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Autore: kenjina    28/12/2013    4 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buon Yuletide a tutti – anche se in ritardo!

Spero abbiate passato un felice Natale e vi siate rimpinzati per bene di porcherie caloriche. Io l’ho fatto e sto ancora digerendo!

Vi lascio subito a questo nuovo capitolo – l’ultima parte è stata uno strazio da scrivere, ma andava fatto.

Grazie infinite a tutti coloro che continuano a leggere, recensire, seguire, preferire... insomma, a stare dietro a questo mattone!

Diamine, sono già al ventesimo capitolo? Quando è successo?!

In sostanza, vi adoro. Sul serio.

A presto!

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

20.

 

25 Settembre 3019 T. E.

 

Le trombe di vittoria quasi non squillarono per la terza volta, che Trán si era già precipitata in strada, una mano in quella di Trión, l’altra stretta sulla pesante spada di Thorin. Corse fino a perdere il fiato, rallentando il passo non appena iniziò a scorgere i primi cadaveri e i soldati feriti che si dirigevano alle Case di Guarigione. Dovette strattonare il fratello minore per evitargli di saltellare incuriosito intorno ai caduti e si chiese se non fosse stata una pessima idea portarlo con sé. Ma d’altronde non poteva attendere un minuto di più, né poteva lasciarlo solo nella confortevole stanza del Re.

Sentì il cuore mancarle più di un battito quando riconobbe la sagoma della Regina di Gondor che sosteneva quella debole e ricurva di un’altra donna. «Mahal, Brethil!»

Si portò le mani alle labbra, mentre sentiva chiaramente le lacrime pizzicarle gli occhi. Temeva di non rivederla più, se non avvolta in un lenzuolo funebre, eppure eccola lì, che stringeva i denti pur di mettere un piede davanti all’altro e raggiungere le cure dei guaritori. La divisa era intrisa di sangue, che continuava a fuoriuscire copioso dalla brutta ferita sul fianco e Trán pregò che non fosse qualcosa che andasse oltre le loro possibilità.

La Dúnadan sollevò lo sguardo sulla Nana, che ora le si era affiancata per aiutare Arwen, e le sorrise grata. «Non dovresti essere qui, Trán.» le sussurrò debolmente. «Non è uno spettacolo adatto ai tuoi occhi, o a quelli di tuo fratello.»

«Non rimarrò chiusa dietro quattro mura, mentre le persone che amo soffrono senza di me. Ho atteso abbastanza.» replicò testarda l’altra. «Mi prenderò cura di te e di chiunque ne abbia bisogno. Sì, insomma... farò quel che posso.» aggiunse, arrossendo. Non sapeva bene come avrebbe potuto essere di aiuto, se non bagnare qualche pezza di tessuto e rinfrescare la fronte febbricitante dei feriti. Ma era sicura che avrebbe fatto di tutto pur di non essere d’intralcio. «Sono estremamente felice che sia tornata.»

Brethil si lasciò sfuggire un sospiro, in un misto di sollievo e tristezza. Non poteva dire ugualmente, lei. Mancavano ancora troppe persone all’appello per completare la gioia di essere nuovamente a Gondor; ma non voleva rovinare l’umore instabile della sua piccola amica. Così sorrise e le strinse debolmente una mano sulla spalla. «Lo sono anche io.»

«Sai, ho custodito gelosamente la tua spilla. E vedo che la mia clip pende ancora tra i tuoi capelli!»

«Le trecce dei Nani sembrano superare qualsiasi ostacolo – proprio come loro.»

Quelle parole ebbero l’effetto di riportarla alla realtà e Trán lanciò un’occhiata preoccupata alle sue spalle. «A proposito... tu sai–sai degli altri?»

«Vidi Dwalin e mi assicurò che lui, suo fratello e il Re stessero bene. Ma avevamo entrambi la nostra battaglia da combattere e non so cosa sia successo dopo. Vai da loro, amica mia. Avrai tempo per starmi accanto una volta che le acque si saranno calmate. E non sarò certo di compagnia, sotto le mani di Ioreth.»

La Nana, che chiaramente non conosceva la petulante guaritrice di Minas Tirith, fece per scuotere il capo con veemenza, ma il desiderio di andare a cercare suo fratello, i suoi amici e il suo Re fu talmente forte che capitolò poco dopo; ed era più che sicura che Brethil fosse in buone mani, sicché si allontanò dalle due donne con il cuore meno pesante, ma pur sempre preoccupato. Chiese a Trión di seguirle, cosicché non dovesse badare a lui, e si affrettò tra le strade insanguinate della Città Bianca, quelle stesse vie che solo qualche giorno prima erano candide e gioiose. Ora puzzavano di morte e dovette coprirsi il naso e la bocca con una mano, pur di evitarsi il rigetto della colazione e della cena insieme. Se avesse potuto avrebbe tappato persino orecchie e occhi, pur di non udire e vedere i pianti e la disperazione dei sopravvissuti. Raggiunse in tutta fretta il secondo cerchio, fermando i suoi passi non appena vide la distruzione di quell’esplosione che aveva fatto tremare la terra. Vide pietre, armi e corpi irriconoscibili sparsi ovunque e non riuscì a trattenere le lacrime. Com’era possibile che Uomini potessero arrecare così tanta desolazione ad altri Uomini?

Osservò i soldati di Gondor che legavano gli ultimi prigionieri e li portavano alle galere, promettendo loro le pene peggiori sotto quelle celle scavate nel cuore del Mindolluin, in attesa del ritorno del Re. Cercò ovunque, sperando di non riconoscere il corpo di qualche amico tra quelli riversi a terra. Lo scorse poco dopo. Era ammaccato e sporco di sangue, e sperò vivamente che non fosse il suo. Stava contando i caduti insieme a Dwalin e Balin, l’espressione angosciata che prevaleva di gran lunga sulla gioia di aver superato anche quell’ennesima prova.

Trán gli corse incontro, infischiandosene degli sguardo sconcertati di chiunque li vide, e si ritrovò tra quelle braccia forti e confortevoli ancora una volta; lì, dove si sentiva completa così come l’ultima pietra di un edificio completava l’opera.

E pianse.

Pianse di gioia, pianse per la terribile paura che aveva patito in quelle infinite ore di impotente attesa. E mai, mai come allora Thorin fu felice di essere sulle proprie gambe, di poterla abbracciare nuovamente, di poter inspirare il profumo dei suoi capelli rossi. Le baciò la fronte, stringendola con affetto, e si permise di sorridere.

Alle sue spalle, i nipoti si reggevano su Káel, e nonostante la stanchezza e la brutta botta che avevano dovuto accusare con l’esplosione, non risparmiarono le grida di gioia e i canti di vittoria. Trán e Thorin si ritrovarono così abbracciati dai tre, che riuscirono a trovare la forza di stringerli e saltargli intorno. Dwalin si lasciò cadere per terra, sbuffando di sollievo e sorrise al fratello, che gli batté una mano sulle spalle stanche.

«Possiamo dire di aver superato anche questa insieme, amico mio.» disse Balin.

Dwalin si guardò intorno. «Non era esattamente ciò che avevo in mente quando Thorin ci informò di questo viaggio.»

«Ahimè, fratello, nessuno di noi poteva prevederlo, neppure il Re di Gondor. Temo che il nostro soggiorno a Minas Tirith sarà prolungato di qualche mese.»

«Dís sarà al culmine della gioia, appena riceverà nostre notizie.»

I due ridacchiarono alle parole rassegnate di Thorin, mentre i nipoti scacciavano i suoi timori con vaghi gesti delle mani. «La mamma vorrà solo la tua testa, non c’è da preoccuparsi.»

Il Re di Erebor sospirò, chiedendosi se avesse potuto omettere qualche dettaglio della battaglia, affinché la sorella non si preoccupasse più del dovuto. Non vi era alcuna ragione per cui avrebbe dovuto scriverle che avevano provato l’ebrezza del volo in caduta libera, del resto. «Andiamo, ora. Avete bisogno di cure e di riposo.» mormorò, dando una mano a Káel nel sostenere i nipoti.

Trán li seguì, con i figli di Fundin accanto e il gemello tra le braccia, e osservò Thorin con perplessità. «Mio signore, hai bisogno di essere medicato anche tu. Non affaticarti troppo.»

«Sto bene.»

«Zoppichi, anche se stai facendo di tutto pur di non mostrarlo.»

Il Nano alzò gli occhi al cielo, maledicendo l’occhio attento della ragazza. «La colpa è di Fili. Sei pesante come un carico di ferro, nipote.»

«È un modo gentile di dirmi che sto prendendo qualche chilo di troppo?» esclamò indignato quello, mentre il fratello minore scoppiava a ridere.

«Aye, ragazzo. Dovresti vivere qualche tempo con la fanciulla lì; almeno saresti costretto a non mangiare più del dovuto.»

Trán fece saettare uno sguardo furioso ed imbarazzato verso Dwalin, che ghignò di divertimento alla sua espressione.

Con lentezza si diressero ai loro appartamenti, giacché le Case di Guarigione erano colme di soldati che necessitavano di urgenti cure. Trán fu lesta, però, a cercare bendaggi e medicamenti, incappando sfortunatamente nella vecchia curatrice, impazzita da tanto lavoro.

«Per tutti i Valar, ragazzina! Cosa ci fai qui?» gracchiò Ioreth, che rischiò di mandare all’aria il vassoio di acqua calda che teneva tra le braccia. «Levati dai piedi, non è un luogo né il momento per giocare, questo.»

La Nana aprì e chiuse le labbra più volte, incapace di formulare una risposta, mentre sentiva guance ed orecchie infuocarsi per la stizza di essere scambiata per una bambina.

Fu una ragazzetta alle spalle della donna che fermò i suoi passi e la osservò con curiosità. «Tu sei l’amica di Dama Brethil, giusto?» Ad un cenno affermativo, quella sorrise. «Il mio nome è Rainiel, sono la sua ancella. Chiedo scusa per le parole di Ioreth, ha la brutta abitudine di scambiare Nani e Mezzuomini per bambini; ma non voleva offenderti. Ad ogni modo, la mia signora ha bisogno di medicamento immediato, ma se posso esserti d’aiuto in qualsiasi modo chiedi pure. Vedrò cosa posso fare.»

Trán balbettò un ringraziamento e le domandò dove potesse trovare l’occorrente per il primo soccorso; doveva, del resto, ripulire e fasciare ferite affinché non s’infettassero. Guardò scettica e nauseata gli aghi e il filo che l’ancella le diede, insieme a bende e disinfettanti al limone, giacché non credeva potesse essere in grado di trovare la forza di mettere i punti a qualcuno. Sperò che Balin, o chi per lui, potesse essere d’aiuto, se fosse stato necessario. «Ti ringrazio per la tua gentilezza.» le disse, sorridendo. «Correrò al capezzale di Dama Brethil appena mi sarà possibile.»

«Ne sarà felice. Buona fortuna!»

Trán tornò di corsa agli appartamenti dei Nani e con sua grande sorpresa vi trovò anche Legolas e Gimli, che stavano riassumendo la conta dei loro nemici riguardo ad una scommessa di cui non volle conoscere i particolari, e con loro anche i gemelli di Rivendell. I due parvero pensierosi, mentre la osservavano – cosa che Thorin, seduto su una poltrona e scuro in viso, notò immediatamente e lo irritò più del necessario. Non solo quei damerini dalle orecchie appuntite stavano tentando di mettergli le mani addosso per medicare ferite che avrebbe potuto ignorare per i giorni successivi, ma la loro attenzione era ora fissa sulla Nana, che arrossì fino alla punta dei piedi.

Legolas l’aiutò subito a reggere l’occorrente e a darsi da fare con le abrasioni dei nipoti di Thorin e del gemello, mentre Gimli fumava bellamente alla faccia sua – estremamente soddisfatto di non doversi tagliare la barba per onorare la parola data.

 «Oh, ma certo!» esclamò uno dei due figli di Elrond. «Tu devi essere la figlia di mastro Rulin!» aggiunse l’altro.

A quelle parole gli occhi della Nana s’illuminarono. «Conoscete mio padre?»

«Il carpentiere più rinomato che Rivendell abbia conosciuto.»

«Era solito lavorare per nostro padre, tanti anni fa.»

«A proposito, perdona la nostra maleducazione: io sono Elladan e lui è Elrohir.»

«Ho imparato a riconoscervi, ragazzini.» s’intromise Gimli, sbuffando del fumo. «E posso dire con certezza che tu sei Elladan e tu sei Elrohir.»

Quelli scoppiarono a ridere, congratulandosi per i suoi occhi di falco per cui si vantava tanto. Trán arrossì quando le baciarono a turno il dorso della mano e spostò istintivamente lo sguardo su Thorin, i cui denti erano serrati tanto da far male.

Elladan, a cui non era sfuggito quello scambio di occhiate e soprattutto le clip nelle trecce dei suoi capelli, sorrise amabile. «Dama Trán, saresti così cortese da convincere il tuo Re a lasciarsi controllare le ferite? Sarà pur sempre un Nano della peggior specie, ma non ho il cuore di non medicarlo.»

Il silenzio calò sulla stanza, interrotto poco dopo dalle risate incontrollate di Fili e Kili; persino Balin si lasciò scappare un sorriso, che nascose per fortuna sotto la folta barba bianca. Thorin, chiaramente, non gradì l’umorismo Elfico e s’infastidì ulteriormente quando Trán parve assecondarlo. «Ti allei con loro?»

«Mi pare ovvio.»

«E a me pare ovvio che nessuno di voi sappia riconoscere i limiti della mia pazienza.»

«In nome di Mahal il Fabbro, mio signore!» esclamò Trán, spazientita. «Non dimostri di essere un eroe, così facendo, bensì un incosciente.» Gli si avvicinò, aggiungendo poi con più dolcezza: «Permetti almeno a me di medicarti?»

Thorin ignorò i sorrisi di compiacimento sui volti dei suoi compagni e si alzò, dirigendosi alla sua stanza senza una parola in più. La Nana lo seguì in silenzio e si richiuse la porta alle spalle, poggiando l’occorrente sulla cassapanca ai piedi del letto, e si morsicò con nervosismo l’interno delle guance. Era la prima volta in cui rimanevano soli, da quando avevano iniziato il corteggiamento, senza fratelli o nipoti intorno, o senza la minaccia di una guerra alle porte della città. Quel pensiero la colpì all’altezza dello stomaco, che le si contorse per l’imbarazzo non appena lui si sfilò la tunica e la cotta di maglia che proteggeva il suo corpo prestante. Sapeva bene che avrebbe dovuto togliersi anche il resto degli indumenti superiori, se avesse voluto farsi medicare per bene, e l’immagine di quel torace scolpito che aveva scorto quella lontana mattina alle forge le tornò in mente, imporporandole indecentemente le guance.

«Ti senti bene?» le domandò Thorin, sedendosi stancamente sul bordo del letto e osservando il colorito arrossato del suo volto con circospezione.

Trán mormorò qualcosa, affrettandosi ad iniziare a disinfettare i graffi sul viso e a ripulirgli la pelle dal sangue ormai coagulato. Per sua fortuna non trovò ferite troppo profonde, se non un labbro spaccato e un taglio fastidioso sul sopracciglio sinistro. «Ma se dovessi trovare qualche ferita più problematica delle altre, sappi che i gemelli saranno i primi ad essere avvisati. Non ho le competenze per curarti a dovere e la tua gamba mi preoccupa.»

«La mia gamba sta bene. E non ho intenzione di farmi toccare da loro.»

Trán allontanò di scatto la mano dalla pelle del Nano, colta da una nuova ondata di imbarazzo. Riuscì a mettere insieme qualche parola solo per l’esasperazione a cui la stava velocemente portando. «Thorin, non sei stato molto cortese. Sei davvero il Nano più ottuso che abbia mai incontrato. Ti stanno offrendo il loro aiuto; credevo che la tua ostilità nei confronti degli Elfi fosse superata con... con noi.»

Thorin borbottò qualcosa che non capì. «Suggellai una tregua con Thranduil in circostanze estreme; e ho deciso di corteggiarti per la persona che sei. Ciò non implica che la loro razza mi debba piacere.» Si pentì immediatamente delle sue parole appena udì il suono della sua voce. La vide stringere le labbra, stizzita, mentre premeva con più forza un panno sulla carne viva e dovette mordersi la lingua pur di non lamentarsi per il dolore. «Trán, non volevo dire questo–»

«Ma è ciò che hai detto. Ed è ciò che pensi.»

Il Re sospirò con pesantezza. «Non puoi chiedermi di mettere da parte i rancori che ho serbato per una vita. Credevo che fossi una Nana a tutti gli effetti, giacché me lo hai fatto capire e dimostrato più volte. Non hai motivo di sentirti offesa.»

Ci furono minuti di interminabile silenzio, prima che lei riprendesse a parlare, gli occhi chini sul tessuto da strizzare. «Ti pentirai di aver scelto me, lo so.»

Thorin sbatté più volte le palpebre, fermando la sua mano a mezz’aria e cercando il suo sguardo. «Spero ti renda conto dell’assurdità di ciò che hai appena detto.»

«Non è meno assurdo del tuo comportamento.»

«Trán.» la richiamò, in un sospiro.

«Solleva la maglia, ho finito con il viso.» In altre circostanze non avrebbe avuto neppure il coraggio di formulare un pensiero simile, men che meno pronunciarlo a voce alta; ma era fin troppo delusa da quel lato del Nano che faticava a sparire, che non se ne curò minimamente.

Thorin scosse il capo, accarezzandole le guance con le sue tozze e callose mani. «Habanuh, parlami.»

Lei non osò incontrare il suo sguardo e si ritrovò ad inciampare sulle sue parole, nuovamente. Batté più volte le ciglia, cercando di scacciare l’improvviso disagio che la colse; si sentì patetica e detestò quel Nano che aveva di fronte, perché era a causa sua che tutte le sue poche sicurezze crollavano come un castello di sabbia. «Io ho... ho paura.» Thorin non la interruppe e, seppure lei non lo vide, percepì ugualmente il suo sguardo indagatorio. «Non ho mai avuto amici, né... né qualcuno come... come te. Temo che possa svanire tutto da un momento all’altro, perché sono felice e quando ciò accade è destinato a non durare.»

Thorin non aveva parole per confortarla. Lui stesso aveva provato sulla sua pelle che i momenti più lieti terminassero nei modi più bruschi; eppure aveva imparato che quando si lottava per ciò che si amava, i propri sforzi sarebbero stati ripagati. Se così non fosse stato, se lui non avesse lottato dopo la distruzione di Smaug, dopo la morte dei suoi più cari familiari e amici, il dolore e la rabbia, lui non avrebbe riconquistato Erebor, né avrebbe restituito alla sua gente ciò che gli spettava di diritto. Non era abituato ad arrendersi, né lo avrebbe fatto in quella circostanza: sapeva bene che il desiderio di avere Trán accanto non sarebbe stato facile da gestire, sia per il loro passato che per questioni meramente politiche, ma non si sarebbe arreso e non avrebbe permesso che lei lo facesse.

Così tentò di sedare ogni preoccupazione, ogni timore e ogni cattivo pensiero con un lungo e lento bacio. E capì di essere riuscito nel suo intento nel momento in cui Trán chiuse gli occhi e rispose alle sue attenzioni con disperazione, stringendosi contro di lui con il timore che potesse sparire da un momento all’altro. Ma Thorin non aveva intenzione di andarsene, non senza lei al suo fianco. Prese possesso di quella bocca impertinente con così tanto ardore da perdere per qualche lungo istante la cognizione del tempo e dello spazio. La sentì abbandonarsi alle sue labbra, che si spostarono sulle guance arrossate, sul collo, su quelle orecchie appuntite che gli avrebbero costantemente ricordato chi fosse realmente. Si sorprese quando udì un gemito di piacere scapparle dalla gola quando gliele sfiorò in caldi baci. Sorrise, ripetendo il gesto, e Trán si chiese quanto ancora sarebbe potuta resistere prima di sciogliersi, in preda a quell’imbarazzante calore che l’aveva colta.

«Thorin–» mormorò tra i baci e le carezze. Lo sentì allontanarsi un poco e il Nano si sfilò la tunica, con impazienza. E lei, lei rimase impietrita di fronte alla visione che le si presentò davanti. «Thorin, co–cosa fai?» Le parole le morirono in gola appena notò il sorriso carico di malizia e divertimento di quelle labbra sottili e umide.

«Eseguo i tuoi ordini, Melhekhinh. Ho sollevato la maglia come mi hai chiesto.»

Tutto ciò che Trán riuscì a dire fu un oh di sorpresa e imbarazzo. Thorin si chinò per baciarla ancora una volta, con lentezza e dolcezza, solleticandole la pelle delle guance e del collo con la barba; intrecciò le loro dita in un gesto di affetto e se le portò al petto, all’altezza del cuore. Trán fu più che sorpresa nel sentirne il battito accelerato fare concorrenza al suo. La sensazione della peluria scura sotto i suo polpastrelli la fece rabbrividire e sentì chiaramente i muscoli del Nano tremare a quel timido contatto. Non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo se non dopo che lui le accarezzò la punta del naso con la sua.

«Non avere paura, Trán.» le sussurrò.

Se fosse una risposta alla confessione di poco prima o un tacito invito a toccarlo, non seppe dirlo. Così lei abbozzò un sorriso, lo baciò timidamente, una mano che lasciò la sua per accarezzargli con riverenza la barba, facendolo sospirare proprio come aveva fatto lei sotto le sue attenzioni. Seguì la linea del collo con le dita, fino a quella delle spalle muscolose e delle braccia, che ora la reggevano nuovamente con possessione; quelle stesse braccia poco abituate a stringere creature così delicate e belle, e che si erano invece forgiate durante una vita da fabbro e da guerriero.

Trán si schiarì la gola, improvvisamente secca. «No–non credere che con i tuoi modi... lusinghieri io abbia dimenticato cosa stessi facendo prima.» riuscì a dire.

Lui parve sorpreso, ma con un’evidente punta di divertimento nella voce. «Perché, ti ho per caso distratta?» Gemette più per la sorpresa che per il dolore, quando lei per ripicca premette contro un livido violaceo sull’addome.

Eppure lei sorrideva e in quel momento nient’altro aveva importanza.

A meno che non si trattasse dei nipoti che, non udendo più il loro litigio all’ombra della porta della sua stanza, l’avevano spalancata e si erano fiondati all’interno, temendo che ci fosse scappato il morto.

Non sapevano che presto, i morti, sarebbero stati loro.

 

 

26 Settembre 3019 T. E.

 

Brethil era profondamente addormentata, il respiro pesante e regolare che scandiva le lunghe ore di sonno. Ma la Nana era decisa a non abbandonare il capezzale della donna per nessun motivo al mondo, neppure per mangiare. Erano i nipoti del Re che, in punizione per la loro intromissione nella stanza del Re il giorno prima, le facevano compagnia e osavano allontanarsi per compiere qualche lavoro o per portarle del cibo; anche loro avrebbero voluto essere presenti quando Brethil si fosse risvegliata, giacché si era rivelata essere una buona compagnia e li avesse aiutati a rimettersi in piedi quando erano ancora incoscienti per il volo che avevano fatto; ad ogni modo, avevano comunque intenzione di fare compagnia alla loro futura zia per quanto gli fosse possibile. Di quando in quando anche i gemelli di Imladris giungevano a sincerarsi delle sue e delle loro condizioni, portando grande conforto con la sola presenza, giacché sorridevano e li rasserenavano.

Trán le bagnò la fronte con un panno umido, sperando che la febbre finalmente si abbassasse, e le strinse una mano tra le sue. Fili e Kili sedevano ora accanto alla finestra, osservando la scena silenziosi. Ioreth li aveva rassicurati che fosse fuori da ogni pericolo e che il suo corpo fosse solo molto stanco e desideroso di riprendere le forze, dopo l’estenuante battaglia e la perdita di sangue; li aveva anche minacciati più volte di lasciare la stanza, perché non aveva alcuna intenzione di prendersi cura anche dei loro affaticati corpi. Ma loro non avevano ancora visto segni di miglioramento, se non un colorito più vivo sul bel volto graffiato, né si erano allontanati più del dovuto. Avrebbero tanto voluto che Brethil riaprisse gli occhi grigi e parlasse con loro.

Il suono delle trombe li avvertì che i sopravvissuti e i feriti che necessitavano di cure di Osgiliath fossero finalmente giunti in città, e si diressero velocemente lungo la Via dei Lanternieri, lasciando per quel momento la donna al suo meritato riposo. Trán corse alla ricerca dei fratelli, seguita da Káel e Trión, ma rallentò i suoi passi nel vedere i loro volti seri e stanchi, e il sorriso di sollievo le si spense immediatamente. Notò subito l’assenza del padre e l’orribile presentimento di quella portantina coperta da un lenzuolo la fece fermare.

Dáin camminava alla testa della fila, accanto a Thorin, Dwalin e Balin che lo avevano accolto per il suo ritorno, mentre Aragorn ed Éomer proseguivano a passo spedito verso le Case di Guarigione, affinché Boromir e il resto dei soldati feriti potessero ricevere le cure giuste per riprendersi; dietro di loro Tarón e Káir trasportavano una lettiga, aiutati da altri due Nani, e sui loro volti non vi era gioia né sollievo per la fine della battaglia, ma solo un immenso e devastante dolore.

Thorin cercò il suo sguardo, ma non lo trovò. Era troppo intenta a studiare quella barella per accorgersi del suo desiderio di darle sostegno.

«Padre... nostro padre è rimasto ad Osgiliath?» domandò la Nana al maggiore dei fratelli. Poteva anche darsi, giacché era il capomastro del cantiere e avrebbe avuto il triplo del lavoro da supervisionare, dopo la battaglia.

Tarón socchiuse le labbra per rispondere, ma non ne trovò la forza. Come avrebbe fatto a mettere insieme le parole giuste per dirle che il loro unico genitore rimasto in vita fosse morto?

Non vi era un modo giusto, d’altronde.

Nessuna parola, per quanto accurata e dolce, avrebbe potuto alleviare il dispiacere e l’amarezza di una notizia simile.

Fu Dáin che, dopo un profondo sospiro, lasciò il fianco di Thorin, immobilizzato dall’angoscia di non rivedere più quel sorriso che tanto amava e che aveva visto solo qualche ora prima, e si avvicinò alla ragazza, stringendole le braccia con affetto. «Combatté valorosamente al mio fianco, come fece sempre da quando conservo memoria; e tenne alto l’onore e il nome della vostra famiglia.» mormorò il Re. «È mio compito proteggere i miei sudditi e i miei amici, e ho fallito.»

Káir chinò il viso, stringendo gli occhi con forza; ma neppure quella cecità gli impedì di rivedere il padre cadere a pochi piedi di distanza da lui. Nemmeno il giorno della sua morte avrebbe potuto dimenticare quell’infinito e terribile momento. Si era sentito così terribilmente impotente ed inutile e non si sarebbe mai perdonato di non aver potuto fare di più.

Trán, sorprendendo tutti, scosse il capo, rifiutandosi di piangere, di credere che suo padre fosse... fosse...

No.

No.

Sgusciò dalle braccia del suo sovrano, per chinarsi sulla lettiga e spostare il lenzuolo. Il respiro le si fermò in gola nel vedere il padre che giaceva come se fosse addormentato; ma lei sorrise, accarezzandogli il volto sereno e mortalmente freddo. «No.» mormorò, scostandogli qualche ciocca di capelli dal viso. «Mio padre sta solo riposando, deve essere molto stanco.»

I fratelli si scambiarono un’occhiata addolorata e Thorin, che non aveva osato avvicinarsi, chinò il capo, coprendosi gli occhi con una mano, per allontanare almeno dalla vista quell’impietosa. Ma non vi era bisogno di vederla per percepire ciò che stava passando per la mente della Nana in quel momento. Conosceva, purtroppo, molto bene il dolore della perdita di un padre, di un nonno, di un fratello, di un amico.

«Sta solo riposando, come Brethil.» si convinse Trán, accantonando il suo pessimismo per la prima volta in vita sua. «Presto si sveglierà e ci racconterà di come abbia salvato la Città degli Uomini. Gli preparerò una tisana calda... e... e ci parlerà della sua avventura davanti al camino acceso.»

Káel fu accanto alla sorella, abbracciandola e costringendo il suo viso bagnato di lacrime contro il suo addome, sperando che smettesse di parlare. Un singhiozzo soffocato li fece rabbrividire, ma Trán non capiva.

Non capiva quei volti funerei. Non avevano per caso vinto?

Non capiva perché Káel stesse tremando. Era forse intirizzito?

Non capiva l’irreale silenzio in cui Minas Tirith pareva caduta. O forse era lei che era diventata sorda alle loro parole?

E non capiva... quando e perché aveva iniziato a piangere?

«Dobbiamo... dobbiamo metterlo al caldo. È freddo.»

«Trán, ti prego...»

«Káel, potresti cucinargli qualcosa per quando si sveglierà.» continuò imperterrita, la voce soffocata dal tessuto della tunica del fratello, che stringeva tra le dita con forza. «Lo sai che anche lui non ama il mio cibo–»

«Mahal, Trán!» Il gemello s’inginocchiò con lei, prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. «Lui non– lui non si risveglierà. Mi hai capito, sorellina? Nostro padre è con la mamma, ora. Non si risveglierà.» le ripeté, con le lacrime agli occhi.

Lo sguardo perso di Trán, quel lungo istante che trascorse quando la consapevolezza di ciò che fosse accaduto distrusse le sue vane convinzioni, fu qualcosa che Káel non avrebbe dimenticato facilmente. Era come se stesse guardando una bambola, che non reagiva, non respirava, non si muoveva. Dove fosse finita la loro adorata e pessimista sorella nessuno di loro seppe dirlo, ma doveva essere molto, molto distante da dove si trovava in quel momento.

Scosse un’ultima volta il capo, la Nana, e sgusciò dalla presa ferrea del fratello, correndo via. Thorin mosse istintivamente un passo, per seguirla, ma Dwalin lo fermò per un braccio. «Non ora.»

Con riluttanza e un sospiro pesante, Thorin annuì. E capì, dall’occhiata perplessa di Dáin, che non fosse il momento adatto per lasciarsi alle spalle il pesante ruolo di sovrano per affrettarsi dietro alla Nana e tentare in qualche modo di darle conforto; non era ancora giunto il momento delle spiegazioni, sebbene suo cugino avesse subito notato l’acconciatura e le clip di Durin tra i capelli della Nana. Vi erano numerose questioni da discutere, prima di lasciarsi andare al lutto e al dolore.

Lanciò un’ultima occhiata alla figura di Trán, che sparì dietro l’angolo di un edificio, e si avvicinò a Káel, ancora inginocchiato e in lacrime. I nipoti gli erano accanto, che gli battevano le mani sulle spalle per incoraggiarlo a farsi forza, e lo tirò su per un braccio, stringendoglielo con affetto. Il giovane Nano ingoiò il groppo in gola e fece qualcosa di inaspettato.

Lo abbracciò, come aveva fatto anni addietro con il padre alla triste notizia della scomparsa della madre.

 

 

 

*

 

Ebbene... credo che non sia il caso di aggiungere altro.

Ci rivedremo l’anno prossimo, miei cari lettori e lettrici.

I migliori auguri per un grandioso 2014 a tutti – ve lo meritate!

Un caro saluto,

Marta.

 

 

   
 
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