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Autore: smolderhalderlover_98    27/01/2014    4 recensioni
Questa Fan Fiction nasce dal desiderio di vedere finalmente Oliver e Felicity insieme. La mia storia prende molto spunto da ciò che realmente accade nel film, perchè voglio che tutto sia il più realistico possibile; per esempio, pur essendo una fan fiction Olicity, ci saranno anche episodi tra Oliver e Laurel.
Il racconto inizia in medias res, dal momento in cui Oliver mostra a Felicity la sua vera identità.
Nota* Nella mia storia, sino a quel momento Oliver non è mai stato e non ha mai baciato Laurel.
Mi farebbe piacere ricevere consigli, recensioni e critiche, in modo da poter migliorare la storia.
Mi scuso per eventuali errori di ortografia.
E' la mia prima fan ficiton, perciò,
buona lettura, spero vi piaccia.
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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1.YOU'VE FAILED THIS CITY
Oliver.
"Moira Queen: Tu hai tradito questa città!”. Il mio arco è teso proprio contro il cuore di mia madre. Dentro di me mi dico che lo sto facendo solo per dimostrare a Dig che è in torto. Ma invece anche io voglio sapere la verità. E l'unico modo è guardare lo sguardo impaurito di mia madre che implora pietà senza nemmeno sapere che chi la minaccia sono io.
Ma adesso sono il Vigilante e devo comportarmi come tale, non come Oliver Queen. Già. Ci sono arrivato troppo tardi. Mentre sono perso nei miei pensieri lei estrae una pistola dallo stivale. E spara. Dritto contro il petto di suo figlio.
Non so se vede lo sguardo allucinato dei miei occhi azzurri, ma spero non li riconosca. L'unica cosa che vedo è che lei fugge. Mia madre fugge da me. Per alcuni secondi lo choc è così forte che non sento il dolore. Ma poi arriva tutto e riesco a collegare la fitta lancinante alla mia spalla al calore liquido che invade la mia tuta verde. E gocciola.
 
Strano anche da pensare, ho bisogno di aiuto. C'è persiono qualche probabilità che il proiettile mi abbia forato il polmone. Ma a chi posso chiedere aiuto? Diggle non è al Verdant. E io non posso andare in un ospedale con la tuta verde e una ferita da arma da fuoco. Già immagino cosa potrei dire a mia sorella: "Thea, dopo cinque anni su un isola deserta mi sono dimenticato quand'è Carnevale, così mi sono vestito da Viglante e sono andato ad attaccare briga con il prossimo. Ah si, anche l'arco fa parte del costume. Aspetta un attimo, arco? Quale arco? Dev'essere di qualcun altro"
 
Forse dovrei trovare delle scuse anche per il detective Lance. Lui non mi crederebbe così facilmente. Ma perché diavolo ci sto pensando ora? Sto delirando. Tra la mia coscienza offuscata, mi sono tirato fuori dall'ufficio di mia madre, e sono appoggiato a un vetro, cercando di ragionare, di fare il punto della situazione. Il mio respiro affannato sta appannando il vetro. Intravedo un nome. Il nome di chi lavora in quell'ufficio. Pulisco il vetro per vedere di chi si tratta -non so perché- e capisco che il mio corpo da sopravvissuto mi sta mandando un segnale. Il nome sul vetro dell' ufficio è Felicity Smoak.
 
Il mio vecchio cervello da playboy mi comunica Ah, la biondina. Mentre l'altro cervello, quello nato da cinque anni, mi dice che Felicity è quella piccola ragazza a cui ho fatto hackerare i dati dell' Fbi. Quella che sembra piccola e intollerante al pericolo ma che ha commesso reati federali in rete senza nemmeno fingere di bersi le mie scuse. Quella di cui in effetti ora come ora ho bisogno. Che ora non può non sapere la verità. La ragazza che potrebbe essere l'unica possibilità..
Entro nell'ufficio, e lei non c’è. Per un secondo mi perdo d’animo. La tazza di tè nella scrivania è ancora fumante. La mia mente ragiona. Potrebbe non essere ancora in macchina: spesso va al Take Away affianco al Queen Consolidated Building prima di tornare a casa. Come faccio a saperlo? Non ne ho idea. Devo averla osservata molto. Basta. Di nuovo mi sfuggono i pensieri. Devo essere veloce.
 
Non so come, mi trascino giù sino ai parcheggi aziendali. Riconosco la sua auto, con un colpo secco riesco a disattivare antifurto e chiusura. Mi lascio cadere, ansimante nel sedile posteriore. E aspetto. So di non avere molto tempo prima di perdere conoscenza. Dopo pochi secondi, che però mi sembrano secoli sento dei passi avvicinarsi all'auto. Entra dalla parte opposta da cui sono entrato io perciò non si accorge della macchina scassata. Per lei è tutto normale. Sta per inforcare le chiavi, quando sente i miei ansimi: prima che lo spavento si sparga sul suo viso, io le parlo cautamente: "Felicity, mi devi aiutare."
Ora lo spavento è sul suo viso. Il Giustiziere di Starling in persona è davanti a lei. So che vorrebbe urlare, oppure scappare a gambe levate, ma tutto quello che riesce a dire è : "Come sai il mio nome?"
Un piccolo lampo di lucidità mi fa ricordare che il cappuccio verde è ancora abbassato a nascondermi. Me lo levo con le mani tremanti. "Perché tu sai il mio."
 
 
 
 
 
 
Felicity.
La paura improvvisa sta svanendo e in quell'istante ancora non riesco a capire come e perché.
Poi capisco: i suoi occhi azzurri brillano di strane sfumature anche al buio e il grasso verde a mò di trucco ne accentua forma e profondità. Le sue labbra e le sue mascelle sono familiari anche se contratte in una smorfia di dolore. È Oliver. Il mio capo. Però è vestito di verde. Con un cappuccio, forse di grandezza anormale per finire nelle sfilate Armani. La mano che mi stringe il braccio sporca di rosso la camicetta. Nonostante la mia abilità innata con computer e database vari, ci metto un po' a fare il collegamento. Un grido di sorpresa sta per uscire dalle mie labbra quando noto un arco con una freccia già incrociata nei sedili posteriori. Oliver. Il Vigilante di Starling. Oliver.
Il Giustiziere.
Oliver è il Giustiziere.

Ma c'è un altra urgenza. Ciò che prima sporcava la camicia è sangue, caldo. Senza rendermene conto inizio ad ansimare senza motivo. Sento qualcosa dietro lo spavento: il nervosismo. La sua voce roca mi riporta alla realtà.
"Ti devi fidare. Come io mi sono fidato di te. Mi devi aiutare."
"Cosa posso fare io?", rispondo isterica. "Ho un proiettile nella spalla. Mi devi portare al Verdant". Oliver riesce a malapena a finire la frase e so per certo che questo non è il momento delle conversazioni. Sento il suo sguardo su di me per tutto il tragitto. Ma quando mi volto a guardarlo i suoi occhi sono irrimediabilmente chiusi. Cosa faccio adesso? Innanzitutto apro lo sportello. Fortunatamente il rumore lo riporta con me. Il suo sguardo sofferente mi trafigge al buio e capisco che non posso perdere tempo. È poggiato sulla mia spalla ma in realtà si regge da solo. È incredibilmente forte. Questo non mi dovrebbe sorprendere dato che ho sognato spesso a occhi aperti il suo fisico. L'unica consolazione è che tutte le ragazze fanno questo genere di sogni almeno una volta nella vita. La cosa buona in questa situazione surreale è il silenzio, perché se non ci fosse tutti i miei pensieri imbarazzanti e fuori luogo uscirebbero spietati e senza controllo dalla mia bocca.
Siamo arrivati in uno strano posto e a quel punto Oliver, accasciato in un tavolo di acciaio, mi indica delle pinze. Solo a vederle rabbrividisco. Seriamente il mio capo mi sta chiedendo di estrargli un proiettile dal petto con delle pinze abnormi?
La nausea offusca tutto. Piccolo appunto mentale: devo aprirgli la giacca. Ommiodio. Questo si che è imbarazzante. Con delicatezza apro la cerniera e lascio il suo petto nudo. È pieno di cicatrici.
Rimando con insistenza il momento in cui devo guardare la ferita. Ma Oliver sta male e si vede. Il sudore gli imperla la fronte e le clavicola. La bocca contratta in una smorfia di dolore. Gli occhi ormai quasi chiusi.
Ok, la ferita. Avanti Felicity...
 
Il foro è rosso e viscido, ma il proiettile non è in profondità. Riesco a vederlo! Prendo le pinze e lo estraggo con facilità. Per me è facile, ma per Oliver no. Urla e si dibatte per qualche secondo. Sono in preda al panico, non volevo fargli del male, adesso mi odierà, come minimo. Faccio la cosa più stupida che mi possa venire in mente: gli poggio una mano sul petto nudo, come per rassicurarlo. So immediatamente di aver fatto una cazzata, che non ho tutta quella confidenza, ma evidentemente la temperatura fredda della mia mano lo riporta in se, e riesce pure a calmarlo. ''Felicity", dice, si impegna per pronunciare il mio nome. Fissa il suo sguardo nel mio e mi fa un cenno. A dire, "Grazie", anche se lui non dice. E poi i suoi occhi blu si chiudono come se dopo una lunga giornata, stesse iniziando una meritata dormita.

All'inizio mi sono preoccupata un po'; come mai ha chiuso gli occhi così? È successo qualcosa di grave? Che faccio?
Gli controllo il polso. Il polso, perché se si svegliasse di nuovo mentre gli tocco il collo sarebbe decisamente imbarazzante. Tiro un sospiro di sollievo quando percepisco il suo battito regolare. Wow. Deve davvero averne passate tante per aver sorpassato in questo modo una ferita da proiettile. Questo pensiero mi fa tornare alle sue cicatrici sul petto. Tante. Troppe; lunghe, che dovevano venire da tagli profondi. Altre hanno forme particolari, come striate, forme di stelle. Come un ferro messo a bruciare e poi schiacciato sulla sua carne. All'improvviso so che quelle non sono le cicatrici del giovane playboy che tutte vogliono. Queste sono le cicatrici dell' Isola. Su quell'isola gli hanno fatto del male. Lo hanno torturato. Sento crescere la compassione, cosa che non succederebbe se i suoi occhi fossero aperti e freddi come al solito.
 
Il sangue che scorre lento dalla ferita spegne la mia compassione e accende ancora una volta l'ansia. Corro frenetica in mezzo alla "base" se così vogliamo chiamarla. Io la chiamerei "covo di lusso". Al centro della stanza c'è una fila enorme di schermi e computer (il mio paradiso personale), al lato sinistro una serie di attrezzi per fare esercizi. Dalla parte opposta ai computer c'è una specie di tappeto, penso sia per i combattimenti corpo a corpo. La teca/vetro sarebbe sicuramente la parte più affascinante di tutta la stanza, se non fosse vuota. Adesso c'è un manichino, ma qualcosa mi fa capire che quando Oliver non è il Giustiziere, quel manichino è addobbato di verde. Alla fine trovo delle bende in una sorta di cassetto vicino al tavolo dove Oliver dorme-è-s venuto.
La ferita non sanguina così copiosamente vista da vicino (ormai mi sono abituata alla nausea), così decido di tamponare un po' sangue e poi pulirlo. Pulita, nemmeno la ferita sembra tanto grave. Forse se la caverà senza aver bisogno di punti. Dato che non so creare cerotti mi avvio per arrotolargli le bende per tutto il torace. Sperando che nessuno in giro sia una sorta di missionario che rinfaccia il fatto che i bambini in Africa non hanno bende. Be, in ogni caso non so come non sprecare bende utili e qua non c’è nessuno. Appoggio Oliver al muro e gli tolgo la giacca, tentando di non svegliarlo. Anche se non si sveglia, il suo sonno sembra piuttosto leggero, al minimo tocco emette una sorta di grugnito. Diciamo che questo non è l'aspetto più affascinante di Oliver Queen. Noto che anche le sue braccia non sono da meno, quanto a cicatrici; anche se qua sono  di forma più seghettata, come se fossero guarite grazie a dei punti. Rabbrividisco: il massimo del dolore fisico che io abbia  mai provato in vita mia è stato l'altro giorno, quando mi sono piastrata un orecchio al posto dei capelli. E anche stamattina ho controllato che non ci fosse una qualche strana infezione che possa portarmi alla morte entro pochi giorni.
Prendo il braccio sinistro di Oliver e lo sollevo, facendo passare la garza dalla spalla, poi facendo più giri per tutto il torace. Quando finisco sembra una di quelle magliette corte e con una sola spallina che spesso  lasciavano scoperto l'ombelico di certe ochette a scuola. A pensarci mi viene da ridere. Che schifo ridere in questa situazione, ma forse è una risata isterica. Le mie risa fanno l'eco in tutta la stanza. E anche un'altra voce, più profonda. Che mi minaccia.
Mi giro e mi trovo davanti l'autista di Oliver che mi punta una pistola addosso.
 
   
 
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