Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: TangerGin    24/01/2014    3 recensioni
I suoi occhi sono del colore dell'asfalto mentre piove e chissà quante volte cadranno le sue ginocchia su quell'asfalto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo  2
19:55


 
 
Stai scendendo dall’autobus.
Potrei venirti incontro, come potrei invece restare qua, ad osservarti dal parcheggio, e sto fumando questa paglia, ma hanno tutto un altro sapore se le fumo senza di te.
Stai scendendo dall’autobus e non riesco a vederti gli occhi, perché come al solito ci sono i tuoi capelli neri, e ora sono neri come quando ci incontravamo nell’altrove.
Sono così neri e mi ricordano di quando facevamo il bagno assieme, nella tua piccola vasca, e confrontavamo i nostri colori: e là era tutto bianchissimo, come me, e poi c’eri tu che cozzavi contro le mattonelle e contro il riflesso della mia pelle, ed un po’ ti vergognavi. Per fortuna ho i capelli, dicevi sorridendo, e poi ti nascondevi, mentre il rubinetto rotto gocciolava ed il suo ticchettio era l’unico rumore che si frapponeva tra le tue carezze e le mie. Tra i tuoi sospiri ed i miei.
Mi piaceva collezionare i tuoi respiri, i più preziosi erano quelli che mi lasciavi contro le labbra, sussurrando piano il mio nome. Speravo di avere una collezione più consistente, ma la costanza non è mai stata il mio forte, e lo hai imparato con le lacrime, lo so.
Ti vedo scendere dall’autobus, e sai tremo un po’ quando sento i tuoi passi vicini, dentro ai piedi c’è la tua decisione che è sempre bastata per entrambi. O almeno, tu credevi che potesse bastare, ad entrambi, e l’ho creduto anche io.
“Fa freddo” mi dici, non alzi gli occhi ma, quando lo fai, lo so che non mi guardi, è la magnolia alle mie spalle che riceve la tua attenzione, ed il buio nel quale sta piano scomparendo, ed assieme a lei anche tu.
“Andiamo” rispondo, e mi infilo veloce in macchina, e così fai tu.
Questa Peugeot è blu scura, e tu sostenevi che avesse lo stesso colore dei miei occhi quando ti salutavo nelle mattine di nebbia.
Questa Peugeot ha conosciuto la tua pelle, ha conosciuto le tue paure ed i tuoi brividi, e mi rendo conto solamente adesso che forse avrei dovuto raccogliere le piccole molliche di te che lasciavi ogni volta, invece le ho spazzate via, senza pensarci. Perché non mi sono mai fermato?
Non riesco a girare la chiave, perché vedo le tue ginocchia, e lo sai quanto mi piacciono le tue ginocchia, e allora te lo dico anche.
“Silas, no. Andiamo.”, e la sento la tua voce che si incrina, ma non so cosa fare.
Non ho mai saputo cosa fare, con te.
 
Lo sai, dopo Mila, è stato tutto così difficile.
Avevo il petto aperto a metà, perché Mila con chirurgica precisione aveva inciso su ogni mio nervo, e su ogni mia emozione, e non credevo ci fosse una cura. Esistevano i palliativi, e così c’era stata Karen, e poi Becca, e poi eri arrivata te e ti avevo messo nel conto generale. Peccato che tu non sei mai stata un palliativo, te eri troppo per il conto generale, la calcolatrice è impazzita, ed io non me ne sono reso conto.

Non ho mai voluto farti del male, questo lo sai.
Dietro ai miei sonni pesanti, alle mattine passate con la testa sotto al cuscino, dietro ai miei ritardi e alle mie dimenticanze non c’è mai stata la malizia di darti per scontata. Eppure adesso, mentre siamo in macchina e le mie mani sono sul volante quando vorrei che, invece, fossero intrecciate alle tue, mi rendo conto che ogni mio gesto ha sempre celato un graffio, e mi chiedo: quanti graffi hai accumulato? Quanto sono sbucciati i tuoi gomiti e le tue ginocchia – le tue spendide ginocchia?
 
Poi mi fermo, ormai è notte anche se sono le sei del pomeriggio, non riesco più a vederti ma ti sento mentre scivoli via veloce e ti infili in casa. Ormai hai smesso di chiedere permesso, scusate, e grazie.
Ci sei te, nella mia cucina, e inizi a parlare “Che senso ha tutto questo?” ed i tuoi occhi saettano veloci, iniziano ad annebbiarsi, e la sento la tua incomprensione. Vorrei essere capace di spiegarti quali meccanismi si sono azionati, dentro di me, ma ho gettato via il libretto delle istruzioni domenica sera, mentre ti addormentavi nel palmo della mia mano e cercavi le carezze nel dormiveglia, come i gatti.
Quando ti siedi sul tavolo della cucina mi viene da sorridere, anche se stai piangendo silenziosa, perché mi ricordi le mattine in cui ti trovavo accucciata su quel marmo e non ti fa freddo, ti chiedevo, e tu ti stringevi nelle spalle e stringevi il caffè tra le mani e dammi un bacio e stai zitto e quelle erano le volte in cui obbedivo. Avrei voluto obbedirti di più, adesso lo so. Avrei dovuto obbedirti più spesso.
E “Dai, non fare così” ti dico, perché non so dire altro e “’Fanculo” mi rispondi, so di meritarmelo.
“Non lo vedi? – mi dici – Non lo vedi perché ci troviamo qua, adesso, non lo vedi perché sto piangendo?” ed io lo vedo, ma non lo capisco bene, vorrei dirtelo ma non ne ho il coraggio.
Vorrei dirti che non l’ho fatto apposta. Vorrei dirti che non è colpa tua, è colpa mia. Vorrei dirti tutte quelle frasi banali e patinate di cui ci riempiamo le orecchie alla tv, ma non te le meriti. Ti meriti di più, il problema è che non so come fartelo capire.
Il problema è che sono un codardo, e mi fai paura: mi fai paura con i tuoi occhi grandi che quando mi guardano non stanno fermi un attimo, con le tue mani che quando mi toccano riscaldano ogni centimetro. Mi fai paura quando mi scagli addosso le tue parole dirette, concise, che sembrano frecce, e poi mi fanno paura i tuoi abbracci, i tuoi baci. Mi terrorizzi.
Non posso rischiare. Non ora.
“Non posso rischiare, non ora” te lo dico, mentre tu ti asciughi una lacrima e hai la bocca storta in un sorriso amaro e “Se fossi stata diversa invece sì, eh? Ammettilo.” e non devi dirlo, non puoi chiedermelo.
Cosa vuoi che ti risponda? Vuoi che ti menta, vuoi che mi illuda, vuoi che ti illuda ancora una volta?
“Sarebbe stato diverso, se tu fossi stata diversa” e scendi dal tavolo, sei esasperata.
Vorrei fermarti, ma i miei gesti – così come le mie promesse – hanno bisogno di tempo per ingranare. E allora ti vedo fermarti sulla porta e “Chi sei?” mi chiedi, voltandoti.
 
Mi hai già fatto questa domanda. Te lo ricordi?
Eravamo sotto casa tua di notte, ed era la prima settimana che avevamo iniziato ad uscire, in quella posizione scomoda, ed io credevo ancora di avere il coltello dalla parte del manico. Perché te sorridevi, con un sorriso stanco ed inebriato dal gin tonic e “Chi sei?” mi hai chiesto, mentre ti stringevo contro il muro freddo e umido, e la mia risposta erano stati dei baci sulle tue palpebre chiuse. Ma tu ridevi e no davvero, come è possibile che esisti? insistevi. “Perché non puoi essere vero, e non puoi essere qui, con me” ed io scuotevo la testa e non capivo, come al solito. Anche se quella era la stessa domanda che  poi ho iniziato a pormi da solo quando ti vedevo sonnecchiare sotto le mie coperte il sabato mattina, ma ancora non lo sapevo e te sei insicura e hai sempre cercato le risposte. La realtà è che la tua insicurezza è stata la prima carta che mi hai svelato e che mi ha fatto credere che, con te, potessi giocare senza paura di perdere perché, lo sai, io voglio vincere sempre. E forse è per questo che adesso siamo qua, ma non ce la faccio a dirtelo, perché sarebbe l’ennesima sbucciatura sul tuo cuore, e non voglio farti più del male.
Chi sono, mi hai chiesto quella sera, e ti ho risposto Silas, dal Galles, e tu hai riso per la mia esse e ti ho soffocato la risata in un bacio.
Chi sono, mi chiedi adesso, e la realtà è che sono un vile con uno strano istinto di sopravvivenza, e sono più insicuro di te, ma non lo hai mai capito – e io me ne rendo conto solo adesso.
 
Però più ti guardo, mentre cerchi di non piegarti alle lacrime, e più quelle lacrime le sento dentro di me.
Sono quelle lacrime che mi paralizzano e nonostante voglia davvero lavarle via - perché mi manca la tua pelle pallida e non arrossata dal pianto, e mi manca anche l’odore di quella tua pelle, soprattutto quella delle tue gote quando ti bacio - nonostante tutto questo le parole non mi escono. Che poi le mie parole sono sempre state precarie, ghiaccio fine sul quale tu hai preteso di ballare una danza incessante e alla fine il ghiaccio si spezza. E adesso sono qua, spezzato davanti a te, che sei spezzata più di me. Magari abbiamo solo bisogno del sole d’agosto che ci faccia sciogliere, così che le crepe si mescolino, così che sul mio naso possano ricomparire le lentiggini che ti piacciono tanto e così che la tua pelle possa assumere il colore ambrato che le spetta.
 
Se tu fossi diversa, sarebbe stato diverso, e ci credo veramente, ma non credere che sia una cattiveria.
Mi sono innamorato di te alle diciannove e cinquantacinque di domenica sera e se adesso siamo qua è perché io, l’amore, non lo posso proprio toccare.

 

 

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ 
 
Ya hey, lettrici,
Voglio un attimo parlare di come sto pensando di strutturare questa storia: come avrete notato questo è un capitolo dal pov di Silas, mentre quello prima era dal pov di Vera ed il prologo in terza persona. Non so se manterrò un'alternanza tra questi tre punti di vista, però ho voluto iniziare così per farvi entrare nella mentalità dei due protagonisti, per presentarvi le loro personalità da subito. Per il resto ci sarà un andare avanti ed indietro negli avvenimenti a seconda del capitolo. Spero sia chiaro, in caso fatemi sapere (:
Grazie mille per seguire questa storia, davvero ♥
xx Gin~
banner © xxl

 
 Seriously woke up feeling like the happiest girl alive. 




 
 
   
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: TangerGin