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Autore: Chtsara    03/01/2014    4 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
~
Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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“Io... ehm...”.
Un urlo improvviso interruppe quella che sicuramente sarebbe stata una bugia poco credibile fondata su una storia altrettanto inverosimile.
“Tutti gli studenti si riuniscano nell’atrium! Il re sta per entrare!”, strillò Domina Maria, appena apparsa dalla porta della mensa con la stessa velocità con cui scomparve poco dopo.
I pochi ragazzi seduti nella sala si alzarono contemporaneamente diffondendo nell’aria il rumore di sedie e tavoli spostati.
Hannah mi prese all’istante per il braccio e corremmo quasi volando nell’atrium già affollato. Non indugiò a distribuire gomitate gratuite a tutti coloro che le impedivano di avere una visuale decente, con me al suo seguito.
In quell’esatto momento, il portone d’ingresso si aprì e si versarono all’interno tre figure vestite in modo indubbiamente elegante: apriva il corteo un anziano baffuto con l’aria altezzosa degna del lavoro all’interno della casa reale che sicuramente ricopriva; alla sua sinistra, un uomo decisamente più solare sorridente e con dei folti capelli neri che avanzò di qualche passo accompagnato dal ragazzo biondo e con gli occhi chiari che chiudeva la fila.
Domina Maria andò loro incontro con un enorme sorriso e strinse tutte le mani che le venivano porte.
“Benvenuti! Oh, Vostra Maestà, quale onore!”. Se non avesse smesso di stringere la mano al ragazzo biondo probabilmente entro pochi secondi gliel’avrebbe strappata, ma quello continuò a sorridere tranquillamente.
“Grazie per l’accoglienza, Domina Maria”, si intromise l’uomo bruno con un inchino.
Il re, senza cambiare espressione, diede un’occhiata veloce alla folla di studenti davanti a lui, evidentemente radioso; passò in rassegna tutti quelli della prima fila, Hannah compresa, visto lo squittio che si levò dalle sue labbra non appena lo sguardo del re si posò su di lei.
Poi fu il mio turno: stavo guardando il re dal momento in cui era entrato nell’atrium, dando un’occhiata al suo fisico alto e imponente che speravo passasse inosservata; avevo notato, ovviamente, anche i suoi capelli biondi che riflettevano la luce del sole che filtrava dalle finestre della stanza enorme; ma fino a quell’istante non mi ero accorta del colorito verde smeraldo che caratterizzava i suoi grandi occhi. Sarebbero sembrati anche carini, se non avessi sentito qualcosa nel mio stomaco iniziare a fare le capriole regalandomi un terribile attacco di nausea.
Distolsi lo sguardo all’istante come se fossi appena stata scottata e cominciai con insistenza a fissarmi le scarpe. L’occhio mi cadde sul petto scoperto dalla divisa, arrossato, e solo allora mi resi conto del calore che il ciondolo aveva iniziato ad emanare, riscaldandomi la pelle: non era proprio un contatto piacevole e acchiappai d’istinto il cuore luminoso tenendolo sospeso dal petto con noncuranza, sperando che nessuno se ne fosse accorto.
Con uno strano presentimento, però, gettai un’occhiata al re per vedere se anche a lui fosse successa la stessa cosa: il sorriso era svanito e lo sguardo era fisso poco sopra la mia spalla destra, in grado di scorgermi di sottecchi ma senza vedermi davvero.
, disse una vocina dentro di me. Se n’è accorto anche lui.
Spostai di nuovo gli occhi sulle mie scarpe tentando con tutte le mie forze di ignorare i brontolii insistenti del mio stomaco: la nausea non accennava a sparire e non sapevo per quanto altro tempo ancora avrei resistito.
Quasi sospirai di sollievo quando Domina Maria disse con un sorriso tutto miele: “Mi permettete di illustrarvi il collegio e di farvi fare un giro?”.
Nel momento in cui i tre uomini annuirono (il vecchio con meno entusiasmo) e seguirono l’insegnante fuori dall’atrium, borbottai ad Hannah: “Non mi sento molto bene”.
Siccome non ricevetti risposta, mi girai a guardarla e la vidi fissare con un sorriso enorme e uno sguardo vacuo il quartetto sparire su per le scale; irritata, le sventolai una mano davanti alla faccia nella speranza che mi degnasse di qualche attenzione.
“Era bellissimo, vero?”, sospirò con gli occhi lucidi.
“Sì, certo”, sbuffai. “Ho bisogno di aria fresca”.
Quella frase sembrò colpirla e si voltò di scatto verso di me inarcando le sopracciglia con un’espressione di chiara confusione. “Perché?”.
Un altro brontolio fece scattare le mie mani sul mio stomaco. “Non sto bene”. Senza ulteriori complimenti la presi per un polso e la portai sul giardino posteriore del collegio, sperando di non trovarvi nessuno. Soddisfatta, mi sedetti su una panchina di pietra e aspettai che Hannah facesse lo stesso; dopodiché chiusi gli occhi ed inspirai una gran boccata d’aria come se fosse la prima volta dopo secoli e fui lieta di non sentire più i movimenti nello stomaco. Quando riaprii le palpebre, Hannah aveva iniziato a fissarmi.
“Allora, mi spieghi dove hai trovato quella collana?”.
Me ne ero completamente scordata. Inspirai un’altra volta per darmi coraggio e risposi ostentando un sorriso: “Quando ieri ho visto l’invito ho messo sottosopra il mio armadio per trovare un vestito decente per la festa e ho trovato questo ciondolo in una scatola in fondo, piena di polvere: probabilmente apparteneva a mia madre, perché ho trovato anche un paio di scarpe non mie che avevano il tipico stile di vent’anni fa. Ho rimesso tutto a posto, ma ho tenuto la catenina perché ho pensato che fosse... ehm, carina, e che non avrei fatto male ad indossarla alla cerimonia. Ho deciso di metterla anche stamattina per conoscere il tuo parere”. Scrollai le spalle con un’improvvisa sicurezza. “Se non ti piace, dimmelo, non ti preoccupare”.
“Scherzi?”. Hannah aveva gli occhi fuori dalle orbite. “È bellissima! Sì, credo che dovresti indossarla alla cerimonia”.
Come se avessi altra scelta.
“... è indubbiamente un posto stupendo, su questo non c’è dubbio”.
“Sono d’accordo con Sua Maestà, mea Domina”.
“Oh, ma siete troppo gentili!”.
Un brivido improvviso si diffuse sulla mia schiena al riconoscere quelle voci. Dovevo trovare un modo per andare via di lì.
“Oddio, non ho ancora trovato il vestito da mettere domani!”, sussurrai con una finta disperazione nella voce. Mi alzai di scatto trascinando Hannah con me. “Devi assolutamente aiutarmi a sceglierne uno!”.
Sapendo di aver colto totalmente la sua attenzione, non feci alcuno sforzo a portarla di filato dentro l’atrium passando frettolosamente attraverso la porta, sperando che quei quattro non avessero già varcato la soglia.
Ovviamente, come sempre in quel periodo, mi sbagliavo: finii dritta contro il petto dell’uomo bruno, che guidava la fila accanto a Domina Maria perché la porta era troppo stretta per far passare più di due persone contemporaneamente, e portandomi la mano al naso dolorante per lo scontro borbottai un “Mi dispiace, mi scusi”.
L’insegnante, come purtroppo sospettavo, mi fulminò con uno sguardo talmente di fuoco che per un attimo pensai che il ciondolo avesse iniziato a riscaldarsi di nuovo. “Signorina Wild! Un po’ di educazione!”.
“Mi dispiace”, ripetei dando uno strattone ad Hannah che aveva ripreso a fissare il re con sguardo sognante. “Non l’ho fatto apposta, mi scusi”.
Ma l’uomo bruno scoppiò a ridere. “Oh, non si preoccupi, non mi ha fatto niente. Questo genere di cose può capitare”. E fece l’occhiolino a Domina Maria, che arrossì all’istante.
Alzai la testa per guardare dritto negli occhi azzurri di quell’uomo tanto gentile e abbozzai un sorriso imbarazzato: dietro di lui, il signore anziano aveva perso un po’ di colore e sembrava stesse per svenire da un momento all’altro; alla sua sinistra, il re fissava con incredibile ostinazione la spalla destra di Domina Maria, la testa bassa.
Con un inchino frettoloso oltrepassai la soglia della porta sperando che i piedi di Hannah funzionassero ancora e ignorando le occhiate sconvolte che mi rivolse il gruppetto di ragazze che seguiva furtivamente il quartetto a qualche passo di distanza.
“È ridicolo”, borbottai tra me e me, sospettando (e a ragione) che Hannah fosse ancora nel mondo dei sogni. Ma mi sentivo come se l’insegnante mi stesse ancora mandando a fuoco con il suo sguardo e solo allora abbassai gli occhi, con un brutto presentimento, sul ciondolino a forma di cuore: aveva ripreso ad emanare calore.
Trascinai Hannah su per le scale, fino alla mia stanza nel dormitorio deserto; solo lì, a tre piani di distanza dal re, sembrò riprendere il controllo.
“Quanti vestiti hai?”, mi chiese come se niente fosse, chiudendosi la porta alle spalle.
“Ehm, vedili tu stessa”. Le indicai l’armadio, ringraziando il cielo per avere una scusa e cercare nuovamente di togliermi la collana di nascosto, nonostante sapessi tutti i rischi che avrei corso e fossi consapevole del fatto che i miei tentativi non mi avrebbero portato da nessuna parte; ma valeva la pena provare.
Mentre Hannah si dirigeva velocemente verso l’armadio, le diedi le spalle e portai le mani dietro il collo, al punto da cui in teoria avrei potuto sfilarmi la collana: fui assalita da un’onda di puro terrore nel rendermi conto che la catenina era liscia e continua, senza nessuna interruzione e quindi senza che potessi togliermela.
La fatina ha proprio fatto un buon lavoro.
“... ma questo è più bello, non trovi?”.
Mi voltai giusto in tempo per vedere Hannah sbucare da dietro un’anta dell’armadio con in mano due vestiti: nella destra reggeva un abito rosso scuro, elegante ma con un’evidente e abbondante scollatura e quindi decisamente troppo provocante e poco adatta alla cerimonia; nella sinistra (il cui braccio era sollevato di più rispetto al destro, come a metterlo in risalto) stringeva un vestito celeste dall’ambia gonna e dal corpetto a forma di cuore.
“Sì, quello azzurro è meglio”, concessi. “Non voglio sembrare una cortigiana”.
“A proposito, quando hai comprato questi vestiti?”, mi chiese Hannah con un’occhiata inquisitoria. “Non li avevo mai visti prima”.
Fui sul punto di dire: “Nemmeno io”, ma il buonsenso mi bloccò appena in tempo. Da dove venivano quegli abiti? E perché erano nel mio armadio? In qualche modo avevo dei sospetti riguardanti lo strano ragazzo alato, visto che nessuno avrebbe mai potuto oltrepassare la soglia della mia camera senza doverne rispondere come minimo a Domina Maria e l’unico modo in cui qualcuno sarebbe potuto entrare era proprio la finestra.
Alla fine scrollai semplicemente le spalle. “Sempre roba di mia madre”, mentii.
“Anche io sono indecisa tra un paio di vestiti e quando avremo finito con te dovrai darmi una mano”, sospirò Hannah. “Stamattina sono rimasta sconvolta nel vedere l’invito! Non potevo crederci, e tra l’altro...”. Un’espressione strana si dipinse sul suo volto, bloccandole la frase a metà. Aggrottò le sopracciglia e mi chiese: “Hai detto di aver visto la lettera ieri, ma mi hanno detto che sono state recapitate nel cuore della notte e nessuno era più sveglio; io stessa mi ero addormentata da un pezzo”. Inclinò la testa di lato mentre il cuore mi saliva dritto nella gola. “Come mai tu eri ancora in piedi?”.
Il mio cervello iniziò a lavorare come un pazzo per trovare un’altra scusa decente: temevo perfino che Hannah potesse sentirlo e potesse scoprirmi.
Poi gli occhi mi caddero sulla scrivania piena di rotoli di pergamena, accanto alla finestra, e mi venne un’idea.
“Pensavo che oggi ci fosse lezione regolare e mi sono accorta di non aver ancora finito il tema di filosofia non appena sono rientrata con le nuove boccette d’inchiostro”. Indicai la scrivania. “Ho studiato come una matta fino a tardi e a dirla tutta non mi ero nemmeno accorta della lettera. Solo quando mi sono infilata dentro le coperte l’ho vista, l’ho aperta e ho cominciato a cercare nell’armadio qualcosa che si addicesse alla cerimonia; poi ho trovato la scatola di mia madre e... vabbe’, è inutile, te l’ho già raccontato”.
“Ah, è vero”, ridacchiò Hannah. A volte mi sorprendeva la sua ingenuità, o semplicemente si fidava troppo di me per dubitare delle mie parole. “Ora però dobbiamo trovare un vestito che si adatti a me”.
Passammo le successive due ore nella sua stanza a scartare un abito dopo l’altro finché, con una certa fame, non ci rendemmo conto che era già arrivato il momento di dover pranzare e Hannah decise infine di optare per un vestito nero, semplice ed elegante al tempo stesso.
“Andiamo a mangiare in qualche locanda?”, la pregai con un sorriso supplichevole. Non volevo restare in collegio più del dovuto, soprattutto sapendo che avrei potuto facilmente trovare il re e il resto del trio nella mensa.
“Sì, per oggi possiamo concedercelo”, rispose Hannah ricambiando il sorriso.
Fuori dal dormitorio, però, rischiammo di finire addosso a due ragazzi alti e slanciati, i visi spigolosi, dai folti capelli castani e dagli occhi color nocciola: con un tuffo al cuore riconobbi i gemelli Grayson.
“Elenoire, Hannah, che piacevole sorpresa”, disse quello a destra sorridendo, non sapendo ancora distinguerli l’uno dall’altro: sapevo solo che si chiamavano Josh e Cory.
Il ragazzo che non aveva ancora parlato porse un braccio ad Hannah con lo stesso sorriso del fratello. “Possiamo scortarvi da qualche parte?”.
I gemelli Grayson avevano puntato i loro occhietti su me e Hannah fin dal primo giorno di lezione, a undici anni: ormai non era più una cosa sconvolgente vederli rivolgersi a noi due con tanta gentilezza, chiedendoci di accompagnarci ovunque volessimo. All’inizio le loro attenzioni non potevano non farci piacere, ma ovviamente dopo qualche mese il fatto di trovarceli costantemente davanti era diventato leggermente noioso: scappavamo disperate non appena intravedevamo due figure alte allo stesso modo e con gli stessi capelli castani prima che quelli potessero girarsi e venire da noi con i loro soliti sorrisi smielati.
Perciò fui molto, molto sorpresa nel vedere il braccio di Hannah posarsi con delicatezza su quello del secondo gemello.
Mentre tentavo invano di rimettermi la mascella a posto e richiudere quindi la mia bocca inevitabilmente spalancata, il primo fratello mi porse a sua volta il braccio destro e trattenendo un grugnito lo seguii giù per le scale, fuori dal collegio.
Iniziammo a camminare nel sentiero percorso da me la sera prima con una lentezza quasi esagerata: prima arrivavamo in centro, meglio era. Hannah però non era esattamente del mio stesso parere: la vidi conversare con il ragazzo con una scioltezza impressionante e ridere di gusto alle sue battute occasionali.
Ci pensò il mio accompagnatore a distogliere la mia attenzione dalle risate di Hannah, dicendo un semplice “Era da tanto che non vi vedevo, milady”.
“Ehm, sì”. Annuii con foga, determinata a non dire una parola di più sulle nostri fughe.
Arrivammo alla Locanda delle Stelle una decina di minuti dopo: la conversazione tra me e il gemello non andò molto avanti e fu piena di semplici “Sì”, “No”, “Mmm” da parte mia, che a lungo andare scoraggiarono il ragazzo; quella tra Hannah e il fratello, invece, fu tutt’altra cosa e lei tra l’altro non smetteva di ridere.
Quando entrammo nella locanda ci sedemmo in uno dei pochi tavoli ancora liberi, ordinando delle fettine di maiale all’oste che venne da noi con una certa riluttanza.
Intanto, le risate di Hannah continuavano ad echeggiare nella vasta sala anche dopo pranzo.
“Certo che verrò alla festa con te!”, urlò entusiasta, gettando le braccia attorno al gemello numero due.
Un lampo di comprensione si fece largo tra i miei pensieri. Ma certo: Hannah si comportava da civetta per non dover andare alla cerimonia al castello da sola... Geniale.
“Mi è dispiaciuto tanto non incontrarvi in questi giorni”, sussurrai al mio gemello, seduto alla mia sinistra. “Siete sparito nel nulla”. Il mio tono gentile aveva una punta di sarcasmo che speravo fosse abbastanza evidente da essere colta, insieme ovviamente allo sguardo provocante che sentii spuntarmi all’improvviso sul volto.
Gli occhi nocciola del fratello numero uno si illuminarono di botto nello stesso momento in cui il sorriso si aprì con lentezza esasperante sul suo viso. “Non ditelo a me...”.
Mi prese la mano, poggiata con noncuranza sul tavolo, e avvicinò prudentemente il volto al mio collo, posandovi le labbra. C’era qualcosa di strano, in quel gesto, e non c’ero decisamente abituata: una strana sensazione di solletico partì dal punto in cui il gemello vi aveva posato la bocca, espandendosi su tutto il collo e facendomi rabbrividire. Eppure in quel momento mi resi conto di avere un grande e insopportabile caldo che prima, di sicuro, non c’era: sembrava quasi che il cuore mi stesse andando a fuoco e che il calore si stesse diffondendo velocemente su tutto il petto...
No, un momento. C’è decisamente qualcosa che non va.
Mentre le labbra del gemello numero uno indugiavano ancora sul mio collo, gettai un’occhiata veloce al ciondolo a forma di cuore: aveva ricominciato a riscaldarsi.
Quindi il re dev’essere qui, nei paraggi...
Con il respiro sempre più veloce, mi allontanai dal ragazzo con delicatezza cercando di non farmi notare e perlustrai la sala della locanda con gli occhi socchiusi...
Forse il ciondolo stava iniziando ad essere difettoso, perché del re non c’era traccia. Oppure si riscaldava in presenza di altre persone e quella cosa strana successa nel momento in cui avevo incrociato proprio il suo sguardo non era altro che una coincidenza...
“Leonardo! Che ci fai qui? Oddio, come sono contento di rivederti!”.
Leonardo... Perché questo nome non mi suona familiare?
Le labbra del mio gemello si staccarono brusche dal mio collo e con la coda dell’occhio lo vidi voltarsi verso qualcuno in piedi alle mie spalle.
Mi portai la mano al ciondolo a forma di cuore nella speranza che smettesse di bruciarmi il petto, ma in quel momento sembrava più attivo e insistente che mai. A meno che...
“Sarò anche un re, ma del resto a chi non piacciono le locande?”.
  
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