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Autore: Fumiyo    05/01/2014    0 recensioni
Dal Prologo.
Tutto successe in un attimo. Troppo in fretta. Era come se uno storyboard fosse accartocciato e buttato in un angolo da un disegnatore troppo stanco.
Una curva troppo stretta.
Il camion spuntato fuori dal nulla.
La macchina di Christine andata fuori strada.
Urla.
Il pianto di una bambina di dieci anni.
Le rassicurazioni di un padre affettuoso.
Le urla di una madre.
E poi buio.
Aveva quindici anni quando a Christine fu tolta la felicità.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo uno.
Odio.

Faceva male.
Guardare quella fotografia faceva male.
Guardarli faceva male.

-Chris è pronta la cena!-

Chris chiuse gli occhi e appoggiò sul comodino quella fotografia, ormai guardata troppe volte, che ritraeva, un tempo, una famiglia. Chris non sapeva, o meglio, fingeva di non sapere sebbene nella sua mente fosse tutto troppo chiaro, chi fosse quell’uomo alto, moro e con un espressione buffa, quella donna con lunghi capelli neri, come i suoi, e con due occhi amorevoli, quella piccola bambina con delle fossette dolcissime e quella ragazza un tempo felice e con delle ciocche di capelli viola.
Aprì il grande armadio di mogano offertogli dalla famiglia Adams.

La sua nuova famiglia.

Dopo l’incidente erano passati due anni prima che qualcuno la adottasse  dall’orfanotrofio. Alla fine erano venuti il signore e la signora Adams, pronti ad accoglierla nella loro famiglia.
Prese una larga felpa e se la mise, non voleva far vedere il suo dolore. Era troppo imbarazzante, disgustoso.
Scese per quelle scale a lei sconosciute più ora che mai e si diresse verso la cucina dove la aspettavano Harry e Diana Adams.

Sorridenti come sempre.

Odiosi.

Cos’avevano poi da sorridere? Fuori faceva freddo e pioveva.
Lei odiava la pioggia.

-Christine, tesoro, ti ho preparato le polpette di riso, so che ti piacciono tanto.-

Chris si irrigidì.

Odiava quel nome.

Il signor Adams lanciò un’occhiata torva alla moglie. All’orfanotrofio la consulente Trisha li aveva ben informati di non chiamare Christine mai con il suo nome per intero; in passato questa scelta aveva causato non pochi problemi e molti crolli nervosi alla ragazza. Aveva suggerito loro di usare Chris.
Diana, avendo capito il suo buco nell’acqua, aprì bocca per dire qualcosa. Ma la richiuse subito.
Quella ragazza la stava guardando. I suoi occhi; di un azzurro quasi ghiaccio per quanto freddi ma che allo stesso tempo chiedevano pietà e aiuto, avevano il potere di disarmarla sempre. Era anche per questo che aveva scelto di prendere con se Christine. Per i suoi occhi enigmatici e ipnotizzanti.
Chris guardò il suo piatto; polpette di riso.
Si ricordò di come sua madre le preparava e di come le chiedeva sempre di darle una mano. Diceva che i piatti sono più buoni se cucinati con amore.

Amava le polpette di riso.

Almeno, prima dell’incidente.

Ora le odiava.

Prese il piatto e lo butto per terra. Sentì il suono della porcellana mentre si rompeva in tanti pezzi.
Quel piatto la rappresentava –pensò-.

Infatti, proprio come quello, la sua vita era andata in frantumi.

Si accucciò per terra. I signori Adams le chiesero di non raccogliere i cocci, si poteva fare male.
Fare male.
Mai parola più soave.
Senza farsi vedere raccolse  un pezzo di media grandezza e mormorò un “scusate”.
Corse su per quelle scale di mogano ormai un po’ più familiari e si rinchiuse dietro alle spalle la porta del bagno. Scivolò giù a terra, a contatto con il freddo pavimento. Come i sedili di quella macchina andata in fiamme.

Tirò su una manica della felpa e con l’altra mano iniziò ad avvicinare il pezzo di coccio al braccio.

La lama toccò la pelle.

Spinse. Prima delicatamente, poi con più forza.
Sentiva male. Nella sua mente vedeva solo un colore: il rosso.
Sapeva di star sbagliando. Aveva promesso a Mark, lo psicologo da cui andava dopo esser uscita dall’ospedale, due settimane dopo l’incidente, di non farlo più.
Ma non le importava.
Così si sentiva meglio.
Così si sentiva meno in colpa.
Così si sentiva, in qualche modo, ancora viva.
E felice.
Odiava la sua vita, odiava cos’era successo.
Odiava i suoi corti capelli neri con una ciocca bianca.
Odiava la sua vita troppo stretta e le gambe troppo lunghe.
Odiava la sua carnagione chiara.
Odiava i suoi occhi azzurri.
Tutto di lei le ricordava la sua famiglia. La famiglia strappatale via quella sera del 22 dicembre.
Odiava quello che si stava facendo.
Odiava se stessa.
  
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