“No we’ll
never gonna survive
Unless we are a little
crazy…”
Alanise Morrisette, “Crazy”
Precious things
Il casolare che gli hanno assegnato è grande poco più della sua tenda; ma a differenza di essa, l’acqua corrente non è un’utopia, e la doccia nascosta da un telo sudicio sta nel suo angolo a dimostrare che questo popolo non è così arretrato come poteva sembrare.
“Gli ufficiali e i sottoufficiali possono alloggiare temporaneamente nelle case confiscate durante l’avanzata” recitava il comunicato della mattinata.
Alla parola ‘confiscate’, Maes aveva fatto una smorfia, ma due secondi dopo la sua tenda era già impacchettata e le sue cose raccolte in una sacca lisa e sbiadita.
“Non ti fa un certo effetto?” gli aveva chiesto Roy, poco prima di varcare la soglia scrostata del rudere affidato al compagno.
“In queste case, fino a poco tempo fa, abitavano intere famiglie. Padri, madri, figli.. un cane, parenti, amici…”
Maes continua a riordinare le sue cose, tentando di ignorare l’amico sulla porta, dandogli le spalle solo fintamente indaffarato a decidere dove riporre la foto di Glacier.
Roy continua: sa che può sentirlo, anche se non vuole. E la cosa gli dà uno strano piacere, un sentimento di rivalsa che non saprebbe giustificare, il semplice gusto di vedere fin dove potrà spingersi.
Infierisce per capire se esiste una crepa in quell’armatura di buonumore e aria di chi sembra aver capito tutto dalla vita, le cose più importanti, i pensieri giusti, il modo di vivere più saggio.
“Questa guerra prima o poi finirà. E tutto ciò che sarai stato in grado di proteggere è la tua felicità…Null’altro. Solo la tua egoistica e singola felicità…”
Il pugno chiuso lo coglie di sorpresa, sebbene scatenare una simile reazione fosse il suo obiettivo.
Nel momento esatto in cui sbatte contro al muro per il contraccolpo, si rende conto dell’estremo stupidità di quel suo gioco perverso da bambino.
Maes lo afferra per il bavero, lo costringe a guardarlo negli occhi.
“Roy, mettitelo bene in testa perché te lo spiegherò una volta sola: la vita è questo. E’ capire quali sono le cose davvero importanti, e proteggerle con tutte le proprie forze.”
Sposta lo sguardo alla foto di Gracia che nella foga si è ribaltata, e li guarda sorridendo materna, dalla cornice scheggiata.
“Non esiste nessun patriottismo, nessun grande ideale: ognuno combatte per sé, per quello che la vita gli riserverà. E non vince chi desidera di più. Vince chi sopravvive.”
In un momento è tutto passato.
Vedere Maes infuriato non è mai stato uno spettacolo tanto frequente. Una specie di uragano: capita una volta ogni dieci anni, ma quando capita si fa sentire.
Roy rimane ancora appoggiato allo stipite, senza curarsi di asciugare la goccia di sangue che traballa sul labbro, a guardare l’uomo ritornare ai suoi preparativi.
Si avvia verso la sua nuova dimora, senza dire una parola.
Quando apre la porta sbrecciata, un improvviso pugno nello stomaco lo fa piegare su se stesso, come un origami fatto male: la piccola cucina incastrata tra uno sgabuzzino semidistrutto e una dispensa vuota, il caminetto rudimentale dall’altra parte della stanza, il tappeto impolverato per terra. Su di esso una bambola con un occhio a penzoloni, che lo fissa con il suo sorriso beffardo e triste, quasi a voler dire: “Ironia della sorte, vero? E se fossi stato proprio tu a sterminare la famiglia che abitava qui!?”
Distoglie lo sguardo, posandolo sui letti che si intravedono dal locale adiacente: le lenzuola sfatte, le zanzariere stracciate in più punti, bruciate agli angoli. Una culla di vimini accartocciata sul pavimento.
Sente la presenza di lei da dietro le spalle.
“Volevo sapere se andava tutto bene. Ho sentito…”
Lui lascia cadere il suo zaino per terra, sollevando polvere e cenere.
“Va tutto bene. Solo…”
Quando si accascia sul letto – altra polvere, pulviscoli dorati che rendono difficile il respiro e impastano la pelle nell’umidità della sera – per un attimo ha paura di non potersi più tirare su con le sue sole forze.
“Vieni qui.”
La abbraccia non appena la distanza tra i loro corpi è inferiore alla lunghezza delle sue braccia tese in avanti. Sdraiati sul letto, gli stivali ancora addosso, la stringe ancora più forte a sé.
“Resta qui, stanotte.”
Mentre Riza annuisce lentamente, cerca di ricoprire il corpo di lei con il suo, avvolgerla di esso come fosse una crisalide impermeabile al mondo, il bozzolo capace di preservarla dalla realtà esterna, la verità crudele che non c’è più altro per cui valga la pena combattere.
Per un momento si chiede se anche per lei è così.
Se anche quelle braccia esili che cercano di circondare il suo torace ampio sono disperatamente protese nel tentativo di proteggere la cosa più importante.
Scusate,
riesco ad
aggiornare solo ora… diciamo che ci ho messo un
po’ a riemergere dalla buca in
cui sono sprofondata per l’imbarazzo! ^///////////^
Oddioddio…
immaginavo
che come capitolo sarebbe stato accolto bene, ma come al solito i
vostri
commenti mi fanno emozionare, per cui davvero grazie di cuore *stray
tanto
commossa sniff*
A me
personalmente,
scrivere di questa coppia dà sempre emozioni molto profonde
e sempre diverse,
si potrebbe dire che non mi stanco mai (ma so già che questa
affermazione mi
verrà ritorta contro.. ^^”) e in effetti
è un po’ così: non so se sia solo una
mia impressione, ma ho l’idea che i personaggi
dell’Arakawa (non solo Roy e
Riza, o meglio, loro per primi, ma anche gli altri) siano
cos’ complessi e
soprattutto VERI, tanto che pensi di averli in qualche modo compresi, e
un
attimo dopo un nuovo particolare su di loro ti dice che non
è così, affatto,
che è impossibile prevedere e leggere fino in fondo tutte le
loro mosse.
Secondo me
è questo il
vero talento della Sensei, il particolare che contraddistingue le sue
storie.
Quindi usare
personaggi così ben costruiti e di spessore è il
sogno di ogni autore di fanfic
(o forse è solo il mio, chissà)! ^^
Di
quest’altro
capitolo che posso dire: ritorna Maes, ritornano le
incomprensioni… ritorna la
realtà, ecco. Volevo alternare momenti felici (persino
idilliaci) e attimi di
vita ordinaria in un campo militare, senza tralasciare le relazioni
umane al di
là della loro storia sentimentale. E Maes è (ed
è già stato, e sarà ancora) il
primo della lista.
Spero vi
piaccia. Un
bacione grande grande (e ancora un po’ commosso).
A presto!