3) La bambola demoniaca.
Lunedì
preferirei buttarmi sotto un treno che tornare a scuola.
Non
posso permettermi di perdere un altro anno, purtroppo, così
mi strappo dalle
coperte, mi vesto e
scendo a fare
colazione.
Mia
madre e Isabel sono già in cucina, entrambe con lo stesso
sorriso felice di chi
è soddisfatto della propria vita e non ha nulla da temere.
Solo io temo Tom
DeLonge e nello stesso tempo voglio vederlo per via della mia cotta.
Che
gran casino!
Fatta
colazione ce ne andiamo a scuola, mia sorella non vede l’ora
di rivedere Mark,
il suo appuntamento ieri è andato benissimo: lei e Hoppus si
sono persino
baciati.
La
vita va bene a tutti tranne a me, solo a me riserva limoni.
Arrivate
a scuola e parcheggiata l’auto lei corre a cercare Mark, io
mi dirigo con passo
svogliato verso l’interno. Durante il fine settimana mi sono
tinta i capelli di
arancione per scazzo, Izzie dice che mi stanno bene.
Entro
e controllo l’orario, ho una materia che si chiama
“Laboratorio psicosociale” e
il mio istinto dice che sarà una noia terribile.
È
molto raro che il mio istinto si sbagli quindi devo prepararmi
psicologicamente.
La
professoressa che gestisce si chiama Jenkins ed è una donna
di mezza età dalla
voce fastidiosamente acuta, mi ricorda lo stridore delle unghie contro
la
lavagna.
“Bene,
ragazzi. Inizieremo un progetto in previsione di quando diventerete
genitori,
visto che a qualcuno di voi sicuramente capiterà presto.
Sorteggerò
delle coppie che si dovranno prendere cura di uno dei bambolotti qui,
sono
quasi come dei bambini veri.”
Io
la guardo stupita, invece di esortarci all’astinenza o
all’uso dei profilattici
questa donna vuole che impariamo a prenderci cura dei marmocchi?
È
pazza!
“Bene
inizio il sorteggio, la prima coppia è quella composta da
Malone Chiara
Elizabeth e da DeLonge Thomas Matthew.”
Io
sgrano gli occhi e alzo la mano.
“Non
si può cambiare partner, professoressa?”
“No,
Malone. Venga qui a prendere suo figlio.”
Io
mi alzo rassegnata e prendo il bambolotto che mi porge.
“È
una femmina, cara. Come la volete chiamare?”
“Figlia
di nessuno, va bene?”
“No.”
“Beh,
ci penseremo.”
Me
ne torno al mio banco, Tom è ora seduto al posto del tizio
vicino a me.
“Fammi
vedere nostra figlia.”
“È
solo un cazzo di bambolotto, non fare tutte queste scene.”
“È
nostra figlia, non è un bambolotto.”
Con
poca grazia gliela ficco in mano sperando che taccia.
Finito
il sorteggio delle coppie arriva il colpo di grazia: dovremo tenerci
questo
coso per una settimana e tenere una specie di diario.
Che
schifo.
“Vuoi
tenerla tu per la prima ora?”
“No,
ho educazione fisica, non mi piace che stia da sola.”
Io
gli appoggio una mano sulla spalla, il che è un gesto molto
pericoloso.
“Tom,
non è un vero bambino, è solo una bambola,
capito?”
“Ma
tu la tratterai come se fosse vera, io e te abbiamo ancora qualcosa da
chiarire
comunque.”
Infuriata
come una iena esco con la pupattola sotto braccio e mi dirigo alla
prossima
aula: matematica.
Mi
siedo al primo posto
che trovo libero e
appoggio la bambola accanto a me sperando che stia zitta, il professor
Olsen
non ama chi lo disturba durante le sue complicate lezioni.
Poco
dopo arriva in classe, fa l’appello – come al
solito – e nota la bambola, le
sue labbra si stringono, ma non dice nulla.
Inizia
a spiegare e dieci minuti dopo il congegno infernale inizia a piangere,
io non
so cosa fare, la cullo, le canticchio qualche canzone.
“Faccia
tacere quel coso, Malone!”
“Non
ci riesco, professor Olsen! Ringrazi la professoressa Jenkins per
questo
inconveniente!”
Lui
mi guarda un attimo sbalordito, poi una luce maligna si accende nei
suoi occhi.
“Sì,
Malone. Penso proprio che andrò a ringraziarla, sono stufo
delle idee di quella
donna, finiscono sempre per rovinare le mie lezioni!”
Esce
sbattendo la porta, lasciandomi con il problema di come far smettere di
piangere la cosa che ho in mano.
Le
provo tutte di nuovo, poi mi volto verso i miei compagni, disperata.
“Vi
prego, datemi una mano!”
“Sei
una donna, Malone. Le donne sanno come far tacere i bambini!”
Mi
urla lo spiritoso della classe, io vorrei ucciderlo.
“Beh,
io non sono tanto brava con questi… Cosi.
Sono
piccoli, fragili, ho paura di romperli.
Quante
chance avrò di essere creduta quando avrò
spezzato l’osso del collo di mio figlio
perché non so come trattarlo?
Nessuna!
Finirò in galera per un.. neonato!”
Mi
guardano tutti stralunati, fino a che Helen – una ragazzina
dai lunghi capelli
neri – non me lo toglie delicatamente dalle mani e lo fa
addormentare
cullandolo e canticchiandogli qualcosa.
“È
che sente che tu non le vuoi affatto bene.”
“Helen,
ti ringrazio, ma è una bambola!”
Lei
scuote la testa.
“Si
comporta come un bambino vero e quindi potrebbe percepire se ti fa
piacere
averla accanto oppure no.”
Io
sbuffo.
“Sembri
Tom, queste bambole non sono bambini, non sentono quello che noi
proviamo.”
Rimetto
delicatamente il mostro a letto, giusto poco prima che arrivi il
professor
Olsen. Per una grazia di un non so quale dio sta zitta per tutta la
lezione e
il professore non si arrabbia ulteriormente, la mia media è
già abbastanza
bassa.
Finita
la lezione cerco Tom per tutta la scuola e gli rifilo il bambolotto in
braccio,
senza ascoltare le sue proteste.
Sono
arrabbiata come non mi succedeva da tempo, vado alla lezione seguente
con la
faccia del serial killer latente, tanto che spavento persino mia
sorella.
“Cha,
che ti è successo?”
“È
successo che la Jenkins ci ha assegnato un compito stupido! Ha creato
delle
coppie e gli ha affidato un bambolotto che si comporta come un bambino
vero per
prepararci all’essere genitori.
Immagino
sarebbe stato troppo facile dire: non scopate, usate il preservativo,
prendete
la pillola!
Io
sono finita in coppia con Tom, ti rendi conto?”
Lei
mi guarda un attimo.
“Quanto
vorrei che un compito del genere lo dessero a me e a Mark!”
Io
scuoto la testa, da quando è riuscita a conoscere Hoppus lo
ficca in tutti i
discorsi possibili e immaginabili.
Seguiamo
insieme tutte le lezioni fino alla pausa di mezzogiorno, ho
già preso il rancio
quando Tom si siede al nostro tavolo insieme al piccolo mostro e ad
Anne.
“Non
sei stata molto gentile mollandomi nostra figlia
così.”
“Non
è nostra figlia, Tom! È solo un dannato
bambolotto!
Ciao,
Anne!”
Anne
è la cosa più vicina ad un’amica che io
abbia, da quando ci siamo chiariti
sulla questione “Johnny” ha smesso di essermi
ostile e ho scoperto che è
simpatica.
“Ciao,
Chia. Tom, Chia ha ragione, è solo un bambolotto non
dovresti farti paranoie e
far andare in paranoia gli altri.”
Lui
sbuffa e comincia a mangiare in silenzio, presto lo imitiamo tutti.
“Anne,
tuo fratello lavora ancora da Davies?”
Chiede
mia sorella ingoiando un boccone di polpette.
“Sì,
perché?”
“Dici
che sarebbe une bella idea se io andassi a trovarlo dopo il lavoro,
cioè lo
vado a prendere e poi ci facciamo un giro insieme.”
La
faccia di Anne diventa brutta per un attimo e la sua forchetta muove
leggermente i piselli che accompagnano le polpette.
“No,
penso che non sia una buona idea.
Aspetta
che sia lui a farsi vivo.”
Lei
annuisce depressa, mi sa che c’è qualcosa sotto,
dopo lo chiederò ad Anne.
Finito
il pranzo, Tom mi molla di nuovo la pupattola e tenendola in braccio
vado a
lezione si spagnolo insieme ad Anne.
“Come
mai hai detto a mia sorella di non fare una sorpresa a Mark?”
Lei
sospira.
“Perché
ha una mezza storia con una sua collega che si chiama Josie. Penso si
stiano
mollando, ma Isabel non la prenderebbe bene.”
“Ho
capito. Spero che la molli, perché se tiene il piede in due
scarpe lo pesto.”
Faccio
scrocchiare minacciosamente le nocche, facendo spaventare la piccola
Satana che
ho in braccio.
“Oh,
Cristo. Non di nuovo!”
Lentamente,
mettendoci tutta la dolcezza che riesco a trovare la cullo e le canto
una ninna
nanna, finalmente tace.
“Dovremmo
nutrirla, ma con che cosa?”
“Forse
basta che le metti in bocca un biberon vuoto, Tom l’ha
già battezzata, non te
l’ha detto?”
“No.
Come l’ha chiamata?”
“Ava.”
Un
brivido corre lungo la mia schiena, questo mostriciattolo si chiama
come me.
Il
resto delle lezioni trascorre tranquillamente, la rottura arriva quando
finiscono. Tom è appoggiato alla mia macchina insieme a mia
sorella.
Che
deja-vu!
“Ciao,
cosa ci fai qui?”
“Vengo
a casa tua per prenderci cura della bambina.”
Io
alzo gli occhi al cielo, ma perché?
Il
mio istinto è diviso in due, dall’altro
è felice perché trascorre tutto questo
tempo con Tom, dall’altra teme che presto il mio segreto
verrà fuori. Se
dovesse succedere sarebbe una tragedia!
“Va
bene, va bene.”
Ci
sarà anche Isabel, posso sopportare questa situazione.
Saliamo in macchina e
andiamo a casa mia: stranamente la macchina di mamma è
già parcheggiata nel
vialetto.
Apro
la porta di casa e la vedo china su una pianta, quando sente le nostre
voci
alza lo sguardo, è stupita.
“Come
mai c’è anche lui e tu hai una bambola in
braccio.”
“È
n..”
Gli
rifilo una gomitata nelle costole.
“La
professoressa Jenkins ci ha assegnato un compito, far finta che questo
sia
nostro figlio o figlia e prendercene cura insieme. Io sono finita con
Tom, che
la fastidiosa abitudine di credere che questo bambolotto sia davvero
nostra
figlia.”
Mia
madre ride.
“Ok,
andate pure in salotto, volete qualcosa da bere o da
mangiare?”
Alla
fine accettiamo volentieri le patatine e la coca che ci offre, io
inizio subito
con matematica, Tom invece inizia a giocare con la bambina.
Continua
a ripeterle “bubusettete” in continuazione
facendola ridere, peccato che questo
renda molto difficile concentrarmi sui compiti.
Sono
quasi tentata di andare nella stanza del deserto pur di avere un
po’ di pace,
non lo faccio solo perché Tom vorrebbe venire anche lui.
Alla
fine la bambina scoppia a piangere e non c’è ninna
nanna che tenga, continua.
“Credo
abbia fame.”
Dico
io piatta, alzando la testa dai miei compiti.
“Come
la nutriamo?”
“Non
lo so, ma secondo Anne dovremmo provare a metterle in bocca un biberon
vuoto,
ce n’è uno nel kit che ci ha dato la
Jenkins.”
Lui
fruga nella borsa che ci ha dato la vecchia strega e trova un biberon,
lo
infila nella bocca del bambolotto che inizia
a succhiare il nulla, ma almeno tace.
Dopo
aver finito, la bambola si addormenta e Tom si svacca sul divano.
“Ho
sentito che hai dato un nome alla bambola.”
“Sì,
l’ho chiamata Ava, ti piace?”
“Carino.”
Dico
in tono misurato per non fargli capire quanto mi turbi il fatto che
abbia chiamato
la cosa come me.
“Cosa
stai facendo?”
“Matematica.”
“Faccio
schifo in matematica.”
“Anche
io, ma bisogna pur farla, no?”
Lui
rimane un attimo in silenzio.
“Perché
ti scoccia così tanto occuparti di Ava?”
Io
non alzo nemmeno gli occhi.
“Non
sono affari tuoi.”
“È
perché sei stata adottata?”
“Forse.”
Altro
attimo di silenzio.
“Perché
mi odi così tanto?”
“Non
ti odio, è che quando vuoi sai essere estremamente testardo
e fastidioso e mi
dà fastidio.”
“Capisco,
me lo dicono spesso.”
“Deduco
che non te ne importi molto degli altri se continui a comportarti
così.”
“Esatto,
sono fatto così. Non posso farci nulla, come tu non puoi
fare a meno di essere
la donna dai tanti segreti.”
Io
sbuffo, con il cuore a mille.
“Smettila,
Tom. Non è vero, sono solo una banale studentessa.”
“No,
non proprio. Prima o poi mi dirai la verità.”
I
miei occhi diventano tristi per un attimo, anche se non dovrei
frequentarlo – e
men che meno amarlo – mi sento male perché lui mi
frequenta solo per i miei
segreti, non perché gli piace la mia compagnia.
“Ehi,
Chia. Cosa c’è?”
“Niente,
adesso mi rimetto a fare i compiti. Tu non ne hai?”
Lui
si batte una mano sulla fronte.
“Giusto,
letteratura.”
Anche
lui finalmente si mette a lavorare e c’è silenzio,
mamma passa ogni
tanto a controllare e mio malgrado
si crea un’atmosfera di complicità tra di noi.
Lo
so benissimo che deriva dal fatto che per una settimana dovremo
occuparci della
pupattola, ma mi fa comunque piacere. A intervalli regolari una voce mi
suggerisce di dire tutto a Tom e di essere
totalmente sincera con qualcuno per una volta nella vita,
ma non riesce
mai ad avere la meglio.
Ogni
volta immagino i giornali, l’FBI che mi preleva e mi
allontana per sempre dalla
mia famiglia, dalla mia vita e poi non potrei sopportare che anche a
Johnny
succedesse tutto questo solo per colpa mia.
Alle
sei io ho finito gli esercizi e Tom il suo tema di letteratura.
“Beh,
adesso io vado. Tu tratta bene la piccola.”
“Perché
deve rimanere da me?”
“Perché
devi affezionarti a lei.”
Io
sbuffo platealmente, incrociando le braccia davanti al busto.
Lui
ride e mi dà un bacio sulla guancia, prima di farmi un cenno
di saluto e
sparire nella luce morente del sole del tramonto.
Solo
quando so che è fuori dalla visuale mi tocco la guancia e
non posso fare a meno
di sorridere.
“Chiaraaa!”
Urla
mia madre, rovinando questo momento quasi romantico.
“Vieni
ad aiutarmi con la cena.”
“Va
bene, mamma!”
Urlo
io, entrando in casa.
“Quel
ragazzo ti piace, vero?”
Io
arrossisco.
“Mamma!”
“Cosa
c’è di male ad ammetterlo?È molto
carino, anche se non mi piacciono i capelli
blu, i piercing e i tatuaggi.”
“Mamma,
non ho speranze. È uno di quei ragazzi da una botta e via e
io non voglio
essere l’ennesimo nome da aggiungere a una lista di ragazze
che si è fatto.”
Lei
non dice nulla.
“Vi
hanno dato un compito stupido.”
“Molto,
avrebbe più senso spiegare come non rimanere incinte che
prepararci ad essere
genitori.”
“Ti
pesa essere adottata?”
La
guardo perplessa.
“Perché
me lo chiedi?
Siete
stati una brava famiglia.”
“Grazie,
cara. Ho il sospetto che avere a che fare con quella bambola ti faccia
ricordare che tu non hai avuto una madre che lo facesse a te e che
questo ti
faccia stare male.
Io
taccio un attimo.
“Sì,
ma non posso farci nulla. È quello che sono e nessuno
potrà cambiarlo e, per
quanto faccia male, lo devo accettare.”
Lei
mi accarezza la testa.
“Sei
una brava ragazza.”
Io
annuisco, leggermente commossa.
Poco
dopo arriva a casa
mio padre e lancia
un’occhiata scettica al bambolotto.
Una
volta che gli ho spiegato cosa devo fare lui si acciglia.
“Non
dovrebbero insegnarvi a non avere figli, non a prendervene
cura?”
“Lo
penso anche io, ma la profe la pensa diversamente. È
convinta che non siamo in
grado di resistere al richiamo della passione, un po’ come le
bestie.”
Lui
scuote la testa.
“Insegnanti
moderni!”
Borbotta
mentre sale in bagno a fare la doccia.
Mangiamo
allegramente, il fatto che abbiano tentato di spararmi sembra aver
sollevato
l’umore della mia famiglia e abbia fatto decidere ai miei di
tornare a
trattarmi bene.
Finita
la cena la figlia di Satana scoppia a piangere, mia madre la guarda con
occhio
clinico.
“Credo
abbia fame.”
“Ma
gli abbiamo dato da mangiare prima!”
“Cosa?”
Io
mi gratto la testa.
“Beh,
un biberon vuoto. Io e una mia amica abbiamo pensato che bastasse
questo a
saziarla.”
“Metti
dell’acqua nel biberon.”
Io
eseguo e mia madre glielo fa bere, alla fine la bambola rutta
soddisfatta.
Io
sto per tirare un sospiro di sollievo, ma non è ancora
finita, adesso il mostro
piange per una ragione ignota.
“Credo
che ti debba cambiarle il pannolino.”
“Oh,
no!”
Esclamo
terrorizzata.
Prendendo
la bambola e un pannolino dal kit della pazza salgo in bagno. Mia madre
ha
ragione: il pannolino è bagnato. Glielo tolgo con cura, la
pulisco, gli metto
la cremina e il talco, poi ne metto uno nuovo.
Adesso
spero non abbia più bisogno di nulla perché devo
ripassare matematica, domani
interroga e potrebbe decidere di interrogare me per via della bambola.
Studio,
finito quello mi butto sul letto.
Adorata
pace.
Adorata
pace, un cazzo!
Tom
entra dalla mia finestra e io faccio un salto di tre metri buoni.
“Cosa
ci fai qui?”
“Do la buonanotte ad Ava! Buonanotte, piccolina.”
Le
dà un bacio e poi ne dà anche a me sulla guancia,
poi scompare nelle notte.
Ancora
una volta mi porto la mano sulla guancia, mi fa tanto piacere e questo
non va
bene.
Mi
fa venire voglia di rivelargli il
mio
segreto e non sono ancora sicura di potermi fidare di lui.
Non
voglio finire sezionata dai federali e poi magari in uno zoo.
“Chia,
raro esemplare di aliena femmina.”
Non
voglio che succeda.
Cosa
devo fare?
Angolo di Layla
Ringrazio staywith_me e
DeliciousApplePie
per le recensioni, per me significano molto.