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Autore: Hotaru_Tomoe    29/12/2013    6 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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(ATTENZIONE: POSSIBILI SPOILERS SULLA TERZA STAGIONE)

Drabble nata non di getto, di più, come reazione a questa splendida immagine



E se vi fa piangere la metà di quanto ha fatto piangere me, ringraziate Fusterya che me l'ha fatta scoprire.

Il giorno in cui Sherlock morì

Sherlock ricorda perfettamente il giorno in cui morì.
Era una bellissima giornata.

Il cielo era terso, il sole brillava forte ed una brezza leggera aveva ripulito l'aria, facendo dimenticare a tutti di trovarsi in una delle città più inquinate del pianeta.
Giornate come quelle, a Londra, erano estremamente rare ed invogliavano la gente ad uscire di casa, ad abbandonare gli uffici ed i negozi durante la pausa pranzo per godersi il tepore e l'aria profumata seduti in un parco. In giornate come quelle la gente rideva, era felice, chiamava al telefono amici che non sentiva da tempo, si sposava.
Lui, invece, moriva.
Avrebbe dovuto sentirsi un privilegiato, perché a nessuno è mai stata data la possibilità di osservare la propria morte. Quando si muore, si muore: il cuore smette di pompare sangue, i polmoni non recuperano più ossigeno dall'aria, le cellule cerebrali iniziano a decadere, assieme a quelle degli altri tessuti, a causa dell'autolisi e della putrefazione.
Eppure lui era lì, in piedi all'uscita della chiesa, impettito e rigido e si guardava morire, mentre John abbracciava Mary ed entrambi alzavano le braccia per difendersi dalla pioggia di petali candidi e chicchi di riso e ridevano felici, le fedi dorate scintillanti sulle dita.
Due minuscole lacrime, in cui si concentrava tutto ciò che restava del suo cuore, stillarono dai suoi occhi, per poi andare a morire anch'esse sul bavero del suo vestito elegante.
Poi più nulla.
Un vuoto talmente grande al centro del petto che nemmeno faceva male.
Ecco, era morto. Ora era morto davvero.
Una delle damigelle di Mary gli si avvicinò con un sorriso speranzoso; forse voleva fare due chiacchiere, forse voleva invitarlo al buffet. Non aveva alcuna importanza.
Sherlock spostò su di lei due occhi vacui e spenti, che non tradivano alcuna emozione, nemmeno irritazione (come sarebbe successo un tempo), perché non c'era più alcun sentimento da tradire: lui era morto ed i morti non provano nulla.
La ragazza sussultò sotto il peso di quello sguardo e si ritrasse con un'espressione attonita, quasi spaventata, balbettando una scusa che lui non registrò, prima di battere in ritirata.
Comprensibile.
I vivi non vogliono avere nulla a che fare coi morti.
Tutti avevano già raggiunto la sala ristorante, ma lui restò ancora qualche minuto nel giardino, sotto i caldi raggi del sole, ma ormai freddo (anche l'omeotermia ha termine con la morte), poi si incamminò, inosservato, verso l'uscita.
I morti non siedono alla stessa tavola dei vivi.
I morti non sollevano i calici brindando alla felicità del proprio migliore amico, perché la felicità è concetto estraneo a chi è morto.
I morti non possono di guardare negli occhi il proprio migliore amico e mentire.
O, perlomeno, quel particolare morto non ne era capace.

Sherlock ricorda perfettamente il giorno in cui morì.
Era una bellissima giornata.

   
 
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