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Autore: Rinalamisteriosa    29/12/2013    2 recensioni
[La famiglia italiana]
- Minilong AU | Presenza di Fem!Nord Italia | Accennini SeboMona -
“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.
Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?
Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all'aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.
Assistette a due reazioni completamente opposte.

(...)
“Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.
“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”

**Dedicata a SunliteGirl**
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Principato di Seborga, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Capitolo II

 

 

 

 

 

Elizabeta Héderváry aveva conosciuto Flavia Vargas per puro caso.

Era successo tre anni prima, quando aveva trovato lavoro come consulente matrimoniale presso un’agenzia e si era potuta permettere l’affitto di un appartamento dignitoso vicino alla scuola superiore che la più piccola frequentava. Nei due anni precedenti l’ungherese, con una borsa di studio vinta nel suo Paese, si era spostata tra Ungheria e Italia per seguire un corso d’italiano, infatti questo le era servito molto. Era una giovane in gamba, che si impegnava in ogni cosa che faceva.

Un giorno, mentre passava dall’ingresso dell’istituto scolastico con le buste della spesa in mano, dopo aver attraversato le strisce pedonali, aveva intravisto una scena che l’aveva fatta indignare non poco.

Una studentessa aveva subìto uno sgambetto da una sua compagna di scuola, e non aveva reagito quando le altre avevano sghignazzato alle sue spalle per la caduta improvvisa, come se a provocarla fosse stato un movimento goffo della stessa ragazza.

Si era subito sentita in dovere di intervenire in sua difesa.

Avvicinandosi, aveva imprecato nella sua lingua madre, dato che le veniva più naturale, con l’intento di rimproverarle; probabilmente la colpevole del gesto l’aveva anche presa per pazza, ma alla fine era riuscita a ottenere che chiedesse scusa a Flavia, andandosene via poco dopo a capo chino.

L’italiana l’aveva guardata con gratitudine e ammirazione, per poi dare sfogo alla sua esuberante e tenera curiosità, parlando e facendo un sacco di domande. Allora aveva indicato la sua scuola e aveva compreso che lì le insegnavano anche altre lingue, e che quindi se aveva difficoltà a esprimersi in italiano potevano provare con un’altra.

Elizabeta aveva replicato cordialmente che no, era meglio se si abituava con quella.

Fu allora che le due divennero amiche.

Oh. Se lo ricordava ancora come se fosse ieri.

 

 

Sostò l’autovettura senza parcheggiare, in mezzo alla strada, vicino alle strisce a pagamento.

“Siete arrivati. Scendete qui, ci vediamo dopo”, li invitò Elizabeta. Proprio perché si incontravano spesso, lei e Flavia, era venuta a sapere che la macchina di famiglia, una vecchia Fiat 500, si trovava momentaneamente dal meccanico per un guasto al motore. Quella mattina aveva chiamato giusto per cortesia, per domandare alla signora Vargas se i figli avessero avuto bisogno di un passaggio, il resto l’aveva scoperto successivamente.

“Grazie! Tu sei sempre così buona con me, Elisa. Sei sicura di non voler venire con noi?” chiese gentilmente Flavia, slacciando la cintura di sicurezza, mentre Romano apriva la portiera e scendeva per conto suo.

“No cara, non serve. Io non faccio parte della famiglia, è giusto che vada via. Ho una commissione da sbrigare, ma prometto che dopo le undici passo e mi racconti”, la tranquillizzò, per poi darle un buffetto affettuoso sulla guancia.

“Veh, ci sto. Suona il clacson e io ti vedrò. Ciao ciao!” la salutò, sporgendosi per darle un abbraccio veloce perché altrimenti l’altro avrebbe borbottato sul fatto che si perdeva troppo in smancerie e convenevoli.

Quando l’auto grigia dell’amica ripartì, si volse verso il fratello, scusandosi per averlo fatto aspettare.

“La prossima volta ricambiamo il favore, vero? Magari quando dovrà partire per le ferie!” aggiunse, procedendo gaia verso quella che a suo parere era un’entrata enorme, grigia e piena di cartelli con le indicazioni.

Romano le camminò affianco senza rispondere, pensando che in fondo non gli importava molto di favori e aeroporti. E più proseguivano all’interno dell’altissima struttura, più trovò ironicamente spassoso il fatto di dover attendere l’arrivo di qualcuno in un luogo simile. Se fino alle porte non trovarono anima viva, più si avvicinavano al banco informazioni, più vedeva accalcarsi persone di ogni tipo, tra italiani e stranieri, tra lavoratori e turisti, tra parenti e amici. C’era un viavai fastidioso di gente, bisognava muoversi per forza a zigzag. Esasperato, finì per prendere Flavia, che sorrideva a chiunque incrociassero, dal polso e trascinarla con sé, per non perderla di vista, anche se principalmente lo faceva per non dover fulminare con lo sguardo chi osasse fissarla con insistenza.

Era proprio dura, la vita del fratello maggiore.

 

 

I due sostarono sotto il tabellone digitale degli orari, che elencava partenze e arrivi dalle città d’Italia e del mondo.

“Da Genova a Roma… È l’uscita numero quattro”, lesse Flavia dopo aver individuato le informazioni che servivano per sapere dove esattamente fermarsi.

Romano stava fissando l’ora. Erano le undici meno venti del 30 settembre. Sospirò.

“Andiamo ad aspettarlo, allo-” si bloccò. Si stava rivolgendo a una vecchia suora che passava di là giusto in quel frangente. Con quelle rughe marcate e quegli occhialini gli fece impressione.

“Scusa?”.

“No, niente. Ho sbagliato persona”, mormorò spaesato, guardandosi freneticamente attorno.

Dove sei?

Fortunatamente, la sorella non era lontana, l’aveva intravista proprio mentre entrava in un negozietto del posto.

“Ho comprato il quotidiano di oggi e una rivista che parla di cucina. Così non ci annoiamo!” affermò, porgendogli il giornale ripiegato e mostrando la copertina colorata della sua, al centro vi era la foto di un bel piatto di pasta.

“L’hai presa per te o per la mamma? E comunque dovevi avvisarmi, maledizione! Mi è quasi preso un colpo quando mi sono girato e non c’eri!” la biasimò, accettando in modo brusco l’acquisto cartaceo.

Flavia trasalì, indietreggiando di due passi.

“M-mi dispiace, fratellone! Non era mia intenzione infastidirti, ti vedevo annoiato e ho pensato…” si scusò: aveva l’espressione mortificata e il labbro inferiore che tremolava un poco. Quella reazione intimorita lo fece pentire immediatamente di essersela presa con lei.

Doveva comprendere prima che la notizia improvvisa della visita non aveva colpito soltanto lui. Ci mancava che lei si mettesse a piagnucolare a causa del suo essere scontroso.

“No… Dai, Fla’, non ti dispiacere. Veramente quello che dovrebbe chiedere scusa sono io. Hai fatto bene”, le confessò, abbassando lo sguardo crucciato e massaggiandosi la nuca con la mano libera.

“Veh, non preoccuparti! Anzi, non parliamone più”, si sentì dire, prima che una mano si appoggiasse, leggera e conciliante, sulla sua spalla.

 

 

*

 

 

“Eccolo! È lui, vero?”.

Si aggrappò emozionata e curiosa al suo braccio, indicando un gruppetto assortito in avvicinamento.

“E ti pareva…” sbuffò l’altro, senza sorprendersi più di tanto. “Tale padre, tale figlio”.

Al centro della calca di persone, circondato da quattro donne diverse e in apparenza carine, frivole e civettuole, procedeva beato un ragazzo che da lontano poteva sembrare la versione maschile di Flavia, con tanto di zainetto sulla spalla.

“Diego, ciao! Siamo qui, qui!” si sbracciò la sorellina, attirando inevitabilmente l’attenzione su di sé, malgrado l’altro l’avesse avvertita, poco prima, di non fare scenate simili in pubblico.

Romano assunse la solita espressione imbronciata, tanto per cambiare, ripiegando il quotidiano che stava leggendo per scacciare pensieri molesti.

Diego Vargas ammiccò alla fanciulla vicina, indicando verso di loro e lasciando tutte e quattro con una breve frase, probabilmente di scuse.

La cugina gli andò incontro, abbracciandolo con fiducioso trasporto e venendo ricambiata con altrettanto calore.

“Che piacere rivederti, Flavia! Sbaglio o sei più femminile rispetto all’ultima volta?” constatò gioviale il più piccolo dei tre, che evidentemente si era preso già di confidenza.

“E invece tu ti sei allungato, caro Diego, prima mi arrivavi più o meno… qui!” rincarò la dose l’altra, staccandosi e ponendo la mano in orizzontale all’altezza del petto formoso. Romano levò gli occhi al cielo e non riuscì più a trattenersi, a stare in disparte.

“Credo che rimetterò la colazione. Siete stucchevoli”, commentò acidamente.

“Anche tu mi sei mancato, Romi!” lo salutò.

Il cugino fece per avvicinarsi con i suoi modi affabili, ma lui glielo impedì.

“Ehi! Non pensare che per questo ti abbraccerò anch’io, stupido Die’!” affermò, tirandosi indietro.

“Neanche se ti presento una delle mie nuove amiche?” replicò furbo, facendolo arrossire vistosamente.

“Neanche per sogno, non cederò ai tuoi ricatti, razza di dongiovanni!” sbottò, alzando la voce e portando Flavia al riso.

 

 

“Diego, ma… ma non hai anche una valigia con te?” si accorse lei con discreta perplessità, mentre andavano insieme verso l’uscita dell’aeroporto romano.

“Oh. La valigia. L’ho lasciata a mio padre: si trova a Roma da due giorni, non lo sapevate?” li informò tranquillamente.

“Come?!” domandarono in contemporanea Flavia e Romano, guardandolo meravigliati.

“Non ne sapevo nulla…” continuò lei a capo chino.

“Che bastardo”, considerò l’altro, scuotendo il capo e l’ipotesi che l’uomo avesse qualcosa in mente tornò ad affacciarsi prepotente dentro di lui.

“Beh… In tal caso, che ne dite di andare alla sua ricerca, cari cugini?” propose Diego, gli occhi verdi che brillavano alla prospettiva allettante di non andare subito a chiudersi in casa.

“Mi piacciono le ricerche. Magari…” approvò Flavia, intrecciando le dita dietro la schiena.

“Eh?! Che caspita ti sei fumato oggi? Cercare qualcuno a Roma è come andare a scovare un ago in un pagliaio. È grandissima!” s’innervosì, corrugando la fronte. “E tu zitta e non dargli corda”.

“Ma-”.

“Non starlo a sentire. Da dove cominciamo?” lo ignorò Diego, con un cenno di noncuranza.

Romano boccheggiò, lievemente offeso.

“Veh… Fammi pensare…” si concentrò attentamente, la mano sul mento e il gomito appoggiato all’altro braccio, finché non le venne l’illuminazione.

Esclamò gioiosa: “Partiamo dalla Fontana di Trevi, è bellissima! Io conosco persino la storia, te la racconterò volentieri, se vuoi!”.

Il quindicenne accolse la sua opzione con un grande sorriso, mentre Romano sentì il forte impulso di menare la testa contro il muro. O la propria o quella dell’altro, era uguale.

Il cuginetto e la sorellina si erano alleati contro di lui, pensò, seguendoli controvoglia mentre confabulavano tra loro, d’altronde non poteva permettere che Flavia girasse Roma da sola, in compagnia di una mente aperta ai piaceri della vita come quella di Diego.

E poi, rifletté, conoscendo lo zio, perché non avevano ancora considerato il Colosseo? Mah.

Sarà una lunga giornata, me lo sento. Che palle”.

 

Intanto si erano già fatte le undici e mezza.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

***

Note: Non mi sento bene oggi =.= e siccome non avevo testa per revisionare l’ultima sequenza di questo capitolo, l’ho spostata nel prossimo, che come avrete capito sarà dedicato all’inizio del giro turistico e sarà più incentrato sull’altro protagonista, cioè Seborga xD qui l’ho soltanto introdotto e l’ho fatto conversare un po’ con i suoi cugini, spero di non aver sbagliato con la sua caratterizzazione <.<

Ringrazio chiunque abbia letto e commentato (risponderò domani ai vostri pareri, sorry ^^’) e vi do appuntamento al 6 gennaio!

 

Rina

 

 

 

  
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