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Autore: Chtsara    03/01/2014    4 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
~
Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Non è possibile. Sto sicuramente sognando.
Eppure quella cosa continuava a muoversi verso di me, sospesa nell’aria, con gli occhi bianchi e spettrali. Da quando in qua esistevano i fantasmi, poi? No, doveva essere per forza un sogno. Eppure iniziavo a sentirmi male, i contorni degli alberi apparivano sfocati, la testa mi bruciava da morire e l’unica cosa che continuavo ad avvertire era il suo grido, che si diffondeva nella foresta e dintorni mentre un velo di sudore freddo andava diffondendosi sulla mia schiena. Forse era tutto vero...
Ma allora perché continuo a stare ferma come un’idiota?
Dovevo scappare. Continuando ad osservare di sottecchi quello che a tutti gli effetti sembrava uno spirito con le orbite vuote, i lunghi capelli bianchi e fluttuanti e il viso scheletrico, iniziai a fare qualche passo indietro. Sarei dovuta tornare in collegio? E se mi avesse seguita fino a lì?
Ma qualcosa apparve subito dopo nel mio campo visivo, come se fosse piovuta dal cielo: una figura scura era comparsa tra me e la donna fantasma, poggiato a terra su un ginocchio solo, brandendo tra le mani un qualcosa che aveva appena conficcato nel terreno che poteva essere una spada o semplicemente un bastone.
Mi portai una mano alla bocca per impedirmi di urlare, troppo presa ad osservare le sue enormi ali nere che si spiegavano lentamente mentre quello si alzava e si dirigeva correndo verso la donna.
Perfetto, ora potevo scappare senza che quella cosa mi seguisse.
Come leggendomi nel pensiero, il nuovo arrivato lanciò all’indietro un qualcosa di affilato che sfiorò il mio orecchio destro con un sibilo acuto e andò a centrare l’albero accanto a me.
“Non osare muoverti, ragazzina”, sentii dire da una voce fredda e maschile, evidentemente proveniente dall’essere alato.
Diedi un’occhiata veloce al pugnale appena conficcatosi nel tronco dell’albero e subito mi rigirai a guardare la scena che si svolgeva davanti ai miei occhi, inorridita: l’uomo con le ali stava estraendo quella che si rivelò essere una spada dal terreno e la stava trapassando nel corpo della donna fantasma, la quale si tramutò istantaneamente in uno sbuffo di fumo.
Avevo ancora il suo grido acuto nelle orecchie quando il buonsenso mi suggerì di scappare il più veloce possibile da quell’assassino.
Ancora una volta sembrò capire le mie intenzioni, perché non appena mi girai per tornare in collegio sentii una mano spingermi premendo sulla schiena e facendomi sbattere violentemente all’albero contro cui aveva lanciato il pugnale qualche momento prima.
 “Ti avevo ordinato di non muoverti”, sibilò l’uomo alato, alle mie spalle, come a volermi bloccare tra lui e il tronco. Con orrore mi accorsi che il pugnale non era più vicino a me, ma l’improvvisa lama fredda che mi sentii puntare dritta al collo non poteva dare altre spiegazioni della sua improvvisa scomparsa.
“Chi sei?”, sussurrò l’estraneo al mio orecchio, distaccato e al tempo stesso divertito.
“Non pensi che dovrei essere io a chiederlo a te, per prima?”, sbottai con un coraggio che fino a qualche momento prima non credevo di possedere.
Premette la lama con più insistenza sulla mia pelle e a quel punto prevalse il mio istinto di sopravvivenza. “Elenoire Wild”, sbuffai. “Vivo al collegio qui vicino”.
Sembrò soppesare quelle mie parole perché aspettò qualche secondo prima di chiedermi, freddo: “Da quanto tempo?”.
Mi strinsi nelle spalle cercando di ignorare il pugnale puntato ancora contro di me. “Da sempre”.
Con una mossa brusca di cui capii ben poco mi fece girare completamente per guardarmi in faccia, la lama ancora premuta sul mio collo.
A malapena repressi l’impulso di inarcare le sopracciglia e spalancare la bocca dalla sorpresa. Quello non poteva essere un assassino, mi rifiutavo di crederci: sembrava avere la mia stessa età e le spalle enormi gli davano un’aria di assoluta imponenza, da cui spuntavano delle altrettanto grandi ali nere; i suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo che richiamava sorprendentemente il colore del ghiaccio, i capelli neri si muovevano in sincrono con la brezza leggera che tirava nella foresta e la bocca carnosa scopriva dei denti bianchi e perfetti in quella che sembrava un’espressione di incredulità molto simile alla mia, ma che non durò a lungo. Si ricompose subito e fece prevalere una maschera dura e indifferente. Mi lasciò andare con uno scatto indietreggiando di qualche passo, conservando il pugnale nella cintura.
“Ora posso sapere con chi ho il piacere di parlare?”, domandai con un sarcasmo abbastanza evidente e un sorriso tutt’altro che sincero.
“Non è il tempo di fare domande, ragazzina”, sbottò quello con un ghigno, disgustato.
Sentii la rabbia montare dentro di me ad ogni secondo che passava. “Non chiamarmi più in quel modo, fatina”.
Mi maledissi da sola nel momento esatto in cui finii di pronunciare quelle parole. Stavo correndo un pericolo decisamente grosso, considerata la stazza di quel ragazzo, ma non avevo abbastanza autocontrollo da impedirmi di dire una frase del genere; perciò non mi sorpresi quando le sue enormi mani si strinsero all’istante attorno al mio collo sul punto di strangolarmi.
“Prova a dire qualcos’altro e non sarai più tanto contenta di avere quella lingua da bimbetta insolente e orgogliosa”, sussurrò ad un palmo dal mio naso.
Eravamo tanto vicini che potevo scorgere le diverse sfumature dell’azzurro cristallino delle sue iridi; incassai quelle parole e continuai a fissarlo stringendo gli occhi con aria di sfida.
Un rumore di zoccoli non molto lontano pose fine a quella situazione: la testa dello sconosciuto si voltò immediatamente verso il sentiero che collegava il villaggio al collegio e, senza dar segno di pensarci due volte, afferrò il mio polso e mi trascinò il più lontana possibile dalla strada, dritti nel cuore della foresta.
“Potrei sapere... ahia... dove mi stai portando?”, protestai furiosa dopo qualche minuto tra un inciampo e l’altro nelle radici degli alberi.
“Non ti avevo detto di non fiatare?”, ringhiò lui fermandosi in una radura rischiarata dai raggi lunari e immersa nel silenzio.
“Oh, ma sentilo, credi davvero che possano sentirci? Siamo lontanissimi!”.
Si girò verso di me lanciandomi un’occhiata che ancora una volta mi fece pentire di aver parlato. Incrociai le braccia sul petto, decisa a non perdere un briciolo di dignità.
Di tutta risposta, sulla sua faccia si allargò un sorriso beffardo, furbo e cattivo. “D’ora in poi dovrai fare tutto quello che ti dico io”.
Non riuscii a non inarcare di botto le sopracciglia. “Non prendo ordini da nessuno, tanto meno dagli sconosciuti”.
“Oh, be’”, sussurrò senza smettere di sorridere. “scoprirai di non avere altra scelta”.
Mi portai le mani ai fianchi ostentando un’espressione che speravo potesse darmi un’aria di infinita imponenza, che però ingrandì ancora di più il sorriso del ragazzo. “E perché?”.
Indicò il mio collo con una sorprendente nonchalance e riprese la sua abituale faccia da schiaffi e il suo essere distaccato e disgustato.
Abbassai gli occhi, non capendo quello che volesse dire: eppure eccola lì, una collanina con un cuore luccicante che prima di sicuro non avevo. “E questa...?”.
Le ali dell’estraneo presero a muoversi lentamente mentre quello iniziava a fissarmi come se stesse facendo uno sforzo colossale per non uccidermi. “Hai presente il momento in cui avrei potuto toglierti la vita semplicemente stringendo la presa sul tuo sottile, piccolissimo collo?”. Quando annuii, continuò: “Non potevo farmi sfuggire un’occasione simile, quindi ne ho approfittato: prova a disobbedirmi e la catenina porrà istantaneamente fine alla tua inutile vita. E no”, aggiunse, come leggendo la mia domanda nei miei occhi. “non puoi togliertela”.
Nonostante in quel posto cominciassi seriamente ad avere freddo, non potei non accorgermi di avere le guance in fiamme, preda di un attacco di rabbia e ribellione. “Ora mi spieghi chi sei?”.
Sospirò, falsamente dispiaciuto, e scrollò le spalle. “Temo di no, ragazzina. Devo portarti subito al tuo collegio, è tardi”. Si morse un labbro, quasi ad impedirsi di sorridere. “Ho la sensazione che, dopo stanotte, ci rivedremo molto presto”.
Non appena lo vidi avvicinarsi, ridacchiai sarcasticamente. “Non credo prop... MA CHE COSA STAI FACENDO? LASCIAMI!”.
Era stato più veloce di quanto pensassi: non mi aveva nemmeno permesso di finire la frase che aveva cinto la mia vita con entrambe le braccia e si sollevò da terra con me al suo seguito; vidi l’erba allontanarsi dai miei piedi mentre il ragazzo alato spiccava il volo senza accennare ad allentare la presa su di me, ignorando le mie urla e i miei lamenti.
Quando riuscii a scorgere il sentiero, strinse più forte le braccia e sibilò: “Se continui a strillare come un’oca giuro su tutto quello che vuoi che ti lascio cadere”.
Il resto del tragitto fu straordinariamente silenzioso.
Era stranissimo vedere il terreno sotto di me da quell’altezza, nonostante la situazione: il collegio si stagliava enorme mentre ci avvicinavamo sempre di più alla balconata della mia stanza, nella facciata posteriore dell’edificio.
Attraversammo volando la finestra stranamente aperta della mia camera e il ragazzo alato mi lasciò cadere improvvisamente e con una certa arroganza sul pavimento, al punto che atterrai barcollando su entrambi i piedi.
Mi voltai verso di lui, furiosa, ma non appena mi girai mi accorsi di essere rimasta da sola. Possibile che fosse già sparito? Possibile che fosse già andato via?
Corsi a chiudere la finestra con uno gesto tanto violento da far tremare il vetro.
Stupido coso alato, pensai tra me e me. E si lamenta pure se lo chiamo “fatina”.
Mi guardai attorno, non sapendo cosa fare. Perché stavo lì impalata? Non avevo idea di che ora fosse e sicuramente il giorno dopo... o meglio, la mattina dopo mi sarei addormentata durante le lezioni se non fossi andata subito a riposarmi.
Litigai con le gonne della divisa del collegio nello sforzo di svestirmi ed infilare la mia camicia da notte e quasi risi di me stessa quando incominciai a saltellare come un’idiota nello sforzo di non inciampare.
Presa dalla curiosità, portai le mani al cuore della collanina e tentai con molta prudenza di toglierla, sperando che le parole del ragazzo fossero del tutto infondate: nello stesso momento in cui cercai di sfilarla, quella si strinse con ancora più forza e di scatto lasciai la presa: no, non scherzava.
Sbuffai e, posando le scarpe a terra, mi cadde l’occhio su un foglio di pergamena chiuso da un sigillo dall’aria ufficiale accanto alla porta, come se qualcuno l’avesse fatto passare di sotto. Mi inginocchiai, lo presi e lo aprii, sicura che avessero commesso un errore: non avevo mai ricevuto nulla del genere, tanto meno dalla casata reale, la quale si teneva orgogliosamente lontana dal mondo comune.
Leggendo il destinatario, però, mi accorsi che la lettera era stata recapitata alla persona giusta e con un tuffo al cuore iniziai a leggerne il contenuto. Avevano già saputo quello che era successo con il ragazzo alato e avevano deciso di condannarmi a morte?
Ma, ancora una volta, mi sbagliavo.
 
Cara Signorina Wild,
Lei è cordialmente invitata al compleanno di Sua Maestà il Re Leonardo per il compimento dei Suoi diciotto anni il 9 maggio seguente; il ricevimento si terrà nel Castello Reale nel tardo pomeriggio; Lei sarà scortata, come tutti gli allievi del Collegio degli Angeli, attraverso una carrozza che la condurrà a destinazione.
Cordiali saluti.
Casata Reale
 
Era uno scherzo. Era sicuramente uno scherzo. Da quando il giovane re aveva intenzione di partecipare alla vita della gente comune?
Scossi la testa, incredula, e lasciai la lettera sul comodino accanto al letto, mentre con una piccola parte della mente mi accorgevo che mancavano solo due giorni alla festa.
Spostai le coperte del letto in modo da potermi stendere tra le lenzuola, stanchissima. In quell’unica giornata erano successe cose troppo strane per essere vere ed ero sicurissima che, non appena mi fossi svegliata, avrei riso della mia mente subdola e abbastanza contorta da concepire sogni del genere.
Strinsi il cuore della collanina come a volermi aggrappare disperatamente a quella speranza, nonostante una piccola ma ostinata parte di me cominciasse a rassegnarsi al fatto che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima giornata semi-normale della mia vita.
 
La mattina dopo fui svegliata dai raggi del sole che filtravano attraverso il vetro della finestra con profonda insistenza fino a colpire i miei poveri occhi.
Fui seriamente tentata dalla voglia di rigirarmi tra le coperte e mettermi il cuscino sulla testa, ma non potevo assolutamente permettermi di arrivare tardi alle lezioni.
Mi alzai dal letto brontolando qualcosa che non capii nemmeno io, infilai la vestaglia appesa alla sedia della scrivania e mi stiracchiai con un enorme, soddisfacente sbadiglio. Mi sentivo come ringiovanita, quella dormita non poteva non avermi fatto bene.
Mi avvicinai trascinando i piedi verso il bagno adiacente alla mia stanza per darmi una rinfrescata e svegliarmi del tutto; infilai velocemente la divisa del collegio, litigando ancora una volta con le gonne, e mi abbassai per prendere le scarpe accanto alla porta.
Un ricordo improvviso si fece largo tra i miei pensieri, distraendomi da tutto il resto.
Mi ero completamente dimenticata di quello che era successo la notte prima, o meglio, di quello che speravo fosse semplicemente un sogno. Prima ancora di controllare se avessi o no la collanina al collo, mi voltai riluttante e con una lentezza quasi esasperante verso il comodino: eccolo lì, l’invito reale al compleanno del re.
Mi sentivo il cuore in gola e con una mano tremante mi portai le dita nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il ciondolo a forma di cuore. Nel sentire il contatto con quel piccolo oggetto freddo, un vuoto allo stomaco improvviso confermò i miei sospetti: non era stato solo un sogno.
Infilai distrattamente le scarpe e armeggiai un’altra volta con i capelli cercando di non rovinare i boccoli. Con un profondo sospiro di rassegnazione, presi la borsa dei libri, aprii la porta e uscii nel corridoio.
Nell’istante che seguì fui seriamente tentata dall’idea di rientrare in camera e chiudermi dentro a chiave: c’era gente ovunque che correva da una stanza all’altra con delle espressioni di autentico terrore. Mi guardai intorno nella speranza di scorgere Hannah, la quale mi spuntò davanti pochi secondi dopo.
Alzò gli occhi al cielo. “Oh, finalmente! Temevo non ti svegliassi più!”.
“Mi spieghi cosa sta succedendo?”, chiesi, mentre una ragazza mi veniva addosso senza nemmeno accorgersene e si allontanava a grandi passi.
“Il re verrà ad ispezionare il collegio tra un’oretta, più o meno”. La voce e il sorriso indicavano in modo abbastanza chiaro la sua eccitazione. “Per oggi le lezioni sono sospese e ci stiamo dando tutti da fare... oh per l’amor del cielo, fa’ attenzione!”, sbottò ad una ragazzina del secondo anno che dalla fretta andò a schiantarsi addosso a lei. “Dicevo, siamo tutti impegnati a renderci presentabili perché...”. E qui abbassò talmente tanto la voce che dovetti avvicinarmi a lei per sentirla. “si dice stia cercando moglie”.
“Sarebbe pure ora”, sbuffai, senza però riuscire a trattenere un risolino.
La mia reazione sembrò sconvolgerla. “Non ridere! Sai, è una faccenda seria!”.
Aggrottai le sopracciglia, confusa. “Chi mai vorrebbe sposare qualcuno che passa tutte le sue giornate chiuso nel suo castello senza nemmeno dare un’occhiata a ciò che succede fuori, nel suo regno? Il popolo potrebbe pure morire di fame e lui non se ne accorgerebbe nemmeno”. Alla sua occhiataccia alzai entrambe le mani e aggiunsi: “È un dato di fatto, non l’ho inventato io”.
Hannah sospirò e mi trascinò verso le scale conducenti ai piani inferiori. “Dobbiamo fare colazione prima che possa arrivare il re”.
La sua stretta era talmente salda e sicura che non mi rimase altro che seguirla senza opporre resistenza, sperando al tempo stesso che il mio stomaco smettesse di brontolare.
Entrammo in una mensa stranamente poco affollata e la fila davanti a noi non ci mise molto a sparire tra i tavoli; quindi ben presto arrivò il nostro turno.
“Buongiorno, signora Jane”, disse Hannah alla donna dietro il bancone pieno di biscotti, torte e frittelle: era sempre amichevole e solare con gli studenti, la adoravano tutti.
Jane, infatti, sorrise. “Buongiorno, Hannah! E buongiorno, Elenoire! Cosa ordinate?”.
“Due tazze di latte”, rispose Hannah semplicemente con una scrollata di spalle.
Mi voltai subito verso di lei, indignata. “Che cosa? Ma io ho fame!”.
“Almeno oggi dobbiamo mantenere una certa linea, se sai cosa intendo”, mormorò lei tutta altezzosa mentre Jane ci porgeva le tazze di latte e ridacchiava: “Sono d’accordo con Hannah. Buona colazione!”.
Prendemmo posto al tavolo accanto alla finestra per dare ogni tanto un’occhiata al sentiero.
Quando Hannah intravide la carrozza con lo stemma reale, quasi si strozzò con il latte.
“È arrivato!”, esclamò. Ma quando mi guardò perse ogni traccia di entusiasmo. “E quella collanina da dove spunta?”.
Mi ero completamente scordata di indossare ancora quel ciondolo a forma di cuore e tutta la mia sicurezza mista all’arroganza si dissolse all’istante. E ora cosa le avrei raccontato?
  
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