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Autore: ImAFeather    29/12/2013    10 recensioni
[...]E gli occhi parlano più di mille parole dette, sussurrate o urlate; più di mille gesti fatti, gettati o pensati; perché sono occhi, fanno parte dell’uomo, ma non sono controllati da questo… sono come i diamanti scalfiti, solo, da loro simili.
E Beth sapeva che con gli occhi non si può mentire, non si può ferire; ma sapeva, anche, che con gli occhi si può amare, si può morie.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva che ciò che fa innamorare il mondo sono le parole, dolci suoni che compongono eterne melodie.
E sapeva anche che... quelle parole... pronunciate dalle sue labbra... erano state il colpo mortale.
E allora Beth disse addio a quell'ultima scheggia di cuore che le era rimasta; perchè adesso lo sapeva che era completamente, e irrimediabilmente, suo.
| Alec è un musicista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
| Beth è un'artista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
N.d.a. Non è la solita storia d'amore se d'amore vogliamo parlare!
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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»Chapter 15

 

The night of the wishes - As Ink On Paper

 

 

Beth Smith non è mai stata un di quelle ragazze per le quali l’unica cosa che conta è l'apparenza; una di quelle ‘Sono senza trucco, non posso uscire!’; o quelle che sembrano tornate da una giornata in un centro estetico, impeccabili.
No. Beth Smith è così come la si vede: Beth.
Solo che, dietro quel semplice Beth, nasconde molto più di quanto si immagini.
Solo che, dietro quel viso mai truccato, nasconde fiumi di lacrime mai condivisi con altri.
Solo che, dietro quelle felpe enormi, nasconde un insicurezza mai accettata; dietro quei capelli così lunghi un bellissimo viso e degli occhi dove, purtroppo, non può nascondere nulla.
E Beth non lo accetta, perchè avvolte, vorrebbe essere come tutte le altre ragazze; vorrebbe divertirsi, fare amicizia, risultare simpatica, e anche stupida; ma no, non lo è.
Beth è timida, e quando incontra nuove persone dice a stento il suo nome, per poi starsene lì, ferma ad ascoltare: spettatrice della sua vita.
Perchè Beth si sente sempre, e con chiunque, a disagio; prova la sensazione di essere nel luogo sbagliato, di non essere giusta, di essere di troppo. E lo odia, odia quella sensazione che le attanaglia lo stomaco, le offusca la mente e gli cuce la bocca.
Beth Smith non sopporta l’essere giudicata da persone che non compiono neanche il minimo sforzo per conoscerla, e sa, che la colpa è sua, perchè è lei a non lasciarsi andare, mai, e nonostante tutto l'impegno, non ci riesce.
Dannazione, molte volte ha esclamato.
Dannazione per tutte le volte che ha tentato, con pessimi risultati, di cambiare, di provare ad essere qualcun'altro, per poi capire che non ci sarebbe riuscita.
Dannazione per tutte la volte che ha rinchiuso le parole nella lingua nascondendole nello stomaco; per tutte le volte che ha preferito rimanere in silenzio piuttosto che difendere se stessa; per tutte quelle dannatissime volte, in cui, per non piangere, per non urlare il dolore che provava, semplicemente sorrideva e ci scherzava su; per tutte le volte che da sola si è data pugni nello stomaco, per fingere, per fingere che non le importasse.
Ma davvero non le importava?
No, a Beth importava e come; ma ha sempre cercato di essere una di quelle persone a cui non importa ciò che gli altri pensano di lei; una di quelle persone che vive la propria vita senza farsi condizionare dal pensiero altrui; una di quelle persone forti, che non piange al primo ostacolo; una di quelle persone che semplicemente, e dannatamente, non è.
Ma nonostante le cadute, le lacrime, gli addii, le parole non dette, i pugni, i sorrisi finti, Beth si è sempre rialzata, da sola, e a testa alta ha affrontato un altro ostacolo.
Perchè Beth non lo sa, ma è forte. Lo è davvero.
Lo è stata quando ha deciso di chiudere un capitolo della sua vita, di andare avanti; di non dimenticare, ma di superare.
E Beth, forse troppo presto per la sua età, ha capito e imparato a proprie spese che un legame, per quanto forte, non è indistruttibile, e in qualsiasi momento si può perderlo… in un attimo.
E, allora, si è resa conto che la vita, nel bene o nel male, non sarebbe stata più la stessa, e per quanto si sarebbe sforzata di fingere che tutto andasse bene, dentro di lei sapeva che il meglio era passato, e che il tempo a venire lo avrebbe impegnato a far credere agli altri che stesse bene, per non farli preoccupare troppo e rischiare che si sarebbero sentiti in obbligo di aiutarla, inutilmente.
Perchè l'unica cosa che avrebbe voluto era tornare indietro e far sì che tutto rimanesse come prima, perchè sapeva che la parola scusa, questa volta, non sarebbe bastata.
E allora dovette tentare di rimettere insieme i pezzi di una parte di lei che si era rotta, e cercare in tutti i modi di proseguire, andare avanti; lasciarsi quella parte di passato alle spalle, senza illudersi, perchè nonostante le ferite si rimarginano, restano le cicatrici. E se con il tempo il dolore diminuisce, questo, non significa che i ricordi vengano dimenticati, o che scompaiano. Anche se le cicatrici non si vedono, ci sono, non sono scomparse e in futuro possono tornare a sanguinare. Una ferita anche se guarita è pur sempre una ferita, un segno sulla propria anima del dolore che si è provato, del dolore che si è superato, e che è diventato una parte di se stessi.
Perchè, infondo, Beth lo sapeva; sapeva che il dolore è ciò che costituisce il nostro corpo, ciò che lo spinge a dare il massimo e poi lo fa crollare, ciò di cui l'uomo ha bisogno per crescere.
Perchè provare dolore significa aprire quelle finestre che si cerca di chiudere sul mondo; un mondo che non è così come sembra, ma pieno di trappole, e anch'esso di cicatrici.
E allora, entrambi, non saranno altro che guerrieri di una vita che si diverte a giocare sporco; non saranno altro che fantocci nelle abili mani di un burattinaio; costretti ad essere spettatori della propria vita, ad attutire i colpi, a chiudere le ferite, e a superare… per andare avanti.
Ma ciò che Beth non ha mai imparato, o semplicemente capito, è come andare avanti… come poter continuare la propria vita senza che, di notte, quando le barriere cadono e l’aria si nasconde nel buio, il passato torni, sotto forma di incubi, di vuoti nello stomaco, o ombre sulle pareti… come…
E a quella domanda, senza punto interrogativo, non c’è risposta… Beth non lo sa, e non ha nessuno che possa dirglielo.
Perché, infondo, chi la conosce veramente… chi? … se neanche lei si conosce…
Ci sono momenti, in cui, nel guardare la sua immagine riflessa nello specchio, Beth, non si riconosce… vede solo dei capelli neri, troppo lunghi; degli occhi blu, troppo scuri; una pelle chiara, troppo; … vede solo troppo, un troppo che le sembra nulla… perché lei si sente come il vuoto, invisibile e inutile; ma poi, quando, come il quel momento, il vento l’attraversa e le scorreva nelle vene, era viva; e si sentiva sostanza ... esisteva … era aria, terra, fuoco, acqua… era tutto ciò che voleva essere, era c’era.

***


Era lì, a Londra… era Capodanno, o almeno, tra poco, lo sarebbe stato…
Era lì, sul Tower Bridge… il vento l’attraversava e le scorreva nelle vene, i pensieri si mescolavano nella testa, le mani erano fredde, e il vestino rosso galleggiava nell’aria.
Il cielo era nero, e Beth non poteva non pensarci, non poteva non pensare di non sopportare più quella situazione, di essere tormentata, di non vedere altro che lui
Cosa diamine mi sta succedendo? – sussurrò, ma in realtà era un urlo, solo che dalle sue labbra ne uscì un eco lontano.
Tutto il mondo, introno a lei, correva, troppo veloce, affinché potesse raggiungerlo… affinché potesse fermarlo… e non le sembrava altro che un brusio di sottofondo, lontano … quasi silenzioso.
<< Beth… su muoviti! >> le urlò Jessy, e Beth corse verso l’amica, con i capelli che fendevano l’aria, il vestitino che svolazzava, e il naso divenuto d’un tratto rosso.
Beth era senza parole… l’aria londinese era impregnata di magia; il cielo era spento e le stelle a pochi metri dalla sua testa; non si poteva camminare, c’erano troppe persone, ma non importava, perché era lì…
Jessy aveva insistito affinché partissero da casa prima; Londra era affollata, ed erano solo le 8.00 p.m dell’ultima sera di quell’anno.
Erano tutti in coppia, e Beth: sola, ma non le importava, non quella sera… voleva, almeno per una notte, fregarsene del mondo; fregarsene di ciò che pensano gli altri, voleva essere libera, o perlomeno avere la mente vuota.
Tutti quei corpi aspettavano con ansia che l’atteso momento arrivasse; aspettavano il momento adatto, quell’attimo fuggente, per giurare e promettere amore alla persona che stringeva la propria mano.
Beth, invece, sperava solo che quell’anno che stava arrivando sarebbe stato migliore di quelli trascorsi, ma poi si disse che ciò che sperava, in realtà, lo sperava ogni anno, e che puntualmente sfumava nel lontano desiderio di quel sogno; quindi animata da uno spirito di rinnovamento e rivoluzione, si promise che quella sera ogni pensiero, o desiderio, che le avrebbe, anche solo fugacemente, attraversato la mente lo avrebbe realizzato… quella era la sua notte, la notte dei desideri.
Cercando di farsi largo tra la folla, Beth Smith, s’incammino, e si lanciò, alla ricerca dei pensieri che, sperava, ben presto l’avrebbero investita, ma tra tutti quei corpi intrisi di felicità e speranza, Beth, non trovava altro che, se proprio doveva ammetterlo, invidia…
Giunta, dopo un estrema lotta per la sopravvivenza, in una stradina meno affollata, Beth Smith, poté finalmente respirare un po’ di libertà; camminando si accorse che quell’ odore ancora un po’ natalizio galleggiava nell’aria e che, dalle case che affiancavano la strada, un aroma di cenone di fine anno si espandeva danzando, e nascondendosi, nel freddo clima.
Beth pensò che Londra, era sì una città fredda, e forse per chi non riesce a comprenderla, ostile, ma nascondeva dietro quell’ apparenza un calore, che nessun’altra città poteva offrire.
Le vie pullulanti di cuori caldi, di avventura, e giovinezza; i sorrisi; i baci scambiati in segno di promesse di un’amore, che se anche non duraturo, ricco di speranze e sogni; le etnie più svariate; l’arte, la musica, il cinema, la danza, espressioni dell’io interiore; ma soprattutto, Londra, era ricca dei più nobili e sinceri sentimenti, esistenti in qualsiasi città del mondo, ma che lì trovavano la libertà e il coraggio di essere espressi.
Il vento soffiava freddo e Beth, nel solito parka verde, rabbrividì, e si pentì e dannò per non aver preso la sciarpa prima di uscire di casa.
<< Perfetto! Ci manca solo il raffreddore! >> pensò ad alta voce.
Prese un fazzoletto dalla tasca destra del parka, prima che potesse starnutire.
Beth non sapeva dove fosse, e un lieve brivido, di freddo o paura, in quel momento non ne era sicura, l’attraversò.
Poi presa da una strana sensazione s’incamminò in quella strada alla ricerca, o scoperta, non sapeva neanche di cosa.
In sottofondo, ad accompagnare i suoi passi, destro sinistro, destro sinistro, c’era una dolce e lenta melodia. Beth ne fu catturata e incuriosita, così decise di seguire quelle note di una sconosciuta chitarra.
Dopo un po’, Beth Smith, si fermò e a pochi passi, o metri, non era sicura in quel momento, c’era un ragazzo che con la testa piegata indietro alla ricerca di una stella, che quella sera non ne voleva sapere di venire fuori, perché oscurata dalla moltitudine di luci artificiali, suonava.
Un movimento strano comparve nello stomaco di Beth, quando il ragazzo abbassò la testa, la guardò negli occhi e con un << hei! >> urlato, ma che a lei arrivò sussurrato, la salutò.

Cosa ci faceva qui?
<< ciao >> sussurrò Beth.
Alec, non sentendo alcun suono uscire da quelle labbra, prese il plettro e lo bloccò tra le corde, poi si mise la chitarra in spalla, e a passo lento e terribilmente attraente, a detta di Beth, la raggiunse.
<< hei! >> ripetè a pochi centimetri dalla ragazza.
<< ciao >> ridisse, nuovamente, ma con voce più alta.
Alec sorrise, non con malizia o altro, lo fece gettando la testa indietro e sferzando l’aria fredda che li avvolgeva trasformandola in uno
spartito ricco di note allegre.
Beth ne rimase incantata, ma una rughetta le si formò sulla fronte al suono di quella, inaspettata, risata.
<< Cosa c’è da ridere? >> si fece coraggio e chiese
<< Beh nulla… ma… >> si fermò e guardandola diritto negli occhi le si avvicinò, ma Beth, troppo sconvolta, parve non accorgersene << in tutto questo tempo ho desiderato così tanto incontrarti, ma non ti trovavo mai… >> il cuore di Beth, senza che lei ne comprendesse il vero motivo, cominciò a battere più veloce << ed ora invece, sembra, che il destino non voglia altro. >> le sussurrò così vicino, che Beth potè sentire, questa volta, la causa del brivido che l’attraversò.
<< I-io non credo nel d-destino… >> sussurrò lei tremolante.
Ed una altra sonora risata lo attraversò, spezzando quel contatto seppur invisibile ad altri, chiaro ad entrambi.

<< Cosa ci fai qui? >> le chiese Alec.
<< I-io… quello che fai tu… >> rispose poco sicura
Alec la guardò, nuovamente, e poi con un << suoni la chitarra? >> le sorrise, prendendola un po’ in giro.
Beth capì lo scherzo, e sorrise.
<< Cosa ci fai qui? >> ripetè, ma con un tono di voce più basso e profondo.
<< S-sto facendo un giro >> uscì quasi come un lamento dalle sue labbra.
<< Sola? >> chiese Alec con una nota di speranza, scappatagli dalle labbra.
<< sola… >> rispose Beth in un sussurro, ed entrambi, in qualche assurdo modo, ne furono sollevati.
Rimasero ancora lì, uno di fronte all’altro, con gli sguardi fissi, ma senza mai osare guardarsi.
Alec con le mani strette a pugno e affondate nelle tasche dei jeans, per nascondere e reprimere la voglia di toccarla.
Beth con le labbra tra i denti, per trattenere la voglia, che aveva, di baciarlo.
Poi, quel silenzio, per nulla imbarazzante, venne interrotto, e rotto, dalla suoneria del telefonino di Beth.
<< pronto? >>
Dall’altro lato era ben udibile una voce un po’ alterata, e sul viso di Alec si dipinse un sorriso vittorioso.
<< scusa, era la mia amica >> disse Beth dopo aver chiuso la chiamata con Jessy.
<< di nulla >> rispose semplicemente.

I due ragazzi si incamminarono nelle vie di una Londra viva, pronta per una fine dell’anno in grande stile, nessuno dei due aveva chiesto l’altro di allontanarsi, ma non c’era bisogno, lo avevano fatto gli occhi, che muti sì dissero molte più parole di quante avrebbero potuto dirsi parlando.
Un'altra folata di vento fece rabbrividire Beth, e Alec, toltosi la sua sciarpa nera, l’avvolse intorno al collo della ragazza; Beth sorrise: odorava di lui.

Era già passata una mezz’ora da quando avevano lasciato il centro pullulante della città, intorno a loro regnava il silenzio, spezzato solo dai loro respiri.


Alec non poteva crederci, che ora, in quella sera, si trovasse, in chissà quale parte di Londra (non che la cosa gli importasse) con lei… era bellissima: i lunghi capelli neri svolazzavano nell’aria, il naso era arrossato, e la sua sciarpa le avvolgeva il collo, e sperò, con tutto se stesso, che ne sarebbe rimasto intrappolato il profumo.

Beth non aveva mai creduto nel destino, o cose simili, ma si disse che era impossibile, che ora, lì accanto a lei ci fosse Alec; si disse che era impossibile che la sciarpa di lui le avvolgesse il collo; si disse che quel profumo che l’abbracciava non era il suo; e che probabilmente stava sognando.
Ma degli occhi, in un sogno, non avrebbero potuto brillare così tanto; e allora capì che ciò che desiderava era trascorre, quella sera, con lui… Beth Smith strinse la mano di Alec, e scacciando via il brivido che gli percorse la schiena, iniziò a correre.

Alec non si sarebbe mai aspettato un gesto così dalla ragazza che ora lo trascinava per Londra, sorrise, e le strinse più forte la mano.

I due ragazzi iniziarono a correre senza una meta, senza sapere dove e quando sarebbero arrivati; sui loro visi si imprigionarono i sorrisi di chi ha la propria vita nelle mani, e strette una nell’altra divenne unica e condivisa; dalle loro labbra sgorgarono sonore risate che riempirono l’aria.
Erano lì, uno nella mano dell’altro; respiravano la stessa aria; correvano con lo stesso passo; provano le stesse sensazioni…
Erano lì, e non avrebbero voluto essere in nessun altro posto al mondo.


Quando si fermarono, tutto in torno a loro tacque… le strade erano vuote, l’aria pungente, il cielo stellato faceva da sfondo, e in sottofondo un lieve brusio proveniente dai preparativi per il grande momento; Beth e Alec, non avevano la minima idea di dove fossero, sapevano soltanto che quella era la loro sera, e che per nulla al mondo l’avrebbero sprecata.
Lasciarono uno la mano dell’altra, poi per un secondo, che parve loro un’eternità, si guardarono negli occhi, e troppo imbarazzati abbassarono la testa: Beth per nascondere il rossore che aveva rivestito la sua pelle, e Alec perché non riusciva a reggere quegli occhi.
E allora, entrambi, si chiesero perché quell’imbarazzo non c’era stato nel momento in cui, strette una nell’’altra, le loro mani li avevano portati lì.
Alec alzò lo sguardo, si avvicinò a Beth, e in un modo così dolce, ma che a lei parve tremendamente sexy, le appoggiò le labbra all’orecchio e le disse << seguimi >>.
Beth Smith fu pervasa da una scossa di brividi, e non riusciva a capire perché, lui, uno sconosciuto, la facesse sentire così… così, neanche lei sapeva come; e lo seguì.

Alec non sapeva perché le aveva chiesto di seguirla, Dove poi?, ma sapeva, solo, di voler stare con lei più a lungo possibile.
Alec Cooper voleva solo scoprire cosa c’era in quella ragazza, che adesso lo seguiva, di così diverso dalle altre.
Alec Cooper voleva capire perché quella sera, quella del ballo, semplicemente non aveva accontentato quella matta voglia che aveva di baciarla, che ancora l’assaliva, invece di ballarci solamente.
Voleva capire perché quella ragazzina lo interessasse così tanto, perché non smetteva di pensarla, e tutti i perché ai quali non aveva risposta.
Voleva capire, solo questo, e poi, forse, tutte quelle cose strane che alloggiavano nello stomaco, nella testa e nel cuore, sarebbero andare vie.

Beth e Alec, quella sera, fecero tutto ciò di cui avevano voglia: mangiarono un kebab all’angolo di una strada; si abbuffarono con una scorpacciata di cupcake; urlarono a squarciagola una canzone che non conoscevano; corsero; risero; si tennero per mano, qualche volta; si guardarono negli occhi, quando ne erano abbastanza coraggiosi.
Visitarono Londra, non come i comuni turisti, no: la visitarono cogliendo ogni attimo, e vivendolo; la visitarono, e vissero, nel buio della notte, quando tutto tace, ma vive; la vissero negli occhi uno dell’altro; e, si dissero, che non avrebbero potuto vederla meglio.

Mancava ormai mezz’ora alla mezzanotte, e Beth convinse Alec a tornare indietro, voleva vedere i fuochi d’artificio, e glielo chiese con quel fare tipico da bambina, che Alec non potè non accettare.


Quando arrivarono nei pressi del Tower Bridge trovarono così tante persone che, anche volendo, non le avrebbero mai viste tutte, Alec si girò e vide sul volto della ragazza dai capelli neri un sorriso di delusione, e si disse che non avrebbe permesso a tutte quelle persone di rovinare quella sera, la loro sera.
Prese il polso di Beth e, ignorando le sue lamentele, la trascinò con se; sgomitando a destra e sinistra riuscirono ad uscire dalla folla, Beth era spaesata - << Dove stiamo andando? >> chiese – ma Alec continuò ad ignorarla e la portò in un vicoletto; poi quando si girò vide sul volto della ragazza uno sguardo confuso, fece finta di nulla, si rigirò ed abbassò una scala - << Sali >> le disse – e Beth, senza sapere il perché, salì.
Una volta finita la rampa di scale, si ritrovò sul tetto di un palazzo, era sorpresa, poi l’appoggiarsi di delle labbra sul suo orecchio catturò la sua attenzione - << Da qui, i fuochi, si vedono molto meglio >> - Beth sorrise, e Alec, seppur non lo vide, ricambiò.

 I due ragazzi si avvicinarono al cornicione e rimasero a bocca aperta, sotto di loro un tappeto di anime si estendeva rendendo Londra coloratissima - << wow! >> disse Beth - << già, bellissimo! >> rispose Alec – poi dal basso si alzarono grida di entusiasmo, mancavano pochi minuti.
I due ragazzi si girarono, e uno difronte all’altro, si guardarono, finalmente, negli occhi.

Dieci, nove, otto…

Non sapevano perché, ma tutta la paura che avevano provato fino a quel momento sparì, lasciando spazio al desiderio di sprofondare nero nel blu, blu nel nero; di guardarsi, e basta; perché, anche se non lo sapevano ancora, il loro posto, era lì, negli occhi dell’altro: blu nel nero, nero nel blu.

Sette, sei, cinque…

Beth, non se ne accorse, e forse neanche Alec, ma erano sempre più vicini, come due calamite che si attraggono.

Quattro…

Sempre di più.

Tre…

Respiravano l’aria dell’altro.

Due…

Chiusero gli occhi.

Uno…

Li aprirono.

 

<< Buon anno… Beth! >> le sussurrò Alec a pochi millimetri dalle labbra, per poi girarsi e andarsene, con ancora lì la matta voglia di baciarla, il prurito nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sciarpa al collo di lei.

Alec Cooper andò via.


<< c-cos… >> uscì tremolante dalle labbra di Beth.

Non riusciva a capire.
Come fa a sapere il mio nome?
Perché è andato via?
Era andato via, lasciandola lì, sola, con una matta voglia di baciarlo, il prurito nello stomaco, il suo profumo nelle narici, e la sua sciarpa al collo.
Beth Smith rimase lì.

 

Poi, d’un tratto, sulle loro labbra apparve un sorriso.
Beth e Alec, non sapevano perché, ma erano felici. Liberi.

 

<< Buon anno.. Alec! >> sussurò, nell’aria gelida, e quel lieve suonò si nascose nell’incendiarsi del cielo, e nella melodia di voci felici.

 

 

 

_______________________________________________________________________________________________
Ink Droplets

 

Care lettrici,
ecco qui un nuovo capitolo.
Mi sono impegnata molto per donarvi un capitolo bello lungo, è il più lungo della storia, e spero vi piaccia.
In questo capitolo, ambientato la notte tra la fine dell’anno e Capodanno, scopriamo molte cose su Beth, ma c’è comunque un alone di mistero che la circonda.

Quale legame avrà perso? E perché l’ha segnata così profondamente?

Cosa sarà successo?

Inoltre, questa prima parte di capitolo, è un po’ come un diario, nel quale Beth ci racconta un po’ com’è veramente; devo, perciò, confessarvi che questo è uno dei capitoli a cui sono più legata, poiché è abbastanza personale, ma tengo a precisare che Beth non sono io, ma, come già detto (mi sembra), un po’ in tutta la storia c’è qualcosa di me.
Spero, inoltre, di avervi accontentato aggiungendo un po’ di dialoghi in più, ma devo fare più pratica (quindi scusatemi xD), e per chi sperava in un loro bacio, anche la situazione si era ricreata nuovamente, non uccidetemi.
Devo dire che la mia intenzione era di far finire questo capitolo con un bacio, ma mentre scrivevo la fine, non cosa mi sia presa ma non l’ho scritto, non so mi sembrava troppo scontato, e come sapete, le cose scontate non fanno per me.
Quindi perdonatemi.
Comunque se vi va ditemi come avreste voluto il finale, e chissà, forse, mi darete uno spunto…
Non voglio dilungarmi troppo, quindi concludo.
Come sempre sarei felice di ricevere vostre recensioni, quindi non deludetemi. Ci tengo davvero molto a questo chapter.
Ringrazio:

shadows_fantasy

elev

Una canzone_ solo per te_

Erica_Writer

per le bellissime recensioni, e per recensire, sempre in modo fantastico, la mia storia. Poi un ringraziamento a chi segue, a chi ha messo questa storia tra le preferite e ricordate.
E come sempre un appello a chi, invece, sta nell’anonimato: fatevi avanti! E comunque grazie anche a voi! ^_^
P.s. Grazie per gli auguri! <3 Come avete passato questi giorni di festa? Se vi va raccontatemi.
Un enorme bacio

P.p.s.s. Allora, avviso, per chi è la prima volta che legge questo capitolo, e chi invece no, che ho apportato delle modifiche. Il capitolo non mi convinceva, ora così lo trovo, decisamente, meglio. Spero, in entrambi i casi vi piaccia, e magari ditemi cosa ne pensate della modifica apportata.
Xx Fil

   
 
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