gli apparisse sulla faccia come succedeva di solito.

Quando l’aveva trovata il suo cuore aveva fatto un triplo carpiato dritto nello stomaco, per poi rischizzargli in gola: insomma, quella che aveva davanti non poteva essere Paddy, immaginava che fosse diventata più “adulta”, ma non poteva essere diventata… Così bella! Avrebbe voluto abbracciarla, ma si trattenne.

Paddy continuava a guardarlo basita senza reagire in alcun modo, e lui si sentì un po' deluso:

“Ecco… Lo sapevo che dare retta a quell’idiota era una cattiva idea!”.

Pensò stizzito a Quiche, che l’aveva minacciato di prenderlo a calci se non fosse salito su un’astronave e se non fosse tornato subito sulla Terra.

- Sei abbastanza grande perché io e Pie la smettiamo di farti da balie. – aveva detto con decisione – Perciò, muovi quelle chiappe e fila dalla biondina, che se sta ancora un po’ a sospirare per te diventerà un mulino a vento!

Tart non era nemmeno sicuro che il fratellastro sapesse di preciso cosa fosse un mulino a vento, né cosa gli desse tutte quella sicurezza nelle sue affermazioni, fatto era che lo aveva ascoltato; probabilmente era successo solo perché Selena s’era messa in mezzo, ed era altrettanto probabile che Quiche avesse premeditato il suo intervento fin dall’inizio. Tart s’era molto affezionato alla ragazza, era la sorella premurosa che non aveva mai avuto, quella che lo consigliava, stava attenta che il fratello mezzano non gli rompesse troppo le scatole e traduceva i silenzi del maggiore, che spesso, per via della sua fredda compostezza, non riusciva a dire quel che avrebbe dovuto.

Così, per un motivo o per l’altro, alla fine era partito.

Ed ora eccolo lì, fermo a fissare come un idiota la ragazza di cui era innamorato, senza dire una parola.

Cosa poteva dirle?

Come stai?

Banalissimo e forse un po’ patetico.

Mi sei mancata.

Era un po’ troppo riduttivo dirle solo così.

Mi sono innamorato di te più di prima! 

Ecco, quella era già un po’ più carina, ma non l’avrebbe detta ad alta voce neppure in punto di morte.

Però era la cosa che più si sentiva di dire, soprattutto vedendosela davanti in quel momento, con quell’aria un po’ stupida e tremendamente carina.

All’inizio le era mancata, gli era mancato sentire i suoi terribili schiamazzi, ridere assieme, ma riusciva ancora a sopportare la nostalgia; poi era arrivato qualcos’altro, qualcosa che gli pungeva il cuore ogni volta che leggeva quei maledettissimi messaggi sullo schermo.

Com'era quel detto terrestre…?

La lontananza rafforza l'amore.

"Mai frase fu più giusta…".

Il suo amore di bambino si era rafforzato e trasformato, portando la sua tristezza ad un livello impensabile.

Leggeva i messaggi di Paddy, felice come non mai, e subito dopo si sentiva triste più di prima, pensando a chissà quanto tempo avrebbe dovuto aspettare per leggerne uno nuovo; vedeva il fratello felice con la ragazza che amava e l'invidia gli corrodeva lo stomaco, non era giusto, perché lui non poteva stare vicino a chi desiderava?!

Alla fine si era dovuto arrendere a se stesso: voleva poterla vedere; doveva vederla. Da vicino, non da un monitor o da qualunque altra genialata di Pie, voleva esserle tanto vicino da poterla sfiorare, poterla abbracciare, poterla sentire ridere, poterla (“oh, kami-sama…!”) baciare.

E ora l’unica cosa che lo bloccava dal farlo era il semplice pensiero che lei non gli volesse più bene… Non come lo intendeva lui, almeno.

Forse aveva trovato qualcun altro che le piaceva…

"No, me l'avrebbe detto… Oppure no…?"

Forse ci stava anche insieme.

“Magari è quel pinguino di Yue-qualcosa…”.

La sola idea gli fece salire una tale bile in corpo che si sarebbe volentieri avventato contro l’albero più vicino per disintegrarlo, ma riuscì a restare immobile, benedicendo i geni in comune con Pie che, almeno in minima parte, dovevano essere anche quelli del sangue freddo.

Paddy, invece, stava zitta semplicemente perché non era ancora sicura di averlo sul serio davanti. Era cambiato tantissimo.

La sua voce, innanzitutto. Qualche volta aveva provato ad immaginarla, pensando a com’era cambiata a qualche suo compagno di classe, ma nessuna di quelle supposte assomigliava alla sua; forse perché era proprio la sua, le sembrava più bassa e allo stesso tempo dolce, affascinante. E poi era diventato bello. Ormai si vedeva chiaramente la parentela con Pie: oltre ad essersi irrobustito un po’, era diventato alto (“incredibilmente alto!” pensò un po’ incredula, dato che la superava di almeno tutta la testa) e anche i suoi lineamenti erano diventati quasi identici a quelli del fratello maggiore, sebbene a vederli sul viso di Tart a Paddy facessero molto più effetto. Almeno, a giudicare da come i suoi polmoni avessero deciso di entrare in sciopero. I codini che Tart portava sempre erano spariti, anche se i capelli erano ancora un po’ lunghi e cadevano attorno al viso in un caschetto scomposto di ciuffi castani, sfiorandogli gli occhi con una frangia forse un po’ troppo lunga.

- T…

Non sapeva nemmeno più come chiamarlo; forse se avesse usato il solito nomignolo si sarebbe arrabbiato, ma quello le uscì da solo dalle labbra:

– Taru-Taru?

A quel nome l’ansia di Tart scomparve in un istante. Rilassò le spalle, stemperando un sorriso felicissimo:

- Da quant’è che non mi sento chiamare così…!

Anche la tensione di Paddy si ruppe e la ragazza, mollando la cartella e con le lacrime agli occhi, gli si buttò addosso, abbracciandolo:

- Taru-Taru! – singhiozzò, stritolandolo – Taru-Taru…! Taru-Taru…!

Tart ringraziò che in quel momento non lo stesse guardando in faccia, perché la sua compostezza era andata a farsi benedire:

- Sì, sono io… - mormorò, rosso come un pomodoro – Me lo ricordo come mi chiamo.

Paddy lo guardò, gli occhi ancora lucidi anche se sorrideva, spostò la morsa delle braccia dal suo torace al collo e, allungatasi in punta di piedi, lo tirò verso di sé senza una parola, baciandolo dolcemente.

- Bentornato…! – sorrise poi – Taru-Taru, mi sei mancato tant…

Prima che continuasse, Tart l’aveva baciata di nuovo. Non quei baci dolci che s’erano scambiati fino a quel momento, ma adulto, impulsivo, desiderato; Paddy avvertì un piacevole brivido passarle rapido sul collo, mentre lui le schiudeva appena le labbra stringendola a sé, col braccio sull’incavo della sua schiena.

Lasciò la presa dopo qualche minuto, allontanandola solo quel che serviva per guardarla in viso: Paddy non gli aveva mai visto quello sguardo così dolce, così evidentemente perso per lei, e le piacque da morire.

- E questo? – gli domandò.

- Questo cosa?

- Dove hai imparato a… Baciare a questo modo?

La guardò con un’aria maliziosa che lo rendeva terribilmente simile a Quiche e Paddy pensò che Pie avesse sempre avuto ragione: quel ragazzo dava pessimi insegnamenti.

Eppure Paddy non riuscì a fare a meno di sentirsi le farfalle nello stomaco sotto gli occhi ambrati di Tart.

- Da nessuna parte…

Fece lui con noncuranza; Paddy lo fissò un po’ più accigliata:

- Ah sì?

- Cos’è, sei gelosa? – la prese in giro.

- Sì.

La sua espressione imbronciata così buffa non bastò a non dare una stretta alle viscere del ragazzo: la schiettezza di quella biondina era sempre eccessiva per i suoi gusti.

- Da nessuno… - mormorò, rosso in viso, persa la baldanza – L’ho fatto e basta.

- E vorrebbe dire?

- Niente…! Insomma…

Lei lo guardò eloquente, aspettando finisse; Tart si chiese dove fossero i geni del sangue freddo, in quel momento:

- Volevo… Insomma, volevo solo baciarti…! Non ti vedo da cinque anni, porca miseria! – sbottò in imbarazzo – Se vuoi proprio saperlo, non ci stavo pensando! Stavo pensando…

- Al fatto che sei felice di vedermi?

Gli sorrise. Lui fece una faccia imbronciata e  Paddy sorrise di più:

- Bentornato!

 

Camminarono per un po’, mano nella mano, con Paddy che continuava a parlare a macchinetta, ma Tart la lasciava fare senza smettere di sorridere.

- A proposito – s’interrupe ad un certo punto la ragazza – prima hai detto che mi cercavi?

- Sì – rispose – sono passato a casa tua (per fortuna mi ricordavo dove stava!), ma non c’era nessuno. Ho pensato che fossi andata a scuola, così…

- Non potevi aspettare tornassi? – gli domandò inclinando la testa.

Tart voltò la testa dall’altra parte, borbottando qualcosa d’incomprensibile. A Paddy bastò, l’idea che si fosse messo subito a cercarla così freneticamente la rendeva a tal punto felice che pensò potesse esploderle il cuore.

- Ti sei camuffato bene – notò, guardando i jeans e la maglietta che Tart aveva addosso – ma non hai freddo (gocciolone)?

- Io soffro il caldo, non il freddo. – puntualizzò – E comunque sono io che ti chiedo come fai ad andare in giro con quel giaccone!

- Spiritoso!

Si fermò, allungando lo sguardo verso le orecchie del ragazzo: subito dopo aver indossato uno strano orecchino, queste avevano preso la forma di quelle dei terrestri, e anche i suoi occhi ferini erano diventati simili ai suoi, anche se erano rimasti dorati.

- Come hai fatto?

- Me l’ha costruito Selena nee-san – disse, sfiorando l’orecchino – ha detto che funziona come la sua tiara, e che mi sarebbe servito qui sulla Terra…

Lasciò la frase in sospeso; Paddy lo guardò, sentendo la domanda che da alcuni minuti l’assillava premere per uscire:

- Perché? – domandò speranzosa – Per… Per quanto ti fermerai?

Tart si passò una mano sul collo, impacciato sotto il suo sguardo nocciola:

- Beh… Non lo so… - fece vago - … A dire la verità, forse potrei anche restare…

Bastò dire quelle ultime tre parole che Paddy cacciò un urlo di parecchi decibel sopra il livello standar della voce umana, facendolo sobbalzare dallo spavento.

- M-ma sei scema (gocciolone)?!

- Resteresti?! – esclamò, al settimo cielo – Qui?!

- Dovrei trovare un posto dove stare – continuò a dire atono – Creare una dimensione da solo è faticoso, e anche trovare un posto e crearci una barr…

- Verrai da me! – continuò Paddy frenetica, interrompendolo – È grande, e poi c’è una stanza in più!

- B-beh – si grattò la guancia con un dito, continuando a fare l’indeciso – non so…

Paddy gli si piazzò di fronte, risoluta mentre lo guardava con un leggero broncio; gli occhi, però, erano tristi:

- Non ti permetto di andartene di nuovo! – sbottò – Ti prego…!

Tart la scrutò in silenzio; non trattenne un sorrisetto:

- Da quand’è che sei diventata tanto piagnucolona? – le afferrò le guancie tra le dita, tirando leggermente con aria divertita – Se non la pianti riparto subito!

- Molhami shubito! – biascicò lei – Te l’ho sgià detto che non lo shopporto!

Tart rise, liberando la presa; Paddy si massaggiò le gote, arrabbiata:

- Sei il solito antipatico!

- E tu sei diventata noiosa. – disse, sfiorandole il viso col dorso della mano – Certo che voglio restare, cretina. Mi sarei organizzato tutto ‘sto sbattimento di viaggio solo per vederti due ore?!

Paddy sorrise un istante, per poi gonfiare le guance arrabbiata:

- Mi hai presa in giro!

- È la mia vendetta per prima, noiosona. – la rimbeccò, facendole una linguaccia.

- Per cosa?!

- Perché mi prendi sempre in giro tu, di solito.

- Io non ti prendo in giro! – esclamò quasi offesa – Ma sei troppo carino quando diventi tutto rosso.

- … A un sedicenne non puoi dire che è carino (gocciolone)!

- Perché, cosa devo dire?

- E io che ne so?! – sbottò; lei fece un sorrisetto furbo:

- Vuoi che ti dica sul serio quello che penso di te?

- In che senso?

- Chissà… - disse misteriosa facendogli l’occhiolino – Chissà…

- E-ehi…! Mica puoi chiudere il discorso così!

- Ah no?

- Sei antipatica, nanerottola bionda!

- Io non sono una nanerottola!

- Invece – ridacchiò, scompigliandole i capelli – direi proprio di sì!

Gli urlò dietro qualcosa in cinese, mentre lui, divertito, accelerava il passo proseguendo per il vialetto.

Paddy, sbuffando, lo raggiunse senza nascondere l’ennesimo sorriso: quel giorno nessuno avrebbe potuto punirla per aver marinato.

 

 

*______________________

 

 

Canada. Isola di Terranova, zona nordorientale della Penisola di Avalon

 

 

Con delicatezza Lory si avvicinò all’animale, compiendo piccoli passi sulla sabbia umida della battigia. Quando fu a meno di un paio di metri da lui si accucciò e sorrise dolcemente:

- Stai tranquilla… - sussurrò – Io sono tua amica. Voglio solo controllare come stai…

L’animale, una foca grigia, sentendo la sua voce mosse un poco il muso, quasi sorpresa. Emise un verso nasale simile ad un abbaio, che alle orecchie della ragazza suonò all’incirca così:

- Io ti conosco…

Lory sorrise e annuì, quindi si girò e fece un cenno alle sue spalle:

- Professor Jersey! Venga!

Un uomo sulla cinquantina, imbardato in una pesante giacca a vento e con una grossa valigetta di cuoio in una mano, si avvicinò circospetto alla ragazza, guardandola con ammirazione:

- Perfetto, ragazza mia.

Aprì con uno scatto la valigetta, tirandone fuori uno stetoscopio. Nel vederlo la foca emise un altro mugolio, più spaventato, e fece per indietreggiare.

- No, no! Stai tranquilla – la rassicurò Lory – Non ti farà niente…

L’animale sembrò guardarla e si calmò un poco. Il professor Jersey indossò lo stetoscopio e le accarezzò la pancia, grossa e rotonda come una luna piena:

- Buona bella… Sentiamo come va…

Passò lo strumento sul pelo lustro della foca, che si lamentò:

- E’ di ferro…! Non mi piace…!

- Sta controllando come sta il tuo piccolo – le disse Lory, accarezzandole con due dita il muso umido – abbi pazienza.

L’animale abbaiò, muovendo la coda con fare un po’ seccato.

- Bene. – sentenziò alla fine il professore – Entrambi in gran forma…!

- Quanto manca, professore?

- Poco, poco…! – gongolò lui, e prese a controllare la testa dell’animale, finchè non trovò un piccolo orecchino di plastica, con attaccato un trasmettitore – Per fortuna c’è ancora!

- Me l’ha messo lui quell’affare?! – protestò la foca nasale.

- Così possiamo sapere dove sei. – le spiegò Lory premurosa – E quando sarà il gran momento, potremmo venire a controllare che vada tutto bene.

La foca sembrò guardarla un istante e poi abbaiò in assenso; si voltò e si ridiresse goffamente in acqua, zompettando nella spuma.

- Grazie!

- Fai attenzione!

La ragazza guardò la foca finchè non scomparve tra i flutti, quindi si alzò e si voltò verso il professor Jersey, che guardava il limite bianco delle onde con aria trasognata:

- Sarà il secondo cucciolo in una settimana! I nostri dati erano giusti!

- Già. – gli sorrise Lory di rimando.

- Per quanto l’alichero sia una specie poco a rischio, ero preoccupato dei dati sulle nascite dello scorso anno… - borbottò a mezza voce – Grazie al cielo la situazione sembra in miglioramento!

Lory annuì e  gli trottò dietro, mentre con indifferenza cercava di registrarsi per la centesima volta quell’altro assurdo nome della foca grigia (che cavolo voleva dire, poi, alichero?!). Il professore continuò a parlare praticamente da solo per dieci minuti, mentre si dirigevano alla stazione di ricerca, e alla fine si voltò verso la giapponese e sorrise:

- Tu, poi, ci sei di grandissimo aiuto! – disse allegro – Hai un così buon rapporto con gli animali…! Nemmeno ti capissero!

Il sorriso della ragazza ebbe un tremito, ma lei riuscì comunque a restare impassibile, limitandosi a ridacchiare.

Oh, invece la capivano!

E lei capiva perfettamente loro, come capiva le persone.

Lo aveva scoperto circa quattro anni prima, quando aveva cominciato il liceo, durante le vacanze in Egitto coi suoi: le era quasi venuto un colpo quando, per scherzare, aveva rivolto la parola al delfino che saltellava accanto alla loro barca, e quello le aveva risposto! Poi era venuta l’agitazione, il non sapere cosa fare, la paura che le stesse succedendo quel che era accaduto a Strawberry (e l’idea di trovarsi nella vasca da bagno con una coda alla sirenetta), il contattare Kyle e Ryan dall’altra parte dell’oceano… Una gran confusione!

Ma alla fine ci si era abituata, e aveva trovato anche un modo saggio di usare quella sua dote. Appena preso il diploma, circa un anno prima, aveva iniziato a frequentare l’università di biologia marina, e dopo sei mesi ed un paio di uscite sul campo col professor Jersey, era arrivato quello stage nella città di St John’s, dove ora aiutava il professore nella ricognizione delle colonie di foca attorno all’isola di Terranova.

Una volta raggiunto la stazione di ricerca, un centinaio di metri più su, verso la scogliera, Lory e il professore si diressero un istante nel cortile dell’edificio: era un quadrato di assi di legno ritagliato da una depressione negli scogli, da cui si poteva accedere al mare attraverso una scaletta di ferro battuto, e in un angolo dello spiazzo c’era una vasca di un paio di metri, piena di acqua gelida, dentro a cui un esserino di nemmeno un metro sguazzava allegro, giocando con altri due studiosi del centro, dei ragazzi all’incirca di vent’anni.

Lory corse verso la vasca con un gran sorriso, facendo un cenno ai ragazzi che le lasciarono il posto: l’animaletto nella vasca, un cucciolo di foca comune di un paio di settimane, nel vederla emise un uggiolio di gioia e si sporse oltre il bordo, facendosi accarezzare il muso.

- Come va, Shiro-chan?

Il piccolo abbaiò in assenso. Lory sospirò deliziata, aveva battezzato quel cuccioletto “shiro”, ossia bianco, ben prima di scoprire che il candido mantello che aveva addosso sarebbe sparito quasi subito, ma ormai quel nome le piaceva e anche lui sembrava apprezzarlo, da come rispondeva ai suoi richiami, quindi non lo avrebbe cambiato.

- Hai fame?

Gli chiese solleticandogli il musetto. Shiro abbaiò di nuovo e Lory afferrò un grosso biberon posto vicino alla vasca; il cucciolo si allungò subito verso il cibo fino a prendere in bocca la tettarella, mangiando avidamente.

Uno dei due ragazzi alle spalle di Lory, i capelli color miele e un forte accento tedesco, protestò scherzosamente:

- Che antipatico! Finchè ci siamo stati noi non ha nemmeno voluto toccarla la pappa…

- E ora arrivi tu con quei tuoi occhioni da principessa e lui si avventa sul biberon come uno squalo!  

Concluse il secondo, un ispanico dai capelli neri e gli occhi nocciola. Lory li guardò rassegnata:

- Hardwin-san, Gomez-san, insomma (gocciolone)!

Il professor Jersey scoppiò a ridere, imitato dai due ragazzi:

- Beh, non si può dargli torto! Del resto sei stata tu a salvarlo…

Lory sorrise impacciata e finì di dar da mangiare a Shiro. Quando aveva trovato quel piccolino, un paio di mesi prima, sperduto e solo sulla spiaggia a gridare, aveva creduto che sarebbe morto: sapeva che, per quanto potessero far pena, non era mai un bene prendersi cura di animali selvatici, si rischiava di dargli qualcosa che li avrebbe fatto male, o di non potergli più permettere di tornare tra i simili, a causa dell’odore umano che gli si lasciava addosso. Ma il professor Jersey l’aveva tranquillizzata e incitata a prendere subito il cucciolo con sé. Le aveva spiegato che quello, probabilmente, era il secondo piccolo di un parto gemellare, e se non l’avessero accudito loro sarebbe morto di fame: le foce comuni non erano in grado di provvedere a due piccoli assieme, così se nascevano due gemelli il secondo veniva abbandonato a piangere sulla spiaggia; questi cuccioli, meglio conosciuti come “strilloni”, non erano rarissimi e capitava spesso che gli abitanti della costa se li prendessero in casa, lasciandoli liberi una volta adulti. La pappa? Latte di mucca e olio di fegato: insopportabile per il naso, ma buonissimo per loro.

- Bene ragazzi. – esordì all’improvviso il professore – Per oggi abbiamo finito. Tornate pure a casa e riposatevi, domani ci sarà da lavorare.

I ragazzi annuirono. Lory finì di dare da mangiare a Shiro, gli fece un’altra carezza e lo guardò sgusciare fuori dalla vasca e sdraiarsi sulle assi, in un angolino soleggiato, mettendosi a prendere il sole.

I tre ragazzi risalirono a livello della strada, salutarono il professore che rientrava nella stazione e si avviarono verso il centro città, passeggiando per la via che rasentava la costa.

- Uff, sono stanco morto! – protestò il ragazzo tedesco stiracchiandosi.

- Coraggio Hardwin-san, non fare quella faccia!

- La piccola Lory ha ragione, Aaron! – lo rimproverò l’altro – Anche se, devo ammetterlo, dopo una giornata di lavoro farsi anche la strada di ritorno a piedi…

- E alla fine ti lamenti anche tu Nadir.

- È solo una passeggiata. – sorrise Lory – E poi è così bella la costa qui…!

-  … Piccola Lory, sei così dolce! – mormorò Nadir teatrale – La gemma in mezzo ad un villaggio di rozzi omaccioni che passano la vita a pescare!

- Gomez-san (gocciolone)…

- Nadir, piantala di dire cretinate (gocciolone)!

I tre raggiunsero l’incrocio che portava fuori dalla città in poco meno di un quarto d’ora.

- Bene. – disse Lory – Allora ci vediamo domani.

- Un secondo piccola Lory, sei sicura di non voler venire con noi? Andiamo a mangiare assieme con gli altri del centro, dai!

- Davvero, ti ringrazio Gomez-san – rispose gentile – ma sono stanca anch’io… Preferisco andare a casa.

- E dopo cena?

Lory non rispose. Nadir la fece allontanare appena da Aaron e la guardò fisso negli occhi, stavolta serio:

- Ti va? Andiamo a berci qualcosa, io e te.

Lory si mordicchiò un istante il labbro, un po’ confusa da quel suo sguardo, ma poi scosse la testa e gli sorrise dispiaciuta:

- Ti ringrazio, ma non posso accettare.

Fece un lieve inchino col capo e salutò sia lui che Aaron, avviandosi di corsa verso casa. Nadir continuò a guardarla finchè non fu sparita dietro l’angolo, poi si voltò verso l’amico:

- Mi ha scaricato! – fece abbattuto.

- Visto che non c’era ancora stato niente, non è il termine che userei (gocciolone)…

- Prendi pure in giro! – sbottò – Guarda che ci sono rimasto male!

- Sì, sì…

Aaron gli battè il palmo sulla spalla, mentre l’altro s’infilava le mani in tasca:

- Ma che ho che non va?! – protestò.

- Proprio niente, ma non sai che Lory ha il ragazzo?

- CHE?!

- Certo. – replicò tranquillo – Da parecchio, anche.

- E tu come fai a saperlo?!

- Me l’ha detto lei, mi sembra ovvio…

- Ma come?! Non ne sapevo niente!

- Guarda che io ho cercato di dirtelo (gocciolone)…

- E come fai ad esserne sicuro? – gli chiese Nadir con aria cospiratrice – Io non le ho mai visto ricevere una chiamata o un messaggio da ‘sto tizio. Magari ci sta mentendo perché le piaccio!

- Non penso proprio (gocciolone).

- Eddai, sostienimi almeno!

 

 

Con un sospiro Lory si sedette alla scrivania e finì di scrivere l’e-mail per Strawberry, che già da un quarto d’ora brillava sullo schermo, e la inviò; controllò che non le fossero arrivati altri messaggi, poi spense il pc e il cellulare.

Non voleva sentire né farsi sentire da nessun’altro, almeno fino al mattino successivo.

Prese la sua adorata macchina fotografia, una magnifica Reflex comprata coi sudatissimi risparmi del Caffè, e prese a visualizzare una per una tutte le foto che aveva ancora nella memoria digitale.

Le era sempre piaciuta la fotografia, ma fino a qualche anno prima si era limitata a sfogliare libri con foto di altri, immaginando di essere nei magnifici luoghi ritratti. Poi aveva voluto provare a farne lei delle foto, e aveva scoperto di essere abbastanza brava, tanto da potersi permettere di usare quel gioiellino senza pensare di fare solo scatti orrendi e sfocati. Da quando l’aveva presa aveva fatto sempre più foto, anche la sua stanza lì a St. John’s ne era zeppa: foto delle ragazze, del Caffè, della sua famiglia, col professor Jersey e gli altri ragazzi del centro, delle sua amiche all’università, dei bellissimi paesaggi dell’isola.

“Solo una persona non c’è…”

A quel pensiero Lory sentì una morsa allo stomaco, spegnendo la macchinetta. Se la strinse al petto, incupita, certo avere una sua foto non l’avrebbe fatta stare meglio, ma almeno avrebbe potuto vederlo.

Mise la macchina fotografica nella sua custodia, spense la luce, s’infilò la giacca e, chiavi di casa in tasca, uscì di corsa.

Prese a passeggiare senza meta lungo la costa, fino a tornare alla stazione di ricerca. Il professor Jersey era ancora dentro, e la ragazza sgattaiolò senza farsi vedere fino al cortile; Shiro si svegliò subito sentendola, ma lei gli fece segno di tacere:

- Non chiamare qui il professore! – sussurrò – Non voglio che mi veda…

- Cos’hai Lory? Sei triste?

Lei gli accarezzò il muso e annuì:

- Un po’…

- Non mi piace vederti triste!

Lei sorrise e giocò un poco con lui, schizzandolo piano con l’acqua; sentì un brivido quando toccò la superficie gelata con le dita.

- Senti Shiro…

- Sì?

- … Se io me ne andassi, tu ti ricorderai di me?

- Certo! – esclamò il cucciolo.

- Anche se non riuscissi più a capire quello che mi dici?

Lui uggiolò con fare convinto:

- Certo! Anche se non mi capissi, io ti riconoscerei e ti farei capire che sono io!

Lory sorrise un poco. I cuccioli “adottati” di foca erano in grado di ricordarsi anche a distanza di tempo di coloro che li avevano accuditi, ma le faceva piacere sentirselo dire dal diretto interessato.

- Me lo dici sempre… Io però non voglio che tu vada via.

- Ma un giorno tu dovrai tornare a nuotare coi tuoi amici! – lo ammonì lei – E io…

Si fermò, intristendosi nuovamente. Il cucciolo le battè il nasino umido contro il palmo della mano e Lory lo abbracciò, per quel poco che riusciva ad afferrare del suo corpo che non fosse immerso.

Salutò il piccolino e scese dalla scaletta fino alla spiaggia. La maggior parte delle coste della Penisola di Avalon erano a strapiombo sul mare, ma in quella zona il confine tra terra e mare avveniva dolcemente, e lei poteva passeggiare per quasi un chilometro prima di dover arrampicarsi sugli scogli.

Si sedette sulla sabbia, un po’ più lontano del punto in cui quel pomeriggio avevano trovato l’altra foca; la luce di una falce di luna, pallida e splendente, inondava la spiaggia, la scogliera e le onde, comprendo tutto con un velo di seta argentata. La ragazza raccolse le gambe al petto e si mise ad ascoltare la risacca; quel suono la rilassava, l’aveva sempre fatto: la faceva sentire in compagnia di un amico fidato a cui poteva confidare tutti i propri segreti, sapendo che li avrebbe conservati gelosamente fino alla fine dei tempi.

Chiuse gli occhi, respirando a fondo la salsedine e l’aria pungente, quando avvertì qualcuno vicino a lei.

“Chi può essere? Non mi sono accorta di nessuno…”

La figura dava la schiena alla luna e lei non riuscì a vederla in viso, ma si rese conto che non c’era una seconda fila di impronte sulla sabbia compatta dietro le sue spalle, solo quella dei piedi di Lory.

Cosa impossibile.

Per tutti quelli che conosceva, almeno.

Tranne per un paio di persone.

Tranne che per una.

La giapponese sentì il battito accelerare tanto che quasi si spaventò. Forse si era addormentata. O forse aveva le visioni.

- Ti prego… - sussurrò – Se sei un sogno o… O una sorta di miraggio… Per favore, sparisci subito, perché non credo di riuscire a sopportarlo…

- Non credo che si possa soffrire di miraggi durante la notte.

Lory trattenne il fiato, coprendosi la bocca con le mani:

- … Pie…

Lo vide annuire appena; le sembrava anche sorridesse, ma era impossibile dirlo con certezza con quella luce scarsa.

Lory deglutì un poco, la bocca di colpo secca. Avrebbe voluto correre, abbracciarlo, ma le gambe non le ubbidivano, permettendole solo di starsene ferma in piedi, a fissarlo.

Pie si avvicinò piano, quasi cauto. Lory lo lasciò fare, la vista che si annebbiava dietro le lacrime e gli occhiali appannati, e sentì la sua mano prenderle la guancia. Pie non disse nulla per un po' domandandosi perché lui, con la sua intelligenza e la sua capacità di analisi, non riuscisse in quel momento a comporre una frase di senso compiuto.

- … Ti sono cresciuti i capelli…

“Ma che sto dicendo?! Ti sono cresciut…?!”

Una frase di senso compiuto, sì, ma possibilmente con un nesso logico alla situazione.

Nella sua testa mandò un’imprecazione così pesante che se l’avesse detta ad alta voce perfino i gabbiani sarebbero precipitati, anche se non ne capivano il senso.

Lory annuì in silenzio, le labbra serrate, e afferrò la sua mano dandosi anche lei della stupida, perché non riusciva quasi a guardarlo in faccia.

- … Sei tornato… - sussurrò alla fine con voce rotta.

Lui prese un bel respiro. Era inutile stare tanto a girarci attorno e stare lì con lei non avrebbe fatto altro che farlo vacillare, non poteva avere ripensamenti. Erano già cinque anni che l’aveva deciso.

O sì o no.

La scelta spettava solo a Lory, lui non aveva scelte.

Una vocina maligna nella testa gli diede una fitta al cuore:

E se dicesse no?

Già… Che avrebbe fatto? Sarebbe finita così, e basta? Se ne sarebbe ritornato tranquillo su Gaea a fare il bravo ragazzo, salvatore della patria, soldato esemplare e si sarebbe lasciato tutto alle spalle?

La vocina maligna (che, con suo sommo orrore, gli sembrava terribilmente quella di Quiche) sghignazzò:

Se lo fai sei un emerito coglione!

Lo sapeva anche lui… Ma che altro poteva fare?

Si sforzò di non visualizzare sé stesso lì, su quel pianeta, accanto alla ragazza che amava, e fece un altro respiro profondo.

- Lory… Mi dispiace… Di averci messo tanto. – disse piano – E mi spiace di… Piombarti qui così.

Si lasciò sfuggire un sogghigno amaro:

- Non posso fermarmi qui per molto tempo. – continuò imperterrito – Se sono venuto è solo per…

Lory gli portò un dito sulla bocca e fece il sorriso più dolce che era in grado di fare:

- Ti avevo già dato la mia risposta l’ultima volta. -  disse delicatamente – E non ho cambiato idea.

Pie la fissò incredulo; poi la guardò più serio, convincendosi che una parte del suo cervello amasse farlo comportare da masochista:

- … Ne sei sicura? – le sollevò il mento con due dita – Dovrai lasciare la tua casa, la tua famiglia, le tue amiche… la tua vita! Tutto quello a cui sei abituata.

- Non potrò tornare?

Domandò lei d’istinto; la sua voce era stata attraversata da una nota triste e Pie, continuando a contraddirsi da solo e in barba al proposito di dissuaderla, fece per tranquillizzarla:

- Beh, no… Però non sarà semplice, hai visto quanto ci ho messo io. E poi…

- Sarà esattamente come vivere all’estero. Come avevo già detto. – rispose candida sorridendo – E comunicare non è impossibile, l'abbiamo fatto per anni senza problemi. E comunque, anche stando qui… Guarda, sono sulla Terra e vedrò la mia famiglia si e no una volta ogni due mesi!

- … Potrebbe essere per più tempo… Sarà per più tem…

- Vorrà dire che quando andrò a trovarli mi fermerò più di una settimana.

Pie continuò a fissare il suo sorriso disarmante senza parole. Non si era mai sentito così felice, eppure non riusciva a spegnere quella parte del cervello che gli ripeteva, incessante, che far lasciare a Lory la Terra per portarla su Gaea era un puro esempio di egoismo, anzi no, follia.

“Almeno io devo continuare a ragionare.”

No, tu devi farti una lobotomia al cervello e usare un po’ di più quel muscolo congelato che hai in mezzo al petto, testa di cazzo!

- Lory…

- Non vuoi che venga?

La domanda, così a bruciapelo, lo lasciò confuso. Pie guardò l’aria ferita di Lory e decise che era il momento che la parte razionale se ne andasse a quel paese; le prese il volto tra le mani, baciandola:

- No. – disse piano – No. No. Ma non voglio che tu poi rimpianga la tua scelta.

Lory ricambiò il suo gesto e gli poggiò le mani sul viso, sorridendo con tutto l’amore che provava:

- Questo mai.

Pie sorrise finalmente disteso, e la baciò di nuovo. Non esisteva nessun’altro in tutto l’universo capace di placarlo come faceva lei.

Alla buon’ora…!

“Chiudi il becco.”

- Ho il tempo di fare qualche saluto?

- Tutti quelli che ti occorrono. – rispose accarezzandole i capelli.

- Ma avevi detto…?

Per la prima e forse unica volta nella sua vita, Lory gli vide fare l’occhiolino:

- A casa potranno aspettare un po’ di più. Tu hai delle cose più importanti da fare, prima.

Il modo in cui disse quella frase, come se al mondo per lui non contassero altro che i suoi desideri, fece arrossire Lory al punto che credette che gli occhiali le sarebbero evaporati.

- Allora… Allora comincio subito!

Lo prese per mano e se lo trascinò dietro, incurante della sua aria scettica.

- Stai tranquillo – ammiccò, interpretando il suo sguardo – Non lo spaventerà il tuo aspetto alieno.

- Ah no?

- No… Ah, non hai paura di un cucciolo di 50 kg vero?

 

*______________________

 

 

- E così Paddy si è presentata con lui al Caffè senza dire niente? – la giovane ridacchiò, sentendo il tono divertito dell’amica – E Strawberry ha fatto crollare il vassoio?

Mentre Mina descriveva il circense tentativo della rossa di non far fracassare per terra un intero servizio da tè, in stile Lory (cosa che poi era avvenuta comunque, con frustrazione di Ryan), la mora vide con la coda dell’occhio la sua agente venirle incontro.

- Per oggi abbiamo finito, Pam. Ora puoi… Ma va tutto bene?

La mora annuì e si asciugò gli occhi umidi dal troppo ridere, mandando uno strano pigolio per la risata trattenuta.

- Benissimo. – fece, più composta – Devo andare Mina, ci vediamo dopo.

L’agente la guardò un po’ confusa:

- O-ok (gocciolone)… Ehm, comunque, ti dicevo, per oggi abbiamo finito, se vuoi che ti accompagni a casa…

- Non occorre. – ringraziò Pam con un cenno della mano – Ho voglia di fare due passi.

Indossò la giacca e, senza darle tempo di replica, uscì dagli studi.

 

 

I servizi fotografici la sfinivano sempre. Ore e ore in pose sempre diverse, acconciare di continuo i capelli, le sedute interminabili di trucco; però era il suo lavoro e a lei piaceva, poteva sopportarlo.

Shibuya a quell’ora del pomeriggio era sempre affollata, centinaia di ragazzi si disperdevano nelle sue strade rumorose e alla moda, e quando era così stanca Pam era contenta di passeggiarvi in mezzo, anonima tra i tanti.

Sovrappensiero urtò un passante con la spalla e, come chiunque altro, si limitò a gettargli un’occhiata distratta e a scusarsi; ma quell’occhiata distratta bastò a scorgere due occhi celesti intervallati da un triste sfregio, che la fermarono.

- … Yo.

La mora alzò un sopracciglio e si abbassò gli occhiali scuri:

- E tu che ci fai qui?

- Lavoro.

- Qui? – Pam fissò l’alieno dalla testa ai piedi con aria allusiva – Io non credo.

- Cerco lavoro. – precisò Mintaka.

- Dubito anche per quello.

Lui mandò uno sbuffo divertito, come a dirle che era sempre troppo sicura di troppe cose. Lei si accigliò impercettibilmente.

- Dove vai?

- … A Setagaya(**).

- Bene. – sorrise lui – Se ci vai a piedi, c’è tutto il tempo di bersi un cappuccino.

 

 

Il grosso contenitore di cartone cilindrico era già vuoto per metà, ma Pam sentiva ancora tutto il calore della bevanda irradiarsi piacevole nelle mani.

- Spiegami come fai a conoscere il cappuccino.

Mintaka fece un sorriso sornione:

- Intuizione divina?

Pam lo fissò.

- Avevo bisogno di qualcosa che scaldasse per bene. – rispose ancora lui, alzando le mani in segno di resa – E questa era la cosa che più riempiva il bicchiere e non sapeva di sciacquatura per piatti amara.

Pam fece un lieve sorriso.

I due camminarono ancora in silenzio, mentre la zona attorno a loro si riempiva di belle villette e giardini curati.

- Quindi sei venuto a cercare “lavoro”. – disse dopo un po’ la mora – Più specifico?

Lui si limitò a dare un’alzata di spalle:

- Quello che trovo… Non sono schizzinoso.

- Niente più caccia a criminali intergalattici?

Lui le mandò un sorrisetto sghembo al tono canzonatorio:

- No. Non mi rende abbastanza, faccio troppe eccezioni quando mi trovo davanti il “delinquente”.

Pam non rispose e ridacchiò, prendendo un'altra sorsata di cappuccino.

- E che vorresti fare?

- Non saprei.

Mintaka aprì il coperchio del contenitore e girò un po’ in mano la tazza, sorseggiandone poi il contenuto:

- Anche un lavoro di bassa manovalanza mi va bene. Non mi spaventa la fatica, e da quel che mi sono informato su questo pianeta servono tanti di quei pezzi di carta per fare altri lavori più specializzati…

- Come la vedi tragica!

- Mi sbaglio forse?

- Dipende dal lavoro…

- Non penso ci siano posti per “insegnanti di combattimento corpo a corpo alieno”.

Pam rise. Finì di bere il suo cappuccino e sospirò soddisfatta:

- Grazie del caffè…

- Di nulla.

L’uomo buttò i due contenitori vuoti e i due ripresero a camminare in silenzio, il sole che tramontava e il traffico sempre più lontano.

- Come mai proprio la Terra?

Mintaka la fissò con un sorriso imperscrutabile, le iridi celesti in quelle cobalto di lei.

- Così…

- Quando menti così spudoratamente non ti sopporto!

Mintaka rise. Aveva una risata bassa e calorosa, eppure suonava sottile come un sussurro, come se non la usasse spesso.

Pam sospirò rassegnata, anche se un sorriso le incurvava le labbra:

- Beh, allora buona fortuna. – si avviò verso una traversa, mentre lui accennava a proseguire – La prossima volta ti offrirò una cioccolata calda, scalda meglio del cappuccino.

- Perché, ci sarà una prossima volta?

Pam girò appena lo sguardo sopra la spalla e incrociò un altro sorriso sornione. Per tutta risposta lei ricambiò con aria da sfinge e se ne andò senza una parola e senza voltarsi.

La prossima volta. Intanto, stavolta aveva vinto lei.

 

*______________________

 

 

Gaea

 

- Io dico che torna da solo.

- Quiche, questa è solo una cattiveria!

- Perché? È la verità, sai com’è fatto il ghiacciolone…

- Figurati se Lory-chan non viene! – sbuffò Selena seccata – E non ti azzardare a progettare cattiverie da dirle quando arriva, sono stata chiara?!

- Cattiverie? – fece Quiche innocente – Io?! E perchè mai?

Sorrise sornione e strappò a Selena un sospiro, a cui seguì un sorriso rassegnato. La ragazza si affacciò alla finestra e guardò il paesaggio notturno sotto di lei: il piccolo e giovane bosco attorno alla casa era illuminato da una luce appena percepibile, e tra le fronde verde scuro s’intravedevano bassi edifici puntellati da calde lucine. Sovrappensiero accarezzò il legno dell’infisso sopra la sua testa e sentì Quiche stringerle la vita, appoggiando la testa nell’incavo del suo collo:

- Ti fa ancora strano questa casa?

- Un po’… Mi stupisce che sia venuta così bene.

- Penso che dovrei offendermi.

- Beh, non evochi proprio l’immagine di un buon muratore amore mio!

- Di un che?

- Lasciamo perdere…

Lei ridacchiò e Quiche la girò verso di sè bloccandola contro la finestra, le mani appoggiate sui fianchi di lei:

- Preferisci tornare all’altra casa e iniziare un’entusiasmante vita a quattro?

- Quando fai il sarcastico diventi acido!

- E tu sei noiosa, ad ognuno il suo.

Sussurrò baciandole il collo. Selena ridacchiò e gli portò le braccia attorno alle spalle, poggiando la fronte contro la sua:

- Adoro questo posto. E’ grande e tutto nostro…

- Forse troppo grande solo per due?

- Come?

Lui parve riflettere e poi alzò le spalle:

- Mmm… No, per il momento per due va bene.

- Ma di che parli?

Per tutta risposta la prese in braccio e la portò fuori dalla stanza:

- Niente di che. Cosa dici allora, se ti piace tanto ce la godiamo un po’?

- Il tuo doppiosenso è palpabile, te ne rendi conto?

Borbottò lei con un sorrisetto, arrossendo appena.

- Avevo quest’impressione… Ma ho anche l’impressione che non ti dispiaccia troppo.

- Sei uno stupido.

- E tu sei fantastica.

Selena rise piano e lo baciò. Se esisteva la felicità nell’universo, lei era certa di averla trovata.

- Allora potresti mettere giù la tua fantastica ragazza, prima di rotolare sulle scale e romperci entrambi l’osso del collo?

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Quiche lo dice a Strawberry nel manga (volume 7, ultimo capitolo) prima di lasciare la Terra. La frase mi sembrava più adatta qui che non in quel momento (che mi ha causato una tracimazione di bile e un fortissimo desiderio di tirare una sassata nel coppino alla micia e al suo fidanzato stoccafisso -.-***….)

(**) punizione tipica giapponese… Non so quanto sia efficace stare fermi come pali coi secchi in mano, mah ^^””…

(***) Uno dei 23 quartieri speciali, cioè quelle 23 municipalità che formano il centro di Tokyo. Setagaya è uno dei quartieri più residenziali e qui risiedono molte celebrità legate alla televisione

                                                                                                          

 

 

~ THIS IS THE END ~

 

 

 

 

 

Non so proprio che dire… Questa fanfic è cominciata nel 2005 e posso dire con tutta onestà che è cresciuta con me: si è trasformata, mutata, ha seguito i miei umori e le mie vicissitudini, ha rischiato di essere abbandonata per sempre, è stata sospesa, ma alla fine, forse perchè dentro di lei c’è anche tutto l’amore che un autore può provare per una sua creatura, grande o piccola che sia, sono riuscita a concluderla.
Il Collezionista ha molti punti che probabilmente ora rivedrei, ma è una cosa che ho deciso di non fare; come ho detto dentro i suoi capitoli c’è tutto quello che desideravo e sentivo il bisogno di metterci, revisionarlo mi darebbe l’impressione di privarlo di quella genuinità che (probabilmente mal scritta, ma a me cara) ne riempe le parole.

Amo profondamente Selena e Keris, due dei primi personaggi originali che abbia mai creato. Un giorno mi piacerebbe poterle affiancare a quelli che negli ultimi anni hanno popolato le mie storie manga, renderle protagoniste di una storia originale e viva nel suo essere (anche se mi piangerebbe il cuore separare Se-chan da Kisshu xD).

Ci sarebbero così tante altre cose che vorrei dire su questa storia…! Eppure sento di aver già detto tutto.

 

L’unica cosa è un giudizio che chiedo a voi lettori, e con cui vorrei lasciarvi prima dei ringraziamenti finali.

In realtà Il Collezionista avrebbe un seguito, per cui nel tempo ho collezionato materiale, eprsonaggi, bozze e capitoli interi. Quello che vorrei sapere da voi, e vi chiedo il più sincero dei giudizi, è:

LO PUBBLICHIAMO O NON LO PUBBLICHIAMO IL SEGUITO DE IL COLLEZIONISTA?!?!

Tutto il cast di TMM: NO!!

Non l’ho chiesto a voi -.-!
Cari lettori, rispondetemi ^^! Nel frattempo, potrete seguirmi con
Green-gold memories & Emerald temptation e con Crossing (oltre che sulle mie pagine FB e dA, che trovate sul mio profilo ;P, per vedere anche i miei lavori mangosi ;3).

 

Gli ultimi doverosi e sentitissimi ringraziamenti ^w^!

A Danya, darklullaby88 e mobo, che hanno commentanto lo scorso capitolo commuovendomi enormemente per come si sono unite alle traversie emotive dei protagonisti :’) (grazie millissime!!)

 

Ad Akly, alexandra995, Ally_Lady_Lioncourt, angelika4ever, annina94, blackmoon007, blackmoon07, CookieKay, Danya, darklullaby88, Freckles_, helmi, Killkenny, lalex, le 3 casinare, Mary_Cry, Mizuiro_Chan, mobo, Picci93, piccola_chlo, Purinsun, Selta, Soul_Heart, tYTy, Viola_merida_32, zakuro_san, che hanno messo Il Collezionista tra le fanfic Preferite <3

 

A Hypnotic Poison e _Alex99_ che l’hanno inserita nelle fanfic da Ricordare

A andrea83 2007, Avly, blackmoon007, Danya, dragon queen, Freckles, ilary chan, lovemanga93, marotti92, mobo, vegeta12 che l’hanno inserito nelle fanfic Seguite

 

Grazie per tutte le 184 recensioni e per le migliaia di visite!

 

Vi bacio e vi abbraccio tutti, vi auguro buone feste e buon anno nuovo J! E forse con un seguito nel 2014? Chissà… ;) Mi direte voi ^w^!!!

 

 

   
 
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