Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Dynamis_    28/12/2013    3 recensioni
{ Questa fanfiction è dedicata a ChrisDaiki, che mi ha ispirata e sostenuta durante lo sviluppo della storia.
“Proprio nel momento in cui il moro esalò l'ultimo respiro, in cui l'ultimo soffio vitale abbandonò per sempre il petto di Marco, Jean sentì una stretta al cuore, senza riuscire a capire il perché.
Lo avrebbe compreso troppo tardi, quando non ci sarebbe stato ormai nulla da fare, quando avrebbe visto le ceneri del suo corpo mischiarsi a quelle di molti altri, quando avrebbe versato così tante lacrime che ne avrebbe avuto abbastanza per una vita intera.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Gli era stato ordinato di tornare sul campo di battaglia - su quel campo dove aveva perso ogni cosa, persino la speranza - per identificare i corpi dei caduti; sapeva che avrebbe potuto rivedere Marco, ma si sentiva pronto.
Inutile dire che non lo fosse abbastanza.
Aveva voltato l'angolo al confine di quel distretto ridotto ormai in macerie, lo aveva voltato pensando al numero di corpi che aveva visto fino a quel momento, a tutte quelle persone che non sarebbero più tornate indietro, ai suoi compagni con i quali aveva condiviso gran parte della propria vita e di cui adesso non rimaneva nulla se non un mucchio d'ossa indistinte.
Aveva voltato l'angolo senza pensare a ciò che avrebbe potuto vedere una volta abbassato lo sguardo, senza sapere che l'equilibrio precario in cui si trovava sarebbe stato messo alla prova un'ulteriore volta.
Non era per nulla preparato a quello.
«Marco... sei... tu?»
Gli mancò il respiro, sentì la testa - l'intera strada - vorticare perché mai, nemmeno in un tempo infinitamente lungo, sarebbe stato abbastanza pronto per subire quello shock.
Si poggiò barcollando alla casa semidistrutta, la mano sulla gola tentando di ristabilizzare la respirazione - invano- e scivolò appena sulla superficie scagliosa e tagliente, le parole morte tra le labbra, incapace di articolare qualsiasi suono.
Non poteva credere che lui avesse avuto quella fine così indecorosa, che giacesse per terra mischiandosi alla polvere e ai detriti, lontano dal campo di battaglia.
Non poteva nemmeno accettare di scorgere quell'occhio privo di vita rivolto al cielo, di non vedere il suo petto muoversi lentamente, di dare una rapida occhiata a quel corpo divelto e smembrato terribilmente.
Cadde in ginocchio, le mani a coprire il viso per l'ennesima volta, il busto curvato in avanti, quel corpo che non ne poteva più di subire così tanto dolore, di dover sopportare quel peso gravoso e inalienabile.
Affondò le dita nella terra ingrata, terra che, probabilmente, era sporca del sangue dei suoi simili, dello stesso sangue di colui che più aveva amato e per il quale avrebbe volentieri dato la vita.
Sottili gocce bagnarono quello stesso terreno, scivolando sulle sua guance alla vista del suo amore - forse l'unico - senza vita e cadendo irrimediabilmente verso il vuoto.
Erano in caduta libera, tutti quanti, senza poterci fare nulla, senza appigli ai quali aggrapparsi, senza pareti che rallentassero il loro salto.
Il suo, di appiglio, giaceva esanime a pochi metri di distanza da lui, incapace di reagire o di dirgli semplicemente che ci sarebbe stato, che avrebbero operato quel salto insieme tenendosi per mano.
Era solo.
Il cielo stava crollando, la terra tremava, il fuoco lo consumava da dentro otturandogli i polmoni e rendendo arsa la gola e lui era solo, come mai lo era stato.
Rivolse lentamente lo sguardo verso Marco - il suo Marco - e comprese che mai più avrebbe assaporato la dolcezza di quello sguardo, che mai più avrebbe avuto il suo calore vicino, che non avrebbe mai più sentito la sua risata aleggiare per la stanza, riempire l'aria con la purezza e la spensieratezza che più lo contraddistinguevano.
Non si sarebbe mai abituato al vuoto delle giornate senza lui e alla noia che lo avrebbe martoriato in maniera sempre più pressante, nei giorni a seguire avrebbe volto più di una volta lo sguardo verso il cielo e avrebbe pensato a lui, si sarebbe chiesto se stava bene adesso che non poteva più provare paura e dolore, adesso che sapeva che Jean non l'avrebbe dimenticato mai.
E Marco in cuor suo gli avrebbe risposto silenziosamente che provava ancora paura, paura che la vita di colui a cui più teneva avrebbe potuto spegnersi troppo velocemente e ardere in un'unica fiamma, ma che in fin dei conti, se così fosse avvenuto, si sarebbero rincontrati.
Jean però in quel momento non riusciva a pensare, provava così tanto dolore al petto che avrebbe preferito anche lui abbandonare quella merda di vita e ricongiungersi a lui. Voleva soltanto avere la forza di lasciarsi tutto alle spalle e rialzarsi più forte di prima, perché era troppo debole.

«Sai, Jean...»
Una reticenza e Jean si era voltato, tendendo le orecchie verso ciò che Marco aveva da dire. Aveva avvertito una certa curiosità a causa del suo tono di voce sospeso, di quelle parole fatte uscire come un sospiro, lentamente e pacatamente.
«Penso che tu potresti essere un ottimo leader...»
Lo aveva guardato con fare interrogativo e canzonatorio, non riuscendo a prendere sul serio le parole che gli stava rivolgendo.
Eppure Marco non aveva scherzato, non quella volta.
«E per quale motivo, Marco? Sentiamo! Non puoi dire sul serio, non sono coraggioso abbastanza per esserlo...»
Aveva abbassato lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello del proprio compagno che, quasi si aspettasse quella risposta, gli aveva gettato il braccio sulle spalle e lo aveva fissato con uno dei migliori sorrisi che gli aveva mai rivolto sino ad allora.
«Non prenderla male, eh...»
Era arrossito appena, Marco, con quella sfumatura di rosso che tanto amava, e aveva aperto di nuovo le labbra per continuare a parlare, gesticolando con la mano libera.
«Non sei proprio quello che la gente definirebbe forte, ecco.. proprio per questo sei in grado di comprendere i deboli e di aiutarli..».


Era debole.
Ma nella sua debolezza avrebbe trovato la forza necessaria per combattere anche per Marco. Avrebbe fatto della debolezza la sua unica forza, come gli aveva suggerito Marco poco tempo prima, avrebbe fatto tesoro di quel suo ultimo e pressante consiglio.
E si sarebbero rincontrati senza ripensamenti.

***

Stava fissando il fuoco del falò funebre, gli occhi umidi e i pugni serrati sui fianchi. Le fiamme danzavano al ritmo del vento, guizzavano e ardevano silenziosamente e rispettosamente sui cadaveri.
Il fumo si alzava in sottili spire e diventava tutt'uno con il cielo scuro e coperto, dando finalmente pace a coloro che avevano dato la vita perché lui fosse ancora lì, perché gli umani potessero avere la loro prima - ma minima - vittoria, a costo di un prezzo sin troppo alto.
"Era questo che volevi, Marco? Diventare simile alle stelle?"
Proprio là dove il fumo e il cielo si incontravano, riusciva a provare meno dolore: si trovava nell'immenso adesso, poteva vedere il mondo esterno dall'alto, Marco.
Sentiva odore di bruciato, respirava aria pregna dei loro corpi sparsi in sottili particelle, in cenere e fumo.
Respirava il suo corpo.
"Riesci ancora a sentire il rumore del vento, la brezza che adesso ti muove e ti porta in alto, dove i miei occhi non potranno più vederti?"
Ancora bruciore alla gola, forse non se n'era mai andato, ma lo aveva avvertito ancor di più: sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe avuto una percezione così alta del suo compagno, lo stava vedendo allontanarsi in sottili agglomerati di cenere e terra senza riuscire nemmeno a capire quale fosse il confine che separava Marco dagli altri soldati, un unico ammasso indefinito.
"Dimmi, quale di queste ossa è tua? Non riesco a ricordare..."
Il cielo si copriva sempre di più di quel dolore denso e concentrato, delle grida silenziose di migliaia di anime che non avrebbero mai più rivisto la luce.
E i titani dormivano beati, le loro bocche non dilaniavano quella sera, le loro dita non arpionavano, i loro respiri non puzzavano di sangue e morte, non ancora.
Avrebbero aspettato il giorno, solo allora si sarebbero rialzati per giocare ancora con le loro vite: lui li avrebbe aspettati e sarebbe stato pronto.
"Bisogna combattere, non c'è altro modo."





Fine.



   
 
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