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Autore: Everlast98    07/01/2014    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo
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O meglio, per ripormi come tutte le mattine la solita domanda:«Perché?». Avvicinai lentamente la mano ai lembi della maglietta e, quando ci riuscii, la alzai sempre con la solita velocità, fino sotto il seno e vidi la risposta alle mie domande.
Era piccolo, ma di un colore nero intenso e aveva la forma di uno spicchio di luna: era un tatuaggio. Ma non era il solito tatuaggio che ti facevi per sfizio o per ribellarti alla società, io non l'avevo mai chiesto, ci ero nata e basta. Nessuno mi aveva mai domandato se lo volessi, né si era preso la briga di darmi qualche chiarimento, insomma nessuno sapeva niente di niente ed io ero la prima della lista, non avevo idea del suo significato.
Guardai quello spicchio di luna, vicino all'ombelico, per qualche minuto fino a che non mi stancai di pormi il solito «perchè?» del giorno.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un giorno come tanti, mi alzavo sempre alla solita ora per andare a scuola e mi preparavo. Misi i miei pantaloni stretti preferiti blu a fiori sulle tinte del rosa per risaltare il mio fondoschiena, una canotta celeste aderente per risaltare la mia terza di seno con sopra un cardigan color carne per non sembrare accattivante. Mi avvicinai alla scarpiera e presi le mie vans rosa chiaro, quasi confetto. Andai in bagno, dove c'era lo specchio per mettermi, leggermente, la matita nera, per risaltare i miei occhi marrone scuro, quasi neri, e un lucida labbra trasparente. Poi presi un elastico e incominciai a farmi una coda, quando finii la presi e la legai in una cipolla roscia abbastanza ordinata. Corsi subito per prepararmi la cartella, mettendo un quaderno a righe e a quadretti nello zaino turchese a righe bianche con le rifiniture di pelle marroni. Frettolosamente tornai in bagno per darmi un ultima occhiata e vedere se tutto stava in ordine. Vestiti, trucco e capigliatura erano perfetti, poi passai ad osservarmi lo smalto rosa carne con il french bianco brillantinato. Anche lui era perfetto. Quando finii di contemplare le unghie, iniziai a guardarmi la pancia indecisa se alzare la maglietta, o meno, per controllare una cosa. O meglio, per ripormi come tutte le mattine la solita domanda: «Perché?». Avvicinai lentamente la mano ai lembi della maglietta e, quando ci riuscii, alzai, sempre con la solita velocità, la maglietta fino sotto il seno e vidi il problema alla mia domanda. Era piccolo, ma di un colore nero intenso e aveva la forma di uno spicchio di luna: era un tatuaggio. Ma non era il solito tatuaggio che ti facevi per sfizio o per ribellarti alla società, io non l'avevo mai chiesto, ci ero nata e basta. Nessuno mi aveva mai chiesto se lo volevo, nessuno della mia famiglia si era preso la briga di darmi qualche chiarimento, insomma nessuno sapeva niente di niente ed i questi io ero la prima a farne parte. Guardai quello spicchio di luna, vicino all'ombelico, per qualche minuto fino a che non mi stancai di pormi il solito «perchè?» del giorno. Abbassai la maglietta e scesi giù a fare colazione: latte e cereali, rigorosamente al cioccolato. Quando finii, misi le stoviglie nel lavandino, presi lo zaino e uscii di casa per dirigermi alla fermata dell'autobus. All'inizio potrei sembrare la ragazza perfetta, senza problemi, con un milione di amici e tanti ragazzi che mi venivano appresso, ma non era così. Con la mia famiglia non avevo un rapporto e a malapena ci degnavamo di un saluto quando ci vedevamo. In fatto di amici...forse era meglio non parlarne, perché io non avevo amici, io ero sola. Tutto questo era brutto, pesante' vorrei tantissimo una famiglia che mi coccolava, che mi apprezzava, che mi domandava come stavo e che mi facesse sentire a casa e protetta. Il mio viaggio in autobus durò all'incirca 30minuti, appena arrivai scesi e mi diressi all'entrata della scuola. Camminai per il corridoio da sola, come se fossi "la ragazza nuova". Mi guardavo intorno e ciò che vedevo era solo risate, scherzi, amicizia e amore. Appena guardavo delle coppie che si baciavano mi chiedevo sempre se tutto quello fosse vero o solo una finzione. La mia classe era composta da membri di tutti i tipi: ragazze che ti squadravano dall'alto al basso come se fossi un moscerino, quelle timide che non riuscivano a guardare, addirittura, il loro riflesso e poi c'ero io, "la solitaria". Vi starete chiedendo dove fossero i ragazzi...dove c'era casino c'erano anche loro, infatti si trovavano in fondo alla classe. Gli unici posto che trovai liberi erano entrambi ai primi banchi, gli altri erano occupati da altri ragazzi. Mentre tutti ridevano e scherzavano, una professoressa dall'aria severa entrò in classe. Io speravo solo che la sua aria severa fosse tutta una montatura.
«Bravi, è il primo giorno di scuola e già vi fate conoscere in questo modo. La scuola è un posto dove si studia e si sta in silenzio.»disse la professoressa.
«Prof., chi le dice che noi veniamo a scuola, per studiare?»disse uno dei tanti ragazzi spavaldi che si trovava in fondo.
La classe si mise a ridere, ma in fondo aveva ragione, chi viene a scuola solo per studiare!? Alcuni ci vengono per fare nuove amicizie, per conoscere gente, per divertirsi fra di loro.
«Come ti chiami, così ti segno già come ragazzo peggiore della classe e ti marchio a vita.»rispose la professoressa.
Dopo questo malinteso la prof. iniziò a spiegare cosa si sarebbe fatto in quest'anno, mentre i ragazzi e le ragazze degli ultimi banchi si scambiavano dei bigliettini.
-TOC TOC-
«Avanti...»disse la professoressa.
Nessuno si degnò di aprire la porta.
«Sarà uno dei tanti ragazzi cretini che si divertono a fare queste cose il primo giorno di scuola.»disse la professoressa per giustificarsi da quella mancanza di rispetto.
-TOC TOC-
«Avanti...»ridisse la professoressa.
E ancora una volta, nessuno si degnò di aprirla. La prof., furibonda, si stava dirigendo verso la porta, quando questa si aprì. Una ragazza, alta, formosa al punto giusto, capelli ricci e biondo cenere come il grano e occhi verdi come smeraldi, fece la sua comparsa.
«Ti serve qualcosa?»disse la professoressa.
«Questa dovrebbe essere la mia classe, mi hanno mandato qui.»disse la ragazza.
«Ora controlliamo subito, come ti chiami!?»disse la professoressa prendendo il suo registro in mano.
«Petal Ricci.»disse la ragazza, che da come diceva lei, si chiamava Petal.
«Sì, sei capitata nella classe giusta.»disse la professoressa dopo aver fatto scorrere il suo dito ossuto su tutta la lunghezza del registro fino a fermarsi alla "R".
La ragazza iniziò a guardarsi intorno spaesata...
«Cosa fai ancora qui? Vai a metterti seduta.»disse la professoressa.
«Non so dove mettermi.»disse Petal.
Tutta la classe iniziò a ridere, compresa io stavolta.
«Impossibile che non sai dove metterti. Ci sono dei posti solitari agli ultimi banchi, ma se non vuoi stare da sola puoi far compagnia a questa ragazza che si trova al primo banco.»disse la professoressa.
Solo dopo che mi accorsi di avere tutti gli occhi della classe addosso, mi resi conto che "a questa ragazza" ero io. Petal non se lo fece ripetere due volte e si mise seduta vicino a me.
«Ciao, sono Petal e tu come ti chiami!?»disse eccitata di fare amicizia il primo giorno di scuola.
«Pacere Chanter.»dissi dopo un lungo silenzio in cui io stavo pensando se presentarmi o meno.
«Sembri una ragazza silenziosa, timida, che non vuole fare amicizia, vero!?»disse e tutto il suo entusiasmo si spense insieme al suo sorriso.
«Io? Beh, ecco...»dissi rimasta stupita da quella domanda e situazione.
«Come pensavo. Però non è difficile fare amicizia, guardati intorno, ci potrebbero essere persone stupide che darebbero la vita per conoscerti.»disse lasciandomi senza parole.
«Sono timida e, per ora, faccio fatica a fare amicizia.»dissi sorridendo dopo aver preso un'altra pausa visto che con la precedente affermazione mi aveva lasciato senza parole.
«Beh, per ora, hai trovato la tua prima amica, cioè io.»disse
Io la guardai e le sorrisi.
§   §   § 

Tutti corsero all'uscita mentre io camminavo tranquillamente per i fatti miei. Non avevo tanta voglia di ritornare a casa.
«Che fai? Non vuoi andartene? Corri!»mi disse un ragazzo mentre passava, o meglio, correndo, anche lui.
Lo guardai e, credo, che arrossii lievemente.
«Beh, ci vediamo. Ciao.»disse sfuggendo alla mia vista.
Uscita da scuola, mi recai alla mia solita fermata dell'autobus. Il viaggio durò 30minuti, ma mi parve molto di meno visto che stavo con lo sguardo perso oltre il vetro ad ammirare il paesaggio. Finalmente era arrivata la mia fermata. Mentre stavo scendendo, un ragazzo mi venne addosso e mi fece cascare per terra rovesciando tutto il contenuto del mio zaino.
«Guarda dove via. Ci sono un sacco di svitati e deficienti al giorno d'oggi.»disse un ragazzo sulla trentina d'anni.
Con quelle parole mi ferì e mentre si allontanava, feci scendere una lacrima sul mio viso. Intanto però un' altra persona aveva raccolto tutti i miei libri e mi stava porgendo la mano per alzarmi.
«Grazie.»dissi dopo aver accettato la mano che mi aveva dato per tirarmi su.
«Non potevo lasciare una ragazza per terra, che dici!?»disse quest'altro ragazzo.
Gli sorrisi e inizia a guardarlo...mi ricordavo qualcuno di familiare...
«Hey, aspetta tu sei quella ragazza che per la scuola, invece di correre, cammina. Piacere Federico.»
«Sì, sono io. Piacere Chanter.»
Rimanemmo a fissarci per 10minuti nei quali riuscì a captare la maggior parte dei tratti somatici di quel ragazzo: alto, almeno 1.75-1.80, pettorali scolpiti messi in evidenza dalla sua maglietta attillata a V nera, capelli biondi e lisci, che al contatto con il Sole diventano dorati e occhi marroni con delle pagliuzze verdi, insomma un bel ragazzo.
«Ora devo andare, ciao.»disse prima di scappare via, ma non prima di avermi mollato i libri in mano.
Entrai in casa, o meglio, entrai "nella casa dei morti". Mi recai immediatamente in camera mia, buttandomi di peso sul letto e rimuginando su questo primo giorno di scuola. Sarebbe stato magnifico se tutte le giornate fossero state come questa.
  
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