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Autore: Reagan_    02/01/2014    4 recensioni
“Si voltò verso una foto che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle loro nozze.
Ricordava perfettamente il forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido sorriso e quel “sì” detto in francese, e gli sguardi pieni di diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.”

Prima classificata al Contest "Het, Slash, FemSlash ... mi va bene tutto purché sia costruttivo" di Sere-Channy.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Terzo Capitolo


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Asfodeli


Luglio 2027-Londra




Doveva aspettarselo.
Non poteva filare tutto così liscio. Nelle ultime settimane aveva fatto di tutto per saldare quel fragile legame che li aveva uniti quasi all'improvviso e ogni volta che lei ricordava, quasi sempre fatti inutili, l'ansia lo prendeva.
Ma quando quella mattina tornò dalla sua corsa mattutina, rilassato e pronto per una giornata da passare scrivendo, trovò Clémence seduta nella stanza di quel loro figlio mai nato, gli occhi sbarrati e il petto ansante.
Non si accorse nemmeno della sua presenza finché non cercò di svincolare dalla sua presa.
-Stai lontano da me.- gli urlò spingendolo contro la porta. -Stai lontano da me, hai capito?- Peter si scostò, cercando di evitare i suoi colpi e ricordandosi solo di quanto le sue mani fossero forti ed addestrati per uccidere.
Lei si chiuse nella stanza e lui rimase ore seduto davanti, in attesa di trovare le parole per spiegarle il motivo di quell'omissione, ma più scavava e più si rendeva conto del suo egoismo.
Sarebbe stato facile ricominciare di nuovo, cancellando nel vero senso della parole il passato. Nessuna ferita sanguinante tra loro, solo qualche ricordo confuso.
Avrebbe potuto finalmente azzerare gli errori che aveva commesso in passato e condurre la vita che aveva sempre sognato, senza più dolore, senza più liti.
Sorrise amaramente ai suoi squallidi pensieri e le patetiche scuse che stava costruendo e si alzò, deciso a lasciare quella casa.





-Nascerà per la fine di aprile.- disse una dottoressa scribacchiando numeri e dati in una cartelletta gialla.
Peter le strinse la mano e accarezzò con le lacrime agli occhi il suo piccolo ventre rigonfio.
-Se non sbaglio i calcoli lo avete concepito per la fine di agosto, congratulazioni.-
il medico passò a Clémence una piccola serie di foto in bianco e nero e si dileguò dalla piccola stanza spoglia.
Il sorriso di Peter si congelò e le mani di Clémence tremarono.




Rovistò in tutta quella stanza per ore, non trovò nulla che l'aiutasse a ricordare.
Non c'era nemmeno una foto di quello che avrebbe dovuto essere suo figlio, solo una piccola cornice vuota.
L'improvvisa idea che suo figlio, un piccolo neonato, fosse morto ancora prima di nascere la sconvolse.
Scoppiò in un piano isterico e si lasciò scivolare a terra, mentre il suo cervello cominciava ad assimilare esigue informazioni e un forte mal di testa le fece venire la nausea. Quel piccolo ricordo si sovrappose a quel volto coperto di fumo che la sua mente continuava a rammentare.

Forse quella creatura innocente era frutto di una sbadataggine di un caso che aveva tentato di soffocare in ogni modo.
E il solo pensiero la travolse definitivamente.
Fu solamente quando la stanza divenne troppo buia e le lacrime si erano seccate lungo le guance che uscì e si diresse verso la cucina.
La casa era silenziosa ed evidentemente abbandonata, Clémence bevve una quantità spropositata di bicchieri d'acqua ma la sua gola rimaneva secca, passò alle bottiglie di birra inglese che scendeva corposa ed infine si gettò sullo champagne che aveva comprato giorni prima per festeggiare l'imminente compleanno di suo marito.
Paradossalmente bevve per dimenticare.






Per due lunghi giorni, Clémence non vide o sentì suo marito.
Dal suo armadio mancavano poche cose, una giacca, un paio di pantaloni, una valigetta, poche cose prese alla rinfusa. All'inizio non se ne preoccupò, era ben felice di crogiolarsi nel dolore privatamente, nello spazio di una casa che pensava di conoscere ma che rivelava antri oscuri e ricordi dolorosi.
Eppure dopo due giorni di lontananza, non poté iniziare a cercarlo.
Rovistò in giro per il quartiere, chiamò la sua famiglia provando a mantenere un tono disinvolto e dando colpa alla sua amnesia, bussò a casa del suo migliore amico e fece un salto dall'editore.
Si arrese tre giorni dopo e decise che non avrebbe sprecato altre energie.
Passò i giorni seguenti a letto, scossa da una forte nausea e di lancinanti mal di testa che l'allontanarono dall'alcool e l'avvicinarono sempre di più ai medicinali che tanto odiava.
Non si accorse, quasi una settimana dopo, di quel piccolo vaso in ceramica blu, posto accanto alla porta pieno di delicati fiori di asfodelo.
Sopra un piccolo biglietto che aprì con le mani tremanti e lesse con filo di voce.
-Rimpianto … -
Solo ore più tardi notò che non era altro che una cartolina della stazione nord di Parigi, una pugnalata spietata ai pochi ricordi degli inizi della loro storia.
Con le lacrime agli occhi cestinò il tutto.
I giorni che seguirono li trascorse prevalentemente fra il lavoro in giardino e un perenne senso di nausea e spossatezza che sembrava coglierla soprattutto di mattina, le ci vollero fin troppi giorni per rendersi conto che dentro di sé maturava da tempo una nuova vita.





Lasciarsi dietro le spalle l'afa di Parigi fu l'unico aspetto positivo di quel breve rientro.
Doveva ritirare il visto per uscire dall'Europa, prendere un paio di cose da casa e salutare definitivamente Clémence.
Sapeva che lei lo aveva cercato e la cosa l'aveva prima quasi commosso e poi gettato nel panico, cosa le avrebbe detto poi?
Che cosa sarebbe successo dopo tutto quello che aveva fatto?
Clémence non si sarebbe più potuta fidare di lui, così come non si era mai del tutto fidata delle sue intenzioni prima.
Infilò la mano fra i capelli rossi e posò la testa sul freddo vetro del treno, assaporò il veloce scorrere delle campagne inglese che venivano sostituite dai capannoni industriali.
Quando scese dal treno e s'incamminò lungo la banchina temette di essere impazzito.
Ferma ad aspettarlo c'era Clémence.
Peter deglutì incerto e si avvicinò.
-Ciao … -
-Sei un pezzo di merda.- sibilò Clémence a braccia incrociate. -Un deficiente di prima categoria. Avresti potuto anche lasciare un messaggio.-
Peter si grattò la testa e la guardò confuso. -Avresti veramente voluto sapere che stavo fuggendo?-
-Il problema non è nel voler sapere o non voler sapere, il problema sta nel fatto che hai deciso di non degnarmi nemmeno di una piccola spiegazione.- Clémence si morse il labbro agitata. -Mi sarei bevuta ogni tipo di scusa, perché a me non importava sapere le tue motivazioni ma cercare di capire com'era possibile che mi fossi completamente dimenticata di mio … - un singhiozzo bloccò le sue parole, gli occhi umidi e le spalle che le tremavano sconfissero ogni senso di colpa e la strinse fra le sue braccia.
-Figlio, nostro figlio … - completò lui, baciandole la testa.
Peter la cullò a lungo, riuscendo a mascherare perfettamente le sue di lacrime, e poi le propose di tornare a casa. Quel viaggio in macchina fu identico al loro primo ritorno dopo l'incidente.
Clémence si sedette sulle scale del patio e rifiutò il bicchiere di brandy.
Peter si sedette accanto a lei e lo fissò stranito.
-Perché? Stai male?- domandò disorientato Peter spostando il bicchiere.
-Ti spiegherò dopo.- gracchiò Clémence voltando lo sguardo e passando una mano sullo stomaco teso.
Il silenzio sceso tra loro era rotto dai rumori della strada e dal chiacchiericcio dei bambini che giocavano ancora per strada.
-Mi sono ricordata di alcune cose. Sono frammenti, mi ricordo di una visita da una ginecologa che non è stata così lieta e mi ricordo di te, in ginocchio che mi chiedi la mano. Sarebbero dei bellissimi ricordi se non fossero sciupati da una strana sensazione.-
Peter ascoltò con attenzione e rammarico, non avrebbe voluto parlare di quei giorni, ma fece un respiro profondo e cominciò a riportare in vita quei mesi difficili.
-Quando ci siamo conosciuti quella notte, era stato tutto fin troppo magico e perfetto e quando ti ho trovata davanti a casa con ancora la divisa militare e una custodia di violino in mano, ho capito di essere stato fortunato ad incontrarti. Tu, però, uscivi da una relazione burrascosa con un tuo collega e quando quella dottoressa ci disse che il bimbo era stato concepito alla fine d'agosto, sapevamo entrambi che le possibilità che fosse mio figlio, erano esigue.-
-Allora perché mi hai chiesto di … Sposarti?-
-Perché non volevo che tornassi da lui e che finissi … Sapevo di poter amare quel bambino ed ero certo di amarti.- Peter le prese una mano.-Doveva nascere in aprile...-
-Ma lo abbiamo perso a marzo.- sussurrò Clémence.-Aveva un adorabile ciuffo rosso. E le sue manine erano perfette.- Aveva lo sguardo puntato sul nulla. Sorrise al vuoto al ricordo sbiadito di quel viso rugoso e rosso di un bimbo troppo perfetto per quel mondo.
-Quando sei tornata a casa, tutto era cambiato. Non siamo riuscita a trovare un nostro equilibrio e tu ti eri messi in testa di rimanere incinta subito, nonostante io non fossi d'accordo. Ogni mese assaporavi la delusione, ogni giorno te ne stavi seduta qui, dopo il lavoro, per ore intere.-
Clémence asciugò le lacrime e per uno strano motivo le venne da ridere. -Non ti sembra strano che ora ci troviamo seduti proprio qui?-
Peter ridacchiò e le baciò il palmo della mano più volte. -Ero arrabbiato con te e allo stesso momento volevo proteggerti da te stessa. Mi dispiace per tutto, so che forse è troppo tardi … -
-Non c'è tempo per il rimpianto.- mormorò Clémence stringendo la sua mano e portandogliela lentamente sul suo ventre. -Abbiamo ancora speranza.-
Peter ci mise qualche secondo prima di aprirsi in un sorriso sincero e travolgendola con un abbraccio stritolante.
-Ti amo, ti amo, ti amo.-
Clémence sorrise e si allontanò di un millimetro. -Anch'io ti amo, lo ricordo e lo sento anche oggi.- gli baciò una guancia e avvampò all'idea di un nuovo futuro.


Note:
Voglio ringraziare tutti coloro che si sono prodigati nel commentare e nel leggere.
Un ringraziamento speciale a Sere che ha ideato il contest e grazie ancora al primo posto, non penso proprio di meritarmelo.
Alla prossima,
Reagan_
   
 
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