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Autore: Saya The Last Vampire    17/01/2014    8 recensioni
Ciao a tuttiii, sono "tornata" pubblicando una nuova FF, so che ne ho già una in corso ma garantisco che non influirà con la stesura dell'altro mio racconto.
Comunque in questa mia versione di Shugo Chara Amu e Ikuto (si sono fissata con le Amuto) si troveranno a scuola e saranno rivali, Ikuto sarà un bullo prepotente mentre Amu la povera ragazza che tenterà di far cessare le sue malefatte. Oddio non so se ho reso l'idea, non sono un genio nelle introduzioni comunque che dire? Leggete e spero che vi piaccia, recensite in tanti e fatemi sapere cosa ne pensate, miraccomando ci conto! =)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi, Kairi Sanjo, Kukai Soma, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 – Ricatti


A causa di quel biglietto Amu non chiuse occhio tutta la notte per l’agitazione e per il nervosismo, ripensando al giorno dopo e a come si sarebbe dovuta comportare. Le ore passavano lente e inesorabili, i minuti scorrevano come ore e le sembrava di essere in una realtà alternativa dove il tempo passava più lentamente. Ogni volta che sentiva i rintocchi del campanile, che si trovava a poco più di un kilometro da casa sua, scandire lo scorrere delle ore tirava un sospiro di sollievo e allo stesso tempo si arrabbiava con sé stessa per non essere ancora riuscita a prendere sonno. Non aiutava nemmeno la gamba che, nonostante l’antidolorifico preso e la medicazione fatta, continuava a farle male a ogni piccolo e insignificante movimento. Alla fine l’alba e di conseguenza una nuova giornata di scuola arrivò, con grande soddisfazione e rammarico della ragazza che, per niente fresca e riposata, si trascinò fuori dalle coperte, di malavoglia, per andare con passo strascicato fino al bagno. Fissò la propria immagine allo specchio e ne rimase inorridita. I lunghi capelli color confetto spettinati e annodati, tanto da sembrare un cespuglio, il viso pallido quasi cadaverico, le guance scavate e delle enormi occhiaie grigie sotto agli occhi color miele anch’essi spenti per la stanchezza. Era stanca per non aver chiuso occhio tutta la notte continuando a rigirarsi nel letto per il dolore, era stanca di quella situazione e di passare le notti insonni per quel motivo. Si osservò meglio chiedendosi come avrebbe fatto a rendersi presentabile quella mattina e notò un leggero segno nero sotto il mento, un livido causato da un pugno del giorno prima, sospirò perché osservando il proprio riflesso con più attenzione vide che era ricoperta di lividi. Le lunghe e sottili gambe, il piccolo addome piatto, i fianchi stretti e le braccia muscolose erano piene di graffi, escoriazioni,  tagli e lividi che avrebbe dovuto nascondere per non far preoccupare nessuno. Non doveva andare così, era tutto sbagliato, lei era una studentessa delle superiori, non una guerriera o una guardia del corpo. Non doveva essere piena di ferite e segni bluastri in ogni parte del corpo. Provò a pensare alla sua vita senza aver mai incontrato Ikuto, probabilmente quella mattina avrebbe avuto un aspetto migliore. Si sicuramente. O forse no, forse avrebbe avuto comunque delle brutte occhiaie viola per una notte insonne, passata a piangere per qualche pena d’amore, come tutte le ragazze normali. Avrebbe avuto dei futili problemi che nonostante tutto l’avrebbero tenuta sveglia come “che vestito metterò al primo appuntamento con Itsuki?” oppure “cosa farò sabato sera?” ma di nuovo fu costretta a constatare che non era così e che i problemi che la tenevano sveglia la notte erano ben più gravi “che diavolo avrà in mente Ikuto? È un trappola?”. Per un momento le si parò davanti agli occhi l’immagine di una ragazzina dai capelli rosa e un vestito senza spalline giallo con il bordo di pizzo bianco che correva scalza in mezzo all’erba verde. Sembrava un classico tramonto di inizio estate, la luce arancione del sole che stava scomparendo dietro le colline rendeva l’insieme di colori molto più tenui e caldi. La ragazza, che all’incirca sembrava avere 16 o 17 anni, correva ridendo a crepapelle facendo piccole giravolte e raccogliendo, occasionalmente, dei piccoli fiorellini azzurri e bianchi. Poi, all’improvviso, si lasciò cadere, continuando a ridere e qualche istante dopo venne raggiunta e imitata da due ragazze dai capelli biondi e dai colori sgargianti. Amu poteva sentire l’erba morbida e umida sotto di sé, ne poteva annusare l’odore beandosene. Provò il forte impulso di stringere i pugni attorno a dei ciuffi d’erba e cominciare a strapparli ma quando chiuse le mani si accorse che erano vuote e quella sensazione di leggerezza e spensieratezza sparì insieme a quella incantevole visione riportandola crudelmente alla dura realtà. Desiderava ardentemente che quella fosse la sua vita ma purtroppo aveva a che fare con dei bulli la quale nessuno aveva il coraggio di affrontare e doveva fare tutto da sola. Doveva esserci per forza qualcosa di sbagliato in lei.
Quella mattina uscì di casa prima del solito, aveva coperto i lividi sparsi per il corpo e le occhiaie con del correttore e del fondotinta, sperando che non si notassero. Si incamminò verso scuola con passo tranquillo tentando di non affaticare la gamba ferita, nonostante prima di uscire si fosse di nuovo imbottita di medicine senza il benché minimo rispetto per le indicazioni come “a stomaco pieno, non prendere con altri medicinali” e così via. La gamba continuava a farle male come se un milione di aghi la stessero trafiggendo e faticava a camminare normalmente, nonostante ciò tentò di sembrare il più rilassata e meno sofferente possibile evitando così di mostrare i propri punti deboli. Chiunque, in quel caso, notando che era ferita, poteva approfittarne. Nessuno infatti si accorse di quanto le costasse camminare, nessuno tranne l’unica persona che non avrebbe mai dovuto scoprirlo quel giorno, Ikuto. E non ci mise molto a notarlo, forse soltanto qualche secondo, infatti non mancò di farglielo notare, come a voler sottolineare il vantaggio che possedeva su di lei. Essendo Amu membro del consiglio scolastico, in particolare addetta alla sicurezza, era autorizzata quindi a uscire dall’aula a controllare che la situazione fosse tutta sotto controllo, essendo anche l’unica ad avere il coraggio di fermare i bulli quando accadeva qualcosa. In quel momento si trovava appunto a fare la ronda per i lunghi corridoi della scuola sperando che la situazione si mantenesse stabile e sotto controllo e fu proprio in quel momento che Ikuto la fermò
- È inutile che fingi, si nota benissimo che fatichi a camminare – disse sicuro di sé il ragazzo non appena la vide – inoltre la benda che hai messo su quel taglio è leggermente macchiata di sangue, segno che molto probabilmente è un taglio profondo e hai tentato di curarlo da sola – completò poi la frase scrutando bene la figura della ragazza da capo a piedi più volte.
- È evidente che ti sbagli, sto benissimo – precisò convinta la rosa
- Allora in questo caso ci vediamo dopo – concluse facendole l’occhiolino. Amu riprese a camminare, superandolo stizzita. Il ragazzo però la afferrò per un braccio, la strattonò con forza e alla fine la fece voltare. La ragazza stava per replicare ma non appena aprì la bocca per dire una qualunque frase Ikuto la copri con la propria, coinvolgendola prima in un bacio a stampo, casto e innocente e poi in qualcosa di più. Per qualche secondo tentò di resistergli, che fosse quello il suo intento fin dall’inizio? Distrarla e poi baciarla a tradimento, per cosa poi? La lingua di lui entrò prepotentemente nella bocca di Amu, esplorandola con poca grazia, era un bacio violento, le faceva quasi male. Le mani del ragazzo la strinsero forte mentre vagavano curiose sul corpo della ragazza che era rimasta interdetta per qualche secondo fino a quando anche lei non cominciò a rispondere a quel bacio così coinvolgente. Il cervello le andò completamente in black out, non riusciva più a formulare un pensiero sensato. Continuarono per qualche minuto, persi l’uno nell’altro senza curarsi di nulla, poi Amu fu risvegliata dalla trans in cui era finita dalla caduta di un oggetto, le chiavi dell’aula del consiglio, che fino a qualche istante prima teneva in mano, finirono sul pavimento con un suono acuto, prodotto dal metallo di cui erano costruite contro le piastrelle color argilla del pavimento, facendole così riacquistare la ragione. Spalancò gli occhi in una baleno, che fino a quel momento teneva chiusi, realizzando l’errore che stava commettendo in quell’istante di debolezza, godendosi solo per qualche istante quella parvenza di normalità che avrebbe sempre desiderato. Si maledì staccandosi velocemente e senza troppa grazia da quella trappola fatta di baci e carezze poco romantiche, raccolse le chiavi che le erano cadute e, a passo spedito, filò via da quel corridoio testimone dello sgarro più grande che potesse fare. Nonostante desiderasse ardentemente avere dei momenti come quelli dove poteva aggrapparsi forte a qualcuno e abbracciarlo, baciarlo e, perché no, magari sussurrargli quelle parole dolci che non era riuscita mai a dire a nessuno. Ma non poteva perché Ikuto, solo pochi mesi prima, aveva minacciato di rendere impossibile la vita a chiunque fosse stato così stolto da starle vicino, da volerle bene o da amarla e stava mantenendo la sua promessa. I suoi poveri amici ne subivano di cotte e di crude solo per il fatto di farsi vedere in sua presenza e di aver preso le sue difese. Insomma non avevano paura di lei ma della minaccia che pendeva sulla sua testa come una maledizione che le aveva lanciato quel ragazzo.
Per Ikuto non fu facile spiegare le sue ragioni a Utau, che aveva visto tutto, compreso il bacio, da dietro un angolo. Anzi non ci riuscì proprio, non fu nemmeno in grado di placare quella furia di ragazza e la sua gelosia, pensò che avrebbe finito per ammazzarlo. E se non lo avesse fatto lei direttamente ci avrebbe pensato il mal di testa causato dalle sue urla isteriche. Ormai erano circa dieci minuti che continuava con la scenata facendo domande di dubbia utilità facendo ondeggiare le bionde code ogni volta che alzava il dito per accusarlo, nei suoi occhi azzurri ardeva una fiamma, era quasi spaventosa e seccante. Ma per lo più seccante. Decisamente seccante. Non poteva ascoltarla oltre, per esperienza personale sapeva che era solo l’inizio e che sarebbe potuta andare avanti per ore. Per tutta la giornata scolastica avrebbe potuto inveirgli contro sputando offese e non contenta avrebbe continuato anche a casa, bruciando la cena perché era troppo impegnata a gridare ai quattro venti la sua gelosia. La cosa non era molto raccomandabile visto che poi lo avrebbe anche obbligato a mangiare quella sbobba bruciata ugualmente. Lo sapeva che sarebbe successo, era già capitato che sbraitasse per giorni e giorni per motivi molto più futili, come un sorriso troppo marcato alla ragazza sbagliata, oppure le avances, seppur respinte, da parte di una di esse. Ormai mancava poco che diventasse verde anche se passava del tempo con i suoi amici. Nemmeno fosse sua madre. Il desiderio di ignorare Utau e le sue grida era sempre più insistente e cercare qualcosa che lo distraesse fino alla fine della tortura diventò un bisogno impellente. Fece vagare lo sguardo in giro, prima in alto, scorgendo agli angoli una volta intonacati di bianco e ora contaminati della muffa delle ragnatele con enormi ragni dall’aspetto minaccioso, ne scorse uno peloso intento a mangiare una mosca che, ancora viva, batteva freneticamente le piccole ali nel disperato tentativo di liberarsi, inutilmente. Disgustato da quella scena guardò di nuovo verso la bionda ma solo per constatare tristemente che la situazione non era cambiata. Come mai i professori delle aule vicine non erano usciti a controllare la situazione? Non stavano disturbando la loro lezione? Pensò che fossero degli scansafatiche, dei lavativi, si limitavano appena a fare lo stretto indispensabile per il loro stipendio. Gli sfuggi un sospiro carico di rassegnazione, nessuno sarebbe arrivato in suo “soccorso” nemmeno quella fastidiosa ragazzina dai capelli confetto. Guardò l’ora sull’orologio, le undici, perfetto erano passati altri dieci minuti. Fece passare lo sguardo sui muri ormai ingialliti, sperando, pregando, implorando che smettesse presto di urlare. Fece scendere lo sguardo sui pavimenti color argilla e vide la sporcizia incrostata ai lati e tra le fughe delle piastrelle, che diamine ma la pulivano o no quella scuola? Il suo pensiero corse di nuovo al ragno peloso e alla reazione che avrebbe potuto avere una ragazza a quella visione, sarebbe stato divertente. Molto più divertente che ascoltare quella lagna di Utau. Non ne poteva proprio più.
- Ma che diavolo vuoi? Chi ti ha detto di seguirmi cretina? – sbottò improvvisamente Ikuto al limite dell’esasperazione. Il suo urlo riecheggiò attraverso il corridoio, di nuovo si chiese se nessuno potesse insospettirsi per quelle continue urla ma fu, a questo punto, felice di constatare che nessuno usciva per controllare.
- Come puoi essere cosi insensibile? – disse Utau sorpresa per la risposta ricevuta dal ragazzo e ormai con le lacrime agli occhi. Abbassò lo sguardo quando guardò il ragazzo in viso e vide in che modo la stava guardando. Un’espressione severa e dura, carica di risentimento, uno sguardo che non le aveva mai rivolto in vita sua, fu in quel momento che capì di averla combinata veramente grossa quella volta. Il viso di Ikuto rimase con quell’espressione dura e non si addolcì nemmeno quando le lacrime che la ragazza sentiva premere dietro agli occhi cominciarono a sgorgare come due fiumi dagli occhi azzurri della ragazza senza tregua, vide il dolore di ciò che le aveva fatto riflesso in quelle sue iridi ormai diventate grigiastre e vitree. Utau improvvisamente si girò e corse via umiliata piangendo il suo dolore. Per un momento considerò di allungare una mano, afferrarle il braccio e fermarla per poi abbracciarla. Per un momento si trovò sul serio sul punto di farlo ma quando mosse un piccolo passettino in avanti protendendo appena la mano si fermò di colpo, capendo che quella potesse essere finalmente l’occasione di riprendersi quel minimo di libertà che gli spettava di diritto.
Purtroppo però l’emicrania che gli aveva procurato quel diavolo biondo non aveva intenzione di abbandonarlo. Ogni rumore per quanto attutito potesse essere nella sua testa rimbombava come se un’enorme trivella gli stesse scavando nel cervello. A nulla erano servite le tre aspirine prese nel corso della giornata o la passeggiata all’aperto durante l’intervallo di mezzogiorno. I numerosi odori che normalmente avrebbe adorato non fece altro che peggiorare la situazione. Così, dopo pranzo, e dopo aver sentito un gruppo di oche starnazzanti pranzare all’ombra di un albero decise di dirigersi in infermeria e riposare un po’. Quando entrò venne investito immediatamente da una folata di odore di disinfettante, odiava quel tanfo dovute alle esalazioni dell’antisettico utilizzato per sterilizzare siringhe e strumenti medici vari di cui ancora si domandava che utilità potessero avere in una scuola. Bisognava però guardare il lato positivo, mentre i muri di tutta la scuola, ormai, tendevano a un color purè, lì era tutto di un bianco candido, così luminoso che feriva gli occhi. Mosse qualche passo in avanti e l’infermiera che fino a quel momento non gli aveva prestato attenzione, tanto era impegnata ad avvolgere le garze, sembrò, finalmente, notare la sua esistenza, rivolgendogli domande in maniera poco gentile e ficcandogli letteralmente in bocca un termometro per controllare la temperatura. Forse non sarebbe mai dovuto entrare lì, pensò, aveva perso le speranze di farsi una bella dormita quando finalmente Hercules, come aveva soprannominato lui la donna, decise che non era in fin di vita e necessitava solamente di un po’ di riposo. Lo sospinse con poca grazia verso l’ultimo lettino, quello vicino alla finestra, e chiuse la tendina divisoria. Ikuto gliene fu immensamente grato, potendo così finalmente aprire la finestra e respirare aria più pulita. Si gustò quel momento aspirando avidamente la brezza fresca che entrava carica dell’odore delle caldarroste, immaginò di prenderne un sacchetto dal chiosco che ogni anno si piazzava vicino all’ingresso della scuola. Non erano un granchè, spesso erano un po’ bruciacchiate oppure addirittura semicrude però, ormai, dopo tutto quel tempo, la bontà consisteva proprio in quello. Non poteva immaginarsi un autunno senza le caldarroste dello zio Bunny. Aspirò ancora una volta a fondo gli aromi nell’aria poi, senza perdere altro tempo, si tolse le scarpe e si abbandonò sotto le coperte in un sonno ristoratore.
 
Amu rimase sconvolta da quel gesto inaspettato, così non andò nella sala del consiglio, al contrario si fece una lunga passeggiata nel giardino della scuola. Si sentiva ancora le guance in fiamme, le labbra intorpidite e continuava a tremare per l’agitazione. Se qualcuno l’avesse fermata in quel momento chiedendo spiegazioni avrebbe potuto benissimo dire di non sentirsi bene e nessuno l’avrebbe contraddetta guardandola in viso. Probabilmente doveva essere pallida con le guance di un intenso color porpora, se glielo avessero chiesto avrebbe detto di avere la febbre, certa che a quel punto l’avrebbero portata quasi a forza in infermeria, una sorta di buco nero, chi entra lì dentro sarà inevitabilmente nelle grinfie dell’infermiera Rottemeier, come la chiamava lei. Non osava nemmeno immaginare a quali torture potesse sottoporre uno studente una volta entrato. Leggenda vuole che in realtà in quegli enormi armadi di metallo perennemente chiusi custodisca complicati e raffinati strumenti di tortura e nessuno aveva il coraggio di chiedere cosa contenessero realmente. Leggenda o no rimaneva il fatto che quella donna incuteva paura più di qualsiasi altro adulto presente a scuola e Amu faceva del suo meglio per starne lontana. Nella sua mente aleggiava il ricordo ancora vivido della prima e ultima volta che mise piede in quel posto che lei chiamava inferno. Non si sarebbe sorpresa se un giorno vi avesse trovato scritto sulla porta “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate” sarebbe stato più che appropriato. Dopo quella volta, che per curarle un semplice raffreddore le aveva fatto un prelievo di sangue, obbligata a un esame delle urine e riempita di punture decise che evitare l’infermeria ad ogni costo sarebbe stata la cosa migliore da fare in assoluto. Da quel momento il suo motto divenne “piuttosto muori ma non mettere piede li dentro”.
Si premette un dito sulle labbra che ancora pulsavano dopo la pressione applicata dal bacio di Ikuto, stentava ancora a credere che l’avesse fatto, continuava a chiedersi se non fosse un sogno e più si poneva questa domanda e meno ne era certa. Perché l’aveva baciata? Come ha potuto lei ricambiare, anche solo per un istante? Ogni volta, però, che ci pensava aveva le idee sempre meno chiare e non poteva fare altro che passarsi la lingua sulle labbra, come per tentare di sentire ancora quel sapore di menta che le era parso di sentire in quel momento. Come se il fatto di sentire il gusto mentoso sulle sue labbra lo rendesse più reale. Ogni volta però che ripeteva quel gesto ne sentiva l’aroma fresco e si deliziava del suo profumo speziato che la inebriava mandandola ancora più in confusione. Non rientrò nemmeno in classe, non poteva, in quello stato, rossa come un pomodoro, spettinata e irrimediabilmente distratta per il resto della giornata sarebbe stato comunque inutile entrare e non avrebbe portato altro che farsi riprendere più volte perché preferiva fissare il nulla piuttosto che ascoltare noiose nozioni di matematica o fisica. I professori a quel punto non avrebbero mancato di mortificarla, facendole notare che essendo la disciplinare e facendo parte del consiglio di istituto il suo comportamento avrebbe dovuto essere di esempio per gli altri, che evidentemente non sarebbe stato in quel momento scatenando grasse risate fra i compagni. No molto meglio risparmiarsi la paternale e cercare di far chiarezza nella propria mente. Non si accorse nemmeno di come ci si ritrovò stesa sotto un albero dai variegati colori dell’autunno con una fresca brezza che le scompigliava ancora di più i lunghi capelli rosa raccolti solo da un codino ormai totalmente sfatto e senza più alcuna utilità. Sfilò il nastrino azzurro che teneva insieme la sua capigliatura tutt’altro che complessa pettinandosi delicatamente i capelli con le mani togliendo tutti i nodi che le si erano formati dalla mattina fino a quel momento. Poi rapidamente li legò di nuovo con lo stesso codino. Cominciava a sentirsi meglio, il venticello freddo tipico di quel periodo la stava riportando a una temperatura corporea più normale, riusciva a sentire le guance raffreddarsi rapidamente e gliene fu immensamente grata. Chiuse gli occhi e respirò affondo non curandosi della foglia che le era appena caduta in testa. Si lasciò cullare dagli odori tipicamente autunnali che le solleticavano il naso.
Pensava di essere distesa solo da poco di più di una mezzora quando il vociare di alcune ragazze la risvegliò dalla trans in cui era caduta, “fastidiose, perché non sono in classe?” pensò. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e ammonirle, infondo era quello il suo incarico all’interno della scuola ma dopo come avrebbe spiegato la sua presenza lì? Non poteva, ecco tutto, non aveva alcun motivo sensato per trovarsi sdraiata sul prato a rilassarsi. E, sinceramente, non aveva nemmeno voglia di alzarsi dal proprio giaciglio. Decise quindi di chiudere un occhio e fare finta di nulla. Provò ad ignorarle, ci provò seriamente ma quelle ragazze chiassose stavano proprio andando verso di lei, forse l’avevano vista e si stavano chiedendo cosa ci facesse lì e a quel punto come avrebbe risposto? Nemmeno lei lo sapeva. Avrebbe dovuto mentire. Ne sarebbe stata capace? Magari pensavano che non stesse bene, infondo era sdraiata sotto a un albero e questo non era da lei.
Tirò un breve sospiro di sollievo cercando di non farsi notare quando le tre ragazze che avanzavano nella sua direzione in realtà altri non erano che le sue amiche. Un piccolo senso di colpa si fece largo dentro di sé, non solo perché aveva passato tutto quel tempo a trastullarsi all’ombra ma anche perché, per colpa sua, che non era capace di stare zitta aveva attirato anche su di loro le ire di Ikuto. Poverine. E pensare che non ebbero comunque intenzione di abbandonarla e adesso ogni volta che uscivano da sole nei corridoi dovevano guardarsi le spalle. Nonostante la rattristasse questo pensiero non poté che esserle grata, non avrebbe mai pensato di avere degli amici così fedeli, così cari, degli amici veri.  Decise comunque di non esserne troppo felice, avrebbero potuto chiedere spiegazioni sul fatto che si trovasse lì sdraiata e non adempiesse a nemmeno uno dei suoi doveri. Primo fra tutti vigilare e seguire le lezioni.
- Ehi Amu, come mai non sei più tornata in classe? -  come se le avesse letto nel pensiero Cindy le rivolse l’unica domanda che non avrebbe mai voluto sentire in quel momento. La guardava curiosa aveva incatenato il suo sguardo marroncino scuro a quello color miele della rosa, intenta a sistemare alcune ciocche ribelli, sfuggite al morbido chignon che era solita portare nei giorni di scuola. Si ricordò che un giorno le chiese come mai imprigionava sempre i suoi meravigliosi capelli color oro in una acconciatura così stretta. La bionda rispose semplicemente – comodità – alzando le spalle come per sottolineare il proprio disinteresse. Amu non si azzardò a chiedere altro. Era un vero peccato che si penalizzasse così con quell’acconciatura che solitamente definiva “da vecchia” perché era un ragazza stupenda. Cindy era proprio il tipo che era in grado di farti l’unica domanda scomoda in quel momento, era un dono per lei e una maledizione per gli altri. Come avesse un sensore che le suggeriva di cercare domande inopportune e poi una spia si accendesse una volta trovata. Non aveva remore con nessuno, genitori, amici, parenti, professori e persino sconosciuti, quando le veniva in mente quella domanda doveva assolutamente esporla e non si sarebbe fermata finché non avesse ottenuto una risposta soddisfacente. Si ricordò quella volta che scoprirono che il preside Charls aveva divorziato e stava momentaneamente vivendo nel suo studio. Era stata proprio Cindy infatti a scoprirlo ponendogli la domanda “signor preside, come mai ultimamente ha un aspetto trasandato?” a nulla servirono le preghiere delle sue amiche che tentarono di trattenerla, lei continuò a metterlo sotto torchio finche, quel povero uomo, non si arrese e sputo tutta la verità. Ancora oggi quando la vedeva un leggero disgusto misto odio attraversava il suo volto.
- Già come mai non sei tornata? – le fece eco la gemella. In realtà non erano nemmeno imparentate ma fin dal primo giorno fu subito chiara la straordinaria somiglianza tra le due. Quando poi entrambe avevano i fantastici capelli sciolti era quasi impossibile distinguerle o anche solo staccare lo sguardo da loro, da quanto erano belle. La stessa chioma fluente color grano, gli stessi occhi color cioccolato e le stesse gambe magre e slanciate. Avevano anche nomi simili, Cindy e Candy, ormai venivano soprannominate le due “C”. Non andavano mai da nessuna parte separate, come se potessero accadere cose orribili in tal caso, come se fossero veramente sorelle e fin dalla nascita non si fossero mai divise. Amu si chiese se andassero anche in bagno insieme e non osò nemmeno immaginare le conseguenze se le avessero messe in sezioni diverse. Fin dalla prima erano nella stessa sezione e, forse, nessuno era così spietato da separarle, temendo qualche crisi isterica da parte delle due ragazze. Anche il loro carattere era quasi identico se pure con qualche differenza. Se una delle due cominciava una frase, l’altra, di conseguenza, la completava, per non parlare delle volte in cui parlavano all’unisono. Non riuscì a ricordare una volta in cui non furono d’accordo o litigarono per qualcosa. Semplicemente erano un dato di fatto, l’unico modo per distinguerle ormai era notare le loro pettinature, Cindy con il suo consueto chignon e Candy che aveva un qualcosa di nuovo ogni giorno.
Agli occhi delle ragazze deve essere sembrata una povera scema imbambolata perché, quando trasalì dai suoi pensieri, le vide inginocchiate davanti a lei a fissarla preoccupate, gli occhi spalancati e le bocche contorte in smorfie. Sembrava che non sapessero bene che fare, se preoccuparsi o ridere. Anzi alcune di loro lo sapevano benissimo. Una di loro stava infatti già ridendo di gusto tenendosi con entrambe le mani lo stomaco e un’altra le faceva dondolare una mano davanti agli occhi, come per controllare i suoi riflessi.
- Terra chiama Amu, mi senti? Terra chiama Amu, rispondi! – questa era Emily che tentava di risvegliarla dal profondo stato di catalessi nella quale era finita. Era lei che sventolava la mano e fu anche la prima a parlare. I meravigliosi occhioni verdi da cerbiatta incorniciati da lunghe ciglia nere sembravano proprio avere una scintilla di divertimento. La tradì anche il sorriso che affiorava sulle labbra, nonostante tentasse, in maniera evidente, di trattenerlo.
- Ci sono, ci sono, non è necessario tutta questa scena!! Che ci fate in girò a quest’ora, dovreste essere in classe! – le sgridò scherzosamente Amu, ridacchiando come una sciocca ragazzina. Non poté fare  a meno di pensare che anche lei sarebbe dovuta essere in classe da un pezzo ormai. Se erano addirittura venute tutte a cercarla i professori dovevano essere preoccupati da quanto era stata fuori.
- Guarda che è già la pausa pranzo – e in quel momento si accorse che anche Venia era lì, invisibile come al solito, l’espressione imbronciata di chi ne sa sempre una in più e un braccio teso verso di lei. Seguì con lo sguardo la lunghezza dell’arto dalla spalla fino ad arrivare alla mano, che reggeva un contenitore avvolto in un fazzoletto color lilla ricamato con dei graziosi motivi floreali. Lo riconobbe subito, era la tovaglietta in cui lei faceva su il contenitore del cibo, quello che le era stato regalato da suo fratello. Venia era stata così gentile da cercare nella sua borsa e prendere il suo pranzo e portarglielo in giardino. Nonostante le apparenze e il carattere, superficialmente brusco ed egoista, era la persona più buona e gentile che avesse mai conosciuto. In realtà, anche se molte volte con il suo sguardo color malva che sembra scrutarti nell’anima e il suo saperne sempre una in più poteva spaventare, lei era sempre disposta a fare tutto senza mai chiedere nulla in cambio, purché glielo si chiedesse nella maniera adeguata.
- Non avresti dovuto portarmi il pranzo – disse Amu prendendo il contenitore dalla mano di Venia che non aveva ancora intenzione di togliersi dal viso quella ridicola espressione imbronciata contorta in una smorfia che sembrava essere un tentativo di sorridere, evidentemente mal riuscito. Si chiese se un giorno o l’altro, magari non troppo lontano, le avesse degnate di un sorriso come si deve e che non si trattasse quasi sempre di una smorfia. Purtroppo quella specie di broncio rovesciato era l’unica cosa che era riuscita a strapparle.
- Non ringraziarmi, infondo oggi hai bisogno di energie – concluse con uno sguardo enigmatico. Ecco appunto, proprio ciò che stava pensando poco prima, come diavolo faceva a sapere sempre le cose prima degli altri? Erano proprio questi gli atteggiamenti che mettevano inquietudine a chiunque. Si limitò a sorriderle come risposta, certa che le sarebbe bastato. Infondo sapeva sempre tutto, non c’era bisogno di inutili spiegazioni.
Le ragazze continuavano a ciarlare del più e del meno, spettegolando di questo e quell’altro. Lei però sentiva solo un eco rimbombare nella sua testa dove alcuni frammenti di citazioni di compagni, aforismi vari e racconti di scene divertenti o pettegolezzi riuscivano a inserirsi tra i pensieri più intricati della sua mente formando frasi del tipo “ che diavolo aveva in mente quando mi ha adoro gli occhi di Dawson” oppure “ Richard mi ha come farò oggi?” insomma, nulla di sensato che non faceva altro che aumentare la confusione nella propria testa. Se ne stava lì, seduta sull’erba, giocherellando con il cibo distrattamente e con sguardo fisso nel nulla.
- Ehi Amu che ti succede? – chiese Candy, come al solito era la più attenta ai dettagli, in confronto alle altre avrebbe benissimo potuto essere investigatore di successo e sarebbe di sicuro la migliore in quanto le domande scomode non le sarebbero mai mancate.
- Ehm – la bocca le era diventata secca e pastosa, l’aria sembrava graffiarle la gola quando l’aspirava dalla bocca affannosamente come se ogni respiro fosse l’ultimo e lei si stesse aggrappando a quell’ultimo alito di vita. Fu salvata in corner dalla campana che segnava inesorabile la fine della pausa pranzo, quindi l’inizio di un’altra noiosa sessione di studi.
- Forza dobbiamo andare – disse alzandosi in piedi, esortando anche le altre a farlo, cercando di mantenere una parvenza di normalità nella sua camminata. Quando fu sicura che le altre non se ne sarebbero accorte fece un sonoro sospiro di sollievo ripensando, con ironia, che la situazione appena passata era analoga a quella vista in un film di Aldo, Giovanni e giacomo. Quella della pellicola però era la campana di un carcere, forse era molto meglio quella di fine pausa pranzo.
 
La fine della giornata scolastica sembrava non arrivare mai, l’ora di filosofia fece addormentare tutti  e, quando finalmente anche l’ultima campanella suonò, Amu non poteva resistere soltanto un minuto in più in quel luogo infernale. Infondo la giornata non fu poi così pesante, la gamba smise un po’ di farle male dopo essersi nuovamente impasticcata dopo pranzo, si chiese se non ne rischiasse la dipendenza. Ikuto non si dedicò particolarmente al proprio lavoro di teppista, lo vide solo di sfuggita una volta che stava beatamente sonnecchiando sotto un pino, l’espressione serena, in quel momento non le sembrò quel complesso di problemi la quale in realtà, da sveglio presentava. Poté, quindi, sfruttare le pause per riposarsi un po’ e ne fu immensamente grata perché dopo l’ora di storia dell’arte il suo cervello riprese a fumare. Questo strano evento, però, non accadeva mai se non a Natale, quando molti del gruppo di teppisti, soprattutto Ikuto e Utau, non venivano a scuola direttamente, e non fece che insospettire ancora di più la ragazza. Chissà come diavolo faceva Ikuto ad avere dei voti così alti ai test nonostante non segua nemmeno una lezione. Ad ogni modo non aveva tempo per perdersi in gloria e, cercando di evitare ogni imprevisto, usci il più velocemente possibile tentando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Si incamminò velocemente verso il luogo del riscatto e, come richiesto dal teppista stesso, ci andò da sola ma che era diventata quella situazione, una scena stile film polizieschi come CSI? Si aspettava di veder comparire da un momento all’altro Horatio Caine e la sua squadra di detective che le strappava dalle mani la lettera di riscatto di Ikuto e prendere a tutta la scuola le impronte digitali. Le richieste di quel degenerato però non le impedirono di andarci preparata, infatti aveva portato con sé una mazza da baseball presa in prestito dalle attrezzature della palestra certa che se l’avesse riportata l’indomani mattina presto intatta non se ne sarebbe accorta nessuno, come si dice “fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio” e Amu proprio non ce la faceva a fidarsi di quell’essere abbietto. Dopo circa venti minuti di percorso il parco non era più molto lontano. Quando era piccola sua madre la portava sempre a giocare lì prima che fosse dichiarato inagibile e tutti si scordassero l’esistenza di quel luogo anche il governo che non emise alcun avviso di demolizione. Nonostante ciò ormai, a causa del suo stato di abbandono totale, non era più frequentato da nessuno se non da lei e Ikuto e forse qualche gatto randagio, luogo perfetto per nascondere qualcosa o per fare del male a qualcuno. Data la mancata manutenzione alberi e arbusti, cresciuti fuori controllo, rendevano difficile l’accesso e la visuale da fuori attutendone anche i rumori. Una specie di squarcio temporale, un luogo naturale e innaturale allo stesso tempo. Arrivò in anticipo di circa dieci minuti, decise quindi di ammazzare il tempo osservando il paesaggio, erano mesi che non rimetteva piede lì dentro, più e meno da quando aveva incontrato lì l’ultima persona che avrebbe mai voluto trovarci, il bullo della sua scuola. Adorava quel luogo, lo aveva sempre amato fin da piccola. Riaffiorarono nella sua mente gli spensierati ricordi di bambina quando giocava a nascondino dietro ai tronchi o di quando giocavano a “cel’hai” correndo ovunque, spesso cadendo e sbucciandosi le ginocchia che andavano poi a sciacquarsi sotto il getto fresco della fontanella. Fontanella che ora era tutta arrugginita. Era il suo posto speciale, pieno dei suoi ricordi, e non aveva smesso di andarci nemmeno quando lo chiusero con suo grande dispiacere, non aveva smesso fino a quando non vi trovò Ikuto. In quel momento tutto il mondo le crollò addosso, le sembrò che avesse profanato quel luogo etereo. L’altalena su cui aveva passato così tanto tempo quando era piccolo ora aveva le catene arrugginite e sui pali era cresciuta dell’edera, se solo si provava a salirci per dondolare anche solo un pochino tutta la struttura cominciava a scricchiolare minacciando di cedere da un momento all’altro e le catene cigolavano in maniera impressionante, somigliando al rumore prodotto dalle unghie sulla lavagna e producevano anche lo stesso effetto. Spostò lo sguardo sullo scivolo che era irrimediabilmente rotto, i supporti erano stati corrosi dalla ruggine anche loro e la piccola scaletta esposta alle intemperie era inutilizzabile. I pioli di legno erano rotti a metà o marci per la pioggia, era un vero peccato. La sua preferita, però, rimaneva sempre la giostrina, quella piccola struttura che gira, le era sempre piaciuta, si sedeva lì e girava e continuava a girare fino a quando non aveva la nausea e allora si fermava a vedere il paesaggio vorticare, adesso anche quella era arrugginita, non girava più ed era piena di edera ma non perdeva il suo fascino. A volte, quando andava lì, prima di incontrare Ikuto, si sedeva e si perdeva nei ricordi di quei pomeriggi spensierati. Ora che attorno al parco erano cresciute piante e siepi alte almeno un paio di metri che impedivano a chi passava vicino di vederlo e anche i più assidui frequentatori del passato persero le speranze di entrare facilmente, quel luogo, che per lei era diventato come un paradiso terrestre, ora era il suo rifugio personale, nonostante custodisse intimamente il desiderio che fosse ripopolato di bambini e mamme.
- A quanto pare sei venuta e sei anche in anticipo – la voce carica di ilarità di Ikuto la risvegliò dai suoi pensieri fatti di dolci ricordi, riportandola crudelmente alla realtà, alla vita vera, rompendo la magia di quel luogo.
- Dov’è la mia bici? – chiese impaziente di riaverla. Dopo ciò che era successo quel giorno, che avesse in mente di baciarla di nuovo o che l’avesse attirata in una trappola, astutamente architettata a dovere voleva passare il meno tempo possibile in sua compagnia
- Calma, calma quanta fretta! Che succede hai un appuntamento dopo? – chiese divertito il ragazzo con una piccola nota di curiosità nella voce, che mascherò a dovere perché Amu non se ne accorse.
- Si è possibile, magari con qualcuno che non hai ancora spaventato a morte – commentò crudelmente tirandogli una piccola frecciatina sul suo comportamento nei propri confronti.
- Strano, questa mattina avrei detto che non volevi più staccarti da me, lo sa il tuo ragazzo ciò che abbiamo fatto oppure glielo dici dopo al tuo appuntamento con lui? Chissà se avrà ancora voglia di baciarti dopo aver saputo dove sono state le tue labbra – disse malizioso il ragazzo mentre un sorriso sghembo si faceva largo sul suo volto. Non poteva farci nulla, si divertiva troppo a vedere come il suo viso mutava espressione impercettibilmente in base a ciò che le diceva, senza che lei se ne accorgesse.
Ma se sei stato tu a baciarmi! – gridò sconvolta da tanta sfacciataggine Amu. Ok che non aveva nessuno a cui spiegare dove fossero state le sue labbra e in ogni caso era appunto la sua bocca e non doveva dare spiegazioni a nessuno ma comunque non si doveva permettere di parlarle così. Prima la picchia, la fa picchiare, la minaccia, le rende una vita un inferno cercando di farla rimanere sola e poi la bacia così all’improvviso. No, non era giusto ed era altrettanto irritante quanto il fatto che si prendesse gioco di lei in quel modo, nel suo posto.
- Però ti è piaciuto – disse avvicinandosi sempre di più alla ragazza sempre con uno sguardo così penetrante da farla sentire nuda. E infondo era piaciuto anche a lui. Quando fu a pochi centimetri da lei la afferrò con forza e dolcezza e la chiuse nel cerchio delle sue braccia. La ragazza inizialmente tentò di liberarsi, sentiva il proprio cuore scoppiarle letteralmente nel petto per l’imbarazzo, per l’emozione della situazione in cui era finita.
- Lasciami andare – ordinò sempre più a disagio Amu. Non doveva dimenticare chi era in realtà quel ragazzo, un vile e falso che non si faceva scrupoli a prendere in giro ragazze come lei, approfittando della debolezza del momento. Anche se per un attimo le parve di credere di essere una normale ragazza in presenza del ragazzo che amava, bellissimo e intelligentissimo, che finalmente si era accorto di lei e ora si stavano confessando i propri sentimenti. Ma non poteva certo permettersi quelle distrazioni e si sforzò di rimanere lucida.
- Non sei coerente con te stessa, mi dici di lasciarti andare ma in realtà il tuo corpo sta gridando “non azzardarti a farlo” – le prese il mento con le dita e la obbligò a guardarlo negli occhi. Il suo non tradiva alcun segno di disagio e anzi esprimeva ogni sorta di determinazione. Amu voleva e doveva assolutamente staccarsi da quella trappola mortale che era Ikuto. Le dita di lui sotto al proprio mento la tenevano stretta e non riusciva a liberarsi, non poteva staccare gli occhi da quelli del ragazzo, così intensi e profondi. Ikuto fece scivolare l’altra mano dietro alla schiena della ragazza, rafforzando il contatto e intrappolandola di nuovo nel cerchio delle sue braccia ma non c’era bisogno di incastrarla perché Amu ormai non poteva nemmeno più tentare di liberarsi da lui e forse non voleva. Tuttavia, anche se avesse veramente voluto, non avrebbe potute perché le braccia di Ikuto erano così forti e muscolose che le impedivano qualsiasi movimento costringendola in una presa d’acciaio. Il cuore le martellava così forte nel petto che pensò stesse per esplodere, si chiese se anche lui provasse la stessa cosa, continuava a fissarlo intensamente negli occhi color ametista e lui faceva lo stesso, non dava cenno di volersi allontanare. Il sorriso sghembo era scomparso e con lui ogni traccia di malizia, sembrava che non pensasse ad altro che a lei, che non vedesse altro che le sue labbra e Amu non desiderava altro che raggiungessero le sue. Ma che sta succedendo? Da quando ho questo desiderio? Nonostante queste domande vagassero in testa ad Amu cercando di riportarla alla realtà la mente sembrava essersi completamente divisa dal corpo sempre più vicino a quello di Ikuto. Era matematico, più lei si avvicinava a Ikuto e meno era capace di intendere e di volere. Il respiro si fece sempre più affannoso e superficiale con il lento diminuire della distanza fino a diventare nulla, fino a far combaciare i propri bacini. A quel contatto il corpo di Amu venne attraversato da un’improvvisa scarica elettrica che le fece perdere un battito, si sentì improvvisamente debole, cominciarono a tremarle le ginocchia che non riuscivano più a sostenerla e dovette accorgersene anche Ikuto perché rafforzò la stretta contro di sé. Quando lo fece si sentì sciogliersi e si rese conto che stava trattenendo il respiro. Si sentiva lo stomaco contorcersi e questo l’agitava ancora di più. Stava per essere letteralmente presa dal panico. Poi accadde tutto velocemente, troppo perché Amu potesse accorgersene, Ikuto spostò la mano con la quale manteneva il mento della ragazza dietro alla nuca accarezzandole dolcemente i capelli, scompigliandoglieli e posò le proprie labbra su quelle di lei. Delicatamente. Quel contatto era caldo, anzi rovente e aveva un sapore fresco. Si, aveva ragione, le labbra di Ikuto avevano un leggero sapore di menta e il suo profumo aveva decisamente un odore speziato. Ora ne aveva la certezza, anche quello della mattina non era un sogno ma era reale e ora, che la stava baciando di nuovo, il ricordo si fece più vivido nella sua mente. L’unica cosa che ormai sentiva era un ronzio nelle orecchie, non aveva idea di ciò che stava facendo ma il suo corpo si perché parve muoversi da solo. Si sorprese quando si rese conto che aveva spostato le proprie braccia dietro al collo del ragazzo, incrociandole, impedendogli così di allontanarsi, rispondendo energicamente al bacio. Le gambe diventarono improvvisamente ancora più deboli, così deboli che le sembrava fossero di gelatina e che non potessero reggerla ancora a lungo. Ormai aveva perso la ragione e il controllo del proprio corpo che si muoveva di propria iniziativa incurante dei problemi che le avrebbe causato quel gesto inappropriato. Mentre la sua mente e il suo buon senso le gridavano “razza di cretina che diavolo combini?” lei faceva l’esatto contrario stringendosi di più al ragazzo come se avesse paura che da un momento all’altro potesse staccarsi da lei e fuggire. Come se non lo avesse tenuto forte contro di sé ci fosse il pericolo che fosse tutto un sogno ad occhi aperti. Probabilmente un effetto collaterale dei farmaci che aveva preso e in realtà si trovasse distesa e svenuta sull’erba del parco abbandonato. Anche Ikuto forse provava le stesse cose? Effetti collaterali e insicurezze a parte ovviamente, perché lui sembrava molto più sicuro di ciò che stava facendo, le parve consapevole del bacio appassionato che si stavano scambiando già da qualche minuto. Mise a tacere la stupida vocina della sua ragione, per godersi, anche solo per pochi secondi, quella sensazione inebriante, come se il tempo si fermasse solo per aspettarli, come se ora esistessero soltanto loro e il resto dell’universo fosse soltanto una nebbia che impediva di mettere a fuoco il resto. Rimanevano soltanto loro sospesi in un mare di foschia fluttuando. Immaginava che fosse la magia di quel luogo. E per un momento non fu poi così triste di trovarsi lì con lui in quella particolare situazione. Infondo lì ci era cresciuta ed era giusto che provasse anche le sue incertezze in campo di ragazzi dove aveva ritrovato e perso più volte sé stessa. Al tempo stesso se ne pentì perché sapeva che non sarebbe più riuscita a godersi la pace del parco senza ripensare a quel momento ma accantonò quel pensiero, infondo, per una volta avrebbe potuto lasciare da parte tutti i suoi scrupoli e mettere a tacere il cervello.
Purtroppo non poté godersi quel momento fino in fondo, o almeno quanto avrebbe voluto, perché il suo cervello si rimise in moto con i sensi di colpa. Nonostante le mani di Ikuto vagassero curiose su tutto il suo corpo e stesse evidentemente facendo del proprio meglio per catturare tutta l’attenzione della ragazza su di sé. Non che la mano destra del ragazzo fra i propri capelli non le facesse piacere, certo, non quanto quella sul proprio sedere, Amu, però venne comunque sopraffatta dal senso di colpa. Quelli, infondo, erano pur sempre i suoi primi veri baci e li stava sprecando con quello scellerato e abbietto bullo da strapazzo che era Ikuto. Certo non è che non avesse mai baciato nessuno, c’era il bacio che un bambino le stampò in quinta elementare dopo che le aveva fatto una piccola confessione d’amore, era cosi ingenua a quei tempi che pensava che fosse un sentimento brutto l’amore, se così si poteva parlare dell’infatuazione di un bimbo, così orribile che scappò via piangendo non prima di tirargli un sonoro ceffone. Poi durante gli anni, crescendo e perdendo la propria ingenuità cominciò ad accettare gli inviti alle feste e gli appuntamenti dei ragazzi e quindi c’erano stati Lucas pel di carota in terza media, si pentiva ancora di aver accettato e di essersi fatta strappare un piccolo bacio al sapore di cipolla, Jhon occhi di ghiaccio in prima superiore, veniva da un’altra scuola e si diceva che lì fosse il più popolare, un vero infame e una piccola serie di altri ragazzi e di piccoli bacetti innocenti. Nessuno l’aveva mai baciata con tanta passione come Ikuto ergo quello era il suo primo vero bacio, uno di quelli fatti bene che ti toglievano il respiro e ti lasciavano a bocca aperta anche dopo che fosse finito.
 
Il loro bacio durò per un tempo indefinito, fino a quando Ikuto non fu costretto a staccarsi da lei per rispondere al cellulare che squillava incessantemente da alcuni minuti. Era strano come non se ne fosse nemmeno accorta fino a quel momento. Alla fine Ikuto si era stufato di sentirlo squillare e con un gesto che sembrò forzato si staccò da lei allontanandosi di qualche metro per rispondere, non fu una conversazione particolarmente lunga e animata, infatti durò soltanto pochi secondi in cui si limitò a dire con fare sbrigativo monosillabi come “si, ok, aha, mmm” e al termine della quale si riavvicinò a lei con passo svelto, che non si era mossa di un millimetro essendo sprofondata in un abissale e misterioso stato di trans dalla quale non si risvegliò per diversi minuti anche dopo che Ikuto se ne fosse andato, salutandola con un bacio e la promessa di rivedersi il giorno dopo. Nonostante fosse passato diverso tempo da quando Ikuto se ne andò il suo respiro non era ancora tornato regolare, continuava a essere affannoso e, nonostante non avesse mai desiderato quel contatto, provava freddo lì dove fino a qualche minuto prima erano poggiate le invadenti e birichine mani di Ikuto, pensò a come le fece male staccarsi improvvisamente da lui e provò orrore per se stessa, per essersi lasciata manipolare da uno come lui. Sembrava totalmente pietrificata ad eccezione delle gambe che continuavano a sembrarle di burro e come esso si sciolsero al sole del tardo pomeriggio facendola scivolare a terra in mezzo all’erba verde e fresca a maledirsi da sola per la propria debolezza. Alla fine in quel luogo dove tutto ebbe inizio decise che tutto sarebbe finito, promise a se stessa che Ikuto non sarebbe più stato in grado di avvicinarla a meno di un metro. Non poteva più permettersi errori. Recuperò la mazza da baseball che non ricordava nemmeno di aver lasciato cadere e fu in quel momento che si accorse che la sua amata bici non le era stata restituita. Lo aveva fatto apposta, ecco qual’era il suo obbiettivo e, per la seconda volta quella settimana le toccò tornare a casa a piedi. Un sonoro sbuffo le uscì dalle labbra prima di incominciare a incamminarsi, ormai era già il tramonto e aveva ancora un sacco di cose da fare.
































 
Salve salvinoooooooooooo!!!!!!! scusate tanto l'enorme ritardo ma giuro c'è una spiegazione logica e razionale!!! ecco vedete il mio computer ha deciso di abbandonarmi proprio nel momento del bisogno, un classico no? quindi ho perso tutti i file, per questo non ho potuto fare di meglio e sono in enorme ritardo anche con l'altra mia FF che sto scrivendo, giuro che farò del mio meglio il prima possibile <3
beh ora basta, bando alle ciance e parliamo di questa FF, che ne dite? vi è piaciuta? è troppo lunga? vi ho incuriositi? speriamo! aspetto le vostre recensioni con ansia, ditemi tutto ciò che pensate, accetto tutti i consigli che volete darmi *-* non vedo l'ora di leggerle!
baci baci, mi siete mancati <3
  
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