Buon Yuletide a tutti – anche se in ritardo!
Spero abbiate passato un felice Natale e vi
siate rimpinzati per bene di porcherie caloriche. Io l’ho fatto e sto ancora
digerendo!
Vi lascio subito a questo nuovo capitolo – l’ultima
parte è stata uno strazio da scrivere, ma andava fatto.
Grazie infinite a tutti coloro che continuano a
leggere, recensire, seguire, preferire... insomma, a stare dietro a questo
mattone!
Diamine, sono già al ventesimo capitolo? Quando
è successo?!
In sostanza, vi adoro. Sul serio.
A presto!
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
20.
25 Settembre 3019 T. E.
Le trombe di vittoria quasi non squillarono per la terza
volta, che Trán si era già precipitata in strada, una mano in quella di Trión,
l’altra stretta sulla pesante spada di Thorin. Corse fino a perdere il fiato,
rallentando il passo non appena iniziò a scorgere i primi cadaveri e i soldati
feriti che si dirigevano alle Case di Guarigione. Dovette strattonare il
fratello minore per evitargli di saltellare incuriosito intorno ai caduti e si
chiese se non fosse stata una pessima idea portarlo con sé. Ma d’altronde non
poteva attendere un minuto di più, né poteva lasciarlo solo nella confortevole
stanza del Re.
Sentì il cuore mancarle più di un battito quando riconobbe
la sagoma della Regina di Gondor che sosteneva quella debole e ricurva di
un’altra donna. «Mahal, Brethil!»
Si portò le mani alle labbra, mentre sentiva chiaramente le
lacrime pizzicarle gli occhi. Temeva di non rivederla più, se non avvolta in un
lenzuolo funebre, eppure eccola lì, che stringeva i denti pur di mettere un
piede davanti all’altro e raggiungere le cure dei guaritori. La divisa era
intrisa di sangue, che continuava a fuoriuscire copioso dalla brutta ferita sul
fianco e Trán pregò che non fosse qualcosa che andasse oltre le loro
possibilità.
La Dúnadan sollevò lo sguardo sulla Nana, che ora le si era
affiancata per aiutare Arwen, e le sorrise grata. «Non dovresti essere qui,
Trán.» le sussurrò debolmente. «Non è uno spettacolo adatto ai tuoi occhi, o a
quelli di tuo fratello.»
«Non rimarrò chiusa dietro quattro mura, mentre le persone
che amo soffrono senza di me. Ho atteso abbastanza.» replicò testarda l’altra.
«Mi prenderò cura di te e di chiunque ne abbia bisogno. Sì, insomma... farò
quel che posso.» aggiunse, arrossendo. Non sapeva bene come avrebbe potuto
essere di aiuto, se non bagnare qualche pezza di tessuto e rinfrescare la
fronte febbricitante dei feriti. Ma era sicura che avrebbe fatto di tutto pur
di non essere d’intralcio. «Sono estremamente felice che sia tornata.»
Brethil si lasciò sfuggire un sospiro, in un misto di
sollievo e tristezza. Non poteva dire ugualmente, lei. Mancavano ancora troppe
persone all’appello per completare la gioia di essere nuovamente a Gondor; ma
non voleva rovinare l’umore instabile della sua piccola amica. Così sorrise e
le strinse debolmente una mano sulla spalla. «Lo sono anche io.»
«Sai, ho custodito gelosamente la tua spilla. E vedo che la
mia clip pende ancora tra i tuoi capelli!»
«Le trecce dei Nani sembrano superare qualsiasi ostacolo –
proprio come loro.»
Quelle parole ebbero l’effetto di riportarla alla realtà e
Trán lanciò un’occhiata preoccupata alle sue spalle. «A proposito... tu sai–sai
degli altri?»
«Vidi Dwalin e mi assicurò che lui, suo fratello e il Re
stessero bene. Ma avevamo entrambi la nostra battaglia da combattere e non so
cosa sia successo dopo. Vai da loro, amica mia. Avrai tempo per starmi accanto
una volta che le acque si saranno calmate. E non sarò certo di compagnia, sotto
le mani di Ioreth.»
La Nana, che chiaramente non conosceva la petulante
guaritrice di Minas Tirith, fece per scuotere il capo con veemenza, ma il
desiderio di andare a cercare suo fratello, i suoi amici e il suo Re fu
talmente forte che capitolò poco dopo; ed era più che sicura che Brethil fosse
in buone mani, sicché si allontanò dalle due donne con il cuore meno pesante,
ma pur sempre preoccupato. Chiese a Trión di seguirle, cosicché non dovesse
badare a lui, e si affrettò tra le strade insanguinate della Città Bianca,
quelle stesse vie che solo qualche giorno prima erano candide e gioiose. Ora
puzzavano di morte e dovette coprirsi il naso e la bocca con una mano, pur di
evitarsi il rigetto della colazione e della cena insieme. Se avesse potuto
avrebbe tappato persino orecchie e occhi, pur di non udire e vedere i pianti e
la disperazione dei sopravvissuti. Raggiunse in tutta fretta il secondo cerchio,
fermando i suoi passi non appena vide la distruzione di quell’esplosione che
aveva fatto tremare la terra. Vide pietre, armi e corpi irriconoscibili sparsi
ovunque e non riuscì a trattenere le lacrime. Com’era possibile che Uomini
potessero arrecare così tanta desolazione ad altri Uomini?
Osservò i soldati di Gondor che legavano gli ultimi
prigionieri e li portavano alle galere, promettendo loro le pene peggiori sotto
quelle celle scavate nel cuore del Mindolluin, in attesa del ritorno del Re.
Cercò ovunque, sperando di non riconoscere il corpo di qualche amico tra quelli
riversi a terra. Lo scorse poco dopo. Era ammaccato e sporco di sangue, e sperò
vivamente che non fosse il suo. Stava contando i caduti insieme a Dwalin e
Balin, l’espressione angosciata che prevaleva di gran lunga sulla gioia di aver
superato anche quell’ennesima prova.
Trán gli corse incontro, infischiandosene degli sguardo
sconcertati di chiunque li vide, e si ritrovò tra quelle braccia forti e
confortevoli ancora una volta; lì, dove si sentiva completa così come l’ultima
pietra di un edificio completava l’opera.
E pianse.
Pianse di gioia, pianse per la terribile paura che aveva
patito in quelle infinite ore di impotente attesa. E mai, mai come allora
Thorin fu felice di essere sulle proprie gambe, di poterla abbracciare
nuovamente, di poter inspirare il profumo dei suoi capelli rossi. Le baciò la
fronte, stringendola con affetto, e si permise di sorridere.
Alle sue spalle, i nipoti si reggevano su Káel, e nonostante
la stanchezza e la brutta botta che avevano dovuto accusare con l’esplosione,
non risparmiarono le grida di gioia e i canti di vittoria. Trán e Thorin si
ritrovarono così abbracciati dai tre, che riuscirono a trovare la forza di
stringerli e saltargli intorno. Dwalin si lasciò cadere per terra, sbuffando di
sollievo e sorrise al fratello, che gli batté una mano sulle spalle stanche.
«Possiamo dire di aver superato anche questa insieme, amico
mio.» disse Balin.
Dwalin si guardò intorno. «Non era esattamente ciò che avevo
in mente quando Thorin ci informò di questo viaggio.»
«Ahimè, fratello, nessuno di noi poteva prevederlo, neppure
il Re di Gondor. Temo che il nostro soggiorno a Minas Tirith sarà prolungato di
qualche mese.»
«Dís sarà al culmine della gioia, appena riceverà nostre
notizie.»
I due ridacchiarono alle parole rassegnate di Thorin, mentre
i nipoti scacciavano i suoi timori con vaghi gesti delle mani. «La mamma vorrà
solo la tua testa, non c’è da preoccuparsi.»
Il Re di Erebor sospirò, chiedendosi se avesse potuto
omettere qualche dettaglio della battaglia, affinché la sorella non si
preoccupasse più del dovuto. Non vi era alcuna ragione per cui avrebbe dovuto
scriverle che avevano provato l’ebrezza del volo in caduta libera, del resto.
«Andiamo, ora. Avete bisogno di cure e di riposo.» mormorò, dando una mano a
Káel nel sostenere i nipoti.
Trán li seguì, con i figli di Fundin accanto e il gemello
tra le braccia, e osservò Thorin con perplessità. «Mio signore, hai bisogno di
essere medicato anche tu. Non affaticarti troppo.»
«Sto bene.»
«Zoppichi, anche se stai facendo di tutto pur di non
mostrarlo.»
Il Nano alzò gli occhi al cielo, maledicendo l’occhio
attento della ragazza. «La colpa è di Fili. Sei pesante come un carico di
ferro, nipote.»
«È un modo gentile di dirmi che sto prendendo qualche chilo
di troppo?» esclamò indignato quello, mentre il fratello minore scoppiava a
ridere.
«Aye, ragazzo.
Dovresti vivere qualche tempo con la fanciulla lì; almeno saresti costretto a non
mangiare più del dovuto.»
Trán fece saettare uno sguardo furioso ed imbarazzato verso
Dwalin, che ghignò di divertimento alla sua espressione.
Con lentezza si diressero ai loro appartamenti, giacché le
Case di Guarigione erano colme di soldati che necessitavano di urgenti cure.
Trán fu lesta, però, a cercare bendaggi e medicamenti, incappando
sfortunatamente nella vecchia curatrice, impazzita da tanto lavoro.
«Per tutti i Valar, ragazzina! Cosa ci fai qui?» gracchiò
Ioreth, che rischiò di mandare all’aria il vassoio di acqua calda che teneva
tra le braccia. «Levati dai piedi, non è un luogo né il momento per giocare,
questo.»
La Nana aprì e chiuse le labbra più volte, incapace di
formulare una risposta, mentre sentiva guance ed orecchie infuocarsi per la
stizza di essere scambiata per una bambina.
Fu una ragazzetta alle spalle della donna che fermò i suoi
passi e la osservò con curiosità. «Tu sei l’amica di Dama Brethil, giusto?» Ad
un cenno affermativo, quella sorrise. «Il mio nome è Rainiel, sono la sua
ancella. Chiedo scusa per le parole di Ioreth, ha la brutta abitudine di
scambiare Nani e Mezzuomini per bambini; ma non voleva offenderti. Ad ogni
modo, la mia signora ha bisogno di medicamento immediato, ma se posso esserti
d’aiuto in qualsiasi modo chiedi pure. Vedrò cosa posso fare.»
Trán balbettò un ringraziamento e le domandò dove potesse
trovare l’occorrente per il primo soccorso; doveva, del resto, ripulire e
fasciare ferite affinché non s’infettassero. Guardò scettica e nauseata gli
aghi e il filo che l’ancella le diede, insieme a bende e disinfettanti al
limone, giacché non credeva potesse essere in grado di trovare la forza di
mettere i punti a qualcuno. Sperò che Balin, o chi per lui, potesse essere d’aiuto,
se fosse stato necessario. «Ti ringrazio per la tua gentilezza.» le disse,
sorridendo. «Correrò al capezzale di Dama Brethil appena mi sarà possibile.»
«Ne sarà felice. Buona fortuna!»
Trán tornò di corsa agli appartamenti dei Nani e con sua
grande sorpresa vi trovò anche Legolas e Gimli, che stavano riassumendo la
conta dei loro nemici riguardo ad una scommessa di cui non volle conoscere i
particolari, e con loro anche i gemelli di Rivendell. I due parvero pensierosi,
mentre la osservavano – cosa che Thorin, seduto su una poltrona e scuro in
viso, notò immediatamente e lo irritò più del necessario. Non solo quei
damerini dalle orecchie appuntite stavano tentando di mettergli le mani addosso
per medicare ferite che avrebbe potuto ignorare per i giorni successivi, ma la
loro attenzione era ora fissa sulla Nana, che arrossì fino alla punta dei
piedi.
Legolas l’aiutò subito a reggere l’occorrente e a darsi da
fare con le abrasioni dei nipoti di Thorin e del gemello, mentre Gimli fumava
bellamente alla faccia sua – estremamente soddisfatto di non doversi tagliare
la barba per onorare la parola data.
«Oh, ma certo!»
esclamò uno dei due figli di Elrond. «Tu devi essere la figlia di mastro
Rulin!» aggiunse l’altro.
A quelle parole gli occhi della Nana s’illuminarono.
«Conoscete mio padre?»
«Il carpentiere più rinomato che Rivendell abbia
conosciuto.»
«Era solito lavorare per nostro padre, tanti anni fa.»
«A proposito, perdona la nostra maleducazione: io sono
Elladan e lui è Elrohir.»
«Ho imparato a riconoscervi, ragazzini.» s’intromise Gimli,
sbuffando del fumo. «E posso dire con certezza che tu sei Elladan e tu sei
Elrohir.»
Quelli scoppiarono a ridere, congratulandosi per i suoi
occhi di falco per cui si vantava tanto. Trán arrossì quando le baciarono a
turno il dorso della mano e spostò istintivamente lo sguardo su Thorin, i cui
denti erano serrati tanto da far male.
Elladan, a cui non era sfuggito quello scambio di occhiate e
soprattutto le clip nelle trecce dei suoi capelli, sorrise amabile. «Dama Trán,
saresti così cortese da convincere il tuo Re a lasciarsi controllare le ferite?
Sarà pur sempre un Nano della peggior specie, ma non ho il cuore di non
medicarlo.»
Il silenzio calò sulla stanza, interrotto poco dopo dalle
risate incontrollate di Fili e Kili; persino Balin si lasciò scappare un
sorriso, che nascose per fortuna sotto la folta barba bianca. Thorin,
chiaramente, non gradì l’umorismo Elfico e s’infastidì ulteriormente quando
Trán parve assecondarlo. «Ti allei con loro?»
«Mi pare ovvio.»
«E a me pare ovvio che nessuno di voi sappia riconoscere i
limiti della mia pazienza.»
«In nome di Mahal il Fabbro, mio signore!» esclamò Trán,
spazientita. «Non dimostri di essere un eroe, così facendo, bensì un
incosciente.» Gli si avvicinò, aggiungendo poi con più dolcezza: «Permetti
almeno a me di medicarti?»
Thorin ignorò i sorrisi di compiacimento sui volti dei suoi
compagni e si alzò, dirigendosi alla sua stanza senza una parola in più. La
Nana lo seguì in silenzio e si richiuse la porta alle spalle, poggiando l’occorrente
sulla cassapanca ai piedi del letto, e si morsicò con nervosismo l’interno
delle guance. Era la prima volta in cui rimanevano soli, da quando avevano
iniziato il corteggiamento, senza fratelli o nipoti intorno, o senza la
minaccia di una guerra alle porte della città. Quel pensiero la colpì
all’altezza dello stomaco, che le si contorse per l’imbarazzo non appena lui si
sfilò la tunica e la cotta di maglia che proteggeva il suo corpo prestante.
Sapeva bene che avrebbe dovuto togliersi anche il resto degli indumenti superiori,
se avesse voluto farsi medicare per bene, e l’immagine di quel torace scolpito
che aveva scorto quella lontana mattina alle forge le tornò in mente,
imporporandole indecentemente le guance.
«Ti senti bene?» le domandò Thorin, sedendosi stancamente
sul bordo del letto e osservando il colorito arrossato del suo volto con
circospezione.
Trán mormorò qualcosa, affrettandosi ad iniziare a
disinfettare i graffi sul viso e a ripulirgli la pelle dal sangue ormai
coagulato. Per sua fortuna non trovò ferite troppo profonde, se non un labbro
spaccato e un taglio fastidioso sul sopracciglio sinistro. «Ma se dovessi
trovare qualche ferita più problematica delle altre, sappi che i gemelli
saranno i primi ad essere avvisati. Non ho le competenze per curarti a dovere e
la tua gamba mi preoccupa.»
«La mia gamba sta bene. E non ho intenzione di farmi toccare
da loro.»
Trán allontanò di scatto la mano dalla pelle del Nano, colta
da una nuova ondata di imbarazzo. Riuscì a mettere insieme qualche parola solo
per l’esasperazione a cui la stava velocemente portando. «Thorin, non sei stato
molto cortese. Sei davvero il Nano più ottuso che abbia mai incontrato. Ti
stanno offrendo il loro aiuto; credevo che la tua ostilità nei confronti degli
Elfi fosse superata con... con noi.»
Thorin borbottò qualcosa che non capì. «Suggellai una tregua
con Thranduil in circostanze estreme; e ho deciso di corteggiarti per la
persona che sei. Ciò non implica che la loro razza mi debba piacere.» Si pentì
immediatamente delle sue parole appena udì il suono della sua voce. La vide
stringere le labbra, stizzita, mentre premeva con più forza un panno sulla
carne viva e dovette mordersi la lingua pur di non lamentarsi per il dolore.
«Trán, non volevo dire questo–»
«Ma è ciò che hai detto. Ed è ciò che pensi.»
Il Re sospirò con pesantezza. «Non puoi chiedermi di mettere
da parte i rancori che ho serbato per una vita. Credevo che fossi una Nana a
tutti gli effetti, giacché me lo hai fatto capire e dimostrato più volte. Non
hai motivo di sentirti offesa.»
Ci furono minuti di interminabile silenzio, prima che lei
riprendesse a parlare, gli occhi chini sul tessuto da strizzare. «Ti pentirai
di aver scelto me, lo so.»
Thorin sbatté più volte le palpebre, fermando la sua mano a
mezz’aria e cercando il suo sguardo. «Spero ti renda conto dell’assurdità di
ciò che hai appena detto.»
«Non è meno assurdo del tuo comportamento.»
«Trán.» la richiamò, in un sospiro.
«Solleva la maglia, ho finito con il viso.» In altre
circostanze non avrebbe avuto neppure il coraggio di formulare un pensiero
simile, men che meno pronunciarlo a voce alta; ma era fin troppo delusa da quel
lato del Nano che faticava a sparire, che non se ne curò minimamente.
Thorin scosse il capo, accarezzandole le guance con le sue
tozze e callose mani. «Habanuh, parlami.»
Lei non osò incontrare il suo sguardo e si ritrovò ad
inciampare sulle sue parole, nuovamente. Batté più volte le ciglia, cercando di
scacciare l’improvviso disagio che la colse; si sentì patetica e detestò quel
Nano che aveva di fronte, perché era a causa sua che tutte le sue poche
sicurezze crollavano come un castello di sabbia. «Io ho... ho paura.» Thorin
non la interruppe e, seppure lei non lo vide, percepì ugualmente il suo sguardo
indagatorio. «Non ho mai avuto amici, né... né qualcuno come... come te. Temo che possa svanire tutto da
un momento all’altro, perché sono felice e quando ciò accade è destinato a non
durare.»
Thorin non aveva parole per confortarla. Lui stesso aveva
provato sulla sua pelle che i momenti più lieti terminassero nei modi più
bruschi; eppure aveva imparato che quando si lottava per ciò che si amava, i
propri sforzi sarebbero stati ripagati. Se così non fosse stato, se lui non
avesse lottato dopo la distruzione di Smaug, dopo la morte dei suoi più cari
familiari e amici, il dolore e la rabbia, lui non avrebbe riconquistato Erebor,
né avrebbe restituito alla sua gente ciò che gli spettava di diritto. Non era
abituato ad arrendersi, né lo avrebbe fatto in quella circostanza: sapeva bene
che il desiderio di avere Trán accanto non sarebbe stato facile da gestire, sia
per il loro passato che per questioni meramente politiche, ma non si sarebbe arreso
e non avrebbe permesso che lei lo facesse.
Così tentò di sedare ogni preoccupazione, ogni timore e ogni
cattivo pensiero con un lungo e lento bacio. E capì di essere riuscito nel suo
intento nel momento in cui Trán chiuse gli occhi e rispose alle sue attenzioni
con disperazione, stringendosi contro di lui con il timore che potesse sparire
da un momento all’altro. Ma Thorin non aveva intenzione di andarsene, non senza
lei al suo fianco. Prese possesso di quella bocca impertinente con così tanto
ardore da perdere per qualche lungo istante la cognizione del tempo e dello
spazio. La sentì abbandonarsi alle sue labbra, che si spostarono sulle guance
arrossate, sul collo, su quelle orecchie appuntite che gli avrebbero
costantemente ricordato chi fosse realmente. Si sorprese quando udì un gemito
di piacere scapparle dalla gola quando gliele sfiorò in caldi baci. Sorrise,
ripetendo il gesto, e Trán si chiese quanto ancora sarebbe potuta resistere
prima di sciogliersi, in preda a quell’imbarazzante calore che l’aveva colta.
«Thorin–» mormorò tra i baci e le carezze. Lo sentì
allontanarsi un poco e il Nano si sfilò la tunica, con impazienza. E lei, lei rimase
impietrita di fronte alla visione che le si presentò davanti. «Thorin, co–cosa
fai?» Le parole le morirono in gola appena notò il sorriso carico di malizia e
divertimento di quelle labbra sottili e umide.
«Eseguo i tuoi ordini, Melhekhinh.
Ho sollevato la maglia come mi hai chiesto.»
Tutto ciò che Trán riuscì a dire fu un oh di sorpresa e imbarazzo. Thorin si chinò per baciarla ancora una
volta, con lentezza e dolcezza, solleticandole la pelle delle guance e del
collo con la barba; intrecciò le loro dita in un gesto di affetto e se le portò
al petto, all’altezza del cuore. Trán fu più che sorpresa nel sentirne il
battito accelerato fare concorrenza al suo. La sensazione della peluria scura
sotto i suo polpastrelli la fece rabbrividire e sentì chiaramente i muscoli del
Nano tremare a quel timido contatto. Non ebbe il coraggio di incontrare il suo
sguardo se non dopo che lui le accarezzò la punta del naso con la sua.
«Non avere paura, Trán.» le sussurrò.
Se fosse una risposta alla confessione di poco prima o un
tacito invito a toccarlo, non seppe dirlo. Così lei abbozzò un sorriso, lo
baciò timidamente, una mano che lasciò la sua per accarezzargli con riverenza
la barba, facendolo sospirare proprio come aveva fatto lei sotto le sue
attenzioni. Seguì la linea del collo con le dita, fino a quella delle spalle
muscolose e delle braccia, che ora la reggevano nuovamente con possessione; quelle
stesse braccia poco abituate a stringere creature così delicate e belle, e che
si erano invece forgiate durante una vita da fabbro e da guerriero.
Trán si schiarì la gola, improvvisamente secca. «No–non
credere che con i tuoi modi... lusinghieri
io abbia dimenticato cosa stessi facendo prima.» riuscì a dire.
Lui parve sorpreso, ma con un’evidente punta di divertimento
nella voce. «Perché, ti ho per caso distratta?» Gemette più per la sorpresa che
per il dolore, quando lei per ripicca premette contro un livido violaceo
sull’addome.
Eppure lei sorrideva e in quel momento nient’altro aveva
importanza.
A meno che non si trattasse dei nipoti che, non udendo più
il loro litigio all’ombra della porta della sua stanza, l’avevano spalancata e si
erano fiondati all’interno, temendo che ci fosse scappato il morto.
Non sapevano che presto, i morti, sarebbero stati loro.
26 Settembre 3019 T. E.
Brethil era profondamente addormentata, il respiro pesante e
regolare che scandiva le lunghe ore di sonno. Ma la Nana era decisa a non
abbandonare il capezzale della donna per nessun motivo al mondo, neppure per
mangiare. Erano i nipoti del Re che, in punizione per la loro intromissione
nella stanza del Re il giorno prima, le facevano compagnia e osavano
allontanarsi per compiere qualche lavoro o per portarle del cibo; anche loro
avrebbero voluto essere presenti quando Brethil si fosse risvegliata, giacché si
era rivelata essere una buona compagnia e li avesse aiutati a rimettersi in
piedi quando erano ancora incoscienti per il volo che avevano fatto; ad ogni
modo, avevano comunque intenzione di fare compagnia alla loro futura zia per quanto gli fosse possibile. Di quando in quando
anche i gemelli di Imladris giungevano a sincerarsi delle sue e delle loro
condizioni, portando grande conforto con la sola presenza, giacché sorridevano
e li rasserenavano.
Trán le bagnò la fronte con un panno umido, sperando che la
febbre finalmente si abbassasse, e le strinse una mano tra le sue. Fili e Kili
sedevano ora accanto alla finestra, osservando la scena silenziosi. Ioreth li
aveva rassicurati che fosse fuori da ogni pericolo e che il suo corpo fosse
solo molto stanco e desideroso di riprendere le forze, dopo l’estenuante
battaglia e la perdita di sangue; li aveva anche minacciati più volte di
lasciare la stanza, perché non aveva alcuna intenzione di prendersi cura anche
dei loro affaticati corpi. Ma loro non avevano ancora visto segni di
miglioramento, se non un colorito più vivo sul bel volto graffiato, né si erano
allontanati più del dovuto. Avrebbero tanto voluto che Brethil riaprisse gli
occhi grigi e parlasse con loro.
Il suono delle trombe li avvertì che i sopravvissuti e i
feriti che necessitavano di cure di Osgiliath fossero finalmente giunti in
città, e si diressero velocemente lungo la Via dei Lanternieri, lasciando per
quel momento la donna al suo meritato riposo. Trán corse alla ricerca dei
fratelli, seguita da Káel e Trión, ma rallentò i suoi passi nel vedere i loro
volti seri e stanchi, e il sorriso di sollievo le si spense immediatamente. Notò
subito l’assenza del padre e l’orribile presentimento di quella portantina
coperta da un lenzuolo la fece fermare.
Dáin camminava alla testa della fila, accanto a Thorin,
Dwalin e Balin che lo avevano accolto per il suo ritorno, mentre Aragorn ed
Éomer proseguivano a passo spedito verso le Case di Guarigione, affinché
Boromir e il resto dei soldati feriti potessero ricevere le cure giuste per
riprendersi; dietro di loro Tarón e Káir trasportavano una lettiga, aiutati da
altri due Nani, e sui loro volti non vi era gioia né sollievo per la fine della
battaglia, ma solo un immenso e devastante dolore.
Thorin cercò il suo sguardo, ma non lo trovò. Era troppo
intenta a studiare quella barella per accorgersi del suo desiderio di darle
sostegno.
«Padre... nostro padre è rimasto ad Osgiliath?» domandò la
Nana al maggiore dei fratelli. Poteva anche darsi, giacché era il capomastro
del cantiere e avrebbe avuto il triplo del lavoro da supervisionare, dopo la
battaglia.
Tarón socchiuse le labbra per rispondere, ma non ne trovò la
forza. Come avrebbe fatto a mettere insieme le parole giuste per dirle che il
loro unico genitore rimasto in vita fosse morto?
Non vi era un modo giusto, d’altronde.
Nessuna parola, per quanto accurata e dolce, avrebbe potuto
alleviare il dispiacere e l’amarezza di una notizia simile.
Fu Dáin che, dopo un profondo sospiro, lasciò il fianco di
Thorin, immobilizzato dall’angoscia di non rivedere più quel sorriso che tanto
amava e che aveva visto solo qualche ora prima, e si avvicinò alla ragazza, stringendole
le braccia con affetto. «Combatté valorosamente al mio fianco, come fece sempre
da quando conservo memoria; e tenne alto l’onore e il nome della vostra
famiglia.» mormorò il Re. «È mio compito proteggere i miei sudditi e i miei
amici, e ho fallito.»
Káir chinò il viso, stringendo gli occhi con forza; ma
neppure quella cecità gli impedì di rivedere il padre cadere a pochi piedi di
distanza da lui. Nemmeno il giorno della sua morte avrebbe potuto dimenticare
quell’infinito e terribile momento. Si era sentito così terribilmente impotente
ed inutile e non si sarebbe mai perdonato di non aver potuto fare di più.
Trán, sorprendendo tutti, scosse il capo, rifiutandosi di
piangere, di credere che suo padre fosse... fosse...
No.
No.
Sgusciò dalle braccia del suo sovrano, per chinarsi sulla
lettiga e spostare il lenzuolo. Il respiro le si fermò in gola nel vedere il padre
che giaceva come se fosse addormentato; ma lei sorrise, accarezzandogli il
volto sereno e mortalmente freddo. «No.» mormorò, scostandogli qualche ciocca
di capelli dal viso. «Mio padre sta solo riposando, deve essere molto stanco.»
I fratelli si scambiarono un’occhiata addolorata e Thorin, che
non aveva osato avvicinarsi, chinò il capo, coprendosi gli occhi con una mano, per
allontanare almeno dalla vista quell’impietosa. Ma non vi era bisogno di
vederla per percepire ciò che stava passando per la mente della Nana in quel
momento. Conosceva, purtroppo, molto bene il dolore della perdita di un padre,
di un nonno, di un fratello, di un amico.
«Sta solo riposando, come Brethil.» si convinse Trán,
accantonando il suo pessimismo per la prima volta in vita sua. «Presto si
sveglierà e ci racconterà di come abbia salvato la Città degli Uomini. Gli
preparerò una tisana calda... e... e ci parlerà della sua avventura davanti al
camino acceso.»
Káel fu accanto alla sorella, abbracciandola e costringendo
il suo viso bagnato di lacrime contro il suo addome, sperando che smettesse di
parlare. Un singhiozzo soffocato li fece rabbrividire, ma Trán non capiva.
Non capiva quei volti funerei. Non avevano per caso vinto?
Non capiva perché Káel stesse tremando. Era forse
intirizzito?
Non capiva l’irreale silenzio in cui Minas Tirith pareva
caduta. O forse era lei che era diventata sorda alle loro parole?
E non capiva... quando e perché aveva iniziato a piangere?
«Dobbiamo... dobbiamo metterlo al caldo. È freddo.»
«Trán, ti prego...»
«Káel, potresti cucinargli qualcosa per quando si
sveglierà.» continuò imperterrita, la voce soffocata dal tessuto della tunica del
fratello, che stringeva tra le dita con forza. «Lo sai che anche lui non ama il
mio cibo–»
«Mahal, Trán!» Il
gemello s’inginocchiò con lei, prendendole il viso tra le mani e costringendola
a guardarlo negli occhi. «Lui non– lui non si risveglierà. Mi hai capito,
sorellina? Nostro padre è con la mamma, ora. Non si risveglierà.» le ripeté,
con le lacrime agli occhi.
Lo sguardo perso di Trán, quel lungo istante che trascorse
quando la consapevolezza di ciò che fosse accaduto distrusse le sue vane
convinzioni, fu qualcosa che Káel non avrebbe dimenticato facilmente. Era come
se stesse guardando una bambola, che non reagiva, non respirava, non si
muoveva. Dove fosse finita la loro adorata e pessimista sorella nessuno di loro
seppe dirlo, ma doveva essere molto, molto distante da dove si trovava in quel
momento.
Scosse un’ultima volta il capo, la Nana, e sgusciò dalla
presa ferrea del fratello, correndo via. Thorin mosse istintivamente un passo,
per seguirla, ma Dwalin lo fermò per un braccio. «Non ora.»
Con riluttanza e un sospiro pesante, Thorin annuì. E capì,
dall’occhiata perplessa di Dáin, che non fosse il momento adatto per lasciarsi alle
spalle il pesante ruolo di sovrano per affrettarsi dietro alla Nana e tentare
in qualche modo di darle conforto; non era ancora giunto il momento delle
spiegazioni, sebbene suo cugino avesse subito notato l’acconciatura e le clip
di Durin tra i capelli della Nana. Vi erano numerose questioni da discutere,
prima di lasciarsi andare al lutto e al dolore.
Lanciò un’ultima occhiata alla figura di Trán, che sparì
dietro l’angolo di un edificio, e si avvicinò a Káel, ancora inginocchiato e in
lacrime. I nipoti gli erano accanto, che gli battevano le mani sulle spalle per
incoraggiarlo a farsi forza, e lo tirò su per un braccio, stringendoglielo con
affetto. Il giovane Nano ingoiò il groppo in gola e fece qualcosa di inaspettato.
Lo abbracciò, come aveva fatto anni addietro con il padre
alla triste notizia della scomparsa della madre.
*
Ebbene... credo che non sia il caso di aggiungere
altro.
Ci rivedremo l’anno prossimo, miei cari lettori e
lettrici.
I migliori auguri per un grandioso 2014 a tutti – ve
lo meritate!
Un caro saluto,
Marta.