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Autore: HollyMaster    23/01/2014    2 recensioni
Perchè Mags è sottovalutata.
1. Il gioco continua: "Volevano allenare i loro figli perché vincessero e tornassero a casa, impazziti ma vivi. E io avrei fatto lo stesso."
2. La rosa del caduto: "Il corpo deforme di un Tributo in un campo di rose bianche."
3. E' un gioco di strategia: "[...] era necessario. Era strategia."
4. Presa all'amo dai ricordi: "Era così che mi calmavo."
5. L'Elenco Bianco: "Tutti ancora ragazzini, per questo il colore bianco, perché sono puri e innocenti."
6. L'Ibrido che in me: "-Vuoi diventare tu il mostro dal quale scappa?-"
7. Un’intervista con la coscienza: "-Non dire nulla. Io credo in te.-"
8. Il silenzio del cannone: "La nube si avvicina. Ne vengo immersa."
Storie scritte per il contest a turni indetto da ManuFury "1 su 24 ce la fa!" sul forum di EFP
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mags
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick: HollyMaster
Tributo: Mags
Turno: Primo
Titolo Storia: Il gioco continua
Genere: Introspettivo
Raiting: Giallo
Avvertimenti: Nessuno
Pairing: Non è presente
Note: Una presentazione di quella che è Mags dopo la 9° edizione degli Hunger Games a cui ha partecipato in 501 parole.
 

 
Non ero mai stata fuori dal 4. Non avevo mai visto nient’altro che il mare. Le onde che si infrangevano sulla riva, dolcemente; il sole che faceva capolino illuminando a specchio quella grande distesa d’acqua salata che era il mare.
Niente di più perfetto.
Non avevo cambiato idea durante il Tour della Vittoria. Distretti che si perdevano nella desolazione del cemento, altri ancora straziati dalla violenza dei soldati che avevano represso la ribellione, oppressione alla quale il 13 non era sopravvissuto. Ribellione terminata solamente nove anni prima con l’immediata decisione di instituire gli Hunger Games.
Quando erano iniziati avevo solo cinque anni e il 4 non faceva che ripetere che sarebbero finiti in fretta, che presto anche Capitol City si sarebbe accorta della brutalità dei giochi. Ma non era andata così e io, nove anni dopo, ero stata sorteggiata.
Nessuno credeva più alla storia della fine degli Hunger Games. Erano ormai un’istituzione, le fondamenta su cui poggiava la ricca società di Capitol.
I Distretti più furbi cominciavano ad armarsi.
Mentre ero sul palco, in mezzo alla piazza del 2, leggendo il discorso che mi avevano accuratamente preparato, potevo scorgere il basamento di quello che sarebbe diventato un centro di addestramento.
Volevano allenare i loro figli perché vincessero e tornassero a casa, impazziti ma vivi.
E io avrei fatto lo stesso.
Non volevo vedere altri ragazzini dal mio Distretto buttati in un’arena dove avrebbero esalato l’ultimo respiro.
Avevo quasi smesso di parlare da quando ero uscita. Preferivo osservare il mondo intorno a me e le cose orribili che lo popolavano senza commentare, perché tutto ciò che avrei detto mi si sarebbe ritorto contro.
Trovai, però, il coraggio per affrontare i mentori dell’1 e del 2 che avevano osservato la mia astuzia, mentre facevo fuori i tributi che avevano sperato ritornassero a casa.
Gli spiegai la mia idea delle alleanze. Sembrava gli fosse piaciuta. Anche loro avevano vissuto quell’inferno e anche se ogni anno cambiava aspetto, l’incubo che ti avrebbe perseguitato era lo stesso per tutti.
Eliminare la maggior parte dei tributi degli altri distretti come squadra per poi lasciare che la natura del gioco facesse il suo corso. Qualcuno avrebbe pensato che fosse quasi più crudele, tenerli in vita come carne da macello, ma noi sapevamo che, se fin da subito gli sponsor avessero avuto meno scelta, avrebbero investito su quella che poteva essere definita una “Squadra d’Abbattimento”.
O come li chiamò Capitol, i Favoriti.
Io non ero stata altrettanto fortunata.
Gli sponsor non erano ancora sicuri che il loro denaro avrebbe potuto aiutare concretamente un tributo e si limitavano a non concederne.
Ero riuscita a sopravvivere alla fame e alla sete a stento. Non avrei mai permesso ad altri ragazzi di patire ciò che avevo passato io. Avrei aiutato come potevo. Da mentore quale ero. Perché l’incubo non finiva una volta a casa. Il gioco di Capitol non finiva nell’arena, continuava.
La missione impossibile: riuscire a sopportare il peso di tutte quelle morti e spingerne al macello ogni anno di nuovi.
   
 
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