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Autore: Amens Ophelia    06/01/2014    13 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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14. Un cadavere che respira
 

 
Per quanto sconvolta, Hinata doveva reagire; capì immediatamente che bisognava sbrigarsi e rischiare, raggiungendo il luogo prestabilito per l’incontro. Niente giubbino, a stento si era ricordata d’indossare le scarpe da ginnastica, per poter muoversi più agilmente.
            Non comprendeva come Neji potesse essere stato tanto sprovveduto da essere rapito, dal momento che era imbattibile nelle arti marziali e che, quella sera, era in compagnia di Itachi, un ragazzo intelligente e altrettanto abile in quella disciplina.
            Non importava, sarebbe stato compito suo recuperarlo.
            Mentre usciva silenziosamente di casa, abbandonando il cellulare sulla poltrona – onde non provare la tentazione di chiamare qualcuno – lungo il tragitto verso la strada indicatale, si sentì il cuore pervaso da due sentimenti potenti e micidiali.
            Tremava di paura, sì. Le gambe a malapena la sostenevano, mentre correva a perdifiato per il quartiere lussuoso dove era cresciuta. Più di una volta aveva rischiato d'inciampare, mentre la vista le si era appannata, dietro le lacrime salate. Osservando le case dalle luci spente, capì che forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui le avrebbe viste, così come la sua famiglia. Hiashi, Hanabi, gli zii, Neji… avrebbe raggiunto sua madre, forse, ma si sarebbe lasciata loro alle spalle, per sempre. Essere pessimista, per quanto la vita fosse stata dura con lei, non era nella sua natura, ma con un ricattatore sapeva benissimo quali fossero i rischi. Non era stupida; leggeva i giornali, seguiva i notiziari e non poche volte le si era raggelato il sangue nelle vene, quando aveva appreso di ragazze finite male, squartate da sconosciuti.
            Eppure, l’altro impulso la spingeva ad andare oltre i timori, a proseguire, a lottare, a fare per la prima volta un passo di sua volontà, un’azione eroica. Quello era il suo momento di agire, l’istante vero, pieno, vissuto, a cui tutta la sua esistenza si sarebbe ridotta. Una volta aveva letto che il valore di una vita si misura nel modo in cui si muore. Inevitabilmente ripensò a sua madre, deceduta nel tentativo di salvarla, opponendo il proprio corpo all’accartocciarsi delle lamiere; nel suo piccolo, Hinata avrebbe cercato di emularla, se possibile. Neji le era caro più del liquido scarlatto che le scorreva nei vasi sanguigni. Era come un fratello, lo metteva sullo stesso piano di Hanabi, avrebbe fatto di tutto, per lui, a maggior ragione dopo la bella piega che il loro rapporto sembrava aver cominciato a prendere.
            Ancora non credeva che il destino potesse essere stato tanto crudele nei suoi confronti: una volta che le cose stavano volgendo al meglio, anche per lei, ecco che tutto le si rivoltava contro, nella maniera più terribile e dolorosa. Nel suo fato era scritto che avrebbe dovuto subire altre sofferenze, ma le avrebbe abbracciate volentieri, se ciò avesse risparmiato Neji.
            E poi, quando quasi stava raggiungendo l’angolo che portava alla strada principale, la folle idea che tutto potesse volgere al meglio le balenò in mente. Nei momenti più disperati si è pronti a credere a qualsiasi cosa, anche ai miracoli. Lei pregava spesso, anche silenziosamente, ma in quel momento, presa a correre e, contemporaneamente, a incanalare aria a sufficienza, i Kami non erano in cima ai suoi pensieri; eppure, nonostante non stesse invocando una minima forma di benedizione divina, riuscì a immaginare che magari sarebbe uscita viva da tutta quella situazione, indenne e invitta, portando con sé Neji. Non voleva riconoscimenti, né gloria. Avrebbe di buon grado ricevuto un sonoro schiaffo da suo padre, una volta che si fosse accorto della sua assenza, in quelle ore, o accettato di non poter più vedere i suoi amici, o Sasuke, ma avrebbe fatto il possibile per il consanguineo.  
            Una morsa allo stomaco quasi la fece piegare e stramazzare al suolo, in preda a qualche conato di vomito, quando intravide la strada. Ingoiò la poca saliva che le restava in bocca, cercando di reprimere la nausea e la fatica, entrando in quello che poteva ormai considerare territorio nemico, con gli occhi chiusi.
            Aveva volontariamente oscurato la vista, rallentando la corsa, ma poteva percepirlo. Lui era lì, sentiva le sue pupille puntate addosso, a penetrarle la carne; ne avvertiva l’odore, trasportato dal vento freddo, e il senso di rigurgito acuì; alle orecchie arrivò quasi anche il suono impercettibile del suo respiro, mentre lei si augurava di non dover più ascoltare il ritmo rimbombante e impaurito del proprio cuore.
            Nel momento esatto in cui si fece coraggio e decise di risollevare le palpebre, capì di essere in trappola.
 
Il giovane uomo sorrise sotto i baffi, quando vide sbucare fuori dal viale la ragazza. Da acuto osservatore quale lui era, aveva intuito subito quanto fosse impaurita. Forse aveva ragione Karin, sarebbe stato un gioco da ragazzi impartirle una lezione, ma quella sera aveva voglia di fare sul serio; una volta tirato in ballo, avrebbe dimostrato quanto migliore di Kakuzu potesse essere.
            Le fece cenno di avvicinarsi, e intravide un piccolo segno di cedimento nel suo sguardo terrorizzato.
            La ragazza dai capelli blu come la notte tremava al pari di una foglia, ma avanzava con passo fin troppo sicuro, in sua direzione, e il sorriso di Hidan si allargava lentamente sul volto. La Uzumaki non gli aveva minimamente accennato quanto quella preda fosse carina.
            Hinata si fermò a cinque metri dal manigoldo, stringendo i pugni. Ora che la guardava bene, non sembrava spaventata quanto prima aveva creduto; più che altro, appariva determinata ad andare a fondo nella vicenda. Perfetto, perché per lui valeva lo stesso.
            «Ti ha seguita qualcuno?», le chiese con tono severo.
            La Hyuga scosse la testa, cercando di respirare con calma.
            «Sali in auto!», le ordinò lui, aprendo la portiera del lato passeggero.
            «Dov’è Neji?». La voce era più ferma delle sue gambe incerte, ma lei non riuscì comunque a stupirsene, data la preoccupazione.
             L’uomo dalla chioma grigia ghignò sinistramente, osservandola. Certo che ne aveva di fegato, a dispetto di come l’aveva descritta Karin! La rossa gli aveva tracciato un profilo che la faceva somigliare a un mollusco, una senza spina dorsale, ma la forza con cui lei aveva posto quella domanda e il modo aggressivo con cui aveva piantato gli occhi nei suoi lo fecero ricredere. Forse non era la persona più coraggiosa del mondo, ma non era nemmeno una codarda.
             «Tutto a suo tempo», rispose con calma Hidan, montando in auto.
             Hinata capì di non aver scelta che seguirlo. Se voleva ritrovare Neji, l’unica via era quella da percorrere affianco a quell’uomo.
             Chiuse la portiera, allacciò la cintura e si preparò ad essere inghiottita dal buio.
 
L’auto si fermò nei pressi del nuovo parco in via di costruzione, un cantiere a cielo aperto che da mesi non era in attività.
             Un tempo, quel luogo era stato un meraviglioso angolo di vegetazione rigogliosa, un piccolo Eden dove lei, sua sorella e Neji avevano passato parecchie domeniche insieme con la loro famiglia, ma da qualche anno le piante erano state sradicate, la terra smossa con gru che ancora giacevano ferme, e il laghetto con le ninfee era stato cementato, allo scopo di ricavarne una vasca con fontana. Quella scelta dell’amministrazione comunale era stata paradossale: distruggere una sorta di paradiso per costruirne un altro, artificiale, spendendo una cifra esorbitante, per poi accantonare il progetto quando i soldi si erano rivelati essere insufficienti. Come gran parte delle assurdità, quel progetto era stato accolto con fervore dalla gente, immaginando quanto potesse essere meraviglioso il risultato finale, ma ora ben pochi ricordavano la promessa del sindaco e si occupavano di protestare contro quello spreco.
           Hinata sorrise, provando un senso di poderoso orgoglio; a combattere rimaneva suo padre, che fin dall’inizio aveva condotto una lotta contro il disegno del comune; ora che il danno era stato fatto, premeva perché almeno venisse portato a termine. Era una delle ragioni per cui il genitore, per quanto severo, le era sempre parso come una persona dal cuore d’oro, disposta ad invertire rotta rispetto ai propri ideali, pur di far trionfare la giustizia.
             Era così strano, ritrovarsi lì. Davvero cominciava a credere nel destino, nella sua ironia di dubbio gusto, che l’aveva ricondotta in quel parco, proprio per far da scenario al suo incontro con Neji.
 «Lui dov’è?», chiese subito, liberandosi dalla cintura di sicurezza.
             Hidan sogghignò ancora in quel modo raggelante e uscì dall’abitacolo. La ragazza, morsa da un impeto cieco di rabbia, lo raggiunse subito presso il muretto mezzo franato, su cui giacevano ancora degli strumenti di lavoro.
             Stringeva i pugni, con i nervi a fior di pelle. Aveva seguito la sua volontà, accettando di salire in auto e di non contraddirlo, ma ora aveva bisogno di suo cugino.
             «Dov’è Neji?», urlò, prendendolo per la giacca e strattonandolo. La furia era così acuta da non permetterle nemmeno di ragionare su ciò che stava facendo, né di stupirsi di tutto quell’ardore che proprio non era una sua caratteristica.
              «Non c’è che dire, l’Uchiha se le sceglie molto carine», commentò quello, bloccandole le mani e osservandola con divertimento.
              Cosa c’entrava Sasuke, ora? Hinata non capiva, ma non aveva nemmeno tempo e la giusta concentrazione per potersi fermare e chiedere spiegazioni. La chiarezza non era la sua priorità, al momento. Voleva solo riabbracciare suo cugino e andarsene da lì; sarebbe stata persino disposta a chiudere un occhio sul rapimento, se tutto si fosse concluso alla svelta.
              «Ridammi indietro…».
              «Sta’ zitta!», tuonò l’uomo, stringendole le guance con una mano e avvicinandosi al suo volto con aria minacciosa. Voleva osservare quei meravigliosi occhi da vicino, vedervi riflesso il suo ghigno sinistro e bearsi del terrore che riusciva a provocare.
              Per quanto cercasse di divincolarsi dal braccio che la spingeva con la schiena contro la parte più alta del muretto, incrociare le iridi vermiglie del ragazzo le provocò dei brividi capaci di annullare tutto il coraggio che le aveva attraversato il sangue. Non voleva cedere, si era promessa che avrebbe fatto di tutto per Neji, ma aveva paura. Quella sensazione orribile, che conosceva fin troppo bene, era tornata a farle visita, impedendole persino di muoversi.
              «Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare, Hyuga», sibilò quello, spintonandola violentemente contro la parete di tufo. «Saresti un gradito sacrificio per Jashin, così bella e innocente», continuò, leccandosi le labbra e portandole una mano al collo, stringendolo con forza. «Peccato solo che io non abbia con me il necessario per il rituale. Ma non temere, ho in mente un altro programma per la serata».
              Hinata voleva urlare, ma riusciva a malapena a respirare, con quelle cinque pesanti dita a premerle sulla giugulare. Non poteva credere che stesse succedendo sul serio. Cosa aveva fatto di male, per finire in quel modo?
               Sentiva il soffio del ragazzo farsi sempre più pesante e vicino, mentre il suo corpo la teneva bloccata al muro e, con l’altra mano libera, le abbassava la zip e la liberava della felpa.
              Aveva freddo e voleva morire, anche in modo inglorioso.
             «Una quarta?», mormorò fra sé e sé l’energumeno, posando lo sguardo sulla sua semplice maglietta bianca.
              Aveva un fisico ben sviluppato e ciò lo mandò su di giri in men che non si dica. Non poté resistere a lungo e le strappò senza grazia, né minima traccia di pietà, la t-shirt, partendo dallo scollo a V per arrivare all’ombelico, e poi le abbandonò i lembi squarciati lungo le braccia, giù per le spalle.
              I suoi occhi cupidi la scrutavano con la stessa smania con cui una belva sanguinolenta si ciba di carne fresca. Era bellissima; proprio un peccato che non avesse l’occorrente per quel rituale! Ma Jashin l’avrebbe perdonato, se avesse comunque disposto di lei in altro modo.
              «Una quarta abbondante», confermò con un ghigno soddisfatto, accostando una mano allo scollo della ragazza.
             I brividi si erano moltiplicati, lungo la sua schiena, ma fu in quel momento che si ricordò della promessa fatta a se stessa e a Neji: l’avrebbe salvato, non avrebbe più permesso alla paura di renderla sua preda. Avrebbe lottato con ogni mezzo, anche con i denti, se necessario.
            «Lasciami!», ringhiò con gli occhi chiusi, scrollandogli con sicurezza una mano dalla bretella del reggiseno.
            Hidan scoppiò a ridere, senza prenderla sul serio. Pensava di intimorirlo? Al contrario, quel piccolo barlume di coraggio lo stuzzicò ancor di più, tanto che cominciò ad accarezzarle lentamente le anche.
            Hinata riaprì gli occhi e nelle sue pupille non c’era traccia di misericordia umana, né di paura. Nemmeno una lacrima solcava il suo volto, così come neppure un fremito deturpava la sua voce.
            «Ho detto di lasciarmi!», urlò finalmente, quando lui aveva già iniziato a sbottonarle i jeans.
            Lo allontanò con una spinta poderosa, smisurata rispetto alla sua figura piuttosto minuta. La forza che aveva attraversato il suo corpo le faceva ancora tremare le mani lungo i fianchi, ma lei era incapace di ricomporsi, presa ad osservare con disprezzo quell’uomo dalla stazza imponente, improvvisamente ai suoi piedi, che la guardava con stupore.
            Si ridestò non appena sentì l’aria fredda colpirle la pelle scoperta e cominciò a correre verso l’auto. Non sapeva ancora guidare, ma sperò comunque che lui avesse lasciato le chiavi inserite nel quadro. In qualche modo, l’avrebbe messa in moto e avvertito la polizia.
           Mentre raggiungeva la vettura, maledisse la propria scelta di non portare con sé il cellulare. Che stupida! Perché si era lasciata vincere dalla paura di poter commettere l’errore di telefonare a qualcuno?
           Afferrò con forza la maniglia e cominciò freneticamente a tirare per aprire lo sportello, ma non successe nulla; quel bastardo aveva bloccato la serratura.
          «Cercavi queste?», le chiese, facendo tintinnare il mazzo di chiavi.
           Hinata si girò di scatto, terrorizzata, e lo vide avvicinarsi con tutta calma in sua direzione. Il sorriso maligno sul volto del giovane non prometteva nulla di buono; era perduta, lo sapeva benissimo. Con quell’azione avventata si era giocata la possibilità di uscirne indenne.
           «Avevi detto che avrei rivisto Neji!», gli ricordò, cercando di coprirsi con i resti della maglietta.
           «Oh, ma infatti lo rivedrai. Non ho detto quando, però», ridacchiò quello, ormai a pochi passi dalla sua preda.
           Non riusciva a parlare, ormai le gambe le tremavano e poteva reggersi in piedi solo perché appoggiata alla carrozzeria dell’auto. Le spalle rabbrividivano e lei aveva solo voglia di fuggire, ma non ne sarebbe mai stata in grado.
           «Non ti hanno insegnato a non fidarti degli sconosciuti che telefonano alle dieci di sera?», la prese in giro lui, bloccandola nello spazio fra le sue braccia.
           Ancora una volta, in quella giornata, era in gabbia; eppure, era una trappola diversa da quella della palestra. Gli occhi violacei che la fissavano erano pieni di turpe desiderio, di una bramosia malsana, dolorosa, smaniosa solo di ottenere ciò che il corpo desiderava, senza curarsi delle ferite che lui avrebbe potuto lasciare, anzi, godendo ancor di più, se fossero state cicatrici indelebili che avrebbero sottolineato la totale mancanza di umanità di Hidan.
           Più fissava le iridi purpuree del suo aguzzino, più anelava rivedere quelle nere di Sasuke. Con lui si sentiva sempre al sicuro, qualsiasi fosse la situazione, dalla più banale alla peggiore. Era sicura che, anche in quel frangente, lui sarebbe stato in grado di toglierla dai guai, ma mentre saltava a tale conclusione, si sentì tremendamente egoista e debole. Non aveva nessun diritto a pensare all’Uchiha, in un momento del genere, perché la sua immagine rassicurante non poteva essere accostata a quella terribile situazione; oltretutto, non avrebbe mai desiderato che il moro si cacciasse in un guaio come quello a causa sua, che arrivasse a rischiare tanto per lei. Già Neji, pochi giorni prima, gli aveva dato parecchio filo da torcere.
             Sarebbe stata una settimana esatta, l’indomani, mercoledì; sarebbero stati sette giorni dal preciso momento in cui era entrato nella sua vita. Si sentiva così stupida a fantasticare tanto su di lui! Sperava solo di raggiungere quel traguardo: ammirare l’alba e guadagnarsi l’onore di poter pensare a lui, senza timore, senza remore, senza alcuna traccia di dubbio, dacché quel bacio aveva compiuto un piccolo miracolo, in una come lei. In pochi secondi, Sasuke Uchiha era riuscito a spazzare via ogni traccia di Naruto.
              Ora toccava a lei. Per poter esser degna di camminare ancora al suo fianco, avrebbe dovuto dar prova di sé, mostrare tutto ciò di cui era capace e, proprio come aveva intuito nella frenetica corsa fuori di casa, una mezz’ora prima, capì che quella era la sua ora, il suo momento.
               «Non avvicinarti!», cercò di intimidirlo, senza incrinare la voce.
               Hidan, al contrario, portò le mani ruvide sul suo ventre; lentamente risalivano lungo le costole, arrivando sotto ai seni. Il depravato si leccò le labbra, pronto ad attuare il suo personalissimo piano di rovina. Al diavolo Karin e i suoi discorsi ottimistici: la ragazza che si trovava di fronte sembrava possedere più carattere del previsto. Pensò che fosse arrivato il momento di spiazzarla totalmente, per riuscire nell’intento.
             Ma qualcosa non andò secondo i suoi progetti, perché Hinata gli colpì il naso con un pugno piuttosto violento, costringendolo ad indietreggiare di qualche passo. La giovane ansimava, con aria ferita, e cominciò ad urlare, nel vano tentativo di attirare l’attenzione di qualcuno.
            Corse subito in direzione dell’uscita del cantiere, per immettersi sulla strada, senza curarsi di recuperare la felpa. Aveva freddo, ma non voleva più morire.
 
Ogni falcata le spezzava lentamente il fiato, facendole pensare che allontanarsi da lì, forse, avrebbe anche significato prendere momentaneamente le distanze da Neji, ma non poteva rimanere ferma, non si sarebbe mai sottomessa alle chiare e sporche volontà dell’uomo dai capelli argentei. 
            Mentre correva, iniziò a pregare mentalmente i Kami perché provvedessero almeno alla protezione del cugino, se non alla sua, siccome avrebbe fatto del suo meglio per salvarsi da sola.
            Si girò di sfuggita e intravide la sagoma di Hidan avvicinarsi sempre di più, finché il suono dei suoi passi arrivò persino a coprire quello dei propri. Strinse i denti e ignorò il fiato corto, la fitta alla milza, l’aria gelida dritta allo stomaco, cercando di lanciarsi il più avanti possibile e fissando gli occhi sulla strada. Non era così lontana, sarebbero bastati altri venti metri. Una macchina sfrecciò velocemente e lei ne udì il rumore; la salvezza era quasi a portata di mano e sorrise, trattenendo a stento le lacrime. Se avesse raggiunto la via principale, qualcuno di sicuro l’avrebbe vista!
            Nel giro di un secondo, però, si trovò con le mani e il mento nella melma di una pozzanghera, e un corpo pesante sulla schiena, che le bloccava le spalle con poca delicatezza.
            Hinata sollevò a malapena la testa, tornando a guardare l’uscita del parco. Era finita, ora non c’era più nulla da fare. Annaspava faticosamente e non trovava il fiato necessario neppure per sussurrare un’ultima richiesta d’aiuto.
            «I giochi sono finiti», bisbigliò malignamente Hidan, al suo orecchio, rannicchiandosi su di lei e costringendola a ruotare supina.
            Ora poteva guardarla in faccia e riempirsi di malsana felicità, d'orgoglio, scorgendo la morte della speranza nei suoi occhi. Aveva vinto quel duello senza regole, aveva prevalso anche sull’ultimo accenno di temerarietà della fanciulla.
            «Mi hai fatto girare i coglioni, troietta!», esclamò rabbioso, tirando su con il naso e controllandosi le mani. Qualche goccia di sangue gli aveva macchiato il viso, arrivando alla bocca, e lui si leccò il labbro superiore. Il sapore ferreo acuì il desiderio di darle una lezione.
            Non provava pietà per nessuno, Hidan, men che meno per chi metteva a dura prova i suoi nervi. Inoltre, credeva fermamente nella parità dei sessi e per questo trattava indifferentemente uomini e donne, senza esitare a passare alle maniere dure nemmeno con il gentil sesso.
            L’ignobile uomo premette un ginocchio sullo sterno della Hyuga, gravandole addosso con tutto il suo peso e costringendola ad urlare di dolore. Quel suono era musica, per le sue orecchie, e non indugiò oltre, colpendole la guancia con un sonoro schiaffo; l’anello che portava sull’indice le graffiò il volto e lui sorrise, osservando quell’escoriazione tingersi di rosso.
            «Avevo in piano una serata più tranquilla, per noi due, ma non mi hai dato altra scelta!», affermò con un ghigno sadico, alzandosi.
            La Hyuga tentò subito, seppur faticosamente, di risollevarsi, e quel degenerato aspettò che la giovane si rimettesse almeno in ginocchio, prima di assestarle un vigoroso calcio in pieno torace. Il tonfo fu così forte da superare il lamento di Hinata, che si accasciò di nuovo a terra, piegata in due e con il viso nella terra fangosa.
            Non aveva mai provato un dolore simile, né aveva mai augurato a nessuno di poterlo sperimentare. Si sentiva spezzata, così dilaniata da temere che non sarebbe più stata in grado di respirare come prima.
            «Ma guardati, sei tutta sporca! Non potrai mai mettere piede a Villa Hyuga, in quello stato!», rise l’energumeno, tirandole senza pietà i capelli infangati e costringendola ad alzarsi.
            Hinata non trovava più la forza per reagire, profondamente ferita e umiliata. Il dolore fisico passava in secondo piano, di fronte al senso di totale impotenza. Cosa ci faceva una come lei, al mondo? Era incapace di badare a se stessa e, fino a qualche minuto prima, era stata così spavalda da credere che sarebbe stata in grado di salvare suo cugino. Che bel buco nell’acqua, come il resto della sua vita!
            L’uomo la trascinava senza pietà verso l’angolo opposto del parco, strattonandola con veemenza per la lunga chioma. Lei si lasciava maltrattare come una bambola di pezza, ben consapevole che nemmeno la sua anima si trovasse più in quel corpo, tanto era disgustata.
            Ogni cinque passi inciampava e costringeva il ragazzo a fermarsi; lui, allora, spazientito, la sollevava, stringendole il collo con la mano libera e insultandola, per poi riprendere a camminare.
            Dopo qualche minuto, raggiunsero la grande vasca colma d’acqua piovana stagnante. La superficie era verdognola, scura e puzzava di palude, e Hidan non esitò a immergervi il viso della ragazza.
            «Da brava, lo faccio per il tuo bene. Cosa direbbe Neji, se ti vedesse tornare tutta sporca?», la schernì lui, tirandola di nuovo su.
            A Hinata bruciavano gli occhi per il freddo, ma il gelo non le impedì di ascoltare quelle parole.
            «C-che cosa?», mormorò con un filo di voce, fissando inespressiva le gambe del suo oppressore.  
            Lui rise fragorosamente, sentendola tremare per la bassa temperatura di quella notte e per la paura. «Hai capito bene, Neji potrebbe già essere a casa, a quest’ora».
             La squadrò accuratamente, soffermandosi sulle sue labbra tremanti e lo sguardo inespressivo. Era chiaramente sotto shock, ormai, ma non era ancora abbastanza.
             Si avvicinò a lei, ma Hinata non tentò più nemmeno di difendersi, quando lui la sollevò e la fece sedere sul bordo della fontana. Le sfilò i jeans – che già erano stati slacciati – con poca grazia, letteralmente tirandoli per le gambe, lasciandola così in intimo. Nella foga che aveva impresso per denudarla, le aveva anche tolto le scarpe e un calzino; la fanciulla concentrò lo sguardo proprio sul piede nudo, come in trance. Non capiva cosa stesse succedendo, né intendeva indagare. Aveva solo prestato attenzione a quella frase su suo cugino e ciò che restava di lei era caduto a pezzi.
              «Sei proprio bella», sussurrò il depravato, cominciando ad accarezzarle le ginocchia, per poi risalire velocemente e giungere al bordo delle mutandine. Le sue dita palpavano senza pietà l’interno delle cosce, avide di poter raggiungere l’epicentro del piacere carnale, ma finalmente Hinata si riscosse, guardandolo negli occhi.
              Era uno sguardo che di umano aveva ben poco, Hidan lo trovò persino inquietante; le sue pupille erano vuote, opache, spente, e l’espressione assente, corredata dal volto pallido e freddo e dai capelli ancora bagnati, le conferiva un’aria da spiritata.
             Non disse nulla, non tentò neppure di aprire bocca. Semplicemente, puntò le sue iridi smorte in quelle improvvisamente sorprese dell’uomo, che cercava ancora di bearsi del suo corpo, massaggiandole debolmente la schiena.
              Arrivò al gancetto del reggiseno, sotto la t-shirt sbrindellata, e non incespicò nemmeno un secondo, slacciandolo. Hinata si sentì morire.
               Non poté evitare di ripensare al gesto contenuto di Sasuke quando, ore prima, aveva riabbassato la sua maglietta e l’aveva stretta più forte a sé, reprimendo l’istinto animale. Era stato in quel momento che aveva avuto la certezza che qualcuno la rispettasse, che si preoccupasse per lei, e aveva anche compreso quanto l’Uchiha che lei conosceva fosse diverso dalle voci di corridoio che lo volevano immorale e senza cuore.
               Hidan le levò il reggipetto con un gesto secco, graffiandole le braccia con le spalline rigide, e sorridendo visibilmente, di fronte al seno svestito della giovane. La maglietta a malapena riusciva a nasconderle le areole, ma lei non trovava la forza di coprirsi nemmeno con un gesto istintivo delle mani.
              Aveva tentato tutto ciò che era in suo potere per salvarsi e proteggere Neji, ma non era valso a niente; in più, era venuta a conoscenza che era stata tutta una montatura, una spedizione punitiva nei suoi confronti, atta a rovinarla. Non capiva quale fosse il motivo, ma importava, a questo punto?
             Non smise di osservarlo, mentre lui la guardava con aria famelica, soffermandosi su ogni piccolo particolare del suo corpo. Infreddolita fino all’osso, a malapena sentiva le sue mani sui seni e le unghie conficcate crudelmente nella morbida pelle di quella zona, che le laceravano l’epidermide; quello era il suo marchio, il segno di un’altra – ignobile – vittoria. I bulbi oculari, brucianti per le troppe amarezze soppresse, non le permettevano di mettere a fuoco la rapidità con cui lui stava già armeggiando, un istante dopo, con la cerniera dei suoi pantaloni.
              Hinata chiuse gli occhi e finalmente lasciò che le lacrime le irrorassero le guance. Quello era il contatto che le era mancato per riprendere coscienza di sé, la calda carezza cui era avvezza da anni, che l’aveva fatta sentire viva anche nei momenti peggiori, quando avrebbe voluto trovarsi sottoterra. Quell’istante non era certo da meno, ma ora poteva accontentarsi solo dell’acqua.
               Prima che Hidan potesse avere la meglio sulla zip, la Hyuga si lasciò cadere come un peso morto nella liquida distesa scura alle sue spalle, gettandosi di schiena.
              L’uomo se ne accorse solo dal suono del tuffo e dallo strabordare del fluido dalla vasca; fissò la testa della ragazza riemergere lentamente e quella scena gli mise i brividi. Per un momento gli sembrò di essere finito in un film dell’orrore, con quello sguardo puntato addosso.
               «Cazzo, sei una psicopatica!», urlò stupefatto, avvicinandosi alla fontana.
               L’unico segnale che provava che lei fosse ancora in vita era il battito regolare delle ciglia. Hinata se ne stava immobile, con l’acqua fino al mento, e non proferiva parola. Sì, forse qualcosa si era davvero spezzato nella sua psiche, quella notte, ma non le era ancora chiaro cosa. La fiducia negli esseri umani? No, un semplice caso sfortunato non era in grado di annullare tutta la stima accumulata nei confronti delle persone; inoltre, lei sapeva benissimo che Hidan non poteva vantarsi del privilegio di appartenere a tale categoria, essendo una bestia sprovvista del lume della ragione.
                Capì, piuttosto, di provare ribrezzo verso se stessa e la propria costante impotenza. Aveva cercato di lottare, ma si era lasciata sopraffare in modo ignobile, rinunciando a proteggersi. Si era messa all’ultimo posto, ancora una volta, pronta a sacrificarsi, e stavolta non riusciva ad accettare la propria debolezza. Questo moto di profonda delusione non era dovuto a un’improvvisa crescita d’autostima, anzi, quel briciolo di amor proprio stava sempre più spegnendosi, con il passare dei secondi, ma alla consapevolezza di aver in qualche modo disatteso le speranze e i desideri di quelle persone cui lei stava a cuore. Lasciandosi prendere a calci, spogliare come un manichino e toccare senza sottrarsi alla violenza, aveva inflitto un duro colpo all’onore di suo padre, sua madre, di Hanabi, di Neji… e di Sasuke. Se c’era qualcuno da cui avesse voluto essere anche solo sfiorata, era dall’Uchiha, da quel ragazzo che sembrava tenere a lei.
                Un brivido la scosse, mentre ripensava al giovane: non sarebbe più stata degna di quell’affetto, né del privilegio di poterlo guardare negli occhi, di camminare con lui verso scuola, o anche solo di poter immaginarlo. Sasuke era ciò di più bello che il mondo le avesse offerto, dopo mesi e mesi di stallo e apatia, e ora l’aveva irrimediabilmente perso perché Hinata aveva deciso che era giusto così. Qualcosa di tanto prezioso non sarebbe più potuto minimamente essere accostato a lei, lei che era così immonda e ancora più insulsa, ora.
                «Perdonami, Sasuke», sussurrò a denti stretti, impercettibilmente, mentre le forti braccia di Hidan la tiravano fuori dalla fontana.
 
Il ragazzo la distese per terra senza troppa cura; la osservò tremare, mentre cercava di rannicchiarsi in posizione fetale. Era pietosa, la peggior larva umana con cui fosse mai entrato in contatto, e sorrise con aria compiaciuta, nel constatarlo. “Missione compiuta”, pensò, risistemandosi la giacca e avvicinandosi di qualche passo alla sua testa.
            Si piegò sulle ginocchia e lei sollevò leggermente il capo, onde guardarlo negli occhi. Quelli chiarissimi della ragazza dimostravano che lei non aveva più paura, ora che aveva perso la dignità.
            «N-non… Non mi t-toccare», biascicò, tornando ad appoggiare la guancia sul terreno e a fissare la punta delle scarpe dell’uomo. “Che deplorevole tentativo di autodifesa”, pensò fra sé e sé, mentre un velo leggero le si depositò sulle iridi.
            Hidan scoppiò a ridere sguaiatamente. «Non ti sfiorerei più nemmeno con un bastone, ora che ho scoperto quanto tu sia squilibrata! Dovresti guardarti, fai pena».
            Hinata sorrise debolmente, nonostante il dolore e la cattiveria di cui era stata ancora una volta oggetto.
            «Allora… f-forse hai ancora un briciolo di cuore», sussurrò chiudendo gli occhi.
            Quella frase lasciò l’energumeno perplesso: come poteva uscirsene con un pensiero del genere, dopo tutto quello che le aveva fatto? Non era abbastanza? O era ancora più stupida e sconsiderata dell’evidenza?
            Decise di ignorare quelle parole, sfoderando, un’ultima volta, la sua ferocia. Prese Hinata per le spalle e la costrinse ad alzare di nuovo il capo, scuotendola violentemente.
            «Non farne parola con nessuno, chiaro? Sei morta! So dove abiti, chi fa parte della tua famiglia… Hyuga, non credere che ora tu sia libera! Potrebbe essere l’inizio dell’Inferno, tutto sta a te!», tuonò con aria minacciosa.
            Si aspettava forse che avrebbe pianto o implorato misericordia? Un pensiero simile non le era passato nemmeno per l’anticamera del cervello. Hidan ignorava il fatto che Hinata aveva già attraversato gli Inferi e che ne era uscita rediviva e vittoriosa.
            Osservando il suo volto, intuì che la mente della ragazza fosse ormai partita per un viaggio sconosciuto, lontana da quel luogo, dalle sue grandi mani ruvide che ancora le stringevano le scapole, dai suoi occhi affilati.
            Capì che era incredibilmente forte, nonostante le apparenze, e la pietà fece davvero capolino nel suo cuore.
            Si alzò di scatto, lasciando che il suo busto baciasse ancora brutalmente il fango. Al diavolo Karin e il suo piano, aveva agito di testa sua e aveva combinato un mezzo disastro! La Uzumaki gli aveva detto solo di impaurirla, di fare in modo che lei capisse che, per il bene della sua famiglia, non avrebbe più dovuto frequentare Sasuke, ma ora si rendeva conto che aveva esagerato.
             Hinata tremava come una foglia, ma non cercava nemmeno più di coprirsi o di stringersi le ginocchia al petto. Era un corpo abbandonato al vento, alla notte, agli incubi che le giravano in testa. Era un cadavere che respirava.
 
Hidan si morse il labbro, invocando il perdono di Jashin per essersi lasciato momentaneamente impietosire. Si lasciò cadere di mano la felpa della ragazza, risalendo in auto. Lui era un sanguinario, un ragazzo di strada, uno senza regole, e quella giovane era solo l’ennesima preda.
              Ma ucciderla no, non era cosa da lui. Persino il suo personalissimo rituale religioso escludeva carneficine, “accontentandosi” di un leggero spargimento di sangue, una ferita curabile, inflitta a una vergine, in onore della sua divinità. Certo, poi ci pensava spesso lui a godere del corpo delle vittime sacrificali, ma quello era un altro discorso. Di fatto, non accettava la morte, né poteva sopportare che lui ne fosse la causa per qualcuno. Perché, per quanto si ostinasse spesso ad affermare il contrario, lui sapeva di non essere spietato e deplorevole quanto Kakuzu. Non dal suo punto di vista, almeno.
              Sospirò, estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Il danno era fatto, ma la missione era andata comunque in porto: era certo che la Hyuga non si sarebbe più avvicinata a nessuno, di quel passo. Digitò l’altro numero che Karin gli aveva fornito e portò il telefonino all’orecchio, riaccendendo il motore.
               La rossa aveva insistito perché Hidan lo chiamasse una volta che Hinata fosse stata impaurita a sufficienza, di modo che lui, giunto sul posto e preoccupato oltre ogni dire, avrebbe ricevuto un deciso rifiuto dalla Hyuga. Una strategia sottile per spezzargli il cuore, degna di quell’impulsiva ragazza capricciosa.
              Era un piano che non gli era sembrato per niente convincente, fin dal primo momento in cui la Uzumaki gliel’aveva comunicato, e lui aveva deciso di metterci del suo, soprattutto quando si era accorto della bellezza eterea della sua preda.
              La osservava ancora dallo specchietto retrovisore, mentre sfrecciava fuori dal cantiere. Per un secondo sperò che il progetto di Karin sfumasse e che il suo interlocutore fosse accorso immediatamente sul posto, salvando dalle fauci del gelo la Hyuga e potendo ancora godere del suo affetto. Una speranza vana, ormai, stupida e insensata, soprattutto se partorita dal carnefice di tutto, ma spontanea.
              «Sasuke Uchiha, c’è un regalino per te al cantiere del parco. Io non tarderei, se fossi nei tuoi panni», dichiarò atono, cercando di lasciarsi tutto alle spalle.
              Per sua fortuna, Hidan possedeva la perfetta immoralità di un vero criminale: una volta svoltato l’angolo, immettendosi sulla strada principale, il lieve senso di colpa, la speranza che Hinata si riprendesse e che Sasuke potesse salvarla, svanirono in un batter d’occhio, per far posto all’orgoglio.
             Non aveva nulla da invidiare a Kakuzu, sotto quell’ottica.






La befana Ophelia vien di notte, con le scarpe pantofole tutte rotte... sì, oggettivamente sono da cambiare XD
Ragazzi miei carissimi, chiedo scusa per il ritardo! Davvero, questo capitolo era uno di quelli cui tenevo di più perché uscisse ben descritto. Non sono ancora sicura che lo sia, senza conoscere il vostro parere, a dirla tutta :( Ad ogni modo, ha avuto un luuungo travaglio, mi ha fatta soffrire quasi quanto Hinata.
Oh quanto sono stata crudele, lo so :( Ma le ho risparmiato un disonore orribile, soprattutto grazie ad arcx (meriti un ringraziamento pubblico! :D), che mi ha fatta ragionare molto su quale piega far prendere alla vicenda... e ne sono soddisfatta, perché nulla è sfociato nel troppo tragico. Oddio, è pur sempre triste, ma non traumatizzante quanto l'avevo inizialmente immaginato :) come avevo preannunciato, ci sarebbe stato qualcosa di forte, ma non me la sono sentita di dare spazio alla violazione... Hinata non la meritava, povera! E non temete, lei è una Hyuga, saprà sorprendere :) Insomma, in poche parole: l'aggressione è deprecabile, Hidan è terribile, ma tutto è necessario ai fini della trama.
Spero di conoscere presto le vostre opinioni! :D
Grazie a tutti per l'affetto e la vicinanza! Essendo la sessione d'esami alle porte, non so bene quando riuscirò ad aggiornare, ma contateci che lo farò appena possibile! :D
[Oh, dimenticavo! Vi ricordate quando dicevo che Sakura Haruno non era esattamente fra i miei personaggi preferiti? Bene, sono lieta di comunicarvi che sto vincendo questo mio piccolo limite XD E per chi fosse interessato a scoprire come, troverà una FF rossa nella mia pagina ;)] 
Grazie di nuovo a tutti, giovani! A prestissimo, fate i bravi! ;)
Un bacione 


Ophelia


 
   
 
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