Chapter
0.1
This is the way you left me,
I'm not pretending.
No hope, no love, no glory,
No Happy Ending.
Posò la penna sul
bancone, ed osservò il via-vai di persone.
Era un'afosa giornata
d’Agosto, e Jean stava lavorando alla tavola
calda nel campus della Berkeley.
Un anno. Era passato esattamente un
anno da quando era arrivata in
quell’università.
Frequentava il secondo anno della Medical School, e
divideva l’appartamento con la sua migliore amica, Daphne
Carter.
La loro amicizia nacque durante
l’ultimo anno del liceo, quando si
erano ritrovate insieme a dover seguire i corsi pomeridiani per
l’esame
d’ammissione.
Il loro amore per lo sport, per lo
shopping sfrenato e per la Berkeley,
l’aveva spinte a frequentarsi sempre di più, fino
ad approfondire il loro
rapporto.
E in quel
piovoso giorno d’Aprile di due anni prima, entrambe
ricevettero la lettera che aspettavano con ansia: erano state ammesse
alla
Berkley, l’università dei loro sogni.
Daphne frequentava il corso di
Retorica, poi avrebbe tentato di entrare
nella Graduate School of Journalism, per diventare giornalista.
Figlia di un importante avvocato di
Los Angeles, e di una donna
francese molto bella ed elegante, era cresciuta in un ambiente
aristocratico,
circondata da figli di ricchi signori e figlie con la puzza sotto al
naso.
Daphne aveva sempre voluto
allontanarsi da quell’ambiente, dove il
valore morale più alto era di possedere più borse
Chanel possibili.
Fu questo uno dei motivi per il
quale preferì un’università statale
come la Berkley, piuttosto che una scuola privata.
I suoi genitori accettarono
volentieri la sua scelta, non volevano
imporle uno stile di vita che non le piaceva.
I suoi lunghi capelli biondo
platino, la pelle di porcellana e gli
occhi azzurrissimi, facevano di lei la perfetta ‘regina delle
nevi’; ma dietro
a questo suo aspetto, si nascondeva la sua vera natura: premurosa,
dolce,
affidabile e soprattutto onesta.
Alzò lo sguardo ed
osservò il grande orologio appeso dall’altra parte
della parete: mancavano cinque minuti alle 7.
Jean finì di posare gli
ultimi piatti puliti nella credenza, sciolse il
nodo del grembiule e si incamminò verso la stanza riservata
ai dipendenti.
Nonostante ci fosse
l’aria condizionata, faceva molto caldo e la
ragazza si sciacquò il viso prima di cambiarsi.
Si osservò allo
specchio: scure occhiaie marcavano il suo viso
asciutto.
Ultimamente non riusciva a dormire
sogni tranquilli, si svegliava
sempre in agitazione.
Dopo che si rigirava nel letto un
paio di volte, per trovare una
posizione comoda, si alzava e faceva colazione; anche se erano le 4 di
mattina.
Cercava di fare il meno rumore
possibile, per non svegliare la sua
amica.
Dopo aver mangiato i corn flakes
con un po’ di latte, rimaneva seduta,
immobile, a guardare il vuoto di fronte a sé e non si
accorgeva che il tempo
passava; era come se venisse catapultata in un mondo parallelo, dove le
cose
continuano il suo corso, mentre lei e la sua mente vagano tra i ricordi.
Inizialmente non fu affatto facile
accettare tutto ciò, quello stato di
incoscienza, torpore, le facevano ricordare tutto,
anche ciò che avrebbe
voluto archiviare.
Si mise in fretta un paio di
pantaloncini, la maglietta a maniche corte
e si fece la coda.
Uscì dallo spogliatoio e
salutò i suoi colleghi, augurando loro una
buona serata.
Appena aprì la porta,
una folata di vento fresco la colpì in pieno e
mosse leggermente i suoi capelli.
Dal lato opposto della strada, non
vi erano macchine parcheggiate,
tranne una Mini rossa. Sorrise.
Daphne era venuta a prenderla.
Il suo motorino era KO per un paio
di giorni, e l’amica si occupava di
accompagnarla al lavoro e di riportarla a casa.
Ma non faceva solo questo; era sempre
al suo fianco.
L’aiutava in ogni
circostanza, cercava il più possibile di tenerla
distratta, in modo che non avesse tempo per pensare, ricordare.
Lei era la sua medicina. Era
l’unica che fosse riuscita ad alleviare il
dolore negli ultimi mesi.
Dopo la sua
partenza, Jean si era rinchiusa in se stessa, era
taciturna e passava le giornate stesa sul divano di casa ad osservare
il
soffitto; si rifiutava di toccare cibo, di svagarsi un po’ e
di andare nei
posti che gli ricordavano lui.
Era come se fosse un fantasma, una
morta che camminava tra i vivi.
Quel brusco ed improvviso
allontanamento era stato devastante, totale.
Sembrava che dopo un periodo di
assoluta felicità, in cui si vede tutto
rosa e fiori, seguisse il periodo più buio che ci sia.
Dopo la tempesta
c’è il sole, dicono.
Ma per lei fu il contrario. Dopo il
sole ci furono tempeste, uragani,
maremoti.
Solo ora, dopo tanti mesi, riusciva
a vedere qualche raggio di sole
filtrare dalla fitta coltre di nubi nere.
E questo lo doveva solo a lei,
Daphne.
Non era facile starle accanto, lo
sapeva, e per questo le era
infinitamente grata.
La migliore migliore amica che si
possa mai avere, le aveva sempre
detto Jean.
Ed era proprio vero, era la
migliore in tutto.
Aprì lo sportello della
macchina e salì.
“Buona sera!”
esclamò la ragazza, e salutò Daphne con un bacio
sulla
guancia.
“Bonsoir.”
Rispose l’amica in perfetto francese.
La bionda mise la marcia su D ed
uscì dal parcheggio.
Il campus era ancora vuoto, le
lezioni sarebbero iniziate a fine
Settembre, e molti studenti tornavano solo alla fine del mese.
Dopo un mesetto di vacanza in
Florida, le due amiche decisero di
tornare a casa loro.
Daphne riprese il suo lavoro alla
biblioteca dell’università, e Jean
trovò lavoro come cameriera da Apple Bee.
Quel lavoro era molto stressante e
impegnativo, ma non poteva rimanere
da Starbucks, dove aveva lavorato per tutto l’anno precedente.
Si sentiva soffocare dai ricordi in
quell’ambiente, perciò decise che
era meglio licenziarsi.
Non voleva più essere un
peso per l’amica, era riuscita piano piano a
costruirsi una maschera che non lasciava trasparire i suoi sentimenti,
la sua
sofferenza.
Ma nonostante ciò, era
consapevole che Daphne riuscisse a leggerle
tutto.
Si fermarono al drive in di
McDonald’s ed ordinarono la cena.
“Com’è
andata la giornata?” chiese Jean, mentre aspettavano
l’ordinazione.
“Bene, ora
c’è tranquillità perché
molti studenti ancora non sono
tornati, ma quando inizierà la scuola sarà uno
stress.” Rispose la bionda
allungando il braccio fuori dal finestrino per prendere i panini.
Rimasero in silenzio per una
manciata di secondi, e poi l’amica riprese
a parlare.
“Sai di cosa abbiamo
bisogno?”, iniziò Jean, “di shopping,
mare e
discoteca!”
Daphne guardò
l’amica e sorrise.
“Una giornata interamente
per noi. Tanto mancano ancora due settimane
all’inizio della scuola, un po’ di svago ce lo
meritiamo.” rispose la ragazza.
“In fondo, viviamo o no
in CALIFORNIA? Guardaci, siamo l’una più bianca
dell’altra. Dovremmo goderci di più questo
sole.” Affermò Jean.
“Lontane dal lavoro, dal
campus, da tutto. Ci buttiamo nel Pacifico e
andiamo alle feste sulla spiaggia.” Continuò a
fantasticare la giovane.
L’amica
ridacchiò ed entrò nel parcheggio del loro
condominio.
Avevano comprato la casa prima
dell’inizio delle vacanze estive, e si
erano trasferite non appena furono tornate dalla Florida.
Il loro era un piccolo
appartamento, ma sufficiente; il salone e la
cucina occupavano una sala unica.
Le due camere erano collegate tra
loro con il bagno, il quale era
abbastanza spazioso da metterci un comodino, dove le ragazze poggiavano
i loro
profumi, gioielli e trucchi.
Jean sistemò i panini
sul tavolo e si sedette su una delle due sedie.
L’amica accese la
televisione e la raggiunse.
La serata trascorse
tranquillamente; entrambe non riuscivano ad andare
oltre ad una certa ora, il lavoro le stancava molto.
Perciò anche quel giorno
verso le 11, il sonno si fece sentire sempre
di più, finchè non decisero che era meglio andare
a dormire.
Jean si buttò a peso
morto sul letto e rimase in quella posizione
finchè non si addormentò.
*.*.*.*.*
Erano solo le 10, ma il sole era
già alto nel cielo e i suoi raggi
picchiavano forte sulla terra.
Daphne si portò dietro
l’orecchio una ciocca bionda, mentre metteva in
moto la macchina.
Quella mattina si era svegliata
presto e stranamente, o fortunatamente,
non aveva trovato l’amica in salotto.
Da quando erano tornate dalla
vacanza, Jean era diventata un vero e
proprio zombie.
E lei odiava vederla in quello
stato.
Anche se faceva di tutto per
nascondere la sua sofferenza, dietro ad un
sorriso tirato, riusciva lo stesso a capire le sensazioni
dell’amica.
Lei l’aveva vista
innamorarsi giorno dopo giorno, sprizzava gioia da
tutti i pori, ma ecco che un giorno tutto questo svanì.
Tutto cambiò. Come
quando si costruiscono i castelli con le carte, e
basta un niente per farli crollare; allora è difficile
ricostruire.
Doveva ammettere che entrambe non
erano molto fortunate in amore.
Era sicura che, anche se
l’amica non lo ammetteva, aspettasse il suo
ritorno; lei, invece, aveva rotto prima dell’estate con un
ragazzo con cui
stava da un paio di mesi.
Niente di serio, niente di troppo
doloroso.
Era un ragazzo gentile,
intelligente, che la rispettava ed era onesto
con lei; allora perché lo aveva lasciato?
Sentiva di non meritarlo, tutte
quelle storie “scusa-non-sei-tu-sono-io”, erano vere.
Era lei il
problema. Come si faceva a non voler bene ad una
persona del genere?
Solo dopo tanto tempo si era
accorta che il vero motivo lo aveva
davanti agli occhi.
Frenò bruscamente per
far passare un pedone che era sbucato dal nulla.
Si addentrò nel piccolo
vialetto che la conduceva al parcheggio della
grande biblioteca della scuola.
Entrò
nell’edificio, facendo un lieve rumore con le sue ballerine
nere;
salutò i colleghi e si appese al collo la tessera dei
dipendenti.
La bionda passò la
mattinata a sistemare i libri nei rispettivi
scaffali.
Quel lavoro le piaceva, amava i
libri, il silenzio, la quiete di quel
luogo.
Non c’era niente di
meglio che leggere un bel romanzo nel silenzio più
totale mentre si sorseggiava un ice chocolat di
Starbucks.
A quel pensiero, le venne davvero
voglia di quella bevanda; andò da
Pierre, amico e collega, dicendogli che si sarebbe presa una pausa di
una
decina di minuti, giusto il tempo di fare un salto al bar.
Prese velocemente il portafoglio e
si diresse a piedi, il locale era a
meno di cinque minuti dalla biblioteca.
Comprò la sua bibita in formato
maxi, e sorseggiandola beata, si
rinfrescò.
Camminava lentamente per la piccola
salita e passando vicino al parco,
vide una Jeep parcheggiata.
In un primo momento non ci fece
molto caso alla vettura, ma poi
successe una cosa che non si era mai aspettata che succedesse: il suo
cuore
perse un battito.
Appena vide chi
scese dal veicolo, sembrò quasi che l’organo si
fosse fermato.
Non credeva assolutamente che una
cosa simile le potesse accadere.
Si leggeva solo nei libri o al
limite, si vedeva nei film.
Era una strana sensazione, ma allo
stesso tempo era piacevole.
Daphne non l’aveva mai
provato prima d’ora, effettivamente non era mai
stata innamorata.
Lei era una persona molto
razionale, e agiva più con la mente che con
l’istinto; tutto doveva aveva una spiegazione logica,
razionale, persino
l’innamoramento.
E anche quel giorno
attribuì il colpo allo spavento,
più che
all’emozione di ritrovarselo di fronte.
Il giovane si tolse gli occhiali da
sole e li appese al colletto della
maglietta bianca che indossava.
Inclinò leggermente la
testa per guardare meglio la figura davanti a
lui, e quando capì chi era, sorrise.
“Su bionda,
abbracciami!” esclamò felice allargando le braccia.
Daphne non se lo fece ripetere due
volte e gli corse incontro; allacciò
le proprie braccia dietro al collo del ragazzo, il quale la
sollevò leggermente
da terra e le baciò i capelli.
“Allora bionda, come
stai?” chiese il giovane riappoggiandola a terra,
ma senza sciogliersi dall’abbraccio.
“Bene, tu? E’
tuo questo colosso?” domandò dando un paio di
colpetti al
cofano.
“Hai visto che bellezza?
E non ti dico come corre! Ti dovrò far fare un
giro al più presto!” esclamò entusiasto.
Daphne gli sorride mentre lui
continua a parlare delle qualità della
sua vettura.
Era così presa
dal suo racconto, che non si accorge che qualcuno è sceso
dalla macchina.
“Tom?” lo
richiama una ragazza dai lunghi capelli castani e un viso un
po’ troppo truccato.
“Oh Christine.”
Replica il ragazzo, allontandosi leggermente da Daphne.
La bionda li guardò per
attimo confusa.
“Lei è Daphne
e Daphne, lei è Christine, la mia ragazza.” Disse
Tom,
guardando una ragazza e poi l’altra.
“Piacere mio, Daphne. Tom
mi ha parlato molto di te.” Allungò il
braccio verso di lei e le sorrise.
“Molto piacere di fare la
tua conoscenza.” replicò Daphne ricambiando
il gesto.
Christine si avvinghiò a
Tom e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, che
fece sorridere il ragazzo.
A quella scena, la bionda
provò una forte morsa all’altezza dello
stomaco; si congedò freddamente dai due e
proseguì il suo cammino verso la
biblioteca.
Quando stava per aprire la porta,
sentì qualcuno che la trattenne per
un braccio: Tom.
“Ehi, va tutto
bene?” domandò affettuosamente spostando una
ciocca
bionda dal viso.
A quel tocco, Daphne
sentì una scossa lungo la spina dorsale; solo lui
riusciva a farle sentire certe emozioni.
Chiuse leggermente gli occhi e
rispose: “Sto bene, tranquillo.”
“Sai che a me puoi dire
tutto, no? C’è qualcosa che non va?” fece un passo in avanti,
rendendo minima la
loro distanza.
Daphne inspirò il suo
tipico profumo, e ciò la mandò in tilt.
Si allontanò un poco da
lui per non perdere completamente la testa.
“Certo che lo
so,” gli sorrise “sono rimasta un po’
sorpresa, non
pensavo che saresti tornato con la tua ragazza.” Disse infine.
“Ah Christine…
è stata una sorpresa anche per me. Non pensavo che
saremmo durati.” si grattò nervosamente la nuca.
Un silenzio imbarazzante cadde tra
i due, l’unico rumore era quello
della porta automatica che si apriva e chiudeva al passaggio delle
persone.
“Ci vediamo in giro, Tom.
Una di queste sere vieni a cena da noi, a
Jean farà piacere rivederti.”
“Accetto più
che volentieri.” Le sorrise.
Lo salutò con un piccolo
bacio sulla guancia e rientrò nell’edificio.
Davanti alla reception, vide che
c’erano due persone: la signora Burton
ed un ragazzo.
Si avvicinò a Pierre, il
quale le presentò il nuovo arrivato.
Daphne incrociò gli
occhi del giovane, erano tra il verde ed il
nocciola, aveva i capelli scompigliati e scuri; egli le porse la mano e
sussurrò
“Sebastian.”
“Piacere
Daphne.” Rispose non troppo calorosamente.
Buttò nel cestino
più vicino il bicchiere ormai vuoto e si mise appesa
al collo la targhetta.
*.*.*.*.*.*
Dopo un mese esatto posto finalmente il primo capitolo. Scusate per l'attesa, ma la scuola mi stava davvero distruggendo; ora che sono in vacanza, però, spero di riuscire ad aggiornare regolarmente. Quindi, non vi sbarazzerete facilmente di me! XDPinzyna: Grazie
mille per la tua recensione, sono rimasta colpita. (in senso positivo).
Le cose che mi hai scritto sono davvero belle e spero che continuando a
seguire questa mia storia, non ti deluderà. ^___^ . Sei
stata molto carina a scrivermi quelle cose, mi ha fatto un immenso
piacere. (un po' perchè sei stata la prima recensitrice, e
un po' perchè sei riuscita a interpretare il titolo in modo
giusto. ;)).
Sono molto contenta che la scelta del titolo ti sia piaciuta,
c'ho messo parecchio tempo, perchè volevo trovarne
uno che si adattasse perfettamente alla storia dei personaggi. (e devo
dire che sono molto soddisfatta!!! Piace moltissimo anche a me!
:D).
L'amore.. eh, che cosa strana, vero? Mi piace sognare, e questa ff
è una prova lampante.
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
Nihal_N:
dico solo questo: G-R-A-Z-I-E! Se non fosse per te, questa
fic non starebbe in piedi! XD Il tuo commento mi ha fatto
molto piacere; ed è anche una soddisfazione per me postare
questa fic! I pensieri di Jean sono tristi, ma tu sai già
per quale motivo. XD Bacione!e grazie ancora!