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Autore: Easily Forgotten Love    31/05/2008    1 recensioni
Brian e Stefan si sono appena lasciati. Sebbene sia stata una scelta consapevole, Stefan non sa ancora quanto possa fare male. E Brian, che quella scelta l’ha subita, non riesce ad accettare di arrendersi senza provare a riprendersi ciò che ama.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Ed è venuto a dormire a casa tua anche ieri sera?
-Sì, che ci è venuto, Stef! Io non lo sopporto più! Trova il modo per farlo ragionare o giuro che…
-Andiamo, Steve, non sei credibile. Lo sappiamo tutti che in realtà ti senti più tranquillo anche tu ad avercelo sempre sotto gli occhi.
***
Stefan osserva affascinato le gocce di inchiostro che rotolano nella clessidra ad acqua. La gira di nuovo, un momento prima che l’ultima scivoli giù dal ripido sentiero di vetro e finisca per impattare nel mare blu che si è raccolto sul fondo. Il gocciolare ordinato riprende coscienziosamente, ubbidiente alle leggi della fisica…
-Ti piace così tanto?- ridacchia Vincent.
Stefan alza il viso ed incrocia i suoi occhi. Ci sta facendo l’abitudine a quel ghiaccio gentile, comincia quasi a piacergli. Gli sorride di rimando e mette via la clessidra per seguirlo fino alla scrivania e sedersi con lui, ognuno al proprio posto.
-The?- s’informa Vincent. Stefan ringrazia e lui riporta l’ordine alla segretaria dall’altro lato dell’interfono.- Allora, che mi dici di nuovo?- chiede educatamente.
-Ho deciso di comprare casa.- annuncia Stefan.- Ne ho trovata una molto carina da queste parti.
-Davvero?- ritorce Vincent sollevando le sopracciglia con interesse.- Io amo questa zona.- confessa poi.- Mi sembra di essere tornato nel villaggio dove vivevo da bambino.
-Pensavo fossi nato a Londra.
-Sì, ci sono nato.- ammette lui.- Ma mia madre la trovava insalubre e ci siamo trasferiti quasi subito fuori città. Ci sono tornato per studiare.- Ride e Stefan si unisce a lui.- Non fraintendermi,- precisa- adoro Londra, ma a volte si soffre un po’ di nostalgia per le cose buone dell’infanzia!
-E’ vero.- concede Stefan.- A me è piaciuto subito, qui.- chiarisce dopo.
Vincent annuisce.
-E’ comunque un dato molto positivo che tu abbia trovato la voglia di imbarcarti in un trasloco.- fa notare pacatamente.- Tanto più che ora come ora sarete anche impegnati…
-Per il disco, sì.
-Hai voglia di rimetterti al lavoro?- gli chiede Vincent.
Stefan si stringe nelle spalle.
-A lavoro, sì,- ammette.- di vedere Brian tutti i giorni per ore, no.- Sospira, distogliendo lo sguardo- C’è questo fatto che lui continui a cercarmi…a starmi addosso anche quando gli chiedo un po’ di tempo per respirare…
-Perché credi che lo faccia?
-Non lo so.- mormora a mezza voce Stefan, esausto.- Immagino che sia un po’ perché non riesce a stare da solo…tortura anche Steve e non lo fa con Alex solo perché lei passa il proprio tempo a rimproverarlo senza pietà!- afferma.- Un po’ credo che sia un modo per farmela pagare per averlo lasciato. Brian è molto vendicativo. E cattivo.
Vincent lo fissa perplesso, Stefan si volta e se ne accorge così modifica il tiro.
-Lo è quando vuole qualcosa, quando qualcuno gli fa del male, quando focalizza l’attenzione su qualcuno che odia…
-Pensi che ti odi?
-Lo fa senz’altro!- sbuffa Stefan in un accenno di sorriso spento.- Lo fa in un modo tutto suo, di cui probabilmente non si rende nemmeno conto.
-Non hai pensato che potrebbe semplicemente rivolerti indietro?- prova a suggerire Vincent.
-Sì, certo.- conferma Stefan con un cenno- Ed è anche così. Mi ossessiona perché sa che se ci ricadessi non troverei più la forza di andarmene. Non è facile liberarsi da Brian. È molto più che amore quello che lega a lui.
-…e tu non vuoi davvero liberarti, Stefan.- sussurra Vincent girando lui il viso stavolta.
Stefan lo fissa senza capire. Il suo sguardo interrogativo si punta sull’altro, scrutandolo in attesa di una spiegazione. Vincent respira a fondo e si tira dritto sulla sedia, solo quando ha la schiena bene eretta e le mani posate rigidamente davanti a sé torna a ricambiare gli occhi dello svedese.
-Se avessi voluto tagliare con Brian, sarebbe bastato mollare la band e non rivederlo mai più.- gli dice calmo.- Avrebbe fatto lo stesso male che fa ora, magari anche per un tempo più lungo, ma alla fine saresti stato completamente libero. La verità, però, è che tu non vuoi essere completamente libero, a te sta bene appartenergli e stai solo cercando di ridefinire i margini del vostro rapporto.- aggiunge.
Stefan non ribatte. Ha paura di chiedere, paura di capire fino in fondo. Sa inconsciamente che tutto quello che gli viene detto è vero, non è rimasto accanto a Brian per la band, è rimasto con lui per quella promessa. E nel farlo ha ammesso con se stesso e con Brian che il legame che li tiene assieme esiste ancora ed è forte proprio come lo è sempre stato.
Così ha paura.
Di sentirsi dire che torneranno a stare insieme, ad esempio.
Ma anche di sentirsi dire che magari Brian non condivide quello stesso sentire. E che lui magari ci arriverà a tagliare di netto il filo invisibile che li unisce.
Ha paura. Di dirsi quanto lo ama ancora.
***
-Dunja…?
Lei sorride.
Ha un viso avvenente, nonostante non sia più una ragazzina. Anzi, avrà sicuramente più di cinquant’anni e li dimostra anche tutti quanti: i capelli di un biondo incolore tipico delle persone un po’ avanti con l’età e che si curino senza eccessi; un volto ed un corpo, magri e spigolosi, vestiti di chiaro in accordo con la chioma, acconciata sulla testolina piccola con un enorme fermaglio da cui si liberano vaporosi ciuffi ricciolosi, che cadono attorno al volto in una corona ideale. La fascia che è sistemata intorno alla testa, la gonna ampia in stile gitano, il maglioncino di lana a trama larga e la collana d’avorio e conchiglie contribuiscono ad un quadro New Age che fa molto “figlia dei fiori” e che suona inquietante.
…ed il rosa confetto dovrebbe essere tra i colori vietati per i lucidalabbra superati i venti.
-Brian.- ritorce lei con quella sua aria svampita un po’ fattucchiera buona di Harry Potter un po’ santona pranoterapeuta e veggente ad ore.
-…che razza di nome è Dunja?- continua lui imperterrito.
-Il mio, direi.- ribatte lei serafica.- Potrei chiederti che razza di nome sia Brian, ma anni di banalizzazione ti hanno esonerato da simili domande. Del the?- s’informa senza soluzione di continuità.
Brian riflette sulla possibilità di risponderle per le rime, ma prima che possa farlo, Dunja ha già versato un the odoroso ed inebriante, che riposava nel bollitore di fianco a lei, e gli ha piazzato sotto il naso una tazza fumante ed un piatto di…biscotti fatti in casa.
-C’è qualcosa di surreale in questa situazione- afferma Brian scostando la tazza con due dita, come se solo toccarla lo disgustasse.
-Cielo, no!- protesta inorridita Dunja. Ed ha una voce profonda affatto adatta al suo aspetto- E’ solo the al gelsomino!
-E questo cosa c’entra?!- scatta Brian infastidito.
-Questo dovresti dirmelo tu, Brian, sei tu a trovare la situazione “surreale”.- gli fa notare lei amorevole, respingendo la tazza verso di lui attraverso il piano.- Su, bevi il tuo the prima che si freddi.
-Ho smesso di bere il the quando avevo quindici anni, è conformismo spicciolo!- afferma bruscamente lui, ricacciando la tazza con molta meno gentilezza, cosicché oscilla e schizza il ripiano.
Dunja non si scompone, tira fuori da un cassetto un tovagliolo di stoffa e pulisce le gocce, commentando con indifferenza.
-Anche truccarsi da donna lo è, ma io sono più educata e non te lo faccio notare.- Brian arrossisce violentemente, ma lei non fa sentore di averci fatto caso e lascia cadere il fazzoletto al suo posto.- In ogni caso, immagino che sia proprio da questo che dipende il tuo nervosismo.- specifica spingendo ancora la tazza davanti all’altro.- Questo ed il karma negativo che ti aleggia addosso. Dovremmo verificare il tuo quadro astrale, sono quasi certa che sia pessimo.
Brian spalanca occhi e bocca, fissandola come fosse un marziano.
-Il mio quadro astrale.- ripete.
-Sì.- annuisce lei.
-Il mio quadro astrale?!- ribadisce Brian sottolineando le parole.
-E’ quello che ho detto.- conferma Dunja.
-Io non credo in Dio e dovrei verificare il mio quadro astrale?!- sbotta Brian come se questo fosse esaustivo del concetto.
-Oh, non pensare!- ritorce lei agitando una manina sottilissima, nervosa e dalle dita lunghe.- Non credere in Dio non influenzerà minimamente il tuo quadro astrale.
Brian si alza di colpo, scaraventando la sedia dietro di sé e fissandola incredulo.
-Voglio ben sperare, dottoressa!- afferma risoluto.
-Dunja.- lo corregge lei per nulla impressionata.
-Se non c’è altro, dottoressa – ribadisce Brian incolore.- io andrei a consultare un astrologo, così da risolvere i miei problemi di quadri astrali e karma negativi!
-A te non farebbe piacere se io ti chiamassi “cantante”.- gli fa notare lei pazientemente.
-“Cantante” non è un titolo, “dottoressa” sì.- ritorce lui, braccia incrociate sul petto e sguardo ostile.
-Piuttosto inflazionato di questi tempi, si perde tragicamente in individualità a servirsene. Ora siedi, Brian, è molto più facile parlare quando si sta alla stessa altezza, la mia cervicale non mi permette di tenere il viso alzato per molto tempo.- lo invita lei indicando la stessa poltrona che lui ha allontanato bruscamente.
-…lei non ha capito.- mormora Brian in tono pericolosamente basso.- Io me ne vado da qui e non ci rimetterò più piede finché campo e…
-Che pessima sconfitta.- lo interrompe lei con un sorrisetto divertito. E Brian ammutolisce, squadrandola perplesso.- Finora hai fatto in modo che fossero gli altri a rinunciare ed io ti batto in una sola seduta di…- getta uno sguardo all’orologio a pendolo che se ne sta sul muro di fronte.- quattordici minuti e sedici secondi.
-E’ il trucco più vecchio del mondo.- fa notare lui a mezza voce agitando il capo con una smorfia incredula.- Poteva fare di meglio.- aggiunge quindi- Ha fatto di meglio per ben quattordici minuti e sedici secondi!
-No, ora sono ventitre.- lo corregge lei.
-…è davvero surreale.
-Lo hai già detto.- gli fa osservare.- Siedi, Brian, il the è freddo e freddo è disgustoso.- nota posizionando ancora la tazza di fronte al ragazzo bruno.
Lui sospira, sbuffando poi una protesta poco convinta, afferra la sedia trascinandosela vicino e si lascia cadere sulla seduta.
-So già che me ne pentirò.- ammette.
-Oh, dillo che ti diverte.- ridacchia lei versandogli ancora del the dalla teiera di rame.- I biscotti li ha fatti mia nipote.- gli confida poi in tono complice.- E’ molto brava.
***
Vincent Cavendish fa il proprio lavoro da molto tempo ormai. E lo fa bene. Per acclamazione corale, lo fa bene. Ha imparato da un grande maestro del resto, una persona di cui lui è un fervente seguace – perché appartiene a quel genere di individui di cui non puoi essere semplicemente uno studente – e del quale applica le teorie con convinzione, oltre che con impegno.
Tuttavia, sebbene il Prof. Robert Chapman sia un teorico di una nuova tipologia di rapporti che devono legare paziente ed analista, ci sono alcune regole… “classiche” della psicologia che non possono essere ignorate ed i cui principi devono essere tenuti ben fermi.
Una di queste regole riguarda il coinvolgimento emotivo.
Vincent sa che il coinvolgimento emotivo, nel suo caso, non coincide con la partecipazione alle vicende che vedono protagonista Stefan ed il suo ex compagno, vive tutto questo con il distacco professionale richiesto dall’etica del suo lavoro. Perché fare il suo lavoro gli piace e farlo bene gli piace ancora di più. Il coinvolgimento emotivo, per quanto lui abbia faticato a riconoscerlo per ciò che era, riguarda molto più semplicemente Stefan stesso e, se si è ritrovato con tanta facilità a chiedersi cosa ci sia in lui che riesce a farglielo vedere in un’ottica completamente distorta, significa che c’è qualcosa di sbagliato di partenza. E significa che lui è moralmente tenuto a porvi rimedio.
Non si stupisce che possa essere andata in questo modo. Di Stefan ha imparato davvero tanto in uno spazio incredibilmente breve, un mese appena e gli sembra di avercelo davanti da una vita intera.
Di lui ha imparato che, pur non essendo bellissimo, ha quell’eleganza naturale ed un po’ indolente che gli da un fascino tutto suo. Ha uno sguardo sincero, che si accorda bene a quello che è il suo sentire, altrettanto sincero, semplice e privo di ombre. Del resto, il modo stesso in cui ha vissuto e vive la sua storia con Brian a Vincent appare in una prospettiva ben precisa, che magari Stefan non coglie perché è preso in un mondo personale fatto di rimorsi e ripensamenti, ma che lui afferra appieno da fuori e che restituisce allo svedese la piena luce su quello che è e che prova. Non è da tutti riuscire a dire “basta” ad una storia dalla quale si è tragicamente presi come lo è ancora Stefan, e non è da tutti riuscire a tenere fermo il proprio proposito, pur senza troncare i rapporti e senza sparire e far sparire l’oggetto dei propri desideri. Non è da tutti voler ostinatamente ricostruire un equilibrio partendo da un punto assolutamente traballante. Quel gioco pericoloso su una corda sospesa è qualcosa di così assurdamente difficile da portare avanti che Vincent, malgrado proprio, non può non trovarsi ad ammirare la persona che lo persegue con tanta determinazione.
Quindi sì, sa di avere infranto una regola fondamentale della psicologia classica. E sa esattamente che è proprio dovere porvi rimedio.
E sa anche come fare.
Alex arriva con un sorriso enorme stampato in faccia. Vincent, seduto ad un tavolino fuori dal caffè dove le ha dato appuntamento, la vede da lontano, incedere sicura e leonina sui tacchi alti, il tailleur attillato ed un po’ troppo bizzarro per una donna in carriera ed il trucco perfetto, da trentenne decisamente avvenente che comunichi al mondo la propria posizione di forza ed ai maschi la propria disponibilità. Sorride anche lui, più di una testa si è voltata a guardarla tra gli uomini per strada intorno a lei, Alex è bella e viva esattamente come se la ricordava e lui vorrebbe dirglielo perché un po’ gli è mancato quel modo di camminare e di essere così travolgente.
Così, quando lei gli arriva davanti e si china a baciarlo sulla guancia – avvolgendolo in una nuvola di profumo maschile che s’intona perfettamente al suo look – lui lo fa.
-Sei splendida più di quanto ricordassi.- le confessa, stringendole un braccio in segno di saluto, un momento prima che lei si sollevi ridendo e si lasci cadere su una sedia davanti a lui.
-Non farmi i complimenti!- protesta vivace.- Sono io che devo ringraziarti, non tu! Mi hai fatto due favori enormi!- argomenta.
Vincent accenna un assenso vago ed indefinito, sistemandosi dritto sulla sedia mentre lei affastella cappotto e borsa su quella libera accanto a sé. Scosta indietro i riccioli ribelli, agganciandoli al fermaglio spesso che ne regge la massa maggiore, e sbuffa un sospiro soddisfatto.
-Sono talmente di buon umore da aver voglia di fare shopping.- afferma a quel punto, guardandosi attorno per cogliere in un’occhiata d’insieme le vetrine colorate dei negozi intorno alla piazza.
-Sei una donna strana!- ridacchia Vincent.- Di solito lo shopping è un rimedio al malumore, no?
-No, io preferisco tapparmi in casa e fissare il televisore con sguardo spento.- confessa Alex semplicemente. Si volta di nuovo e riporta su di lui i propri occhi verdi, sottolineati dalla matita chiara. Sorride.- Mi fa piacere vederti.- gli dice serena.- Avrei dovuto chiamarti prima.- annuisce poi.
-Avresti dovuto.- concorda Vincent.- Ma avrei potuto anche io, quindi siamo pari. E poi immagino che il tuo lavoro ti porti via un mucchio di tempo.- le concede.
-Mmh.- mugugna lei.- Non me lo ricordare, tra un’ora devo essere in ufficio!- sbotta stizzita.- Comunque, ti devo davvero due favori enormi.- ribadisce quindi.- Dunja è semplicemente meravigliosa ed oggi Brian è arrivato in orario alla riunione, ha protestato tutto il tempo borbottando contrariato, ma ha lavorato come tutti: ha seguito, è intervenuto, ha fatto osservazioni pertinenti… Credo non succedesse da anni!- esclama soddisfatta.- E la cosa stupenda è stata che lui e Stefan si sono comportati civilmente!- aggiunge con euforia crescente.- Niente trincerarsi da un lato della stanza, da una parte, e passare il tempo a punzecchiare in modo cattivo, dall’altra!
-Non durerà.- la disillude lui lapidario.- Lo sai.- commenta subito dopo, affrontando con tranquillità lo sguardo ferito di Alex.- Erano entrambi psicologicamente preparati a rivedersi ed affrontare questa riunione, ma non saranno mai preparati a fronteggiare gli imprevisti di una convivenza prolungata. La tensione salirà e loro riprenderanno ognuno il proprio metodo di difesa.
-…non parlare dei miei ragazzi come se fossero uno dei tuoi innumerevoli casi!- ringhia lei infastidita.- Sono i miei ragazzi!- ribadisce.
Vincent ride senza lasciarmi fuorviare dal tono inferocito ed Alex sbuffa e si mette comoda sulla poltrona.
-Al telefono hai detto che dovevi parlarmi.- ricorda all’improvviso, mentre una cameriera carina e sorridente si avvicina loro per prendere le ordinazioni.
Vincent aspetta che entrambi abbiano comunicato le proprie preferenze e che la ragazza si sia allontanata con un cenno di assenso prima di rispondere.
-Sì, infatti.- conferma per prima cosa.- E non ti piacerà.- ci aggiunge per prepararla.
Alex inarca le sopracciglia e lo fissa in attesa.
-Si tratta di Stefan.- esordisce Vincent con qualche difficoltà.- Io non posso continuare a seguirlo. Ti darò il nome di un collega che lo faccia al posto mio…- le comunica precipitosamente.
Alex sbotta una risata ironica ed appena isterica, interrompendolo in modo brusco.
-Un collega?- ripete lei.- Hai una vaga idea di cosa mi sia costato convincere Stefan a farsi seguire da qualcuno in questa storia, Vincent?- domanda poi retoricamente, sporgendosi sulla sedia, tesa come una corda di violino.- Si fida di te per non so quale miracolo di Dio e tu speri che io riesca a dirgli “dovrai finire la terapia con qualcun altro”?! Mi manderà piacevolmente al diavolo, Vin!- esclama sconvolta.- E tu non puoi farmi questo adesso!
Vincent sospira paziente.
-Credimi, Alex, la mia non è una presa di posizione gratuita, è una necessità. Se potessi continuare ad aiutarti lo farei volentieri e, per quello che posso, lo farò anche. Ma non posso più seguire Stefan.- sottolinea con calma.- Non è un capriccio.
-Ci mancherebbe che lo fosse!- scatta Alex infuriata.
Volta di scatto il viso, incrociando le braccia al petto e tirando su il viso per non doverlo guardare in faccia. Vincent interpreta con facilità la sua chiusura, ma non dice nulla e sospira ancora mentre aspetta e la cameriera carina torna con le loro ordinazioni. Mentre lui fa girare tra le dita il bicchiere dell’aperitivo, Alex sembra lentamente riprendersi e comincia ad agitarsi sulla sedia, piccoli scatti nervosi come se volesse rimettersi comoda e dovesse farlo su una seduta di spilli. Alla fine si volta ancora verso di lui, agitando le mani come per iniziare un discorso, ma non apre bocca e si capisce la difficoltà evidente che ha nel trovare le parole migliori per esprimere quel concetto.
Probabilmente vorrebbe solo chiedergli delle spiegazioni, ma sa che in fondo non ha molto diritto di continuare a contestare la decisione che lui ha preso.
-…ti…rendi conto che io ho un dannatissimo album da registrare ed una band di tre elementi in cui due si parlano a stento?!- esclama alla fine esasperata.- Come puoi dirmi che devo arrangiarmi da sola?!
-Non è quello che ho fatto.- le fa notare Vincent.
-Beh, è qualcosa di molto simile, Vin!- sbuffa lei.
-Alex.- la richiama lui piano.- C’è un problema, ed io non posso semplicemente cancellarlo ed andare avanti come se niente fosse.
-Che cavolo di problema puoi avere che non si possa risolvere?!- ritorce lei.
Vincent prende fiato profondamente, si lascia andare all’indietro contro lo schienale e la guarda. Così Alex si ferma improvvisamente e, nel ricambiare il suo sguardo, si ritrova ragazzina a condividere il segreto troppo pesante del proprio migliore amico, di cui è pazzamente innamorata da sempre. Quel pensiero la calma improvvisamente, insieme con la tristezza malinconica che le mette addosso in qualche modo le trasmette una sorta di empatia strisciante, che la porta a capire la natura del “problema” di Vincent ancora prima che lui lo dica esplicitamente.
-Mi piace Stefan.- le comunica lui comunque.
Lei però lo sa già e non ne è davvero sorpresa. Si sgonfia come un palloncino sulla sedia, si appoggia con i gomiti al tavolo ed incastra il mento tra i pugni chiusi, guardandolo con aria afflitta e rassegnata.
-Ti odio.- gli comunica provocando una risatina nervosa.- Non posso nemmeno dire che tu non ne abbia motivo.- aggiunge poi in un borbottio sofferto.
-Ah beh…- sbotta lui senza sapere che dire. E si rifugia nel bicchiere per non dover dire altro.
-Stefan lo sa?- s’informa Alex, sconfitta.
Vincent scuote la testa mentre mette giù l’aperitivo.
-Chiaramente no.- esplicita – Non potevo dirglielo. Non al momento, almeno.
-Al momento?- ripete lei.- Quindi conti di dirglielo.
-Certo.- annuisce Vincent senza alcun problema.
-…Stefan è ancora innamorato di Brian.- sussurra Alex dopo un momento in cui lo ha scrutato così intensamente da fargli credere che potesse arrivare fino in fondo alla sua anima e ritorno.
Vincent ricorda che c’è stato un tempo in cui è successo davvero.
-Credo di essere la persona che ne è maggiormente consapevole al mondo, in questo periodo.- le ricorda con un sorriso spento.
-E allora cosa intendi fare?- insiste lei pressante.
Vincent si concede un sospiro pesante e poi si stringe nelle spalle, ricambiando lo sguardo preoccupato di lei.
-Niente, Alex. Ci sono cose che si dicono senza aspettarsi niente in cambio.- spiega ancora.
Lei gli sorride. Un sorriso tirato che ricambia quello spento di lui.
-Avrei voluto che non fossi gay.- ammette fingendo un divertimento che non prova.- Saresti stato perfetto per le mie esigenze.
-Non avresti nemmeno dovuto pagarmi per occuparmi dei tuoi ragazzi.- annuisce lui, afferrando un’oliva dal piattino degli stuzzichini.
***
-Secondo me è a posto così.
-Sì, lo penso anch’io.
-…fa schifo.
Steve e Stefan ridacchiano e  poi lo guardano. Brian, perplesso, ricambia le loro occhiate con la propria espressione interrogativa e sgrana un po’ di più gli occhioni già enormi.
-Fa schifo!- ribadisce indicando la partitura davanti a sé.- Dai, lo sapete anche voi che fa schifo!- ribadisce concitato.
Nessuno dei compagni di band si spreca a rispondergli. Altro scambio di occhiate complici tra Stef e Steve e nuovo coro di risatine divertite.
-…voi due mi state prendendo per il culo, vero?- s’informa il cantante in tono colloquiale.
La porta si apre sulla risata del bassista e del batterista, impendendo qualsiasi forma di protesta o di ritorsione del brunetto. Alex entra insieme con quello che sarà il regista del primo singolo in uscita – almeno a seguire gli appuntamenti segnati in agenda, perché nessuno dei tre ragazzi lo ha mai visto prima.
Brian raccoglie la partitura e la mette via ordinatamente all’interno di una cartelletta, liberando il tavolo che torna ad essere vuoto e lucido sotto le luci al neon.
-Buonasera.- esordisce il nuovo arrivato con un sorriso enorme.
-Salve.- ricambia Brian per tutti ed Alex respira e si rilassa, come sempre quando le cose sembrano mettersi per il verso giusto.
***
Stefan si è seduto davanti alla scrivania. Vincent gli ha sorriso come tutte le altre volte. Gli chiede come vada il trasloco, Stefan gli dice che è quasi tutto a posto e che nel fine settimana spera di trasferirsi lì. Vincent gli fa i migliori auguri e Stefan ride e gli dice che adesso saranno “vicini”.
Poi il centro dei pensieri del bassista si sposta impercettibilmente.
-Abbiamo cominciato a lavorare all’album nuovo.- annuncia.
-E come va con Brian?- s’informa Vincent con un cenno di assenso, portandolo subito dove lo svedese voleva arrivare.
-Bene. Sembra si sia calmato. Parla solo di lavoro in questo periodo.
-…ti dispiace che lo faccia?- domanda Vincent, esitando un momento di troppo e pregando che Stefan non lo noti.
E lui sembra non notarlo davvero. Sorride ed ammette:
-Sì. Un po’ sì. Ma va meglio così, no?
Dovrebbe dire anche a lui che non durerà. Dirgli che arriverà un momento in cui Brian ricomincerà a stare male – perché Dunja è brava, ma non è la psicoanalisi a cancellare i sentimenti dal cuore delle persone – dirgli che quando succederà Stefan ricomincerà ad avercelo contro. E magari anche in modo diverso, Brian in tutto quel tempo maturerà energie e pensieri nuovi e li indirizzerà in modo differente. Dovrebbe dirgli tutto questo, ma non lo fa e nel proprio silenzio si rende conto più che mai della necessità di essere chiaro con l’altro.
-Non posso più continuare a seguirti nella terapia, Stefan.- gli annuncia senza guardarlo.
Segue un silenzio carico, che viene venato appena del sospiro paziente e stanco che Vincent si concede. Non può dare spiegazioni, irrazionalmente prega che Stefan non gliene chieda neppure, sa che sarà difficile che non succeda però e si prepara mentalmente a trovare un modo per sfuggire senza dire nulla.
-Perché?- domanda ovviamente Stefan dopo un po’.
Finalmente Vincent trova la forza di guardarlo negli occhi. Stefan non ci legge niente dietro, la solita calma glaciale e gentile freddezza di sempre.
-Si è creata una situazione di incompatibilità, non posso continuare il mio lavoro nel modo corretto.- articola girandoci attorno.
Stavolta è lo svedese a sospirare e ruotare gli occhi sulla stanza. Un po’ gli mancherà il marrone caldo di quell’ambiente, riscalda davvero il cuore.
-Non penso che dovrei interrompere la terapia adesso.- ritorce arrabbiato.
Vincent registra quella rabbia, registra la sfumatura che la voce di Stefan prende quando i suoi sentimenti mutano in quel senso. Non alza la voce, non è aggressivo, non attacca quando si arrabbia, diventa solo più freddo e distante e mette i propri sentimenti in gioco davvero, li mostra, anche solo un momento, ma li mostra completamente.
E ci riesce solo con una sfumatura.
Sa che non dovrebbe farlo, perché è scorretto e sbagliato, ma decide comunque che dal momento stesso in cui gli ha comunicato di non poter continuare ad essere il suo analista il loro rapporto professionale sia da considerare interrotto. Quindi, tutto quello che dirà da questo momento in poi farà parte di un diverso rapporto. Molto più personale.
Si mette dritto sulla sedia ed affronta gli occhi scuri di Stefan quando il loro giro si conclude su di lui.
-Non farlo, allora.- gli risponde seccamente.- Ho già detto ad Alex che vi avrei dato il nome di un collega, molto bravo, che è anche un mio amico, lei sarà felice di sapere che tu sei d’accordo nel proseguire la terapia.
-Non con un altro specialista.- ribatte Stefan pacatamente.
Vincent ride.
-Non cominciare a comportarti da ragazzino anche tu, Stefan, credo che Brian sia sufficiente in questo senso per i nervi di Alex.- lo redarguisce ironico.
-Non sono capricci.- ritorce lui.- Non penso davvero di poter essere in grado di ripartire da zero con qualcun altro. Non al momento. Ho bisogno di un minimo di serenità e di sicurezza, devo potermi fidare…
-Il mio è un lavoro come un altro.- lo interrompe Vincent abbastanza brusco, pur se in tono educato.- Un professionista vale l’altro, purché sia preparato. Puoi “fidarti” di uno qualunque di noi.
-Sai perfettamente che non è quello che intendo. Voglio dire che il rapporto di fiducia che si crea con una persona, non si ricrea automaticamente con chiunque.
Vincent scuote la testa ed affonda inesorabile.
-Si riproduce esattamente con chiunque allo stesso modo. Siamo pagati per fare in modo che sia così.
Stefan si morde la lingua per non ribattere in modo velenoso sull’evenienza di considerare quella una sorta di “prostituzione intellettuale”. Si rende conto prima di dirlo ad alta voce che anni di relazione con Brian lo hanno decisamente forgiato in modo sbagliato riguardo alle discussioni con un'altra persona. Vincent però lo capisce lo stesso, quello che stava per dire, glielo legge in faccia che era una battuta cattiva e gratuita e Stefan si sente immensamente stupido ed anche immensamente esposto sotto i suoi occhi. Non sono affatto gentili adesso, sono irridenti e fanno dannatamente male mentre lo scrutano in quel modo.
-Io non ti seguirò più, Stefan.- ribadisce Vincent.- Peraltro sono convinto che, se davvero non ritieni di trovare un altro analista, sarai perfettamente in grado di gestire da solo la situazione con Brian…
-Stai mentendo.- lo interrompe Stefan senza variare il tono incolore con cui si è espresso finora.
-Sì, ma non posso certo costringerti a continuare qualcosa contro la tua volontà.- risponde Vincent con semplicità, stringendosi nelle spalle.- Puoi provare con qualche esercizio più classico, tipo…comprare una pianta o un animale, per vedere se sei in grado di prendertene cura e poter dire di essere guarito.- lo deride con uno scherno educato e discreto.- Magari alla fine deciderai da solo di trovare qualcuno.
Lo svedese si alza. Il tono, il discorso ed il modo di fare dell’altro lo hanno irritato, ma lui controlla rigidamente la postura e l’atteggiamento fin nei minimi particolari mentre allunga una mano per stringere le dita gelide di Vincent in un saluto formale.
-Ti ringrazio per quello che hai fatto per me, Vincent.- dice atono un momento prima di ritirare la mano e voltarsi.
-Dovere.- risponde lui allo stesso modo.
Ma quando la porta si chiude dietro Stefan sa già che il passo successivo sarà perfino più difficile di questo. E sa che lo farà lo stesso, perché ha mentito anche ad Alex ed in fondo qualcosa vuole aspettarsela davvero da tutta quella storia.
***
-Non mi fai entrare?
Stefan lo guarda. La risposta corretta è “no”. La cosa giusta da fare è chiudere la porta, voltarsi, tornare a sedersi sul divano e riprendere a leggere il giornale da dove il suono del citofono lo ha interrotto.
Il punto è che non avrebbe nemmeno dovuto rispondere al citofono.
Di fatto, già nel permettere al portiere di lasciarlo passare si è arreso all’idea di ritrovarselo davanti come in quel momento succede. Di ritrovarsi i suoi occhi chiari, limpidi, luccicanti, puntati addosso in modo sfacciato, allusivo. Di dover tornare ad affrontare le proprie paure, quelle stesse che gli fanno stringere convulsamente lo stipite della porta ma non gli danno comunque la forza sufficiente per scegliere di richiuderlo. O in alternativa di spostarsi ed affrontarle.
Sospira profondamente, lascia cadere il braccio lungo il corpo in un gesto che è un arrendersi stancamente all’impossibilità di fuggire. Brian è più forte di lui, a suo modo ma lo è.
Il bruno accentua quel sorriso plastificato che lo contraddistingue, ci lascia guizzare lo stesso accenno di soddisfazione che colora gli occhi, poi attraversa la soglia scivolandogli di fianco – perché Stefan è stanco anche per precederlo e spostarsi – ed entra, sfilando il cappotto in un gesto elegante e morbido.
-Che ci fai qui, Brian?- chiede in un sussurro strozzato il bassista.
Lui ridacchia, fingendosi divertito.
-Cosa vuoi che ci faccia?- ritorce stringendosi nelle spalle magrissime sotto la maglietta nera. Abbandona il cappotto su uno dei divani che occupano l’ingresso-salone.- Ero curioso di vedere come ti eri sistemato.
Stefan vorrebbe rispondergli che non è vero, che di come si sia “sistemato” non gliene importa nulla e che questo è evidente anche se Brian finge, gira attorno lo sguardo catturando l’immagine del salotto bianco ed enorme – quasi vuoto, per lasciare che la luce lo riempia il più possibile – si concede un borbottio di approvazione ostentata. Quella casa rispecchia Stefan, rispecchia il bisogno spasmodico di luminosità, di pace e di silenzio che lo ha afferrato da quando la loro storia è finita. Il legno chiaro, i tessuti altrettanto incolore – impalpabili – l’assenza di superfluo, rispecchiano la necessità di equilibrio.
Ma a Brian tutto quello non interessa davvero.
L’abbaiare concitato di qualcosa che arriva rapidamente dalla porta aperta della cucina richiama l’attenzione di entrambi. Il qualcosa ruzzola ai piedi di Brian, continuando a manifestare vivacemente il proprio dissenso, e lui abbassa gli occhi ed individua il cucciolo bianco e marrone ai propri piedi, fissandolo perplesso.
-Cos’è?- s’informa.
Stefan un po’ ringrazia quell’intrusione provvidenziale. È un rifugio sicuro dove infilare i pensieri prima che prendano percorsi non voluti.
-Lei è Abba.- presenta.
Si muove subito dopo, ignorando l’abbaiare del cane, che sposta la propria attenzione dal bruno al padrone in un pietoso tentativo di rendere evidente a quest’ultimo la propria volontà di cacciare il disturbatore. Stefan condivide la sua opinione, ma le regole della buona educazione e le esigenze di lavoro sono più forti della sua semplice volontà. Punta alla cucina, annunciando in tono blando.
-Preparo un caffè.
Brian si aggrappa all’invito implicito nelle sue parole per seguirlo con scioltezza, mentre la cucciola, contrariata, gli va dietro continuando a trotterellare in un silenzio ringhioso.
-No.- commenta intanto, vagamente- E’ Pongo!- specifica.- Pongo gli sta molto meglio come nome.
Il cantante si arrampica su uno degli sgabelli che girano attorno all’isola centrale, in cucina, si sistema lì sopra, appollaiato come un cucciolo di rapace, e solleva gli occhi chiari a seguire la schiena di Stefan armeggiare vicino al ripiano dei fuochi. Cerca qualcosa per attirare l’attenzione del bassista, un argomento di conversazione che sia utile a sciogliere un po’ della tensione fastidiosa – e giustificata – che lo ha accolto al suo ingresso in casa. Sa che non dovrebbe trovarsi lì, stava andando tutto bene seguendo i consigli di Dunja, il lavoro procedeva tranquillamente e lui avrebbe dovuto accontentarsi di questo.
Ma poi è successo che Alex lo ha chiamato. Gli ha detto “Brian, ho una buona notizia per te” e poi gli ha anche comunicato la buona notizia. Gli ha detto che l’appartamento era sistemato, che lui poteva anche lasciarlo perché lei era riuscita a trovare un acquirente e che doveva solo comunicarle dove volesse trasferirsi, perché avrebbero pagato quelli della casa discografica.
Sapere di dover lasciare la casa che avevano diviso insieme è stato un piccolo colpo. Uno scossone leggero, perché in fondo lui non ci tornava seriamente a vivere da settimane ormai. Ma è stato sufficiente. Aveva preso le chiavi dalla tasca, si era fatto portare lì da un taxi e si era infilato in casa, osservandosi intorno con aria stupita, come se non riuscisse più a riconoscere l’ambiente colorato e chiassoso che aveva attorno. Quando lo avevano comprato, anche quel posto era luminoso – esattamente come la casa di Stefan ora – ma poi lui, Brian, lo aveva talmente riempito di roba da renderlo quasi invivibile. Stefan aveva subito l’invasione delle cianfrusaglie inutili con lo stesso stoicismo con cui subiva qualsiasi cosa da Brian e lui aveva preso a trasformare l’appartamento in una “tana” tutta loro, che li rispecchiasse fedelmente.
Non è così assurdo che adesso separarsene in via definitiva lo colpisca.
Ad Alex ha risposto solo che un posto lo ha già trovato, le ha dato l’indirizzo ed il recapito dell’Agenzia che se ne occupa. E’ un loft in pieno centro, non è grandissimo ma arredato in modo talmente essenziale da sembrare vuoto, grigio come i palazzi attorno, infilato in un condominio di lusso e costoso come poche altre cose sono mai state nella sua vita, ha una vetrata gigantesca che si apre su Londra. Lui lo trova tragicamente in accordo con i propri pensieri, sogna di sedersi dietro la vetrata e guardare in basso, le persone che corrono come formiche microscopiche, costruendoci attorno una trama intessuta di storie ipotizzate a tempo perso.
Alex si è limitata a dirgli di sì e Brian la conosce abbastanza da sapere che già domani avrà le chiavi del loft in tasca ed un contratto di affitto al sicuro in un cassetto della scrivania della manager. E sa anche che già domani se ne starà davvero seduto dietro la vetrata, osserverà Londra finché non si svuoterà di tutte le sue formiche ed a quel punto si alzerà, prenderà il cappotto ed andrà a dormire da Steve.
Perché da solo non ce la fa proprio.
Ma ora s’impone di smettere di pensarci. S’impone di tornare al presente fatto dei gesti meccanici di Stefan che sono comunque eleganti come sempre, perché quando si muove sembra che sia stato creato per farlo occupando solo lo spazio indispensabile nel mondo, accordandosi a tutto ciò che gli sta attorno in modo da fondersi con l’aria stessa. Il suo esatto contrario. L’esatto contrario del suo modo cattivo e maldestro di imporsi, di far baccano per farsi vedere, di arrogarsi il diritto esistere e di farlo con l’attenzione degli altri fissa su di sé.
-Dov’è finito Pongo?- sbotta all’improvviso Brian.
Lo dice per dire qualcosa. Una cosa che spezzi il silenzio e riporti le spalle di Stefan verso di lui ed i suoi occhi addosso. Si sporge oltre il tavolo sondando il pavimento a piastrelle, intravede la cucciola che scodinzola girando attorno al padrone ed ogni tanto gli rivolge un’occhiata per assicurarsi delle sue manovre.
-Ehi, Pongo, vieni qui!- la apostrofa Brian, battendosi una mano sul ginocchio.
Stefan sospira.
-E’ anche femmina, Brian.- la difende lo svedese.
Posa tra loro il caffè e si siede sullo sgabello dall’altro lato del tavolo, le tazze fanno un rumore sordo quando urtano il ripiano di legno e poi strisciano attraverso lo spazio per essere posizionate ai due lati dell’isola.
Brian intercetta la propria con le dita, pensando a quante volte si sono seduti a quel modo in casa loro la mattina per fare colazione – anche se con la “mattina” l’orario al quale si tiravano fuori dal letto aveva di solito poco a che fare. Sorride a quel pensiero e sente Stefan sospirare, così immagina che i suoi ricordi abbiano seguito la stessa strada.
-…non dovresti essere qui.- borbotta Stefan sorseggiando il caffè ed infilandoci dentro a forza le proprie parole.
Brian lo imita, per prendersi il proprio tempo.
-Comunque che cos’è?- chiede puntando un dito verso il cane ed eludendo l’affermazione di Stefan e la necessità di rispondergli.
-Un bulldog americano.- risponde il bassista.- Sarebbe meglio che tu mi chiamassi prima di presentarti a casa mia.- aggiunge subito dopo, deciso quanto mai a non lasciargliela vincere con tanta facilità.
-Non capisco perché tu abbia comprato un cane. Una volta te l’ho anche chiesto perché non prendevamo un animale e mi hai detto che non ne volevi per casa.- ricorda l’altro senza dargli retta.
-Avevo già te.- sbuffa Stefan in modo talmente scontato da annoiare perfino se stesso.- Brian, ti prego!- scatta quindi esasperato.- Smettila!
La parola fa un suono sordo esattamente analogo a quello della tazza sul ripiano di legno. Lo stesso suono che la accompagna peraltro, perché Stefan scaraventa entrambi – l’ordine secco e sfinito e la tazza ancora piena – sul tavolo in mezzo a loro due. Brian osserva per un po’ il bordo di coccio tra le mani dell’altro, quasi in quel punto si fosse concentrata anche la forza dell’esasperazione che ha sentito nella voce di Stefan. Si chiede come siano arrivati fin lì, si chiede se valga la pena di insistere e continuare a trascinare la realtà in un gioco che ha smesso di essere tale tanto tempo prima e che ora esige un prezzo terrificantemente alto. Loro lo hanno già pagato e dovrebbero cominciare a scontarlo…
-…magari lo prendo anch’io, un animale.- ricomincia invece a parlare, sollevando in viso al bassista lo stesso muso sfacciato ed arrogante di sempre. Quel sorriso finto che fa sospirare lo svedese e gli fa capire che è una guerra da cui uscirà molto peggio che sconfitto. Stefan si alza portandosi dietro la tazza.- Però penso che preferirei un gatto…Un cane è eccessivamente impegnativo per me…
-Per te è impegnativo chiunque, Brian.- ritorce Stefan volutamente cattivo.
Il caffè scorre giù lungo il tubo del lavandino, lui posa la tazza al centro ma non si volta.
-Pensi che non saprei prendermene cura?- ridacchia Brian ignorando i sottintesi nella frase di Stefan.
Lui ragiona sulla possibilità di tirare avanti il discorso, di parlarne seriamente. Ma siccome sa che Brian non ha voglia di essere serio – o, dannazione, avrebbe capito che trovarsi lì in quel momento è un fottutissimo errore! – ci rinuncia e non gli risponde.
-Alex ha venduto l’appartamento.- si decide ad informare la voce del bruno, forse sperando di vederlo tornare a voltarsi.
Ma Stefan non lo fa, registra l’informazione e si scopre indifferente.
-Ah sì?- chiede aprendo l’acqua per lavare la tazza.
No. Non indifferente. Sollevato.
-Sì.- riprende Brian.- Non so a chi, però, non mi ha spiegato i dettagli. Immagino li comunicherà ad entrambi, comunque.
Sta quasi per dirgli che non ha importanza e può anche tenersi i soldi, ma si ferma in tempo. Sarebbe fuori luogo e cattivo, come voler “pagare” Brian per ciò che loro due sono stati e non sono più, ma Stefan ha sempre rifiutato di Brian quell’immagine di “puttana” che da di sé ed arrendercisi adesso, anche solo per un errore nel formulare un concetto, sarebbe qualcosa che non potrebbe mai perdonarsi. Così lascia perdere la casa, perché quello che vorrebbe dire è un concetto più complesso, che ha che fare con la soddisfazione al pensiero di aver messo un altro paletto fisso per non poter tornare indietro.
-E tu?- domanda invece.- Dove andrai?
-Ho trovato un altro appartamento.- spiega Brian in modo piano, stringendosi nelle spalle per dire che non importa, anche se Stef non può vederlo.- Ma penso che per un po’ continuerò ad approfittare dell’ospitalità di Rita.- sghignazza sincero.
Stefan ride con lui. Uno sbuffo che non può evitarsi e che tradisce il suo affetto. Non ha mentito a Steve, sono entrambi più tranquilli a sapere Brian con il batterista e sotto il suo controllo. Stef posa la tazza sul portapiatti, osservando un momento le gocce che cadono e si raccolgono sul fondo piatto dello scolapiatti argentato. Richiude l’anta e si volta.
-…devo andare, vero?- chiede Brian quando il silenzio tra i loro sguardi si fa troppo pesante.
Stefan annuisce soltanto.
Brian sospira, voltando attorno gli occhi ed osservando il cagnolino affannarsi a girare intorno al suo sgabello studiando il modo per cacciarlo fuori.
-Il tuo cane mi odia.- notifica indicando la bestiola.
Stefan non ribatte. Che lo pensi, se serve a farlo stare meglio.
Brian stende le gambe davanti a sé e si lascia cadere giù, mentre la cucciola si sposta rapida per osservarne sospettosa i movimenti. Per tutta la strada che fa a ritroso verso il salotto, il cane lo segue insieme con Stefan, si ferma a spiarlo quando Brian si ferma ad infilare il cappotto, e poi si siede di fianco alla porta aspettando che esca.
-Ci si vede, Stef.- saluta Brian.
Lui apre il battente tenendolo aperto accanto a sé.
-La prossima volta chiamami, per favore.- chiede nonostante sappia che è inutile.
Ed infatti Brian se ne va senza acconsentire alla sua richiesta. Continuerà a presentarsi lì a qualunque ora del giorno e della notte, senza nessun preavviso e senza nessun rispetto. Continuerà a farlo con l’arroganza prepotente di un bambino viziato. E sarà così fino a quando lui, Stefan, non si sarà riabituato ad averlo intorno e quelle apparizioni improvvise avranno smesso di essere motivo per desiderare di non essersi mai alzati dal divano.
 
  
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