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Autore: mangakagirl    11/01/2014    7 recensioni
"-Sei il nuovo Silver Bullet: sei l’unico in grado di sconfiggere questa Organizzazione che si paragona ad un vampiro per dire che è immortale. E cosa uccide un vampiro, Kudo? L’argento-“
Dopo che l'Organizzazione tende una trappola al detective liceale, il segreto di Shinichi e di Shiho viene scoperto. Il pericolo è più vicino che mai e l'FBI propone di aprire il Programma Protezione Testimoni per salvaguardare la vita delle persone con cui sono venuti a contatto. Ed è proprio per questo motivo che Ran si ritrova a Komatsu, lontana da Shinichi, con una nuova identità dopo essere venuta a conoscenza della verità da parte di Jodie. 
Mentre Anokata osserva ogni mossa del detective con maestria, Shinichi lotta con il pericolo che lo circonda e con i suoi sentimenti in attesa di sparare il suo Proiettile d'Argento e di sgominare l'Organizzazione che gli ha rovinato la vita. Ma qualcosa andrà completamente storta...
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Gin, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Vermouth | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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A Silver Bullet as a Prisoner

Capitolo 11

Shiho batté le scarpe un paio di volte sullo zerbino di casa Mouri, calibrò la forza da mettere nel pugno per bussare, poi batté tre colpi né troppo secchi né troppo deboli. Si tirò le ciocche dietro le orecchie sfiorandosi per sbaglio lo zigomo e provando dolore, quando la serratura della porta scattò mostrando una Ran sorpresa.
-Ah, sei tu…- mormorò assottigliando gli occhi infastidita mentre la ramata lasciava cadere le braccia lungo i fianchi. I loro sguardi si soppesarono per alcuni secondi interminabili, poi Shiho ruppe finalmente il silenzio.
-Posso parlarti un attimo?- domandò infilando le mani in tasca e aspettando una risposta che tardò ad arrivare. Ran valutò attentamente le conseguenze della sua scelta, quando infine si spostò dalla soglia facendole cenno di entrare. Chiuse la porta alle spalle della scienziata, poi la guidò nella sua stanza passando in mezzo ad una casa praticamente vuota: i mobili erano stati coperti col cellofan e stipati tutti in un angolo: l’unico posto in cui stare seduti era il letto di camera sua.
Ran le fece cenno di sedersi e aprì la finestra per addolcire una vampata di caldo che sentiva risalirle il collo sino ai capelli: era evidente che quella ragazza già la stava innervosendo.
Shiho si sedette sul materasso senza tanti problemi, lanciandosi un’occhiata attorno finchè anche la karateka non si trovò un posto dove stare comoda sul davanzale della finestra. Appoggiò i palmi della mani sul marmo freddo, reggendo lo sguardo in quel momento grigio ghiaccio della “rivale”, poi annuì invitandola a parlare.
-Sarò chiara- incominciò lei senza scomporsi -Non sono qui per dirti: “Torna con Kudo, sta soffrendo” e sdolcinatezze varie, non sono proprio il tipo- Ran sorrise ironica dondolando piano le gambe avanti e indietro -Sono qui solo per raccontarti come ha vissuto gli ultimi mesi che tu ti sei “persa” e per chiarire un piccolo dettaglio-
Gli occhi di Shiho si assottigliarono un po’ mentre il silenzio si diffondeva attorno a loro: a causa della casa mezza vuota, le voci rimbombavano con una fastidiosa eco.
-Io e lui non e ripeto ancora “non” siamo andati a letto insieme- scandì quasi come se avesse davanti una bambina, dettaglio che a Ran non sfuggì per nulla e che la fece innervosire ancora di più -Detto ciò, non insisterò più nel dirtelo: sta a te usare il buon senso per capire come stanno davvero le cose-
-Grazie- disse ironica l’altra arricciando un sopracciglio mentre la scienziata incrociava braccia e gambe e poggiava la schiena sul muro rilassandosi.
-Ora passiamo ad altro… Ti starai chiedendo perché sia piombata nella vita di Kudo se ero un membro dell’Organizzazione, vero?-
-Eh…- l’ironia di Ran diede parecchio fastidio alla ramata, che fu sul punto di risponderle con una battuta pungente, ma che all’ultimo riuscì a trattenersi.
-Da quello che avrai capito grazie ad Anokata, mio padre ero un membro sin dall’inizio, con mia madre e mia sorella Akemi. Quando nasci in una situazione del genere, difficilmente ne esci con facilità… In ogni caso, dopo aver finito di creare l’APTX e in seguito alla scoperta del tradimento di Akai, Anokata ha ordinato che mia sorella fosse uccisa e così decisi di suicidarmi anche io-
La scienziata fece una piccola pausa, rendendosi conto solo in quel momento che quella storia, oltre a lei, la conoscevano solo Kudo e Agasa a grandi linee…
Rivelarla proprio a Ran le provocava una sensazione stranissima: quella ragazza che allo stesso tempo reputava puerile per certe cose, era dannatamente simile a sua sorella Akemi da ricordargliela in continuazione…
-Comunque- riprese qualche secondo dopo con tono di voce più basso, decidendo che era l’unico modo per dare una spiegazione abbastanza esaustiva ad una faccenda durata più di un anno -Per farlo scelsi di assumere la mia stessa creazione, ma questa non esaudì il mio desiderio: mi trasformò in una bambina. Il caso volle che giorni prima fossi stata a casa di Kudo per accertarmi che fosse davvero morto, ma avevo notato che i vestiti di quando era bambino erano spariti dai cassetti e così feci due più due… Anche lui, molto probabilmente, doveva essere tornato bambino come me. Fin qui tutto chiaro?-
-Non ho 5 anni- le fece notare Ran con stizza, incrociando le braccia al petto e squadrandola seria -Puoi anche evitare di parlarmi come se fossi una bambina-
-Beh, sono scappata dal covo dell’Organizzazione e sono andata a casa di Kudo sperando di trovarlo, ma pioveva, ero sfinita e così sono svenuta davanti a casa di Agasa…- tagliò corto la scienziata trattenendosi dall’alzarsi e andarsene -Lui mi ha trovata e accolta in casa sin da subito, io gli ho spiegato la faccenda, mi sono iscritta alla scuola elementare Teitan e lì ho finalmente incontrato Kudo. All’inizio mi odiava, giustamente… Ma poi abbiamo cominciato a collaborare alla ricerca di informazioni lasciate da mia sorella sull’Organizzazione e siamo diventati soci. Soci e basta, fino a ieri, a oggi… Così saremo anche domani e giorni a venire, ok?-
-Cos’altro devi aggiungere?- la ragazza dagli occhi azzurro-lilla glissò la risposta mentre l’altra si spostava i ciuffi della frangetta dagli occhi.
-Solo che per tutti questi mesi Kudo mi ha tormentata chiedendomi assiduamente l’antidoto per tornare adulto… La maggior parte delle volte per te, per proteggerti, per le ricorrenze a cui non voleva mancare, per dichiararsi nei momenti meno opportuni…-
Il cuore di Ran fece una mezza capriola mentre distoglieva prontamente lo sguardo da quello della ragazza, che la squadrava scettica e con un sorrisino pungente sulle labbra: oh sì, lei sapeva anche della dichiarazione a quanto pareva.
Shiho si alzò in piedi e diede una breve occhiata attorno a sé sistemandosi i pantaloncini stropicciati per via della posizione in cui era seduta, poi si voltò verso di lei tornando la solita cariatide di sempre e alzò le spalle con fare vacuo.
-Quel ragazzo è un idiota: chiedeva l’antidoto per passare del tempo accanto a te e smettere di farti soffrire e guarda ora come lo ripaghi tu... Faceva di tutto per vedere un tuo sorriso, Mouri, quindi fossi in te ci rifletterei su prima di buttare una vita al vento- disse piano sostenendo senza timore il suo sguardo duro e tagliente - Comunque, ciò che dovevo dirti te l’ho detto… Fa’ un po’ come meglio credi ora, ma non accusare mai nessun altro per i tuoi errori- le voltò le spalle camminando lentamente verso il soggiorno per raggiungere la porta d’ingresso -Potrai solo rimpiangere te stessa per le tue scelte…- aggiunse infine soffermandosi accanto allo stipite della porta, poi raggiungere il pianerottolo e chiudere la porta dietro di sé.
“Non lo hai fatto per Kudo, lo hai fatto per te” cercò di autoconvincersi incamminandosi nuovamente per la strada diretta a casa del professore Agasa “E solo perché era giusto che lei sapesse come stavano davvero le cose…”
Assottigliò gli occhi e si fermò al semaforo rosso aspettando che le macchine passassero mentre il vento le scuoteva i capelli ramati.
“Mentire a se stessi non è facile, non è vero?”
Attraversò lentamente pensando al ragazzo che aveva trascinato in quella storia e che da tempo aveva rubato il cuore di troppe persone…
Forse anche il suo nonostante non volesse assolutamente ammetterlo.
Ma lei era Shiho Miyano, era quella ragazza enigmatica e impassibile che tutti scambiavano per una cariatide e che spesso evitavano per il carattere chiuso e di poche parole: non avrebbe più ceduto a nessun sentimento.
Nemmeno a quello d’amore.
***
 
-No che non ero morta o sparita!- Rena Mizunashi, o meglio Hidemi Hondo, ridacchiò in imbarazzo mentre Camel e Jodie, davanti a lei, la fissavano un po’ truci all’interno dell’appartamento di Black dove tutti erano stati invitati per parlare del caso appena conclusosi.
La ragazza dai ciuffi ricci e gli occhi assolutamente uguali a quelli del fratello Eisuke, sorseggiò la sua tazza di tè con aria vagamente imbarazzata mentre Jodie si voltava sconsolata verso Akai, decisamente rilassato al suo fianco.
-Tra te che ti sei finto deceduto per mesi e mesi e Rena che sparisce all’improvviso nel nulla e poi ricompare magicamente non so chi sia peggio…-
-Hey, senza di me non sareste entrati nel Covo!- sbraitò un po’ sdegnata Rena arrossendo mentre poggiava la tazza sul tavolo -Per lo meno un po’ di riconoscenza!-
-Riconoscenza?!-
-Mi sono intrufolata di nuovo nell’Organizzazione, sì: riconoscenza! E se io non mi fossi accorta dei movimenti sospetti di Anokata e non avessi assistito alla cattura di Kudo e della ragazza mi spiegate come li avreste salvati? E vi ricordo anche che io faccio parte della CIA e non dell’FBI… Dovreste ringraziarmi per avervi avvisati comunque- disse Hidemi con un sorriso un po’ scocciato mentre la collega americana sbuffava sonoramente accanto a lei.
-Ok ok, su questo ti do ragione, ma… Hai finto di uccidere un tuo quasi collega!-
rispose Jodie ancora sdegnata ripensando a ciò che era accaduto mesi prima, quando aveva appreso la notizia del cadavere di Shuichi Akai rinvenuto dalla polizia.
-Siamo agenti dell’FBI… o CIA- affermò Shuichi prima che Rena ribattesse; alzò le spalle portando una mano verso il naso, rendendosi conto solo con ritardo che non portava più gli occhiali: l’abitudine di alzarli sul naso che avevano tutti quelli che li portavano gli era rimasta. -Il nostro obiettivo è sempre quello di portare la missione a termine, non importa con che mezzi. Dico bene, Black?- si rivolse poi all’uomo che entrò nel soggiorno con un plico di fogli tra le braccia.
Il vecchio sorrise e poi si inginocchiò davanti al tavolino basso posando le scartoffie su di esso e alzando gli occhi sui suoi agenti.
-In ogni caso la missione è stata portata a termine dopo anni di lavoro: l’Organizzazione è stata assicurata alla giustizia e noi possiamo tornarcene in America ora- dietro gli occhiali spessi, Jodie vide chiaramente l’ammirazione che il suo capo aveva nei loro confronti -Ottimo lavoro a tutti, ragazzi. Sono fiero di voi-
Camel sorrise, poi si alzò in piedi stiracchiando le braccia verso l’alto e offrendosi di andare a preparare altro tè.
Hidemi si alzò a sua volta e si propose di dargli una mano, mentre Black andava a rispondere al telefono fisso che squillava sonoramente nella camera accanto.
Così il silenzio calò nel soggiorno come la nebbia sulle città la mattina e Jodie sospirò, guardando poi di soppiatto un Akai intento a studiarsi attorno con fare tranquillo e a suo agio.
-Non abbiamo avuto molto modo di parlare di noi da quando sei tornato…- mormorò piano e un po’ tesa mentre l’uomo sorrideva un po’ beffardo.
-La priorità era su altro, no?-
-Già…- la donna chiuse la mani a pugno in grembo, per poi fissarlo a lungo aspettando lui aggiungesse qualcosa, ma quello non fiatò.
-Shuu- Jodie ruppe il silenzio -Sono contenta che tu sia vivo e che…-
La donna si morse le labbra rosse fissando le proprie gambe coperte solo da un sottile collant chiaro: no, lei sapeva cosa era giusto.
Non avrebbe ceduto.
-Che…?- domandò l’uomo fissandola in attesa che continuasse. Lei alzò gli occhi nei suoi e sorrise fingendosi più entusiasta di com’era in realtà.
-Che potremo nuovamente lavorare in squadra!- disse alzandosi in piedi e stiracchiandosi come aveva fatto anche Camel poco prima -Vado a vedere a che punto sono quei due con il tè… Scommetto che non hanno chiuso bene il bollitore, o a quest’ora sarebbero già tornati-
Si avviò in fretta alla porta della cucina sotto il suo sguardo attento.
Shuichi battè piano gli occhi, poi li chiuse alzando il viso verso l’alto: sarebbe tornato presto al lavoro, con una nuova missione.
Avrebbe ricominciato.
***
 
Kogoro ed Eri tornarono a casa poco dopo che Shiho se ne fu andata, raggiungendo di corsa Ran, abbracciandola e poi facendole una ramanzina che sembrava non voler finire mai.
-Ran, me che diavolo ti è saltato in mente?!- quasi urlò Kogoro passandole una mano sui capelli -Hai rischiato la vita! Te ne rendi conto?!-
-Mi spiace papà, ma io dovevo sapere…-
-Non ci hai nemmeno avvisati! Credevamo fossi a scuola! Ci hai fatti spaventare da morire!- la interruppe Eri dura, sfogando tutta la tensione che aveva accumulato durante le ore di assenza della figlia.
La karateka cercò di giustificarsi ancora, ma alla fine li lasciò sfogarsi e urlare capendo che la loro era tutta preoccupazione: qualsiasi spiegazione, al momento, sarebbe stata inutile.
Kogoro inveì contro Shinichi con appellativi poco educati, dei quali i meni scurrili furono “Bastardo detective figlio di cagna” o “Miserabile verme lurido” e cominciò a battere le mani sul tavolo furioso, urlando e agitandosi mentre il viso gli si colorava di un acceso rosso fiammante.
Ran non difese il ragazzo come avrebbe fatto in qualsiasi altra occasione tempo prima, ma lo lasciò fare mentre si rintanava in camera sua e si chiudeva dentro con un sospiro, ascoltando ancora la voce del padre attraverso la porta.
Il telefono della ragazza vibrò qualche secondo dopo dentro la sua tasca, facendole battere sorpresa le palpebre mentre sullo schermo compariva il kanji di un nome: Akira-chan.
Dannazione, e ora?!
Meditò accuratamente se rispondere o meno alla chiamata, quando infine decise che sarebbe stata la cosa migliore: loro erano stati corretti nei suoi confronti, gentili e disponibili. Una spiegazione per la sua assenza era d’obbligo…
-Pronto- disse con un sorriso incerto sulle labbra rosee mentre dall’altra parte sentiva in sottofondo la voce di Akira-kun che canticchiava una canzone di un anime.
-Nene!- esclamò Akira-chan sollevata -Nene, finalmente hai risposto! Eravamo preoccupati!-
-Akira-chan… Gomenne, non volevo farvi preoccupare- ammise sincera la ragazza di Tokyo appoggiandosi con la schiena al muro freddo della sua stanza.
-Stai bene? Dove sei? A casa tua non c’è nessuno… Io e gli altri eravamo venuti a trovarti, ma nessuno ha aperto e…-
-Akira- la interruppe Ran con tono serio -Io non sono più a Komatsu: sono tornata a Tokyo-
La ragazza dall’altra parte rimase senza parole, sbarrando gli occhi e sentendo per un momento il cuore perdere un battito dalla sorpresa. L’amico accanto a lei notò il suo cambiamento e subito si avvicinò al cellulare, tentando di captare qualche parola proveniente dall’altra parte.
-Come sarebbe, Nene?- domandò l’otaku con un filo di voce mentre il cuore le batteva forte nel petto e un moto di tristezza la assaliva.
-È una faccenda lunga… Non posso dirti molto. Mi dispiace che ci siamo potuti conoscere per così poco tempo, ma siete stati degli amici fantastici- ci tenne a dire la karateka mentre sentiva gli occhi inumidirsi -Sono stata bene con voi, anche se la situazione non era delle migliori…-
-Ma perché sei tornata a Tokyo?- insistette Akira-chan mentre il suo migliore amico sbarrava gli occhi sorpreso, per poi sfilarle il telefono dalla mani.
-Nene, come sarebbe a dire?!- domandò allarmato.
-Mi dispiace Akira-kun- rispose piano Ran con un sospiro -Sono successe delle cose e… Non tornerò più-
-No!- disse dispiaciuto il ragazzo scuotendo il capo -Ma come? Davvero?-
-Sì- annuì l’altra -Ma non temete… Un giorno ci rivedremo, ne sono certa. Potreste venire a Tokyo a fare un salto, potrei farvi vedere la città… Possiamo ancora sentirci se vi va!-
Akira-chan, che aveva messo il vivavoce e sentito tutto, avvicino il telefono a sé scuotendo il capo.
-Ma non sarà la stessa cosa, Nene!- piagnucolò -Noi stavamo diventando un bel gruppo!-
-Hey stordita- le disse Akira-kun scompigliandole i capelli -Hai sentito, no? Non può tornare a Komatsu, il suo posto è Tokyo: lì era felice, non qui-
-Ma…- tentò di ribattere lei, ma quello scosse il capo. Riprese il telefono in mano e sorrise, come se Ran potesse vederlo.
-Nene, verremo senz’altro a trovarti Tokyo nelle vacanze. E poi, come dici tu, possiamo benissimo continuare a sentirci, no?-
-Certo!- Ran lasciò le lacrime scorrere lungo le guance ed annuì -Allora vi aspetto a luglio, ragazzi-
-Contaci, Nene!- affermò sicuro Akira-kun facendo l’occhiolino alla migliore amica, che si era appoggiata sulla sua spalla sconfortata -Non vediamo l’ora di rivederti-
-Ciao ragazzi- disse piano Ran sdraiandosi sul suo letto.
-Ciao Nene-chan-
***
 
Con stupore, poco dopo la chiamata, Ran andò ad aprire ad alcuni agenti dell’FBI che avevano riportato le sue cose e tutti i beni della famiglia a Tokyo, così passò il resto della giornata a trasformare nuovamente quell’appartamento nella sua casa.
Si gettò di peso sul letto solo alle 23.11 e chiuse gli occhi inspirando l’odore di pulito che aleggiava dopo aver rimesso tutto apposto. Sospirò soddisfatta sentendosi finalmente tornata alla vita di sempre e si voltò su un fianco, fissando l’armadio di fronte a sè.
Ogni cosa era tornata al suo posto: i libri, i post-it, il portapenne della scrivania, la lampada, le kokeshi, il barattolino di vernice colorata…
Assottigliando gli occhi, folgorata da uno strano ricordo, Ran si alzò a sedere sul letto e, voltandosi verso la scrivania, notò il portafoto con la foto di Tropical Land messo all’ingiù.
Si alzò lo prese in mano, osservò la foto che vi era dentro con malinconia, passando un dito sul bordo scheggiato della cornice che si era rotta a furia di essere sballottata di cassetto in cassetto, di scatolone in scatolone.
Tropical Land… Shinichi l’aveva portata lì in seguito alla vittoria del torneo nazionale di karate, ma anche per sdebitarsi: in fondo, anche se lui sosteneva il contrario, il suo telefono era finito nel tombino dell’acquario per colpa sua…!*
Stranamente sentì un moto di tristezza nascerle dentro nell’appurare che si era rovinata e subito batté gli occhi confusa, rendendosi conto che fino a qualche ora prima, forse, non se ne sarebbe nemmeno preoccupata più di tanto.
Posò la foto sulla scrivania sorpresa, poi immagini di quel giorno al parco di divertimenti e all’acquario le pervasero la mente, aggredendola come facevano i suoi avversari durante un incontro.
Si voltò attorno in cerca di un piccolo bambino in cui trovare conforto, ma non lo trovò e fu in quel momento che sentì una fitta trafiggerle il petto.
Si sentiva sola.
Sola come quando lui non c’era.
Sola come quando lo amava ma non poteva stargli accanto.
Indietreggiò verso il muro spaventata dai suoi stessi sentimenti che stavano rinascendo come un tempo, o forse solo riemergendo dalla rabbia che negli ultimi tempi l’aveva posseduta da mattino a sera.
Si trovò con le spalle al muro e si lasciò scivolare a terra passandosi una mano tra la frangetta con gli occhi sbarrati e le labbra dischiuse: il cuore le batteva a mille dentro al petto mentre il magone le bruciava la gola ardentemente, gocce di sudore freddo le attraversavano il collo e la fronte repentine.
Si rese conto che il vuoto dentro faceva male, che il silenzio e la solitudine che la circondavano erano innaturali, che ogni cosa no, non era tornata come prima come credeva.
Dov’era quella manina calda si poggiava nella sua fredda e fragile e la scaldava da dentro, facendola sentire meno sola?
Dov’era e, meglio ancora, chi era ora quel bambino che per mesi e mesi l’aveva consolata e sostenuta?
Capì che rivoleva Conan a rassicurarla, a farla sorridere; voleva urlare il suo nome e vederlo entrare nella sua stanza e chiamarla “Ran-neechan” come una volta.
Anzi, no.
Quello che davvero voleva, per quanto cercasse di negarlo a tutti, a se stessa per prima, era riavere Shinichi accanto.
Affondò il viso nella mani e senza nemmeno rendersene conto cominciò a piangere.
Perché sì, era vero, le aveva mentito, l’aveva tenuta fuori dalla sua vita, l’aveva fatta soffrire come mai aveva pensato si potesse, ma alla fine lo sapeva anche lei che era stato obbligato.
Le parole di Hattori, di Haibara, persino di Jodie, cominciarono a sovrapporsi nella sua mente e a premerle nel petto come un fendente, penetrando nel cuore lentamente, provocandole dolori lancinanti che si manifestava ad ogni singhiozzo strozzato che la scuoteva da capo a piedi.
Lei lo rivoleva.
Voleva Lui perché solo Lui avrebbe saputo consolarla in quel momento, voleva incrociare nuovamente i suoi occhi sorridenti e sentirsi al sicuro tra le sue braccia.
Eppure sapeva in cuor suo che era tardi: aveva finito si distruggere quello che c’era tra loro andandosene via dall’ospedale senza nemmeno accertarsi di come stesse.
Avevano entrambi lacerato e frantumato la loro amicizia.
Avevano distrutto il loro Amore a vicenda.
***
 
-RAN!- Sonoko le saltò addosso quasi buttandola giù dalla sedia mentre lei sistemava il portapenne sul banco due giorni dopo essere tornata a casa. Jodie l’aveva chiamata la sera prima e l’aveva informata che era stata nuovamente iscritta al Teitan e che poteva cominciare le lezioni già da quella mattina.
La notizia era stata accolta con un po’ di sorpresa, ma la karateka apprezzò il ritorno a scuola quasi con sollievo: almeno non avrebbe pensato a Lui e al casino che aveva combinato con la sua testardaggine…
Ran posò gli occhi azzurro-lilla sulla migliore amica e le sorrise mentre quella si asciugava col dorso della mano le palpebre umide e cercava di riprendersi.
-Oooo Sonoko, vieni qui- disse dolcemente abbracciandola mentre quella si stringeva al suo petto singhiozzando.
-C-come hai p-potuto l-lasciarmi?- piagnucolò mentre l’altra sospirava con un sorriso.
-Te l’ho detto per messaggio, sono successe tante cose e… Comunque ora sono tornata-
-Ancora non puoi dirmi cosa è successo?- Sonoko la fissò un po’ triste staccandosi dall’abbraccio mentre l’altra scuoteva il capo dispiaciuta -Non è giusto, lo sai!? Ma tu stai bene ora, vero?-
-Certo- mentì Ran mettendo su uno dei migliori sorrisi che riuscisse ad improvvisare. Sonoko fece per dirle qualcos’altro, ma un ragazzo la chiamò dal corridoio per una faccenda urgente e lei si allontanò in tutta fretta fuori dall’aula imprecando contro lo scocciatore mentre il sorriso dell’altra scemava lentamente. Abbassò lo sguardo sul suo banco e seguì con gli occhi una piccola incisione su di esso, chiudendo a pugno la mano destra.
Stava bene? No, non stava bene per niente.
Shinichi era in ospedale e lei non aveva chiesto a nessuno notizie sulle sue condizioni… Non perché non volesse, ma perché dopo quello che gli aveva detto non riusciva a prendere il telefono a e a fare il suo numero, non riusciva a credere di parlargli e di chiedergli: -Hey! Come va?-
-Yo, Ran-kun!-
La voce di Sera la scosse come se un tornado fosse appena sbarcato in classe, facendola sussultare vistosamente sul posto e strisciare la sedia sul pavimento. I suoi occhi incrociarono quelli verdi della ragazza dall’aria mascolina e tentò di abbozzare un sorriso mentre il cuore batteva furioso nel petto. La detective le si sedette davanti con aria un po’ assorta e poi le sorrise con allegria.
-Sono contenta che tu sia finalmente tornata! Cavolo, quando il prof ha detto che ti eri trasferita all’improvviso mi è preso un colpo!- mise su una faccia imbronciata -E non si dice alla tua Sera-chan?!-
-Mi spiace…- mormorò Ran con un sorriso incerto, per poi sobbalzare quando quella appoggiò entrambe le mani sulle sue guardandola seria negli occhi.
-So quello che è accaduto, Ran-kun- mormorò piano mentre l’altra sbarrava gli occhi sorpresa -Ho un segreto anche io: sono la sorella di Shuichi Akai-
La karateka sentì la terra mancarle sotto i piedi e il fiato farsi corto: possibile che tutti fossero coinvolti in quella faccenda in qualche modo?
-Tu…?-
-Sì, lo sono davvero. Mi dispiace di non avertelo mai detto, ma credevo che mio fratello fosse morto e ho avuto la conferma che fosse vivo solo qualche giorno fa. Mi sono fatta raccontare tutto per integrare le ricerche che avevo fatto alla tua partenza, su Kudo, sull’Organizzazione eccetera…-
-Oh- Ran batté gli occhi perplessa -Ok…- aggiunse stupita passandosi una mano tra la frangetta mentre l’altra sospirava sentendosi un po’ in colpa per aver mantenuto il segreto fino a quel momento: Ran le piaceva, era una brava amica, le dispiaceva averle mentito.
-Volevo chiamarti, ma ho capito che farlo avrebbe implicato metterti in pericolo e così ho lasciato perdere… So che tu e Kudo siete finiti in mano a quella cagna e che lui è in ospedale ora…-
-Sai come sta?- si affrettò a chiedere di getto l’altra, lasciando Masumi un po’ sorpresa.
-Tu non…?-
-È una storia lunga- si affrettò a giustificarsi Ran incerta mentre Sera annuiva, anche se confusa e sorpresa -Non lo vedo da quando sono stata dimessa dall’ospedale… So solo che Hattori è tornato ad Osaka, poi più nulla-
-Si sta riprendendo bene ho saputo. Andrò a trovarlo domani pomeriggio a dire il vero. Ma è un po’ giù di corda mi hanno detto… Non che si stia strappando i capelli, ma non è il solito Kudo sborone e pieno di sé che ricordo-
La ragazza dell’Agenzia annuì piano sentendo il cuore incrinarsi un po’, senza nemmeno far caso al doppio significato di ciò che aveva appena detto Sera: lei lo ricordava? Sarebbe venuto naturale chiedersi come facesse dato che, in teoria, non si erano mai visti…
All’improvviso la classe cominciò a riempirsi di studenti in vista dell’imminente lezione e Sera si fece più vicina a lei per farsi sentire.
-Anche tu non sei molto in forma a quanto vedo…-
-Sono ancora scossa da quanto accaduto- rispose lei alzando lo sguardo agitata nel suo, ma quando la detective fece per dire qualcos’altro, Sonoko tornò in classe e raggiunse di nuovo Ran travolgendola con un altro abbraccio.
La karateka lanciò un’occhiata supplichevole a Masumi, che annuì e si alzò allontanandosi vero il suo banco lasciando la gonna ondeggiare attorno alle sue gambe bianche come il latte.
No, non era il caso che Sonoko sentisse certi discorsi…
***
 
Sera arrivò davanti alla camera 501 ed esitò con una visibile incertezza davanti alla porta, sentendo una lieve sensazione di groppo alla gola dall’emozione.
Finalmente l’avrebbe rivisto per la prima volta dopo anni e anni, finalmente avrebbe incrociato nuovamente il suo sguardo da detective adulto, avrebbe osservato il suo fisico perfetto, avrebbe impresso nuovamente la sua voce nella mente.
Perché lei era rimasta stregata da lui anni prima, il giorno del primo incontro.
Shinichi sembrava non ricordare quasi nulla di lei: aveva infatti solo la sensazione di averla già vista, ma nulla di più.
Lei invece non aveva dimenticato per niente il suo viso, i suoi occhi, il suo portamento fiero, la sua risata cristallina.
Masumi non aveva mai dimenticato quel ragazzo che l’aveva spinta a diventare una detective come lui.
Prese coraggio e bussò alla porta con leggerezza un paio di volte, finchè il tono da adulto di un ragazzo dall’interno non le diede il permesso di entrare.
Abbassò con difficoltà la maniglia in metallo che scottava contro la sua pelle nonostante fosse ghiacciata, poi aprì la porta venendo subito invasa dal calore della stanza.
Shinichi rimase sorpreso davanti alla vista di Sera e quella sorrise arrossendo leggermente sulle gote mentre i suoi occhi verdi si illuminavano di gioia.
Era proprio come lo ricordava.
-Ciao!- disse chiudendosi la porta alle spalle e attendendo che lui pronunciasse parola, anche se Shinichi proprio non sapeva come comportarsi:
Sera conosceva solo Conan in fondo, ma non lui. Per cui, cosa…? Perché…?
-Ah…- improvvisò agitato prima che lei scoppiasse a ridere divertita e un po’ colpevole.
-Non volevo metterti in crisi, Kudo-kun- si passò una mano tra i ciuffi neri mentre quello si sentiva sempre più confuso -Io… Sono la sorella di Shuichi Akai e… Beh, so tutto di te e del tuo segreto-
Arrossì un po’ nel dirlo mentre la gola del liceale si seccava.
Lei sapeva tutto. Ogni cosa? Bene!
-Ah… B-bene…?- Shinichi scoppiò a ridere cercando di rilassarsi un po’ -Così tu sai di me e di quello che è successo? Credevo che l’FBI sapesse tenere certi segreti!-
-Mea culpa- ammise Masumi alzando un braccio colpevole -Ecco… Ho indagato su te e sulla tua vita e ho scoperto quasi tutto da sola… Ma quando ho saputo della “resurrezione” di mio fratello, non ho saputo resistere. Ho tormentato un po’ Jodie, un po’ Shu-nii per avere le informazioni che desideravo e un po’ mi sono arrangiata-
-Oh- il liceale si grattò la testa -Non credevo sarei stato oggetto di tanto interesse…-
-Lo sei- non riuscì a trattenersi la ragazza -E non solo per me, direi…- scherzò mascherando il vero significato di ciò che aveva appena detto. Il moro sospirò, sentendosi lusingato da quelle parole: la sua fama colpiva ancora, sempre e comunque.
All’improvviso un lampo gli folgorò la mente e alzando lo sguardo vide la ragazza sedersi nella sedia accanto al suo letto, osservandola mentre le labbra si schiudevano incontrollabilmente.
-Dannazione, adesso mi spiego perché eri tanto familiare!- esclamò sorridendo divertito -Sei uguale ad Akai!-
-E tu sei uguale a come eri da bambino!- esclamò Sera ridendo mentre le guance le si coloravano di un rosa acceso -Mi stupisco che le persone non abbiamo mai capito chi eri… Compresa Ran!-
-Ran- l’entusiasmo di lui si esaurì un po’ -Beh, in effetti me lo sono sempre chiesto anche io- aggiunse con un sospiro mentre la ragazza lo fissava con il cuore a mille.
Era davvero lui, era proprio come lo ricordava…
-Mi ha detto che non vi vedete dal giorno in cui è stata dimessa…- riprese lei poco dopo lisciandosi la gonna sulle gambe con fare distratto -Non so i dettagli di cosa è successo tra voi, ma è preoccupata per la tua salute nonostante possa sembrare il contrario-
Shinichi la fissò a lungo, inclinando leggermente a lato la testa, poi si rilassò contro al cuscino e sorrise spostando lo sguardo davanti a sé.
-Sempre a preoccuparsi degli altri…-
-Soprattutto se “gli altri” sei tu- ci tenne a ricordargli mentre quello la fissava sorpreso -Ooooh, andiamo! Non fare quella faccia- esclamò sorridendogli -E’ palese che siete innamorati-
***
 
Erano quasi 10 giorni che la vita di Tokyo aveva ripreso il suo corso come poche settimane prima, ma a Ran parve che la sua vecchia routine non fosse mai tornata. Spesso si voltava verso la porta di ingresso e aspettava che un bambino aprisse e si annunciasse con un gioioso “Tadaimaaa!” entrando in casa, o lo immaginava camminare per l’appartamento portando tra le braccia libri e libri gialli impilati gli uni sugli altri, per poi spargerli sul tavolino basso davanti al divano e leggerli uno dietro l’altro.
 Ricordava come con amore andava a scompigliargli i capelli durante la lettura e gli porgeva una tazza colma di cioccolata calda e densa, o come lo chiamava a gran voce per dirgli che la cena era pronta.
Sospirò spostandosi i ciuffi dietro le orecchie e constatando quanto quella routine le mancasse, quanto Conan fosse importante per lei… Quanto lo era Shinichi.
Per quanto tentasse di negarlo a se stessa, per quanto volesse tenerlo nascosto nel punto più remoto del suo cuore, le mancava da impazzire.
Il suo vuoto le creava un dolore immenso e penetrante e più cercava di non pensarlo, più si imponeva di spegnere i sentimenti che provava per lui, più soffriva e si sentiva morire dentro, come una pianta che richiede acqua per vivere ma che non viene mai innaffiata. Tentare di non amarlo non la portava che ad amarlo ancora di più.
Shinichi Kudo era una dannazione e una benedizione allo stesso tempo, era la droga di cui non poteva fare a meno, quella che più teneva lontana da se stessa, più sentiva il bisogno di assumere.
***
 
Sonoko decise di prendere il coraggio in mano e di guardare seriamente la sua migliore amica negli occhi, che riconosceva gonfi di pianto e spenti.
-Sei andata a Komatsu perché i tuoi hanno avuto una promozione di lavoro. Hai tenuto il cellulare sempre spento e con il numero delle persone che potevano chiamarti bloccato- la voce spenta della ragazza fece trasalire la karateka che, seduta al suo banco, cercava di risolvere un paio di disequazioni che avrebbe dovuto fare per casa ma che non era riuscita a finire troppo presa com’era dal pensiero di Shinichi.
-A chi credi sia andata bene questa balla del trasferimento? A me no, sai?- Sonoko la afferrò per le spalle costringendola a guardarla negli occhi -Ran, cosa è successo davvero in quelle settimane in cui non eri a Tokyo?-
Ma l’FBI era stata chiarissima, lampante: non dire nulla a nessuno. Nemmeno ai parenti più stretti.
-Papà ha voluto…-
-Oh, per favore!- Sonoko la interruppe prima ancora che cominciasse ad improvvisare -Non me la bevo, Ran! E questi occhi?- le passò un dito sotto le ciglia inferiori dell’occhio sinistro -Stai piangendo da giorni. Ma perché? Per chi?-
Il silenzio della karateka era tradito dal suo cuore veloce e dal petto che si alzava e abbassava repentino. No, non voleva cedere al pianto per l’ennesima volta, già bastavano le volte che piangeva a casa, eppure Sonoko era lì e si aspettava la verità, ma il fatto di non poterle dire nulla…
-Sonoko… Non posso dirti nulla. Non ora almeno- ammise con tono triste e sguardo mortificato mentre l’altra sbuffava sdegnata.
-Ma quando? Ran io non voglio più vederti così! Sei la mia migliore amica, mi hai mollata senza una spiegazione, sei partita… Stai di nuovo piangendo come facevi prima…- gli occhi di Sonoko si rabbuiarono all’istante mentre si sedeva di fronte a lei lentamente -C’entra ancora lui, non è così?- domandò piano colpendo in pieno la mora.
Ran si morse il labbro inferiore sentendo gli occhi bruciare e la gola ardere in preda al più totale magone. Si impose autocontrollo, non poteva cedere o si sarebbe tradita ancora, eppure nominarlo anche solo per allusioni la faceva sentire davvero male.
-No- rispose poco convincente.
-Non è vero!- l’ereditiera scosse il capo decisa -So che c’entra lui! Cosa ti ha fatto stavolta? Sei scappata con lui? Siete nei guai?-
Ran voltò in fretta il capo dall’altra parte dell’aula e si alzò di scatto strisciando la sedia sul pavimento lindo dell’aula, ma Sonoko non demorse e si alzò a sua volta, afferrandola per un polso.
-Ti sta facendo di nuovo soffrire, lo vedi?! Dannazione, ma perché non lo dimentichi, Ran?! Dove ti ha portata? Che cosa hai fatto con lui a Komatsu, sempre che tu sia andata davvero lì…?-
-Io non l’ho visto a Komatsu- la karateka si liberò dalla presa voltandosi a guardarla. Sostenne lo sguardo per alcuni secondi nel silenzio più totale dell’aula vuota mentre tutti erano in palestra a vedere il combattimento di kendo organizzato dalla scuola e cercò di non scoppiare in lacrime respirando piano -Sì, c’entra lui, lo ammetto… Ma non posso dirti più di questo Sonoko-
-Ran, perché…?-
-Per favore!- la ragazza dagli occhi azzurro-lilla scosse la testa facendo un passo indietro -Non posso risponderti, ma ti chiedo di fidarti di me! Lui… Non è solo lui ad avere sbagliato, la colpa è anche mia…-
-Colpa?- la Suzuki si mosse veloce verso di lei preoccupata e confusa -Di cosa? Cosa avete fatto?-
Ran scosse il capo, per poi sorriderle dispiaciuta senza aggiungere altro.
L’ereditiera sembrò offesa, fece un passo indietro e la squadrò seria da capo a piedi per interminabili secondi, poi sospirò e annuì chiudendo gli occhi.
-Un giorno voglio che tu mi dica la verità, Ran…- mormorò mentre quella annuiva con un sospiro rassegnato. -E voglio spaccare la faccia a quel pezzo di stronzo del ragazzo che ami…- aggiunse a denti stretti fissando seria davanti a sé mentre un urlo sonoro proveniente dalla palestra invadeva il corridoio: il Teitan aveva vinto lo scontro.

***
 
Nello stesso momento in una stanza di ospedale, Shinichi stava seduto sul suo letto pensoso e rapito dal lieve tepore che lo circondava grazie al clima di fine maggio che ancora non sembrava voler risentire dell’imminente stagione delle piogge.
-Vorrei chiederti un favore- disse il ragazzo tormentandosi le dita della mani con forza mentre Sera, accanto al suo letto, lo fissava cercando di apparire il più serena possibile.
-Dica tutto, Kudo- scherzò usando il “Lei” mentre quello sorrise vagamente divertito: aver scoperto che, proprio come ricordava bene, loro si erano già incontrati anni prima era stata una grande sorpresa e aveva subito provato per lei un moto di fiducia.
Gli piaceva il fatto che andasse ogni pomeriggio a trovarlo e che gli parlasse di Ran o di come aveva deciso di diventare anche lei una detective.
-So come poter riacquistare la fiducia di Ran, ma non posso riuscirci da solo- ammise un po’ incerto mentre la ragazza maschiaccio si passava una mano tra i capelli neri e corti con il viso interrogativo. Il silenzio si aprì tra i due repentino e la detective attese che continuasse con impazienza, cercando di formulare il vari modi con cui Shinichi Kudo avrebbe potuto riconquistare una ragazza.
Era non poco curiosa e soprattutto desiderosa di sapere… D’altronde, in un angolo remoto del suo cuore, avrebbe voluto essere lei la fortunata…
Fiori, cioccolatini e sdolcinatezze varie erano da escludere: sarebbe stato molto più probabile che la Torre di Tokyo si animasse di vita propria e decidesse di andarsene a spasso per la città piuttosto che Shinichi Kudo si comportasse come la massa informe di ragazzi ordinari che rifilavano quella roba alle proprie amate.
Libri, Holmes, regali di vario genere legato ai gialli? Beh, forse quelle cose erano adatte a riconquistare lui e non propriamente lei …
Restava un posto, e se non andava errato era proprio il luogo da cui tutto aveva avuto inizio…
-Conosci il parco Tropical Land?- domandò Shinichi guardandola pensoso mentre quella annuiva con un cenno di capo, sorridendo soddisfatta delle sue deduzioni.
-L’ho sentito nominare da molti in effetti…-
-Ho bisogno che tu ci porti Ran- spiegò mentre lei si appoggiava con il mento al palmo della mano.
-Io?- domandò interrogativa mentre lui annuiva.
-Sì, ma non preoccuparti, ci sarò anche io- si rese conto che stava solo confondendo di più le cose, così ricominciò da capo grattandosi la testa -Insomma, quello è il luogo da cui è cominciata tutta questa storia. Vorrei che tu la portassi lì e che vi inoltraste nella folla fino a perdervi di vista-
Gli occhi di Sera si illuminarono furbetti e la ragazza ridacchiò annuendo.
-Soda soda, ho capito! Lascio a te il resto, no?-
-Beh, sì…-
-Per me è ok! Allora, quando porto Ran a Tropical Land, “il luogo dove tutto ebbe inizio”?- domandò euforica.
-Appena esco di qui, per cui domani-
-Domani…? Non perdiamo tempo, vedo!-
-Ne abbiamo già perso fin troppo-
-A che ora, Holmes?-
-Verso le 17.00 in prossimità della Fontana. C’è sempre un sacco di coda per entrare nel cinema 4D lì accanto, per cui dovresti riuscire a perderla di vista facilmente se passi in mezzo alla folla…-
-Yosh!- l’euforia della ragazza rallegrò il liceale, che la fissò divertito mentre faceva il saluto dei Marines e si alzava in piedi tutta contenta agitando la gonna della divisa blu cobalto del Teitan ovunque. Per quanto fosse una ragazza, era talmente mascolina che non riusciva nemmeno a portare gli abiti femminili…
-Grazie, Sera-
-Di nulla, Kudo. Ah!- si voltò in tutta fretta prima di aprire la porta della stanza per tornare a casa -Non accetto un fallimento in questa missione, chiaro soldato?-
Il detective assottigliò gli occhi facendo un sorrisino tirato e sussurrando un “Oi oi” a bassa voce, quando quella scoppiò a ridere e alzò una mano in segno di saluto.
-Ja nah, Kudo!-
-Ciao ciao…- rispose lui prima che la porta si chiudesse e il silenzio calasse nella stanza. Si guardò attorno mentre il sole colorava ogni cosa con i suoi tiepidi raggi primaverili e cominciò a definire i dettagli del suo piano per il giorno dopo.
Shinichi Kudo fallire?
Mai.
Sera appoggiò la schiena alla porta della stanza e abbassò il capo mentre un sorrisino amaro si apriva sul suo volto mentre abbassava gli occhi a terra.
Ran, Tropical Land… Avrebbe dovuto immaginarlo.
C’era posto solo per lei e non per altre.
Lo aveva sempre saputo in fondo.
***
 
Lei Tropical Land non voleva nemmeno più sentirla nominare, figurarsi metterci piede.
Eppure, per qualche strano caso del destino, aveva lasciato che Masumi, presentatasi all’improvviso alla sua porta, la portasse a fare un “giretto” per distrarsi e alleggerire un po’ le borse violacee che da giorni albergavano sul suo viso. Aveva indossato i primi indumenti che aveva trovato dall’armadio: una maglia a manica corte bianche, un paio di bermuda grigi e un golfino nero con la zip.
Aveva semplicemente seguito Sera lungo tutto il tragitto cercando di starle al passo mentre questa saltellava con un grillo da un autobus all’altro, da un marciapiede all’altro.
La karateka aveva strisciato così tanto le suole delle Converse azzurre sull’asfalto che ora tutti i bordi interni erano consumati in maniera obliqua e, nella fretta di seguire l’amica, non si era nemmeno accorta di aver lasciato il portafogli a casa.
Sera era riuscita a stordirla con un turpiloquio così lungo su Holmes, casi, detective, fratelli, mode da non seguire e chissà quante altre cose che Ran aveva finito per non rendersi nemmeno conto di dove l’aveva portata.
Solo quando ebbe incrociato con lo sguardo un enorme scritta che sormontava l’entrata di un parco che ben conosceva si rese conto della trappola in cui era incappata: TROPICAL LAND.
Quelle due semplici, ma taglienti parole, erano riuscite a svegliarla del tutto e a farle trovare la voglia di opporsi alle scelte di Masumi che si era avviata a grandi passi verso l’entrata.
-No! Non ci entro io lì dentro!- esclamò decisa -Inoltre non ho nemmeno il portafogl…-
-Shhhh!- Sera le tappò la bocca ridendo e tirando fuori dalla tasca due biglietti per il parco -Li ho vinti alla lotteria del quartiere: non dovrai pagare nulla- la afferrò ancora per un polso e la spinse verso l’entrata mentre quella strisciava le suole a terra, opponendosi con imbarazzo mentre tutti le fissavano interrogativi.
-Non costringermi ad usare il karate, Sera-chan…!- si lamentò divincolandosi a destra e a sinistra con forza.
-Pratico il Jeet Kune Do: sai benissimo che posso atterrarti prima ancora che tu alzi una gamba per colpirmi. L’ho già fatto una volta, ricordi?- la chiuse con un sorriso furbetto la detective lasciandola senza parole.
-Hey!- esclamò sdegnata la mora -Non te la tirare, ora!-
Ma Masumi corse verso il centro della piazza principale del parco ridendo come una bambina e poi urlando di gioia, guardando Ran con gli occhi che brillavano mentre lei la raggiungeva cercando di guardarsi attorno il meno possibile: odiava quel posto ormai.
-Non mi piace qui… Io torno a casa, ok?- disse dispiaciuta cercando di apparire il più gentile possibile, ma l’altra mise su il muso rabbuiandosi come un’eclissi di sole.
-Mi stai dicendo che dopo che ti ho portata qui per farti divertire, tu vuoi andartene lasciandomi sola come un cane?- domandò con tono distaccato e offeso facendo sentire in colpa Ran, che cercò di mettere su una scusa decente per congedarsi. Ma che alla fine sospirò e cedette, abbozzando un lieve sorriso.
-Dove si va?- domandò piano mentre gli occhi di Sera, orgogliosa di se stessa per le sue doti da attrice, si riaccendevano come lampadine.
-Seguimi!- esclamò prendendola per l’ennesima volta per un polso e cominciando a correre tra le urla sdegnate di una Ran stizzita.
-Sì, ma non correre, Sera!-
La detective non la ascoltò minimamente e si destreggiò con cura tra i passanti, i bambini e i tipi vestiti da pupazzi giganti mascottes del parco che invadevano ogni angolo del luna park strapieno come sempre.
Sentiva il cuore battere forte nel petto e lanciava continue occhiate all’orologio del suo Ony Xperikan per essere sicura che ogni cosa filasse liscia. Ran sospirò e fece per deviare verso destra quando davanti a loro si parò l’enorme coda che c’era da fare per entrare nel cinema 4D, ma Sera sembrò puntare proprio la folla e accelerò il passo trattenendola per il polso con più forza.
-Sera, ma non per di qui…!- tentò di sviarla la karateka indicandole la folla, ma era troppo tardi: le due si ritrovarono incastrate nella marmaglia umana che sbraitava al loro passaggio e ben presto la mano di Sera mollò il polso della ragazza, che arrestò la sua corsa guardandosi attorno col fiatone. -SERA-SAAAN!- urlò a gran voce voltandosi ovunque per individuarla tra la folla, finchè una mano non la afferrò nell’esatto punto che fino a pochi secondi prima stringeva l’amica e non la trascinò verso destra con forza.
Ran tentò di opporsi e capire chi ci fosse dall’altra parte, quando individuò alcuni ciuffi corvini muoversi veloci tra la folla in modo terribilmente familiare.
No. Non voleva assolutamente, non era ancora pronta…
Si ritrovò in pochi secondi dall’altra parte della calca di gente e riprese a respirare regolarmente senza essere più oppressa da tutte le persone, ma il ragazzo che la teneva stretta con la sua mano sembrava non volerla proprio lasciarla andare mentre correva verso un luogo familiare in cui era stata già due volte.
-No! Aspetta!- urlò Ran prima che lui la obbligasse ad entrare nell’esatto centro della fontana di Tropical Land, dove gli spruzzi di acqua si eressero alti e giocosi attorno a loro, isolandoli dal mondo.
Shinichi si voltò e incrociò il suo sguardo azzurro-lilla con occhi seri, facendo un passo verso di lei determinato. Ran portò una mano al petto che si alzava e si abbassava come un forsennato per la corsa e mantenne lo sguardo nel suo un po’ arrabbiata, cercando di capire cosa diavolo avesse in mente ora.
-Cosa significa tutto questo?- domandò piano tentando di apparire distaccata prima che lui facesse deciso un altro passo verso di lei.
-Che ho ancora 55 secondi per riconquistarti- rispose quello sbrigativo lasciandola di stucco prima di annullare totalmente la distanza tra loro e fare incontrare le loro labbra per la prima volta.
Ran sbarrò gli occhi inerme, incredula, senza fiato e lasciò che il ragazzo giocasse teneramente con la sua bocca, assaporandola piano e sfiorandola delicatamente, strofinandola contro la sua e poi staccandosi lentamente da lei proprio quando la fontana cessò i suoi spruzzi e loro tornarono al mondo, come se fino a quel momento fossero stati in un altro universo.
Shinichi fece un mezzo passo indietro riaprendo piano gli occhi e poi fissandola in silenzio mentre lei alzava lo sguardo nel suo, tremando e sfiorandosi appena la bocca rosea con l’indice destro dall’unghia violacea per via dell’agitazione.
Shinichi Kudo, il ragazzo che più amava al mondo e che più allo stesso tempo le stava rendendo la vita un Inferno, l’aveva appena baciata.
Gli schiamazzi dei bambini, le risate delle persone, la musica del parco ricominciarono ad invadere le orecchie di entrambi mentre il tempo riprendeva a scorrere imperterrito come se nulla fosse successo qualche attimo prima.
I suoi occhi erano fissi in quelli di Shinichi, tremavano lucidi e sembravano voler dirgli qualcosa, quando il liceale capì che era il momento di riprendere parola.
-So che ho sbagliato, Ran. So che negli ultimi mesi non ho fatto altro che mentirti e farti soffrire, ma quello che ti ho detto nel biglietto e nella cantina in cui eravamo rinchiusi è la verità. Sapevo che nessuna parola sarebbe riuscita a farti riacquistare fiducia in me e così l’unico modo che ho trovato per farlo è stato questo- il ragazzo fece un altro passo indietro assottigliando gli occhi rassegnato -Forse non lo vedrai nemmeno tanto nel mio stile, hai ragione, nemmeno io credevo che avrei mai fatto qualcosa di simile, ma era la mia ultima speranza. Non voglio obbligarti a fare nulla che non vuoi, Ran, è una cosa che non ho mai voluto.
Perciò se ora vorrai urlarmi addosso, sfogarti su di me o andartene, sei perfettamente libera di farlo. Se non vorrai vedermi mai più ti basterà mollarmi qui e sparirò per sempre dalla tua vita. Ciò che davvero voglio è che tu sia felice e accetterò ogni tua decisione, qualsiasi cosa comporterà-
Le parole di Shinichi, seppur tristi, furono pronunciate in modo serio e conciso: il liceale non voleva più procurarle dolore, non sopportava più essere la fonte di ogni sua dannazione: non si stava arrendendo, stava facendo solo la cosa che riteneva più giusta per lei.
E se avesse sofferto per la sua mancanza, avrebbe imparato a convivere con il dolore, a buttare giù il groppo amaro che gli si sarebbe formato in fondo alla gola ogni giorno, a rassegnarsi alla realtà.
Avrebbe imparato ad accettare di non esistere per lei e lo avrebbe fatto col pensiero che in quel modo sarebbe stata felice.
Era pronto a farlo anche mesi prima, quando ne aveva parlato con Haibara. **
-Sarà come non averti mai conosciuto?- soffiò Ran sottovoce mentre lui, incassando il colpo, annuì piano osservando i suoi occhi azzurro-lilla senza mai staccare lo sguardo. La karateka annuì a sua volta e abbassò il capo a terra, sulle sue Converse azzurre meditando cosa fosse davvero giusto: cosa voleva davvero?
Era stanca di soffrire, stanca di essere presa in giro, stanca di essere sempre l’ultima a sapere le cose.
Non era giusto che si ritrovasse a rischiare la vita per lui e per i suoi guai, non voleva più passare ogni giorno a piangere in silenzio indossando una maschera non appena era in compagnia di qualcuno. L’idea di stare lontana da quel ragazzo, quel detective stakanovista, significava non essere più in pericolo, non soffrire più, non dover più sopportare le sue storie.
Allora forse era la soluzione migliore.
Alzò lo sguardo e incrociò quello dell’amico di infanzia che attendeva in silenzio il suo verdetto finale: i suoi occhi erano di un magnifico blu come l’oceano più puro, eppure in quel momento erano in tempesta.
Si capiva benissimo che Shinichi Kudo, che era pur sempre un umano ed era innamorato, era preoccupato.
Ran ne fu quasi felice: finalmente stava capendo cosa si provava, finalmente non era l’unica a sentire gli effetti di quel dannato amore a senso unico…
Le sue gambe volevano voltarsi e partire in quarta verso l’uscita del parco: sarebbe stata libera, non si sarebbero mai più visti.
Per lei lui non sarebbe più esistito, per lui lei sarebbe stata solo un lontano ricordo.
Ma nella sua mente si aprì una voragine e il cuore cominciò a batterle all’impazzata contro le costole, quasi come se avesse intenzione di frantumarle in mille pezzi.
Ma che diavolo stava pensando?
Stava rinunciando a lui, al ragazzo che era stato in grado di farla sentire nello stesso momento la più felice ed infelice persona al mondo?
Quello che l’aveva salvata quante volte… Infinite?
Quello che le era sempre stato accanto nei momenti più difficili, anche quando non lo sapeva?
Stava rinunciando a quel ragazzo che la faceva sentire bene con la sua sola presenza, quello che aspettava da tempo e che era sparito per proteggerla?
Ran affogò lo sguardo in quello di lui e in un attimo tutto fu chiaro: capì cosa davvero l’avrebbe resa felice.
Scattò in avanti e gli saltò al collo stringendolo a sé mentre quello allargava le braccia sorpreso e sbarrava gli occhi fissando i suoi capelli castani che svolazzavano al vento. La sentì cominciare a tremare sulla sua spalla mentre alzava la testa dall’incavo tra la clavicola e il collo, incrociò i suoi grandi occhi pieni di lacrime e poi la vide sorridere rimanendo di stucco.
 Non capiva bene cosa stesse accadendo, non capiva cose le passasse per la testa, ma rispose repentino e con un tuffo al cuore al bacio che lei gli diede qualche secondo dopo, chiudendo gli occhi e inclinando a lato la testa. Shinichi fece scorrere le dita nel suoi capelli lunghi e setosi, inspirò a fondo il suo profumo alla vaniglia e la strinse con forza al suo petto rendendosi conto che tutto quello significava solo una cosa: non l’aveva persa per sempre.
Non era successo: Ran era lì, era di nuovo con lui.
Le loro lingue si scontrarono repentine ma con dolcezza, Shinichi le prese il viso tra le mani e lo tenne come se fosse la cosa più preziosa al mondo mentre le bocche emettevano schiocchi sonori.
Appena sembravano sul punto di separarsi, le labbra di uno dei due si reimpossessavano veloci di quello dell’altro come due calamite. Ad entrambi sembrava un sogno: si stavano baciando di nuovo e questa volta perché entrambi lo volevano.
Perché si amavano.
Fu Shinichi a separarsi dal bacio e ad affogare lo sguardo subito in quello della più bella ragazza della Terra, sorridendole come mai aveva fatto prima mentre le sfiorava delicatamente una guancia con due dita.
-Hai scelto Tropical Land perché qui è dove tutto ha avuto inizio?- domandò piano Ran beandosi della sua bellezza mentre quello annuiva sereno.
-Qui ho commesso l’errore più grande della mia vita e qui avevo intenzione di riparlo. Ho sbagliato ad entrare in quel vicolo lasciandoti da sola… Ma in questo modo, vivendo accanto a te ogni giorno, ascoltando ciò che davvero pensavi, provando sulla mia pelle il tuo stesso dolore, mi sono finalmente reso conto di quanto tu sia importante per me-
La karateka lasciò scorrere le lacrime sulle guance e sorrise con un singhiozzo, per poi appoggiare il capo al suo petto e lasciarsi abbracciare forte.
Capì che quella era la decisione migliore: una vita senza Shinichi non sarebbe stata vita.
-Scusami per come mi sono comportata negli ultimi giorni…- mormorò appoggiando il capo al suo petto, inspirando il suo odore -Sono stata una stupida…-
-Koishiteru- le sussurrò il ragazzo in un orecchio prima che lei sbarrasse gli occhi sorpresa e cercasse di nuovo il suo sguardo: i suoi occhi non erano più in tempesta, erano blu come l’oceano più calmo che avesse mai visto.
Di quella frase capì il vero significato con alcuni secondi di ritardo, e fu immensamente felice: Koishiteru era il modo giapponese più importante di tutti per dire “Ti amo”.
“Daisuki” era comune, esprimeva affetto, ma non era abbastanza per loro.
“Aishiteru” era già più importante, ma per Shinichi non era l’espressione giusta: lui aveva usato “Koishiteru” perché quel verbo significava amare una persona e voler passare il resto della propria vita con lei.
Perché Lui non voleva più perderla: voleva amarla per sempre.
-E io di più- sussurrò prima di baciarlo ancora e annullare nuovamente la realtà che li circondava.
C’erano solo loro finalmente, solo due anime che finalmente si erano di nuovo incontrate.
Solo due cuori che ormai battevano all’unisono l’uno per l’altro.
 

*Mi riferisco all’ultimissimo file uscito in Giappone, l’884, da cui siamo venuti a sapere di questa notizia J
** Ep 270 jap

 

Mangakagirl’s Corner:
Minna Konnichiwaaaa :D
Eccomi eccomi! Ok, sono ritardo di quasi tre settimane… Ma era il finale, dovevo aggiustarlo per bene! >_<
Tutti i pezzi del puzzle dovevano combaciare, mi ci è voluto tempo, ma credo di essere soddisfatta di come è venuto il risultato! *-*
Voi che ne pensate? Credevate che i due non si sarebbero riappacificati? xD
Ma ASSOLUTAMENTE NO!  u.u Non potevo fare una cosa del genere :’) Già sono stata cattiva come sempre per tutta la storia… Muahuahua LOL
Allora, io spero si sia capito tutto: molte informazioni sono fresche fresche, sbarcate direttamente dal Giappone da poco tempo.
Mi riferisco al sentimento che si suppone Sera provi per Shinichi, al loro incontro in un tempo non ancora definito dall’autore, al fatto che ormai abbiamo tutti capito che lei è la sorella di Shuichi Akai, e al caso dell’acquario che Gosho ha appena pubblicato in Giappone. (questo ancora non è nemmeno stato definitivamente tradotto)
Non so quanti di voi siano al passo con il manga originale, ma io lo sono e… ^^” Mi spiace per chi è stato spoilerato, ma comunque l’avvertimento nella storia c’era per cui… Eravate preparati ^^
Spero il finale vi sia piaciuto e di non essere andata OOC >___<
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno seguito la storia, l’hanno aggiunta alle preferite, ricordate, seguite…
A chi mi ha aggiunta come autrice preferite *-* <3
Un ringraziamento speciale a Hoshi Kudo, che (magari non lo ricorderà xD) ma mi ha dato una marea di consigli durante la stesura che procede da agosto fino ad oggi LOL Grazie Neechan :’)
E un ringraziamento anche a mio cugino con cui, sempre questa estate, (Sì, è una storia centenaria ^^”) ho passato intere serate ad elaborare le scene d’azione della sparatoria con Anokata.
Minna ARIGATO! <3
Spero di tornare presto con nuove FF :D
Alla prossima :D
Mangakagirl!

 
 
 
 
 
 
  
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