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Autore: Naky94    20/01/2014    4 recensioni
Seguito (?) di "A spasso per l'Enterprise"
"Jim, cosa stai disegnando?" chiede, questa volta leggermente più serio.
Il piccolo, ripassa ancora una volta una figura con un pastello verde, per poi posarlo sul tavolino e girarsi a guardare il più grande.
Aprendosi in un sorriso dolcissimo, dice.
"Pok no sa chi è benuto a tlovacci, e ho fatto disegno per faglielo sapele".
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Avventure di JJ & Co - Spin Off'
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Note1: Originariamente questa shot non era stata pensata per la pubblicazione. Ciò che doveva essere pubblicato è una sequenza che va da quando stanno facendo ritorno sulla terra al compleanno di Jim; storia non ancora scritta e che non so quando leggerete.
Di sicuro dalla seconda metà di febbraio in poi.
Tornando a questa storia, dovete ringraziare solo Nakahime se la sto pubblicando perché quando l’ho mandata a lei, ha insistito tanto perché io la facessi leggere anche a voi.
E...... ah, sì! I fazzoletti, prendetene almeno un pacchetto, ve lo consiglio!!!
La fic non è stata betata, quindi per qualsiasi errore scusatemi.
L’ultima cosetta e ho concluso, se volete sapere cosa ha portato a questa storia, o meglio come io li ho portati a questo punto, vi consiglio di rileggere “A Spasso per l’Enterprise” e se dopo di ciò vi chiederete come ha fatto Jim a diventare così, bhe leggetevi “Sono un dottore, non una bambinaia” di Naka che è sempre una dolcezza.
Vi lascio alla fic, ci si rilegge sotto!

 

 

 

 

 

 
Non Torna. Perché Non Mi Vuole Più Bene.

 

 
Quando Leonard entra nella stanzetta, quella mattina, Jj é seduto su una piccola sediolina accostata ad un basso tavolino.
"Ehi piccoletto, cosa stai facendo?" chiede allegramente.
"Cololo" risponde il bimbo tutto concentrato sul suo compito.
'E questo lo avevo già capito' vorrebbe dire Len, ma si astiene dal commento, per evitare l'ennesimo futile battibecco. Non che Jim abbia perso la voglia di bisticciare con lui, da quando é rimpicciolito.
"Cosa stai colorando di così importante? Mi è permesso chiederlo?" riprende il moro, sempre con una nota di ilarità nella voce. Davvero, non riesce ad essere arrabbiato con quel bambino. Anche se gliene combina di tutti i colori.
Dopo aver sistemato qualche giocattolo sparso per la stanza, Leonard si avvicina al piccolo tavolino azzurro, per sbirciare la grande opera d'arte del bambino paffuto.
Ma tutto quello che riesce a scorgere sono degli informi scarabocchi. O almeno, quello che a lui sembrano degli informi scarabocchi.
"Jim, cosa stai disegnando?" chiede, questa volta leggermente più serio. Non sopporta quando gli viene taciuta una risposta, soprattutto se é Jim a farlo. Perché in quei casi vuol dire che ha combinato qualche guaio.
Il piccolo, ripassa ancora una volta una figura con un pastello verde, per poi posarlo sul tavolino e girarsi a guardare il più grande. 
Aprendosi in un sorriso dolcissimo, dice.
"Pok no sa chi è benuto a tlovacci, e ho fatto disegno per faglielo sapele".
Tutto sommato McCoy si è aspettato una risposta del genere. Ormai ha fatto l'abitudine a certe cose.
Una piccola morsa allo stomaco gli ricorda che non é vero che Spock non sa delle visite che hanno ricevuto. E’ stato Leonard stesso a tenerlo aggiornato. 
Ma, sapendo che se lo avesse detto al bambino sarebbe scoppiato il finimondo, ha preferito non fare parola a Jim delle sue chiacchierate serali con il primo ufficiale. 
Len si apre in un sorriso e poi chiede.
"Sei felice che oggi venga a trovarci, vero?".
"Sì" grida il bimbo, per poi ridere felice, battendo le manine.
E come potrebbe essere altrimenti? é un anno intero che quei due non si vedono. E Len sa benissimo che nessuno dei due è stato particolarmente felice di quella separazione obbligata
.

 
Le cose avevano cominciato ad andare male quando, un giorno, all’incirca l’anno prima, di ritorno da un incontro con gli ammiragli Winchester e McAllister, Spock aveva annunciato a McCoy che l’Enterprise era costretta a ripartire e lui con lei.
L’unica cosa “buona”, in quel disastro apparente, era che Spock era riuscito a non far nominare nessuno come nuovo capitano; bensì aveva ottenuto per se la carica di “facente funzione ad interim”.
Segretamente tutti covavano ancora la speranza che si potesse trovare un modo per “guarire” il capitano Kirk.
Il difficile, però, veniva proprio nel dover comunicare la notizia a Jim.
In un primo momento Len immaginò che il bambino avrebbe reagito nel peggiore dei modi, piangendo e facendo i capricci. Ma poi cominciò a pensare a tutti i modi in cui potergli spiegare che la missione era temporanea e che presto tutti i suoi amici sarebbero ritornati.
Ovviamente lui non lo avrebbe lasciato; doveva trovare la cura.
Il giorno in cui McCoy e Spock informarono il bambino della missione, Jj si comportò irreprensibilmente.
Non batté ciglio alla notizia, sebbene Leonard avesse visto una leggera preoccupazione velargli lo sguardo.
L’unica cosa che Jim disse, fu “Tonnelai pretto, velo?” rivolto al primo ufficiale.
Lui non rispose, ma piegò leggermente la testa in segno affermativo.

 
L’Enterprise e Spock partirono e per i primi giorni sembrò andare tutto bene. Col tempo però Leonard trovava sempre più spesso Jim in giardino a guardare il cielo.
Inizialmente aveva chiesto al bambino cosa stesse guardando o cercando, ma lui gli rispondeva sempre con un vocina triste, dicendogli che non guardava o cercava ‘niente’.
Leonard cercava di consolarlo in quelle occasioni, ma col tempo aveva imparato che il bimbo poteva essere molto testardo, infatti non era sempre facile tirargli su il morale.
Fu in quel periodo che Leonard decise di ‘chiamare’ ogni sera Spock e raccontargli quello che succedeva. Ma non lo faceva mai con Jj nei dintorni, aspettava sempre che il bambino stesse già dormendo.
Una mattina, però, Leonard si svegliò con il rumore della pioggia che batteva sul tetto. Si alzò svogliatamente e andò a farsi un caffè. Per svegliarsi non trovava niente di meglio.
Finito il caffè andò a controllare se Jj, nella notte, si era scoperto. Quel bimbo non stava fermo neanche mentre dormiva.
Arrivato nella cameretta la trovò vuota. Len cercò di non preoccuparsi troppo, Jim poteva anche essere sceso dal lettino per andare in bagno. Ormai aveva tre anni passati e Bones gli ripeteva sempre che stava diventando un ometto.
Leonard guardò in tutte le stanze della loro piccola casetta, ma non trovandolo decise che sì, poteva anche cominciare a preoccuparsi.
Stava quasi per controllare che la porta di casa fosse ancora chiusa e che il bambino non fosse scappato, quando, passando davanti la porta finestra che dava sul giardino, lo vide seduto sull’erba tutto bagnato a causa della pioggia scrosciante e col visino alzato all’insù, verso il cielo.
Bones corse subito fuori per riportarlo dentro, prima che gli venisse una polmonite, ma quando gli fu davanti si accorse che quei rigagnoli che scendevano dagli occhi del bimbo, non erano semplicemente acqua.
Col cuore stretto in una morsa di tenerezza, Leonard si acquattò al suolo per essere alla stessa altezza del bambino e gli chiese.
“Jim, va tutto bene?” e completò il tutto spazzando via, dal visino, quelle lacrime che facevano venire voglia di piangere anche a lui.
Jj rimase qualche attimo ancora a guardare il cielo per poi abbassare lo sguardo e mormorare.
“No tonnelà più, velo?”.
Sebbene il bambino avesse sussurrato quelle parole, Len le sentì entrargli dentro e colpire il suo cuore come delle schegge ghiacciate.
“Ma certo che torna, piccolo. Non dovresti dubitare di questo sai?” rispose, cercando di infondergli quanta più speranza gli fosse possibile.
“E invece no, non tonna. Pelché non mi vole più bene!” urlò il bimbo per poi buttarsi fra le braccia del più grande e singhiozzare disperatamente.
Leonard non poté fare altro che accogliere il piccolo fra le sue braccia e accarezzargli i riccioli biondi sperando che si calmasse il prima possibile.
La pioggia continuava a cadere incessantemente, ed oramai erano entrambi zuppi.
Sapeva, Bones, che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato. Si era anche preparato un discorso da fare al bambino, ma davanti a quella disperazione tutte le belle parole sparirono e lui non poté far altro che stringere Jim a se e sussurrargli.
“Non è vero che Spock non ti vuole più bene. Lui te ne vuole sempre, anche se delle volte ti potrà sembrare che non sia così.”
Jim pianse qualche altra lacrima, poi, lentamente, si sollevò dall’abbraccio dell’amico e disse.
“Pecché è Pok...”.
Già, ‘Perché è Spock’. Per una persona normale, magari, quelle parole potevano non aver significato, ma per lui, per quel piccolino dai ricci biondi erano tutto.
Più volte era capitato a Bones di vedere l’amico rimanere senza parole, quando si trattava di Spock. Persino quando ancora era nella sua forma “normale”.  Ed ora era ancora peggio, perché si presumeva che un bambino non fosse neanche capace di argomentare su concetti quali amore, amicizia, o affezione. Eppure Len lo sapeva, sapeva che quel ‘perché è Spock’ per Jim voleva dire tutto.
“Si piccolo, perché è Spock!”.
La sera stessa, dopo aver messo Jj a letto e aver controllato che non si fosse preso un malanno, contattò il comandante per raccontargli quanto accaduto. Quella fu la prima volta che McCoy notò che qualcosa in Spock era cambiato.
Inizialmente sembrava che il comandante fosse solo leggermente impensierito. Forse qualche problema nella missione gli dava da pensare. Ma più Leonard raccontava, più vedeva lo sguardo del vulcaniano incupirsi.
Len non se ne diede molta pena, poteva anche non centrarci niente lui.

 
Passò qualche mese e Leonard si impegnò per non rivivere mai un’esperienza così triste. Portava Jim a fare lunghe passeggiate o al parco a giocare con altri bambini. Le visite all’ospedale erano all’ordine del giorno, ma ancora nessun risultato dai test che potesse aiutarli in qualche modo a capire.
Ricevevano anche molte visite, ammiragli che volevano vedere il “mini capitano” ma che rimanevano stupefatti dall’intelligenza di quel bambino.
Una volta li andò a trovare la Rand. Non era partita con l’Enterprise perché aveva deciso di fare l’esame per diventare medico; e dopo averlo passato era andata a dare la buona notizia al dottor McCoy.
Il giorno dopo Jim e Leonard andarono all’accademia. Len pensò che riportare il bambino ‘dove tutto era iniziato’ lo avrebbe aiutato a fargli passare per qualche giorno quell’aria corrucciata.
In accademia incontrarono tante persone. Conoscenti e non, ma che conoscevano loro per nome. Passarono nel reparto ‘simulazione’ dove una squadra di cadetti stava provando un nuovo esame basato sulla paura. Jim si divertì un sacco lì ma Len, ormai abituato a lui, si accorse subito che insieme al divertimento c’era anche una leggera vena di rimpianto, ad albergare dentro il piccolo.
Passarono dal centro trasmissioni, dove tutte le navi in missione venivano monitorate. Era pieno di luci e colori quel posto e a Jim piacque tanto.
Ogni tanto si sentivano strani squilli o rumori gracchianti, segno che una trasmissione era in corso, e tutti gli addetti si adoperavano affinché tutto si svolgesse senza intoppi.
A Jim, quegli operatori, ricordavano le api che aveva osservato in giardino. Le apette laboriose, che nei giorni di sole facevano la spola da un fiore all’altro, gli piacevano tanto.
Mentre erano in sala trasmissione, un addetto si sporse dalla sedia annunciando “Stiamo ricevendo il rapporto dall’Enterprise”.
Il lavorio febbrile della sala parve fermarsi istantaneamente. Tutti aspettavano con ansia il rapporto giornaliero dell’Enterprise, perché era una di quelle navi a cui venivano affidate le missioni più complicate, più pericolose, ma anche le più interessanti.
Il comunicatore prese il rapporto e poi mise in sospeso la chiamata con la nave.
“Dottor McCoy, già che è qua vuole mettersi in contatto con l’ammiraglia?” chiese prontamente il ragazzo.
Leonard non ci vide niente di male, anzi ‘forse’ rivedere la ciurma avrebbe fatto bene anche a Jim.
“Certo tenente, ci metta in contatto” accettò Len.
Qualche attimo dopo sullo schermo principale della stanza apparve la plancia, con Sulu seduto al posto di comando.
“Dottore che piacere rivederla” disse contento Hikaru.
Leonard sorrise e poi si rivolse a lui “E’ un piacere anche per me, tenente.”
“Il capitano è con lei? Ci piacerebbe salutarlo” chiese impaziente il timoniere.
“Si, è proprio qui con me.” Rispose Len, per poi abbassarsi verso il piccolo e prenderlo in braccio.
“Taooooooo” gridò il bambino sbracciandosi e sorridendo.
“Salve capitano, quanto tempo!” rispose il timoniere sorridendo.
“Salve Capitano” gridò qualcuno, e in un batter d’occhio tutta la gente in plancia era apparsa sullo schermo.
C’erano tutti, Uhura, Scotty, Chekov, tutti i cadetti, i primi ufficiali, le maglie rosse. Sembrava mancasse qualcuno però, e questo preoccupò Leonard.
“Ehm scusate se interrompo questo idillio, ma dov’è orecchie a punta?” la plancia rise alle sue parole ma poi Sulu prese la parola e rispose.
“Il comandante Spock è sceso sul pianeta Vermilion in ricognizione.”
Jim si accigliò a quella risposta.
“Tolo?” chiese, sussurrando.
“Come capitano? No, non è solo. C’è una squadra di maglie rosse con lui.” Sorrise, per confortare il bimbo.
“Tebuilo.” Disse il bambino lapidario.
Leonard sentì il piccolo irrigidirsi tra le sue braccia e questo non gli piacque per niente.
“Vedrai che andrà tutto bene Jim.” Gli disse per rincuorarlo.
“Non credo che si possa. I suoi ordini hanno validità?” chiese Sulu, confuso.
“Teeente Sulu, t’ho detto teguilo!” gridò Jj ma ancora una volta nessuno gli diede ascolto.
“Non credo si possa fare capitano, se il comandante lo venisse a sapere....” ma il bambino non lo lasciò finire.
“Io capitano, io comaado! Manda sonda e teguilo!” urlò il bambino, ancora una volta.
“Ma perché?” chiese il timoniere.
Jim, vedendo che non avevano intenzione di ascoltarlo, cominciò a divincolarsi dalla presa di Leonard, e quando questi lo rimise per terra corse via dalla sala, prima che le lacrime di rabbia lo tradissero.
Leonard sospirò a quella scena e poi tornò a rivolgersi a Sulu.
“Perdonatelo, delle volte fa i capricci.” E sorrise dicendolo.
“Se potete non raccontate niente di tutto questo al comandante, potrebbe prendersela” e detto ciò uscì anche lui dalla sala per andare a cercare il piccolo.
Quella sera, quando Leonard si mise in contatto con Spock, trovò il comandante con una vistosa ferita alla tempia.
“Che cosa le è successo?” chiese preoccupato McCoy, la modalità ‘medico’ già inserita.
“Non è niente dottore. Un inconveniente con un leone di montagna accadutomi sul pianeta Vermilion” a quella spiegazione Len non poté impedirsi di pensare che, infondo, Jim ci aveva visto giusto quando aveva chiesto a Sulu di seguire il comandante.
Bones sospirò, da lì non poteva fare molto.
“Il capitano si è calmato?” fu Spock, sorprendentemente, a spezzare il silenzio.
“A quanto pare si, anche se non ha gradito il comportamento di Sulu.” Spock parve neanche ascoltarle quelle parole.
“Va tutto bene Spock?” chiese Leonard preoccupato.
“Si dottore, va tutto bene.” Rispose il vulcaniano, criptico come sempre.

                                                                                                                          

 

 
Non c’erano, però, solo visite di cortesia e gite al parco, nella vita di Leonard e Jim. La maggior parte del tempo, infatti, la passavano in ospedale.
Leonard rinchiuso nei laboratori e Jj, strano ma vero, alla ludoteca, quando non doveva fare gli esami medici.
Bones non aveva voluto assumere una babysitter, per esperienza pregressa sapeva che spesso erano troppo impiccione e tendevano sempre a fare un mucchio di domande indesiderate.
Aveva preferito lasciare il ‘piccolo’ alla ludoteca in modo che potesse giocare con i suoi ‘simili’ e che lui avesse la possibilità di prenderlo quando voleva per i prelievi, le tac e tutto quello che serviva per scoprire come farlo ritornare normale.
Si poteva dire che l’ospedale fosse diventato la loro seconda casa e questo, di certo, non piaceva a nessuno dei due.
Una mattina, Leonard si svegliò col piede storto. Appena aprì gli occhi, ancora nell’oscurità della sua stanza, capì che quel giorno qualcosa non sarebbe andata per il verso giusto.
Controvoglia, Len si costrinse ad alzarsi e ad andare avanti con la sua routine. Fece colazione, preparò quella per il piccolo, lo andò a svegliare, lo fece mangiare e poi si andò a preparare per uscire.
Quelli erano i  momenti in cui McCoy, abituato alle situazioni più pericolose in cui lo spazio buio e crudele poteva catapultarti, si sentiva la perfetta donnina di casa dedita completamente alla famiglia.
Leonard non sapeva se quella situazione gli piaceva appieno. Era lieto di non dover correre da un lato all’altro dell’infermeria dell’Enterprise per guarire incoscienti maglie rosse o peggio, ufficiali di ritorno da un’esplorazione andata male. Si godeva la pace di quella strana situazione, ma allo stesso tempo si sentiva quasi in trappola.
Forse non lo aveva ancora confessato a nessuno, ma alla lunga il fascino dell’esplorazione senza confini aveva colpito anche lui. Sentiva che quella routine forzata cominciava sempre di più a stargli stretta; ma cosa poteva fare? Era solo un’umile medico di campagna lui!
Finito di prepararsi, aiutò Jj a vestirsi e poi uscirono, diretti all’ospedale. Quel giorno il bambino era stranamente silenzioso, sembrava quasi impensierito; ma Bones non se ne diede pensiero.
Arrivati, Len lasciò Jim ai suoi giochi e poi andò dritto ai laboratori, dove la notte precedente aveva lasciato una macchina a lavorare sull’ultimo prelievo sanguigno di Jim.
Preso il referto della macchina, lo lesse attentamente e quello che vi lesse non gli piacque. Le metaglobuline-B avevano cominciato a deteriorarsi.
Quella non era una buona notizia. Assolutamente no.
Di corsa ritornò alla ludoteca, parlò con la ragazza incaricata di vegliare sui bambini e poi prese Jim potandolo con se in laboratorio.
“Scusa Jim ma dobbiamo ripetere un esame. Dovrai rifare il prelievo, mi spiace” spiegò, già sapendo che Jim avrebbe protestato alla notizia.
Gli aghi gli avevano sempre fatto paura e ogni prelievo era una tortura per entrambi. Per il piccolo perché ne usciva sempre più terrorizzato e per Bones perché resistere al bimbo che scalciava e piangeva non era affatto facile.
“Va bbene, Boo” e dopo aver sussurrato la risposta, Jim si accuccio sulla spalla del dottore.
Leonard rimase alquanto sorpreso dalla reazione del piccolo, ma preferì accantonare la cosa per dopo e concentrarsi sull’esame da ripetere.
Arrivati in laboratorio, Bones fece sedere Jim su uno sgabello e preparò la siringa. Quando si girò verso il bambino per il prelievo, vide le sue spalle incurvate all’ingiù e un accenno di broncio sulle sue labbra. Era il ritratto della tristezza.
Len cercò di essere quanto più veloce possibile nel prelievo, così da fare il minor male possibile al piccolo. Non voleva vederlo soffrire quando era grande e grosso, figuriamoci se lo voleva ora.
Fatto il prelievo e messo il sangue ad analizzare nella macchina, Leonard si rivolse al piccolo.
“Ehi peste, cose c’è che non va?” chiese, cercando di scherzare per tirarlo su di morale. Gli si stringeva il cuore a vederlo così.
Jim prese un grosso sospiro, pieno di sofferenza e poi sussurrò.
“Utto bene, Boo. Potto andale?” chiese, triste. Bones acconsentì e chiese ad un’infermiera di riaccompagnarlo alla ludoteca.
Mentre aspettava i risultati dell’esame al sangue, Len ripensò allo strano comportamento di Jim. Non era la prima volta che lo vedeva triste, e il motivo di tanta tristezza era sempre uno. Ma, di solito, Jim gli diceva sempre cosa gli mancava o come si sentiva, quella volta, invece, aveva taciuto tutto.
Questo fece temere al dottore che la cosa fosse più grave di quanto non avesse immaginato.
Proprio mentre faceva questi pensieri, la macchina emise un bip, segno che l’esame era finito e che il referto era pronto. Leonard lesse i dati con avidità e quello che essi gli dissero lo spaventò non poco. Nel giro di un giorno il numero delle metaglobuline-B deteriorate era triplicato.
Leonard passò tutto il resto del giorno a stimare il tempo che esse avrebbero impiegato per deteriorarsi tutte; cercò inoltre di trovare un vaccino, una cura, per impedire che la situazione volgesse al peggio.
Era ormai sera inoltrata quando Leonard decise di ritornare a casa per la cena. Lui avrebbe volentieri continuato a lavorare per tutta la notte, ma non poteva costringere Jim a rimanere lì con lui.
Arrivato in ludoteca lo trovò addormentato in uno dei lettini; fu felice della cosa perché così avrebbe potuto evitare le domande che il bimbo gli avrebbe sicuramente porto se lo avesse trovato preoccupato.
A casa lo mise nella sua stanzetta e poi andò a preparare la cena per entrambi. Gli avanzi del giorno prima erano sempre una manna dal cielo, quando non si aveva troppa voglia di cucinare. Quando tutto fu pronto, Len andò a chiamare Jim, ma anche questa volta non lo trovò nel suo lettino.
Memore di tutte le volte che il piccolo era sgattaiolato via, prima di preoccuparsi Leonard andò a controllare nel giardino sul retro, fu lì, infatti, che trovò il piccolo.
“Jim vieni, la cena è pronta” gli disse, senza arrabbiarsi, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
“No ho fame.” Rispose il piccolo svogliatamente.
“Jim dai, non fare i capricci. Alzati da lì e vieni a mangiare.” Ritentò il dottore, prima di arrabbiarsi.
“NO” ribattè il bimbo, senza alzare troppo la voce.
Esasperato dai capricci del bambino, Bones uscì nel giardino e gli si andò a sedere accanto.
“Mi spieghi cosa speri di ottenere così? La missione non è ancora finita e lui non tornerà prima di altri sei mesi. Non fare il bambino capriccioso e vieni dentro.” Ripeté, alzando leggermente la voce.
“Boo non c’è bisogno d’allabbiassi. Non ho fame.” Asserì il piccolo, continuando a guardare il cielo.
“Sai una cosa? Ne ho abbastanza di voi due! Non ne posso più di farvi da balia!” urlò Leonard.
Non era veramente arrabbiato col bambino, ma le sensazioni del mattino e i referti medici gli avevano messo addosso una tremenda paura di perdere il suo unico amico.
Quello che gli dava più fastidio, in effetti, era che Jim nemmeno si accorgeva di quanto lui ci tenesse alla loro amicizia. Sembrava gli importasse unicamente del primo ufficiale.
Bones era stufo della cosa.
“Mi chiedo se staresti così in pensiero se fossi io quello a partire. Ti sei mai soffermato a pensare a come reagiresti se io ti lasciassi qui, tutto solo e non tornassi più?” non pensava veramente quelle cose, Bones, ma in quel momento aveva il disperato bisogno che Jim capisse.
“No” sussurrò Jim, in risposta.
“Lo sapevo... Che illuso a pensare che ti importasse di me un briciolo di quanto ti importa di quel maledetto orecchie...” ma Jim non lo lasciò finire, perché dopo essersi alzato in piedi gli gettò le braccine al collo singhiozzando.
“Tu non mi lascelai mai, velo Boo??? Tu tei il mio flatellone, non mi puoi lasciale!!” e dopo aver detto questo nascose la testolina nell’incavo del collo di Len e riprese a piangere.
Leonard rimase senza parole. Davvero, non si aspettava una reazione del genere da parte del piccolo.
Strinse il corpicino a se e lentamente cominciò ad accarezzare la testa riccioluta.
“Piccolo, basta piangere. Certo che sono il tuo fratellone e non ti abbandonerò mai. Però ora entriamo, ti va?”.
Leonard continuò ad accarezzare il piccolo finché questi non si calmò. Solo quando vide le sue lacrime fermarsi il dottore si decise a riprendere la parola.
“Vedrai che questi ultimi sei mesi passeranno in un baleno e poi potrai di nuovo giocare con lui.”
“Ti!” asserì il piccolo e poi, ridendo, si rituffò fra le braccia del più grande.
“Andiamo piccola peste” e col bambino in braccio, Len si diresse verso la cucina. Erano quasi arrivati quando Jim gli sussurrò all’orecchio “Ti voglio bene Bones!”.

 
Quella sera, al solito orario, Bones non chiamò Spock per informarlo di quanto accaduto. Per una volta, il dottore, decise di tenersi tutto per se.

 

 

 
Qualche mese dopo, per il compleanno di Jim, i due ricevettero una strana ma di sicuro apprezzata visita. Quell’anno non c’erano stati festeggiamenti in programma. Niente torte al cioccolato, niente regali e soprattutto niente sorprese sull’Enterprise. E come avrebbero potuto? L’equipaggio intero era ancora in missione.
McCoy si era preparato mentalmente ad una giornata di riposo casalingo. La situazione in ospedale era di nuovo in stallo, il deterioramento delle cellule era rallentato; questo aveva permesso al dottore di potersi prendere un giorno di vacanza.
La giornata era cominciata nel migliore dei modi, il sole splendeva, la temperatura era abbastanza alta da non dover patire il freddo e tutto sembrava andare per il meglio.
Le cose cambiarono quando qualcuno suonò alla porta. Non avendo visitatori in programma, sia Jim che Leonard si girarono curiosi ad osservare l’uscio.
Il loro stupore fu non poco quando, dopo che Len ebbe aperto ai nuovi arrivati, sulla porta di palesarono Amanda Greyson e Sarek di Vulcano.
Bones rimase letteralmente allibito, Jim dal canto suo mise su un enorme sorrisone e non se lo tolse neanche quando crollò sfinito a fine giornata.
Amanda giustificò quella visita inaspettata con la sua voglia di incontrare il mini-capitano, e dacché Sarek era sulla Terra in ambasceria, non avevano perso l’occasione.
Dopo l’imbarazzo iniziale, la giornata si svolse tranquillamente. Amanda passò la maggior parte del tempo con Jim, accudendolo e occupandosi di lui come solo una mamma sapeva fare. La donna si divertì alquanto col piccolo, e Jim apprezzò molto quelle nuove premure che gli venivano prestate. A McCoy toccò la parte più imbarazzante della cosa, doveva, quanto meno, cercare di fare il padrone di casa, il che voleva dire parlare con Sarek e metterlo quanto più a suo agio.
E se già Len odiava parlare con Spock, un mezzo vulcaniano, parlare con Sarek gli risultava del tutto insopportabile e inutile.
Il peggio arrivò quando, alla sera, Jim pretese di salire in braccio a Sarek. McCoy provò in tutti i modi a far cambiare idea al piccolo; persino Amanda ci provò, sebbene lei segretamente avesse sempre sperato di poter vedere Sarek con un bambino in braccio.
Ma tutti sapevano che se Jim Kirk voleva qualcosa, Jim Kirk la otteneva. Fu con molta riluttanza, quindi, che il vulcaniano prese in braccio il piccolo.
Una volta raggiunto il suo scopo, Jim sorrise e dopo aver preso in una mano paffuta un orecchio del vulcaniano, si assopì tranquillamente.
Bones diventò viola in volto quando gli toccò spiegare, ad un Sarek livido, che quello era il modo in cui si addormentava Jim quando Spock rimaneva fino all’ora della nanna.  

 
Dopo che Amanda e Sarek se ne furono andati e che Jim stava dormendo placido nel suo lettino, Bones contattò l’Enterprise per la chiacchierata serale con Spock.
Il comandante lo fece aspettare qualche attimo, prima di palesarsi nell’ologramma. Ma Len si accorse subito che qualcosa non andava in lui, sembrava stranamente nervoso, quasi ci fosse qualcosa ad infastidirlo.
“Tutto bene nella missione, comandante?” chiese preoccupato. Era raro, rarissimo vedere Spock preoccupato. E se lui si preoccupava voleva dire che le cose non stavano andando affatto bene.
“Si dottore, è tutto apposto” rispose duro, l’altro.
Leonard non si lasciò convincere dalle parole del vulcaniano, ma sapeva anche che Spock era molto restio al parlare delle proprie emozioni. Nessuno riusciva a farlo aprire, beh nessuno a parte il capitano.
“Come vuole. Allora come saprà oggi è il compleanno...” e cominciò a raccontare la giornata appena strascorsa.
Ma più raccontava, più McCoy si accorgeva che qualcosa nel vulcaniano non andava. All’inizio notò una piccola vena ingrossarglisi nel collo.
Poi, piano piano, il respiro del comandante cominciò ad accelerare. Bones era sempre più preoccupato, ma ogni volta che si fermava per chiedere all’amico se tutto fosse apposto lui rispondeva con un secco “SI” e poi lo invitava a continuare con il suo racconto.
Fu più o meno alla menzione del capitano addormentato tra le braccia di Sarek che Spock cominciò a tremare vistosamente e Bones poté notare una repentina ondata d’odio attraversare gli occhi del vulcaniano prima che la trasmissione olografica si interrompesse bruscamente.
Len rimase sorpreso da quanto accaduto, si poteva dire che Spock gli avesse appena chiuso la chiamata in faccia. Bones non poteva credere che fosse così, di sicuro ci doveva essere un’altra spiegazione.
Riprovò a mettersi in contatto con l’Enterprise, ma quando Uhura gli rispose, gli disse che il trasmettitore olografico, della sala conferenze, si era rotto e che il Comandante aveva dato ordine di non essere assolutamente disturbato.
Questo fece impensierire ancora di più Bones; se c’era qualcuno che metteva l’Enterprise e la flotta prima di se stesso, più di chiunque altro, quello era Spock.
Stranito, Bones se ne andò a dormire. Tutta la notte, però, la passò a pensare a quanto aveva visto. Ripercorse mentalmente gli strani ‘sintomi’ del vulcaniano: sudorazione, difficoltà respiratorie, tremore incontrollato.
Un brivido freddo lo percorse quando si rese conto che quelli erano i primi sintomi dell’arrivo del Pon Farr, inoltre la rabbia omicida che aveva visto balenare negli occhi di Spock si collocava perfettamente all’interno dei sintomi.
Ma poi Leonard ricordò che Spock aveva avuto il Pon Farr da troppo poco tempo perché Amok fosse già tornato. Rincuorato dalla cosa ricominciò a pensare ad altre possibili spiegazioni, ma nessuna riusciva a far combaciare adeguatamente quei sintomi.

 
Lasciò passare alcuni giorni, Len, prima di riprovare a mettersi in contatto con l’Enterprise.
Quando, finalmente, ebbe di nuovo Spock davanti, il comandante gli rivolse un’occhiata talmente carica d’astio che Leonard si chiese se non avesse fatto meglio a lasciargli qualche altro giorno per sbollire.
“Posso sapere cos’è successo qualche giorno fa?” chiese, cercando di mostrarsi immune alle preoccupazioni che gli attanagliavano il cuore.
“Credo dottore, che voi umani lo definireste attacco d’ira” rispose Spock glaciale.
McCoy rimase esterrefatto alla risposta del vulcaniano. Rifletté qualche minuto, prima di riprendere la parola.
“Comandante, si è mai chiesto perché le ho fatto ogni sera un resoconto di quanto accaduto al capitano?”. Forse aveva trovato la chiave, o semplicemente aveva intuito verso quali lidi si erano mossi i pensieri del vulcaniano.
“Se mi concede l’espressione, dottore, immagino perché lei goda nel avere la possibilità di passare tutto il suo tempo col capitano quando io invece sono qui. Ho sempre saputo che...”.
“No Spock, si sbaglia” lo interruppe McCoy, con un leggero sorriso sulle labbra. Aveva fatto centro anche questa volta. Cominciavano ad essere prevedibili i suoi due amici.
“Ho deciso di raccontarle, ogni sera, cosa accadeva al capitano perché così lei non avrebbe perso tutti quei piccoli momenti importanti nella crescita di un bambino. Sa, cose come la prima frase. Il primo giorno in accademia, la prima gita al parco, la prima farfalla rincorsa. Cose che magari le sembreranno stupide e illogiche ma che sono sicuro le avrebbe fatto piacere vivere in prima persona.” McCoy si beò infinitamente dello sguardo stupefatto che il vulcaniano gli rivolse.
“Ho sempre saputo che questa missione avrebbe tolto molto a tutti e due e ho cercato di preservarvi il più possibile da sofferenze inutili. A questo proposito, si è mai chiesto perché aspetto ogni sera che Jim si addormenti prima di chiamarla? Potrei benissimo farlo con lui presente, dacché la fine del suo turno lo permette, ma non lo faccio mai. Si è chiesto, almeno una volta, perché?”.
Ormai non gli rimaneva che scoprire le carte in tavola, la missione stava per finire, mancavano poche settimane e l’Enterprise sarebbe ritornata.
Vedendo che il vulcaniano non rispondeva, Bones riprese la parola.
“Non vi ho fatto parlare, e non ho mai messo Jim a parte di questa cosa perché so quanto gli avrebbe fatto male poterle parlare solo per un’ora e poi doverla lasciare nuovamente. Ma non avrebbe sofferto solo nel non poter parlare con lei, ma anche nel non poter guidare la nave, nel non poter scendere con lei su Vermilion in ricognizione, nel non poter più vedere le stelle dalla plancia. Ho cercato di preservarlo da questo inutile dolore e lei mi accusa di essere egoista nel gioire del tempo che passo con lui. Se solo sapesse quanto è stato difficile consolarlo ogni volta che gli mancava la nave, le stelle e lei, stupido vulcaniano, forse non avrebbe detto quelle cose.”
Finito il lungo discorso, Bones si congedò dal comandante e chiuse la conversazione.
Aveva rivelato a Spock il perché del suo comportamento, ma non poteva aiutare il vulcaniano nell’uscire da tutte le emozioni che gli aveva riversato. Non era suo compito quello.
Non lo era mai stato.

                                                                 
Ora, però, non è più tempo di ricordare i momenti belli e brutti dell’anno passato; ora è il momento della gioia febbrile che può scaturire solo dal periodo durante il quale si aspetta una bella sorpresa.
McCoy ha giusto il tempo di abbandonare i suoi foschi pensieri prima che il campanello suoni.
“Vao io, vao io!” grida Jj per poi far strusciare la sedia sul pavimento e partire a razzo verso la porta.
“Non correre Jim!” urla Bones, dietro al bimbo eccitato. Ma già sa che non lo ascolterà.
Sorride Leonard, immaginando la buffa scena che il primo ufficiale si troverà davanti, un mini capitano tutto eccitato che gli apre la porta sorridendo, ma un piccolo sorriso di tenerezza affiora sul volto perennemente corrucciato del dottore. Potrà anche non ammetterlo, ma il vulcaniano è mancato persino a lui.

 
Nello stesso istante, Jim corre verso la porta, non guarda dallo spioncino (come gli ha sempre raccomandato Bones) ma apre direttamente e non da tempo all’ospite di aprire bocca, perché non appena il piccolo capta con lo sguardo l’azzurro della maglia del primo ufficiale gli salta addosso gridando.
“Ciao Pok!” e poi comincia a ridere.
Inaspettatamente, il primo ufficiale non respinge l’assalto del piccolo, ma anzi, si preoccupa di sistemare al meglio il bambino su di se, di modo da non permettergli di cadere.
Lo stringe forte Jim, continuando a ridere, ora non dovrà più aspettare. Il suo amico è tornato e a lui interessa solo questo.
Spock stringe leggermente il bambino avvicinandolo a se, piega la testa sui ricci biondi e lascia che un piccolo sorriso vi cada dentro.
Inspira lentamente, inebriandosi col profumo di Jim, cioccolato e sole, e, dopo tanto tempo, si risente a casa, completo.
Dura poco il loro abbraccio, troppo poco per Jim, ma Spock ligio alla logica vulcaniana,  riprende le distanze e dice.
“Salve capitano, noto che è cresciuto in questo anno.” è una frase quasi banale, ma loro non hanno bisogno di grandi dimostrazioni d’affetto.
Jim sorride, sempre più contento. Ha sognato ed agognato questo giorno e ora non vorrebbe far altro che correre per la casa gridando, o rimanere abbracciato al primo ufficiale.
A rompere il quadretto ci pensa Bones, entrando nel salottino.
“Jim, cosa ti avevo detto? Niente attacchi a sorpresa. Ben tornato comandante.” dice, rivolto al primo ufficiale.
“Ben trovato anche a lei dottore” risponde Spock, per poi tornare ad osservare il capitano.
E’ cresciuto tanto in questo anno di separazione e Spock sa perfettamente che se il dottore non lo avesse tenuto al corrente, molto probabilmente non si sarebbe mai perdonato di averlo lasciato per una missione così lunga, sebbene lui per primo avesse detto che far rimanere il capitano sulla Terra, qualora non fossero riusciti a curarlo per tempo, fosse l’unica alternativa possibile, oltre che logica.
Ma ora Spock non può che essere felice di essere ritornato e di poter, finalmente, passare un po’ di tempo con i suoi amici e compagni.
“Jim dai, lascialo in pace. Lo hai persino lasciato sul ciglio della porta!” Len redarguisce Jj ma allo stesso tempo sorride, felice di vedere la gioia negli occhi del piccolo. Troppo spesso quegli stessi occhi sono stati tristi, nei mesi passati.  
Jim, guarda il fratello poi il primo ufficiale, e poi ripete l’azione alternando lo sguardo prima su di uno poi su di un altro.
“Va bbene. Pok, giù.”  con l’aiuto del primo ufficiale ritorna sul pavimento, per poi mettere il broncio perché Boo lo ha fatto scendere e lui, invece, voleva ancora stare con l’amico.
Vede il broncio, Bones, e non se la sente di rimanere arrabbiato con lui.
“Perché non fai vedere il tuo disegno a Spock, piccolo? Nel frattempo io vado a scaldare un po’ di latte, ti va?” gli propone, e sa già come reagirà il piccolo.
Jj, si riapre in un grosso sorrisone e poi dice.
“Siii, Pok beni con me!”. Il primo ufficiale non riesce nemmeno ad annuire, che il bimbo lo prende per mano e lo porta via con se.
Sorride Bones, vedendoli sparire nella stanzetta. Hanno un anno di tempo da recuperare, quei due, e Leonard ha come l’impressione che non sarà così facile far addormentare Jim, quella sera.
Ma chissà, magari potrà pensarci Spock...

 

 

 

 

 

 

 

 
Note2: Ancora tutti vivi?
Questa volta ho voluto dare molto più spazio a Bones perché più o meno tutti nella scorsa shot mi avete fatto notare quanto il suo personaggio sia stato sacrificato, quindipecui ho cercato di bilanciare le cose. E poi volevo proprio mettere in evidenza il rapporto fraterno che Kirk e McCoy hanno.
Ovviamente non potevo del tutto cancellare Spock, spero che questo sia stato un buon compromesso.
Mi spiace se non sono riuscita a mantenere lo stesso tasso di IC della scorsa storia, ma questa è stata scritta in un periodo non molto felice e l’OOC ha dilagato. Chiedo umilmente perdono.

 
Discorso Metaglobuline-B: ho un’idea ma ci devo ancora lavorare su e non sono neanche certa di scriverla una storia che tratti quell’argomento. Questa piccola “serie” non ha scadenze, per cui scrivo solo se mi va di farlo. Non posso fare piani troppo dettagliati. Vi prego quindi di non insistere troppo per conoscere dettagli che io per prima non conosco.
Chiudo dicendo che mi farebbe molto piacere sapere cosa ve ne è parso di questa piccola storiella e che qualsiasi tipo di recensione sarà più che ben accetta.
Saluti a tutti.

   
 
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