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Autore: ehinewyork    05/01/2014    1 recensioni
"Il mio piccolo mondo che avrei dovuto costruire, proprio come un grattacielo, pezzo dopo pezzo, e farlo restare in piedi. Ma la fiamma che era in me era ancora piccola, non era ancora abbastanza forte da poter bruciare e disintegrare tutto il male che c’era alle fondamenta della costruzione e che mirava al suo crollo. Dovevo ancora distruggerli quei demoni dagli occhi indifferenti e le mani afferranti; terribili demoni che mi annerivano l’anima."
Lei è Sophie e questa è la sua storia. Ha un sogno nel cassetto: la libertà. Rinchiusa in una gabbia cercherà la chiave per liberarsi. E' piccola, sola, ma forte, nulla potrà distruggerla, neanche il suo terribile passato che la perseguita. Cosa troverà a Londra, in quel piccolo spicchio di mondo al nord dell'Europa? Ripulirà ogni sua ferita, ogni suo livido. Ma non le basteranno soltanto due mani per curarsi.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rannicchiata su me stessa, in quella stanza fredda, vuota, ma allo stesso tempo piena. Piena dei poster di tutti i miei gruppi preferiti, di quaderni, libri, penne, panni e chissà quale altro oggetto inutile; ma vuota perché aridità, senza felicità e fredda, perché io lo ero, perché tutto ciò che mi circondava non sembrava riscaldarmi o farmi sentire meglio, ma sembrava rendermi ancora più deserta. E il buio che mi circondava non mi spaventava, ma mi rilassava e mi faceva sentire quasi al sicuro. Ma lo ero davvero? Ero al sicuro? Non mi sentivo più tale in quella casa, non mi ero mai sentita al sicuro. Forse, di tanto in tanto, mi sentivo felice perchè - Mi aiuti a sparecchiare?- mi diceva mia madre. Erano occasioni rare io la ringraziavo e la aiutavo, perché anche se poteva sembrare un gesto inutile per me era importante e mi faceva sentire utile, per una volta. Ma quella casa sprigionava freddo anche dal camino, ghiaccio puro, rigidità, indifferenza. A nessuno era mai importato davvero di come stavo, di come andavo a scuola, nessuno mai mi aveva chiesto ‘Cosa hai fatto oggi? Ti va di parlare?’, neanche i miei fratelli, nessuno. Erano 17 anni che non mi sentivo accettata da loro, mi sentivo l’ultima scelta, la figlia non voluta, quella che sbagliava sempre tutto ed era soltanto una delusione. A mia sorella, Jessica, le avevano comprato addirittura un pianoforte per Natale e a mio fratello, Ivan, beh a lui perfino gli avevano regalato un viaggio in America, soltanto lui e la sua ragazza, mentre io non avevo mai ricevuto nulla. Ero consapevole del fatto che loro fossero molto più grandi di me, anche se solo di 2 e 3 anni, ma cosa c‘era di sbagliato se dopo 17 anni in cui vivevo in quella casa, venivo trattata bene anche io? Perché loro potevano ricevere ciò che volevano ed io non potevo? Ero davvero così sbagliata? Eppure non andavo male a scuola, ce la mettevo sempre tutta per prendere degli ottimi voti, non uscivo mai e rispettavo sempre le loro regole. A parte quelle stupide cose che inventavano loro, quei disastri che dicevano che io combinavo, ma che in realtà non facevo. Solo una volta, per distrazione, fui rimproverata dall’insegnate che andò a riferirlo a mia madre. Lei era infuriata, non lo dimenticherò mai "Sei sempre tu! Combini solo guai!" mi diceva e io le chiedevo scusa, le dicevo che non lo avrei più rifatto e rispettavo la mia promessa. Ma lei mi metteva in punizione e io mi chiudevo in camera, ascoltavo musica e scrivevo. Era sempre stata questa la mia vita, ma dopo 17 anni ero stanca, stanca di sentirmi così inutile e insignificante per loro. Volevo scappare. Si, scappare. E lo avrei fatto, di lì a poco, dovevo prende la decisione. Maggiorenne oppure no sarei andata via e il caso volle per quella volta che il concorso si presentasse davanti ai miei occhi; sembrava essere la mia unica speranza. Mille miglia lontano da casa, libera finalmente. Potevo farcela.
Controllai l’orario sul cellulare e mi accorsi che erano le 6.30 del mattino e avevo dormito soltanto un’ora e mezza, perfetto. Dovetti alzarmi e prepararmi per la scuola, non ne avevo alcuna voglia, ma avevo bisogno di stare da sola e di pensare. Raccattai tutte le cose in cartella e uscii dalla camera, incontrando mia madre in corridoio. Sospirai lievemente e la guardai per poi abbassare lo sguardo, lei fece lo stesso. Poi tornò ad ignorarmi, allo stesso modo in cui si ignora un moscerino, insetto inutile ed insignificante. Allora amareggiata uscii di casa e presi a vagare per la città. Avevo voglia di camminare, non mi importava dove andavo, mi bastava camminare e svuotare un po’ la mente. Sfilai l’ipod dalla tasca e lo inserii nelle orecchie, cliccando play: tutto il mondo sparì ed io fuggii via da esso.

“Made a wrong turn, once or twice.
Dug my way out. Blood and fire.
Bad decisions, that’s alright.. Welcome to my silly life.
Mistreated. This place.
Misunderstood,
Miss knowing it’s all good.”

Ciò che riusciva sempre a fare la musica era aiutarmi, farmi compagnia e ricordarmi che non dovevo arrendermi, ma lottare, essere positiva. Era l’unico modo per sentirmi meglio, per sentirmi compresa in quelle quattro mura da manicomio. Era così che ammazzavo il tempo quando non studiavo: ascoltavo la musica e poi leggevo. Sì, leggevo, perchè la lettura proprio come la musica mi raccoglieva da terra e mi salvava, portava la luce nella mia esistenza buia. Diversamente dal cielo che quel mattino era particolarmente cupo, spaventoso. Quelle nuvole grigio scuro sembravano calamite per la terra, come se volessero raggiungerla e portarsi via tutto il male, spazzarlo e lasciare così posto libero alla felicità. Ma a cancellarlo tutto quel nero nelle persone. Non era mica facile. Era soltanto un frutto della mia immaginazione quello, perchè tutto sarebbe restato così come era, per sempre, e sarebbe deperito lì. Se dunque mi fossi trattenuta ancora un po' tra quella gente altro che felicità, sarei diventata nera anche io. Allora non mi restava che andare. Per ripararmi dalla pioggia che iniziò a bucherellare la mia pelle entrai in un bar e chiesi un cappuccino, ma quando controllai il portafoglio mi accorsi che avevo soltanto pochi spiccioli, la quantità giusta per pagare il barista. Sospirai. Mi resi conto che dovevo prendere del denaro prima di partire, altrimenti non sarei potuta sopravvivere più di un mese. Quindi posi due alternative: o lavoravo o rubavo del denaro a mio padre. E dato che non avevo tempo per trovare un lavoro, la seconda fu l’opzione che scelsi. Dopo tutto quello che lui aveva fatto a me, un po’ di denaro in meno non lo danneggiava. Anzi, magari lo avrebbe aiutato a capire che per colpa del suo comportamento sbagliato, non stava perdendo soltanto la sua più grande delusione ma anche il suo amato denaro del cazzo. Mi scrollai la rabbia di dosso e mi ricomposi, citofonando a casa di Ronnie. Avevo un assoluto bisogno di parlarle, di avvertirla della mia decisione. Mi aprì in pigiama e in pantofole e mi guardò perplessa

– Cosa aspetti lì fuori? Si gela, entra dentro!

Io quel freddo pungente,però, non lo avevo per nulla sentito.

Annuii ed entrai dentro, Ronnie era l’unica a cui importava davvero. Mi stupivo sempre ogni volta, per quanto riuscisse a capirmi e farmi star bene. Mi abbracciò senza chiederlo, mi accarezzò la schiena per rassicurarmi. Sapeva perché ero lì, proprio per questo rimase in silenzio e mi guidò nella sua camera. Chiuse la porta alle nostre spalle e poi, con un filo di voce, disse

– Raccontami cos’altro è successo, ti prego.– Prima di raccontarle tutto le feci promettere di non parlarne con nessuno, nemmeno con Leo, poi con un filo di voce

– Non mi parlano più e non è una novità. Ma sono in questa trappola e non ne posso più. Voglio scappare. Davvero. –

scacciai via quel peso dalle mie labbra, tutto d’un fiato. Poche frasi, più libertà: non c’era sensazione migliore. Non disse nulla, si sedette di fronte a me e prende i miei polsi tra le sue mani. Li guardò, li sfiorò ed io feci una smorfia di dolore. Lei non si scostò, ma mi abbracciò ancora, con più dolcezza.

– Mi dispiace così tanto, Sophie. Non lo meriti.. – sospirò scuotendo la testa – Vuoi scappare. – replicò in conferma – Dimmi i tuoi piani e ti aiuterò.. –

- Verrò da te il giorno della partenza, farò un firma falsa e dirò che i miei stanno lavorando. Cosa ne dici? Sarò libera finalmente e voglio andare via, voglio cavarmela da sola. So che posso farcela.

sorrise appena – Va bene, ma mia madre non dovrà sapere nulla! Altrimenti potrebbe dirlo ai tuoi e non voglio che ti trattino ancora male.. –


Come pianificato infatti, il giorno della partenza lasciai la camera e uscii da quella casa in fretta, la voglia di andar via superava qualunque altra cosa.
Chissà se ci ritornerò, chissà cosa accadrà, se il piano funzionerà. L’unica cosa che mi mancherà di questo posto sono i muri pieni delle nostre scritte, i posti in cui ho passato bellissimi momenti con Ronnie. Perchè, no, i brutti ricordi non mi mancheranno. Ne varrà la pena, ne sono certa.
Quattro ore, tre minuti, quindici secondi.
Non mancava molto alla partenza. Poche ore sarei scappata via da quell’inferno, sarei fuggita e sarei stata libera. Evadere da quella gabbia, da quei genitori che non si comportavano da tali, da quei fratelli che sembravano estranei. Sfuggire a tutto quello, sfuggire all’amore mancato per cercarne altro. Volare libera, come un gabbiano, aprire le mie ali e spiccare il volo. Essere indipendente, audace, far capire a tutti che io, la vera me, Sofia, poteva davvero sorprendere tutti, diventare Qualcuno.
Avevo in borsa tutto ciò che mi serviva, poche cose per ripartire da zero. Il denaro fu tra quelli. Riuscii a prenderlo facilmente da mio padre; pigro com'era, stava russando sulla poltrona con il solito film d'azione a fargli da ninna nanna. Ripescai il portafoglio nella sua giacca e presi tutti i contanti che c'erano: venti bigliettoni da 100. Diamine, odiavo quel lurido denaro che usava per pagare una puttanella di turno. Non era molto fedele mio padre, qualche volta mi era capitato di vederlo accostare l'auto ai bordi della strada e lo avevo visto tornare a casa con il colletto sbottonato e la cravatta fuori posto. Portava dei fiori a mia madre e lei ci cascava ogni volta - Scusa il ritardo, amore, ho avuto una riunione - diceva. Io non ero così stupida però, lo avevo capito bene. Ma restavo in silenzio e mi rintanavo nella mia camera, non volevo immischiarmi nei loro affari. Un giorno di qualche mese prima, però, mio padre lo aveva intuito perchè mi aveva scrutato con uno sguardo minaccioso e mi aveva trascinato nella camera degli ospiti - So che sai tutto, prova a dire qualcosa e ti tolgo anche il respiro - aveva detto. Da quel momento non lo avevo neanche più seguito. Lo avevo ignorato. Ma avevo ancora paura delle sue minacce e anche questa ragione si aggiunse alle tante della lista: scappare era la cosa migliore da fare per me.


Non ci volle molto, ma dopo circa un ora fummo all’aeroporto, pronte a partire e io pronta a fuggire.
Salutammo tutti, o meglio, salutarono. Gli altri ragazzi stringevano forte le loro madri e scherzavano con i loro fratelli "Mi raccomando, divertiti!" sentii dire da qualcuno ed io sorridevo tristemente guardandomi intorno. Tutto sembrava così perfetto nelle loro famiglie: genitori che li amavano, fratelli che li sostenevano e li aiutavano. Ma non nella mia famiglia, lì non era tutto così bello. Loro non mi amavano, loro non facevano nulla per me, non riuscivano a darmi ciò di cui avevo bisogno e io per loro ero.. nulla. Le lacrime minacciavano di cadere dagli occhi e di infrangere il mio viso, tentai di trattenerle ma non potetti evitare di far inumidire gli occhi. Sorrisi, un sorriso falso, pieno di tristezza, di malinconia. Ma sorrisi e diedi un bacio sulla guancia alla madre di Ronnie che era stata come una madre per me. Mi voltai e ci dirigemmo all’imbarco.

– Stai davvero dicendo addio a tutto questo? – chiese

– Lo sto facendo davvero, finalmente. Sono pronta a tutto ora. –

sorridemmo e salimmo sull'aeroplano.


2 ore, Londra, una città.
Una fuga, una follia, un sogno realizzato.
Decollo: direzione libertà.

 

SPAZIO AUTORE
Buonasera tutti!
Rieccomi con il secondo capitolo. Non ho resistito ho voluto pubblicare subito anche il secondo.
Spero che vi piaccia e che non vi abbia annoiati. Spero che sia soddisfacente!
Se volete lasciatemi recensioni, anche negative, accetto tutto.
P.s. scusate qualche mio eventuale errore.
Grazie mille, un bacio.
ehinewyork

  
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