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Autore: FALLEN99    25/01/2014    4 recensioni
Fino a che punto può spingersi la passione prima di diventare oscura?
Questo Amalia Jones, appena trasferitasi dalla splendente California in un paesino ai piedi di Dublino, ancora non lo sa. Appena però incontra gli occhi funesti di Alek Bás inizia ad averne una vaga idea. La passione ti strappa la ragione e ti getta nella pazzia, ed Amalia lo sperimenterà a caro prezzo.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. In caso contrario, distruggerlo”
**
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro sguardi
- Cosa te lo fa credere?
-Perchè sei tu che mi metti nei guai. Tu, TU sei i miei guai
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~Capitolo 10.


La nebbia lambiva il paesaggio nel suo mantello opaco, non rendendo possibile allo sguardo di Amalia scorgere qualsiasi inganno si celasse al suo interno.
La ragazza giaceva immersa in una pozza di sangue, il corpo riverso a terra e la mente offuscata da ricordi che non sapeva le appartenessero. Ricordi di una battaglia violenta e sanguinosa, in cui vittime innocenti cadevano prede sotto il potere di un uomo dagli occhi freddi e impenetrabili. Quelle immagini le invadevano senza permesso la testa, irrompendo nella sua mente ed eliminando i suoi pensieri per farsi spazio e non lasciare che niente potesse distrarla dalla loro morsa.
Lei doveva rivivere quegli istanti. Riviverli finchè non le fossero entrati nella carne, penetrandola come artigli di gelido ghiaccio.
Una lacrima di cristallo le rigò le gote, andando a riversarsi nel mare di sangue in cui giaceva e scomparendo dentro di esso come una goccia in un oceano di male e distruzione.
Amalia rantolò spostandosi su un fianco, mossa dalle ultime forze che era riuscita e raccogliere dagli angoli più recogniti del suo corpo.
–Perchè?– chiese, sussurrando. – Perchè questi incubi? Perchè questi ricordi? Cosa ho fatto per meritarli?– in risposta il vento prese a soffiare in tutte le direzione, smuovendole i capelli ed entrandole fin dentro le vesti lacere.
Altri ricordi vividi non le permisero di chiedere altro al suo interlocutore immaginario, e la ragazza ebbe l’impressione che un cappio le si fosse stretto attorno alla gola perchè di colpo l’ossigeno scappò dai suoi polmoni.
Si portò lentamente le mani al collo e sentì qualcosa di viscido al contatto, mentre un brivido le scavava a fondo la carne.
Capì subito che quello che serrava la sua gola bloccandole il respiro era un serpente, le cui spire stavano per strangolarla senza alcuna pietà.
Intanto i ricordi continuavano a travolgerla ed il vento a ululare, come se anche la natura riflettesse ciò che Amalia provava.
Un lampo fendette il cielo e la sua luce l’avvolse. Nello stesso istante in cui successe, una mano calda le accarezzò dolcemente la guancia, destandole una lingua di fuoco che le scaldò il cuore, ormai diventato di ghiaccio da tempo.
– Tu non meriti tutto questo.– un sussurro impercettibile le vibrò nelle orecchie ed Amalia fu strappata con forza dal turbine di ricordi strazianti.
– Ti porterò via di qui. Lo prometto– le bisbigliò il proprietario della mano che prima l’aveva accarezzata.
– Chi...chi sei?– domandò Amalia in un rantolo, tentando di individuarlo con gli occhi ma non riuscendo a causa della fitta nebbia.
– Credimi, questo è l’ultimo dei tuoi problemi ora.– le disse, prendendole la testa fra le mani e adagiandola premurosamente sul terreno, che le sembrò stranamente morbido al contatto con la nuca.
– Ora dormi. Tornerò presto...
–No!– gridò di scatto Amalia, tirandosi seduta e afferrandolo per un braccio con vigore.
–Non te ne andare, sei la prima persona che cerca di aiutarmi in questo dannato limbo di cui cado preda ogni notte, e non ho la minima intenzione di lasciarti andare via a meno che non mi porti con te.
Anche se Amalia non poteva vederlo, percepì le sue labbra incurvarsi in un sorriso.
– E dove vuoi che ti porti, principessa?– le chiese, la voce piena di senso di colpa pechè sapeva di non poter esaudire il desiderio della ragazza.
Qualunque esso fosse stato.


Mentre il corpo di Amalia era scosso da spasmi incontralliti, una figura appostata fuori dalla sua finestra la fissava, catturando ogni suo movimento e facendolo proprio come fosse una pepita d’oro.
Una pepita che da tempo quella figura attendeva, tramando nell’ombra e aspettando il momento in cui avesse potuto rubarla con una brama intensa come fuoco ardente. Lo stesso fuoco che sembrava animare il corpo di Amalia e che lo percuoteva sotto il proprio potere, prosciugandolo di ogni energia e lasciandolo inerte come una sorgente da cui si ha attinto fino all’ultima goccia.
– Oh, Amalia, se solo sapessi quanto sei speciale...– sussurrò al vento, che afferrò la sua voce e la portò nelle orecchie della giovane.
Quando la figura la vide aprire gli occhi e guardarsi in giro con aria terrorizzata capì che se non fosse scappato probabilmente sarebbe andato a rassicurarla, e questo non rientrava minimamente nei suoi piani.
In una leggiadra acrobazia fu a terra, ormai lontano dalla tentazione di correre da lei e abbracciarla.
“Devi resistere ai tuoi istinti o la tua ricompensa non potrà essere riscattata” si disse, reprimendo anche l’ultimo briciolo di uminaità che era rimasto nel suo cuore, ormai consumato da molto tempo.
Con una bianca falce di luna a guardargli le spalle, il ragazzo attraversò la strada e si immerse nei boschi, dove capì con certezza che i veri incubi Amalia li doveva ancora incontrare.


Quella mattina andare a scuola e farsi travolgere dal corso delle lezioni  fu un mattone in pieno stomaco, tanto che Amalia considerò buona l’ipotesi di prendere in ostaggio il bidello e costringerlo a darle il permesso di dormire almeno per un’ora nello stanzino dove riponeva le sue scope.
Nell’ora di Storia il professor Harrison si accorse delle pesanti occhiaie che le marcavano gli occhi e, finita la lezione, la avvicinò nei corridoi, afferandole gentilmente il braccio.
– Amalia, ti dispiace scambiare due parole?– le domandò, trasmettendo nella voce tutta la sua autorità.
La ragazza, stupita, si girò e quando incontrò lo sguardo dello stesso uomo che il suo primo giorno di scuola l’aveva accolta, non esitò a chinare il capo in un cenno d’assenso.
L’uomo sorrise e le fece strada verso la mensa che, deserta, offriva ai due la possibilità di parlare senza inutili interferenze.
Una volta seduti il professor Harrison esitò qualche istante prima di parlarle, come se le motivazioni che lo avevano spinto a prendere da parte Amalia d’un tratto gli fossero risultate  futili.
Così fu Amalia a cominciare a esporre i suoi problemi, e le parole cominciarono a fluirle dalle labbra in un fiume che non riuscì ad arginare e da cui il Professore attinse.
Gli raccontò dei suoi incubi e di quanto fosse stato difficile trasferirsi e cambiare completamente vita, di quanto avesse fatto fatica a trovarsi un’amica, Cahterine, e di come le risultasse inconcepibile superare l’anno senza nemmeno una materia insufficiente.
Non seppe il motivo, ma quell’uomo dai capelli brizzolati e gli occhi verde–acqua le ispirava fiducia, inducendola a pensare che qualsiasi cosa gli avesse confidato  non sarebbe uscita da quelle quattro mura.
Quando ebbe finito di raccontare, il professor Harrison la guardò negli occhi e le sorrise.
–Sai Amalia, sono davvero contento che ti sia aperta con me, e ricordati che qualsiasi problema tu abbia, puoi sempre ricorrere a me. Alle volte i professori sono molto più utili degli amici, perchè problemi come i tuoi li hanno già vissuti.–
Quella frase le destò un’ambigua sensazione che le graffiò  prepotentemente la schiena, penetrandole fino al cuore.
– Problemi...problemi come i miei incubi?– gli chiese, titubante.
Il professore non rispose subito, limitandosi a fissarla con i suoi occhi in cui Amalia scorgeva rincorrersi diverse e contrastanti emozioni.
–Non credo la cosa ti riguardi– disse infine l’uomo, alzandosi dalla sedia e uscendo dalla stanza, lasciandola sola con un dubbio che la avrebbe divorata per il resto della sua vita.


In quelle giornate in cui sentiva le forze abbandonarla, Amalia sapeva che c’era un’unica cosa in grado di rinvigorirla e ridarle le energie necessarie per sopravvivere, e non si trattava di una maratona di Pritty Little Liars come quella che Catherine le aveva nuovamente proposto quella mattina, sfruttando l’assenza del fratello.
Amalia aveva gentilmente declinato l’invito, promettendo all’amica che ci sarebbe stata sicuramente un’altra occasione nelle settimane seguenti.
Così quel pomeriggio, armata di costume da bagno e cuffia, si decise a fronteggiare il rigido inverno irlandese e camminare fino all’unica piscina di cui Swords, quel minuscolo peasino ai pressi di Dublino, era dotato.
Le strade erano deserte, tutti gli abitanti erano rintanati in casa a causa dell’imminente temporala che stava per riversarsi sul terreno, testimoni di ciò le nere e pesanti nuvole che si stavano raggrupando come magneti nell’alto del cielo e che la squadravano minacciose.
Amalia ignorò il tempo e camminò svelta fino al municipio, che aveva imparato a riconoscere per il suo tetto aguzzo che emergeva rispetto a quelli delle altre abitazioni.
L’insegna “Swimming Pool”, posta proprio sull’edificio al fianco del municipio, attirò subito la sua attenzione, e la ragazza ne varcò la soglia senza nemmeno riflettere.
Una volta entrata si trovò in una stanza rivestita interamente di piastrelle bianche, il cui colore era talmente intenso da farle chiudere le palpebre qualche istante per potersi abituare.
Quando li riaprì si trovò davanti una donna sulla sessantina che la squadrava da capo a piedi, soffermandosi sui suoi capelli che, stretti approssimatamente in una coda di cavallo, minacciavano di esplodere da un momento all’altro.
– Buon giorno, signorina. Desidera per caso iscriversi alla nostra piscina comunale?– le chiese con voce nasale.
Amalia annuì e la donna le fece firmare una serie di moduli, rassicurandola sul pagamento, che avrebbe potuto pagare alla fine del mese.
La ragazza le sorrise e si avviò rapida verso gli spogliatoi, passando per le vasche, e alla sola vista dell’acqua la voglia di sentirla sulla pelle si fece insopportabile.
Mentre si cambiava nell’angusto spogliatoio, ripensò alla prima volta che la nonna le aveva insegnato a nuotare, risalente a quando Amalia aveva appena cinque anni.
L’immagine di una Emilie sorridente che la incitava a sbattere i piedini più forte le giunse alla mente, colmandola di ricordi che Amalia sentì propri, non come quelli che di cui era stata vittima nel suo incubo.
Bramando che l’acqua l’avvolgesse nelle sue braccia, la ragazza si diresse più veloce che poté verso l’unica vasca di cui era dotata la struttura.
Era lunga e stretta, con appena tre corsie di cui due già occupate dai bambini che quel giorno avevano il corso di nuoto.
Amalia ignorò le loro urla e si apprestò sul trampolino, saltellando un paio di volte per darsi lo slancio necessario a tuffarsi.
Quando finalmente lo trovò, fletté le gambe e spiccò un salto in avanti, sentendo l’aria sfilarle rapida accanto e accarezzarle la pelle come una mano gelida. 
Nel preciso istante in cui l’acqua le lambì la fronte, i pensieri si congelarono ed Amalia fu liberata dalla loro morsa, potendo finalmente respirare senza che essi la tormentassero.
La continua e persistente domanda del perchè il Professor Harrison si fosse comportato in modo così ambiguo, le strane sensazioni che aveva provato nell’incrociare lo sguardo di Caleb, la pressione per i suoi strani incubi, tutto questo restò fuori dall’acqua, che li separava da Amalia come una barriera indistruttibile.
La ragazza si fece accarezzare dall’acqua e sentì una sensazione di calma avvolgerla e distenderle i nervi, tesi ormai da troppo tempo.
Nuotò sempre più a fondo, senza però sentire il peso della pressione gravare sul suo corpo, e continuando a scendere fino a sfiorare con la mano il fondo della piscina.
Vi si sedette sopra, ammirando dal basso come tutto le apparisse da quella posizione, in cui nessun rumore o inutile preoccupazione poteva turbarla.
Vedeva i suoi capelli neri ondeggiare, mossi dalle onde che i bambini destavano sull’acqua quando si tuffavano, e percepiva un silenzio in cui mai le sembrò di essere stata immersa, almeno fino a quando una mano le toccò la schiena.
Amalia sobbalzò e si voltò di scatto, trovandosi davanti il volto di Caleb, che la fissava con aria severa.
Il ragazzo mosse le labbra scarlatte e piccole bollicine uscirono dalla sua bocca, accompagniate da un suono che Amalia non riuscì a decifrare. Caleb, accorgendosene, la invitò con un gesto a risalire in superficie.
Amalia lo assecondò e pochi istanti dopo i due si trovarono appoggiati alla scaletta di metallo che permetteva di entrare e uscire dall’acqua.
– Che c’è?– chiese Amalia, seccata per quell’inutile interruzione.
Caleb in risposta le indicò qualcosa alle sue spalle. Amalia seguì la traiettoria del suo dito e vide un grande cartellone sul quale una donna magra e alta spiccava un elegante tuffo. Sul momento non capì cosa avesse spinto Caleb a farglielo vedere, ma quando notò che i capelli della donna erano stretti una cuffia, capì a cosa il ragazzo si riferiva.
– Pardòn– si scusò allora, rossa in viso per non aver rispettato la prima norma igenica delle piscine ed essere entrata in acqua con i lunghi capelli sciolti.
Caleb sorrise. –Non preoccuparti, sono certo che non sei portatrice di nessuna malattia mortale.– disse con tono scherzoso, ed Amalia identificò nella sua voce lo stesso timbro della sorella, gentile e cristallino.
– Invece tu pensi che io la abbia, una malattia mortale, vero?– le chiese d’un tratto, ed Amalia restò senza parole a quella domanda di cui non comprese il senso.
Caleb la vide perplessa e riprese: – Da come mi ha descritto mia sorella devo esserti sembrato il peggiore degli aguzzini.
Amalia ridacchiò, annuendo. – E io devo esserti sembrata un’ebete che non sa spiccicare nemmeno una parola.
Caleb le sorrise, lo sguardo divertito. – Penso che le nostre prime impressioni siano state entrambe errate e troppo affrettate.– disse, e quando lo fece alcune goccioline gli scivolarono dalla cuffia bianca agli occhi, che sembrarono brillare.
–Lo penso anch’io, ma nemmeno questa è la circostanza migliore del mondo per presentarsi– rispose Amalia, d’un tratto catturata da quello sguardo, che la stava lentamente riportando nel suo vortice.
All’improvviso un bambino si tuffò a qualche metro da loro, schizzandoli e suscitando il nervosismo di Caleb.
– Johnatan, quante volte ti ho detto che devi rispettare le distanze di sicurezza quando ti tuffi!?– gridò, ed il bambino sbiancò, chinando la testa con aria spaventata.
–Ed ora vai a cambiarti, che l’allentamento è finito.– continuò Caleb, trovando ubbedienza da parte di Johnatan, che nuotò fino al bordo della vasca e uscì da essa.
– Catherine mi aveva parlato della tua attitudine quasi maniacale a far rispettare le regole– asserì Amalia, osservando come il ragazzo reagiva.
Caleb rise. – E scometto che ti ha anche raccontato di quando da piccoli la obbligavo a mangiare le verdure anche quando mamma non era a casa.– disse, trovando da parte di Amalia una conferma.
– Sì, e anche di quando le hai fatto rifare gli esercizi di matematica cinque volte perchè aveva scritto a troppi quadretti dal margine!
Caleb sorrise, rammentando quei momenti, che erano successi più di sei anna prima.
– Dovrei supporre dunque di essere ormai un libro aperto per te?– le chiese, mentre il suo guardo scavava in quello di Amalia con un’intensità di fuoco.
– No, credo che le presentazioni siano ancora necessarie. Preferisco sapere le informazioni riguardanti una persona dal diretto interessato piuttosto che da una fonte  che so potrebbe distorcerle.– rispose, compiacendosi della scaltrezza con cui aveva aggirato quella domanda, uscendone illesa.
– Mi sembra un ragionamento che regge. Propongo quindi di rimandare queste attese presentazioni alla prima volta che ci vedremo e saremo senza la pressante presenza di mia sorella e completamente vestiti e non in una piscina comunale–
Amalia fece caso a quell’ultimo dettaglio e arrossì violentemente, mentre notava di trovarsi solo a qualche centimetro dal petto muscolo e tonico del ragazzo.
Indietreggiò, nuotando. – Allora alla prossima volta– gli sorrise e, quando lui ricambiò, Amalia sentì la presenza di occhi che conosceva fin troppio bene sulla schiena. 

   
 
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