Andy aveva una vita davanti. Un sogno. Degli amici, una famiglia. Aveva me. Ma una macchina, una distrazione, un sabato sera in centro ha messo fine a tutto. Adesso si trova sul letto di un ospedale, gli occhi chiusi, il cuore batteva piano, aveva perso i sensi. Aveva sbattuto la testa in quell’incidente e non sorride più, non parla più, non mi saluta più. Sono ormai due settimane che non si sveglia. I medici hanno parlato chiaro:il ragazzo è in condizioni gravi, le speranze di tornare in vita sono poche. Ma in molti non credevano alle loro parole, tutti si illudevano: Andy tu sei vivo, Andy tu domani andrai a scuola e la tua vita sarà quella di sempre,nulla cambierà.
E sua madre, Rosalie, le sue lacrime ormai non cessavano più, appoggiata allo schienale della sedia restava sempre accanto a suo figlio, gli parlava, gli raccontava cose che solo una mamma sa raccontare, lo accarezzava e lo baciava, cercava di convincersi che Andy un domani si sveglierà ma in cuor suo sapeva che aveva poche possibilità di sopravvivere.
Ed io invece lo guardavo da fuori, da un vetro, non avevo il coraggio di stargli vicina, avrei pianto, avrei urlato; perché io dopo l’incidente sto bene, cammino, parlo, scrivo, mentre lui, che era con me, non può far niente? Dicono sia destino, dicono ci sia qualcuno che decida come devono andare le cose con le persone, ma perché proprio lui e non me? Lui era una persona splendida, un raggio di sole, lui era tutto. Lui era il mio tutto.