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Autore: scrittrice in canna    01/01/2014    2 recensioni
Raccolta a tema natalizio.
Niente scherzi, solo tiva e fluff.
Una OS alla settimana tutti i lunedì fino al 6 Gennaio.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Regalo di Natale 
 
  

 
Mi alzo, arrivo in cucina e prendo il pennarello che tengo sul tavolo, guardo il calendario che ho preso quando sono tornato da… insomma dopo che sono stato… dopo il mio ultimo viaggio e segno il giorno di oggi con una croce rossa, seguo con lo sguardo le altre croci, quelle che ho fatto nei giorni precedenti, tutto il mese di Dicembre è segnato, fino al 24.
 
Sono le dieci di mattina, i raggi del sole cercano di entrare a forza dalle tende chiuse, le apro e vengo sopraffatto dal calore del sole invernale e dalla luce che sprigiona, strizzo gli occhi, mi butto sul divano e prendo il telecomando della TV con la mano sinistra mentre con la destra tocco la barba incolta di qualche giorno che mi copre il viso, segno dei giorni di ferie per le feste, per il primo anno da quando lavoro per Gibbs ho Natale libero, proprio quest’anno che non ho nessuno con cui passarlo.
Scorro i canali, film di Natale dappertutto, no, non sono dell’umore giusto.
Mi alzo, metto i primi vestiti puliti che trovo e mi sciacquo la faccia e scopro due occhiaie profonde e uno sguardo morto che non mi abbandonano da un po’.  Prendo il cappotto e la sciarpa, ma quando sono a metà strada per uscire dal condominio mi ricordo che nessun tassista lavora in un giorno festivo, così faccio per tornare indietro, che diamine –penso- una passeggiata mi farà bene, il Navy Yard non è così lontano. Mi metto a camminare, il sole mi scalda la faccia, la neve ancora fredda segna il mio passaggio e ogni tanto, quando passo sotto i pali della luce, qualche goccia d’acqua mi cade sulle spalline del cappotto, è davvero una bella giornata, camminare da solo però è deprimente, se fossi in compagnia sarebbe meglio. Mi giro e per un attimo mi sembra di vederla che cammina accanto a me, lucente nel suo cappotto grigio, con i ricci che brillano sotto la luce del mattino, sorridente e felice, ma è solo il suo fantasma. Scaccio dalla mente il doloroso ricordo di lei e metto le mani in tasca.
 
Dopo un paio di minuti di cammino scorgo una figura a me familiare: il mio capo è seduto su una panchina con il suo immancabile caffè in mano e lo sguardo volto verso il passato. È un uomo che vive di ricordi ma è la persona migliore che mi sia rimasta, così mi siedo accanto a lui e sospiro, poi dico: “Bella giornata per una camminata, vero capo?”
“Sì, ci si schiarisce le idee.” Risponde lui senza guardarmi.
“Io ho tante idee da schiarire…” dico mentre davanti a me scorrono delle immagini che avevo lasciato sepolte nella parte più remota dei miei ricordi.
“Pensi ancora a lei, vero?” io abbasso la testa leggermente ancora intontito.
“È stata una sua scelta.”
“È più di un anno che non la vedo…” sospiro.
“Manca a tutti. Devi aspettare che sia lei a decidere di tornare.” Si alza e mi lascia in preda ai miei dubbi. Quando si deciderà a tornare?
“Ehi capo, stai… andando alla base?” lui si ferma, si gira e risponde: “Sì. Vuoi venire, DiNozzo?” non dico nulla, mi alzo e lo raggiungo.
Arriviamo a destinazione insieme, in questo modo il fantasma di Ziva si presenta meno.
 
Alla sera trovo un taxi di fortuna e mi faccio accompagnare fino al mio condominio. Arrivo a casa, poso il cappotto sull’attaccapanni e mi siedo sul divano, ormai la luce calda del sole non c’è più e una leggera striscia bianca illumina parte del mio appartamento lasciando il resto nella penombra, mentre sto per accendere il televisore sento uno strano rumore proveniente dalla camera da letto, come un lamento sommesso, quindi prendo la pistola dal cassetto e mi dirigo verso la porta, la apro piano e luce lunare illumina i miei cuscini, che tenevo nell’armadio, disposti sul letto come a protezione di qualcosa, mi avvicino puntando la pistola verso il letto, pronto a sparare al minimo movimento sospetto, ma più mi avvicino più mi sembra di scorgere una figura umana, molto piccola, come un bambino, infatti non appena sono ai piedi del letto capisco che i cuscini servono a non far cadere un bebè che dorme pacifico, mi chiedo come ci sia potuto arrivare un neonato nel mio appartamento, quando lo prendo in braccio sento come se lo conoscessi, lo stringo e lui stringe me, con le sue manine paffute mi prende il maglione alla ricerca di latte, una cosa che solo sua madre può dargli, ma vedo che comincia ad agitarsi così vado in cucina, sperando di avere un cartone di latte da riscaldare, ma quello che trovo è ben diverso: lei è seduta al tavolo della cucina, con  le luci spente e la coda di cavallo ben sistemata, un mio maglione addosso e un panino tra le mani, mi guarda e sorride. Non ci faccio caso, penso che può essere una delle mie allucinazioni e apro il frigo, quando la sento dire: “Che fai? Così prende freddo.” E avvicinarsi verso di me capisco che è veramente lei, che è in carne ed ossa proprio davanti a me, strabuzzo gli occhi, lascio che prenda il bambino e che lo culli, poi le chiedo ancora stordito: “Cosa ci fai qui?” lei mi guarda di sfuggita, poi dice severa: “Non potevo più stare in Israele, dovevo andarmene e non sapevo dove.”
“È tuo?” chiedo indicando il bambino di appena qualche mese.
“Sì.” La vedo alzare gli angoli delle labbra, prima che la sua espressione dura torni padrona.
“Quindi non potevi stare a Te Aviv e hai deciso di presentarti a casa mia con un bambino, perché? Per accollarmi il figlio di un altro? Per farmi vedere che sei riuscita a dimenticarmi mentre io ancora soffro per te? Perché sei qui, Ziva?” le chiedo sull’orlo di una crisi di nervi.
“Perché non posso vivere senza di te. Almeno credo…” risponde lei più dolce, ma io sono ancora arrabbiato, perché è venuta a rinfacciarmi la sua felicità? Stiro il collo e rido sarcastico.
“Abbiamo bisogno di te, ti prego Tony… non ci abbandonare!” me lo dice in maniera così dolce che mi verrebbe voglia di abbracciarla, ma non posso.
“Senti un po’chi parla di abbandono! Tu un anno fa mi hai lasciato, ora torni con un bambino di chissà chi e mi chiedi aiuto? Non funziona così, David.” Urlo.
“Smettila, ti prego.” Mi dice sull’orlo delle lacrime stringendo ancora di più il neonato.
“E perché? Perché così lo sveglio? Eh?” mi siedo al tavolo e tengo il viso tra le mani, devo nascondere le lacrime, lacrime di tristezza perché lei si è innamorata di un altro. La sento che prova a sfiorarmi la spalla ma io sussurro: “No, ti prego. Non mi toccare.” Alzo lo sguardo, scopro che entrambi abbiamo gli occhi rossi e gonfi di lacrime. Lei ha ritirato la mano e la tiene come se fosse ferita, pendente.
“Togliti il mio maglione, prendi tuo figlio e vattene. Non posso aiutarti. Va da Gibbs, lui saprà darti un rifugio purché temporaneo. Se non saprà aiutarti sono sicuro che Abby sarà più che contenta di darti una mano.” La istruisco, le prendo la giacca da una sedia e guardo quel bambino che dorme, ricordo la felicità nell’averlo tenuto e la tristezza che ha seguito la certezza che non può essere mio così come la donna che amo. In un altro momento le avrei poggiato la giacca sulle spalle ma ora non riesco neanche a guardarla negli occhi.
Lei non accenna a muoversi, le lacrime cominciano a scorrerle per le guance calde e arrossate, la bocca si contrae in una smorfia di dolore, vederla in questo stato mi fa sentire minuscolo e sento il mio cuore che vorrebbe esplodere. Sono stato durissimo con lei, ma non riesco a reagire in altro modo.
“Ti prego. Vattene. Devo andare da Ducky per la vigilia.” Dico girandomi da un’altra parte. La sento soffocare un singhiozzo, continua a non muoversi.
“Sai cosa avevo desiderato per Hanukkah?” dice a stento, io mi rigiro e aspetto che continui.
“Che… Tali conoscesse suo padre per Natale.” Si ferma un attimo e poi aggiunge: “Non avrei mai pensato che lui potesse cacciarci… certo non mi aspettavo i fuochi d’artificio ma…” non capisco quello che dice, mi avvicino poco, di un passo.
“…Magari che mi dicesse: ‘Ciao.’ Che non saltasse alle conclusioni e che mi lasciasse spiegare, forse però hai ragione, sono stata egoista… quindi se mi farai il favore di prendere Tali in braccio io mi tolgo il maglione e me ne vado.” A quel punto non posso più lasciarla andare, insomma, la piccola creatura che stringe tra le braccia è il simbolo dei nostri sentimenti, se mi fossi fermato a fare qualche calcolo avrei capito che i tempi combaciavano alla perfezione. Ora mi sento malissimo, non avrei dovuto attaccarla in quel modo. Ora le lacrime hanno cominciato a scorrere copiose, non controllo più i miei movimenti, la abbraccio quasi istantaneamente, senza riflettere, senza trattenermi.
“Scusa, non avrei dovuto, ti prego. Scusa.” La sento sorridere, mi distacco, continuo a piangere, continuo a distruggermi perché non potevo trattarla in un modo peggiore, ma lei sembra non averci pensato più di tanto, ormai ha esaurito le lacrime e riesce solo a ridere.
“Non fa niente, io… io ti perdono e ti capisco. Voglio solo il meglio per nostra figlia. Non potevo vivere con la consapevolezza di non aver mai provato a dare a mia figlia la famiglia che merita e se tu non la accetterai io ti capisco perché…”
“Io sono la persona più felice del mondo. Non potevi farmi un regalo di Natale migliore.”
Così quel fantasma che appariva in casa mia e che accompagnava le mie notti si era materializzato come per magia e mi aveva regalato il gioiello più bello, la cosa migliore che potesse succedermi, il miracolo di Natale per eccellenza: una bambina che mi avrebbe portato solo felicità, anzi che ci avrebbe portato felicità perché da quel momento in poi qualsiasi cosa avrei fatto sarebbe stata accompagnata da lei, il mio unico desiderio, la mia foto più bella, la mia ninja.





 
scrittrice in canna's corner

ahahaha vi prego non uccidetemi :')
Lungo periodo di assensa, lo so. Mi farò perdnare. 
Intanto buon anno! 

vostra
scrittrice in canna
   
 
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