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Autore: Fidaide    13/06/2008    4 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I



Il sole di aprile, pallido e velato di nubi che promettevano pioggia, creava giochi di ombre sulle rovine. Gli archi a sesto acuto, quello che rimaneva delle mura della vecchia magione, sembravano ancora più inquietanti, sinistri del consueto, mentre un vento, gelido per la stagione, sibilava attraverso le finestre così simili a due voragini, prive com'erano delle vetrate e di una parete alle loro spalle. Un uomo stava appoggiato al muro centenario, ai mattoni scuri che spiccavano nella verzura del giardino. Gli occhi chiari fissavano freddi un punto non meglio definito del parco che circondava una dimora signorile dai tratti austeri e cupi, a fare quasi da pendant con le rovine gotiche dove si trovava l'uomo. Gli alberi gemevano sbattuti dal vento, i sottili fili d'erba si piegavano di fronte alla furia della natura, il mantello del mago svolazzava scuro quanto le pietre contro cui sbatteva.
Chi l'avesse osservato dalla dimora avrebbe potuto pensare che fosse una statua, tanto era fermo nella sua posizione. Quell'immobilità, mossa unicamente dal vento, fu rotta dall'arrivo di un altro uomo, strettamente avvolto nel suo mantello, come per volerlo far muovere il meno possibile. Si avvicinò al mago appoggiato, ancora immobile, contro le rovine. Il biondo dei capelli, la carnagione chiara, pallida e gli occhi tra l'azzurro e il grigio denotavano la stretta parentela tra i due. Soltanto i tratti del volto, duri quelli dell'uno, più dolci quelli del secondo arrivato, li differenziavano.
«Non pensavo ti trovassi fuori con un tempo simile - disse il nuovo venuto - È stato per puro caso se ti ho visto da una delle finestre.»
«Immagino che sia una faccenda importante quella che ti spinge fuori, Lysiart.» affermò l'altro, voltando finalmente il capo verso il suo interlocutore.
«Le condizioni di nostro padre sono sempre più preoccupanti. L'infermiera sostiene che non gli rimarrà ancora molto da vivere.»
«Lo sosteneva anche il medimago che l'ha avuto in cura l'anno scorso.» constatò l'uomo senza che l'espressione del suo volto cambiasse.
«Sembra quasi che non te ne importi nulla, Abraxas - ribatté l'altro accorato - Si tratta pur sempre di nostro padre.»
«Ed io credo, Lysiart, che ormai dovresti conoscermi.» disse l'uomo appoggiato alle rovine, con una calma quasi innaturale.
L'altro chinò il capo al suolo, quasi in un moto di sottomissione, come se le parole del fratello lo avessero sconfitto. Si disse, come faceva spesso, che tra i due era di certo Abraxas ad apparire il maggiore, quando la realtà anagrafica diceva l'esatto contrario. Forse era per questo che il padre aveva sempre accordato la sua preferenza al secondogenito, così simile a lui.
«Hai ragione. - disse infine Lysiart quietamente, il tono leggermente fioco, mentre tornava ad alzare il capo - Eppure le parole dell'infermiera sembrano così reali. La signorina O'Connor appare assolutamente affidabile.»
«Dovresti imparare a dubitare maggiormente della gente, Lysiart. - controbatté il fratello - Soprattutto della signorina O'Connor. Non mi sembra così affidabile come dici e non mi sembra nemmeno così competente come vuol far credere.»
«Credi che sia meglio licenziarla?» domandò Lysiart incerto.
«No. - rispose semplicemente l'altro - Se licenziassimo la signorina O'Connor, non credo che troveremmo nulla di meglio, considerando che già lei era la migliore sul campo.» concluse, gli occhi fissi su Lysiart.
«Forse - iniziò il fratello - potrei prendermene cura io.»
«Andiamo Lysiart, non sei nemmeno stato in grado di prenderti cura di tua moglie, come puoi pretendere di riuscirci con nostro padre.» ribatté Abraxas, alzando appena un sopracciglio.
Il silenzio calò tra i due uomini, un silenzio interrotto unicamente dallo stormire delle foglie, dal frusciare dell'erba e dallo sbatacchiare del mantello del fratello minore contro le mura delle rovine. In lontananza si udì il rombo del tuono, che fece voltare di scatto Lysiart verso il luogo da cui sembrava provenire, da qualche parte a oriente, oltre il muro di cinta.
«Sai perfettamente come è andata, Abraxas.» affermò, infine, Lysiart, riportando lo sguardo sul fratello minore, per poi calarlo velocemente verso il suolo.
«Sì, lo so.» rispose solamente l'uomo, alzando per un istante gli occhi verso il cielo, ormai totalmente coperto di nubi, mentre il vento cresceva di intensità sferzandogli il volto.
Quando tornò a posare lo sguardo sul fratello, notò che teneva ancora gli occhi fissi al suolo, come se volesse studiare il movimento dei fili d'erba, che lottavano tra loro, piegati dalla tempesta imminente. Non riusciva a capire Lysiart, il più delle volte. Era così dissimile da lui, da suo padre, che quasi non sembravano avere legami di sangue. Era certo che se non fossero stati così facilmente riconoscibili come parenti esteriormente, nessuno li avrebbe detti fratelli. Si chiedeva come l'altro uomo potesse essere così dannatamente sentimentale, così debole, così ingenuo nel valutare le persone che lo circondavano.
«Non credi che sia meglio rientrare. - disse Lysiart, a voce più alta del solito, per sovrastare il rumore del vento e del tuono, ormai più vicino, quasi amplificato dal gioco di pieni e di vuoti delle rovine - Questo tempo è inquietante, soprattutto in questo luogo. Siamo troppo vicini a quei ruderi.»
«Non essere infantile.» ribatté Abraxas, continuando a fissare il fratello, che non aveva alzato il capo verso di lui, nemmeno mentre pronunciava quelle parole.
«Non riesco ad essere come te. - affermò Lysiart, alzando improvvisamente il volto - Così…così assolutamente a suo agio nel mezzo di una tempesta…così…- si interruppe, distogliendo gli occhi da quelli del fratello - …così impassibile di fronte ad ogni cosa…così simile a nostro padre, quando ancora stava bene.»
«Non ha nulla a che fare con il mio discorso l'essere o meno simile a nostro padre. - gli occhi di Abraxas indugiarono ancora per qualche istante sul fratello, prima di andare a portarsi su un vecchio salice piangente che pareva gemere più di tutti gli altri alberi- Ho soltanto espresso un'opinione, Lysiart.»
Il fratello maggiore tornò a chinare il capo, ancora una volta sconfitto, ancora una volta perdente. Sentì per un solo breve istante gli occhi inumidirsi di lacrime, che riuscì a trattenere, a ricacciare indietro. Non era più il ragazzo più grande che piangeva per le parole di quel fratello minore a cui avrebbe voluto assomigliare, in un miraggio che rimaneva anche allora, quando entrambi avevano superato la trentina, lontanissimo.
«Torno dentro, Abraxas.» annunciò infine, senza alzare lo sguardo, come se gli fosse troppo difficile osservare il fratello in volto.
L'altro non si mosse, né fece un qualche cenno di saluto, lasciando che Lysiart si allontanasse rapidamente, quasi di corsa,. Gli sembrò che stesse fuggendo dai tuoni che si facevano sempre più intensi e fragorosi, mentre le nubi gravavano sul suo capo, sempre più cariche di pioggia. Lasciò che il mantello continuasse a sbatacchiare per il forte vento, rimanendo immobile per diversi istanti. Poi, lentamente, fece qualche passo lungo le rovine, camminando in direzione opposta rispetto a quella intrapresa dal fratello. Si fermò soltanto quando ebbe raggiunto l'ultima delle finestre a sesto acuto, quella su cui si arrampicava tenace dell'edera. Sfiorò appena una pietra che ancora si intravedeva in quel garbuglio verde, poi tornò sui suoi passi, iniziando poco dopo ad attraversare lo spazio erboso che lo separava dalla dimora. Alcune gocce di pioggia iniziarono a colpirlo, poco distante dalle mura settentrionali di Malfoy Manor. Senza affrettare il passo continuò ad avanzare fino a che non arrivò quasi a sfiorare le pietre scure dell'abitazione. Prese a costeggiarle, giungendo all'angolo che congiungeva il lato settentrionale a quello orientale. Continuò a seguire le mura della casa di famiglia, mentre la pioggia continuava a bagnarlo, ormai insistente, il mantello e gli abiti zuppi, come i capelli, che gli si incollavano al volto, rendendo forse ancora più duri i suoi lineamenti. Un tuono echeggiò più forte, mentre raggiungeva la grande porta che immetteva all'interno della dimora, sovrastata da un arco a tutto sesto, dal decoro semplice e asciutto, austero, e leggermente rovinato dalle intemperie in alcuni punti. Salì i quattro gradini, che le generazioni di Malfoy che li avevo utilizzati avevano reso lisci e irregolari, raggiungendo infine il vasto atrio d'ingresso. Appena dentro estrasse la bacchetta da una tasca del mantello e mormorò rapido un incantesimo che gli asciugò in pochi istanti i panni ed i capelli.
I passi risuonarono sul pavimento di pietra, rimbombando nella vastità dell'ambiente, sorpassando il ticchettio insistente dell'acqua sulle due ampie vetrate che si aprivano ai lati della porta. Girò a destra, verso un altro uscio, in legno massiccio, con piccole foglie di vite intagliate al centro, dove si univano i due battenti. Lo aprì fermandosi sulla soglia, come per osservare la scena che gli si parava davanti. Due elfi domestici stavano lavorando in un angolo dell'ambiente e, se non avesse notato qualcosa di strano nel loro comportamento, sarebbe passato avanti, avrebbe attraversato il salotto di anticamera, poi la sala da pranzo, per raggiungere infine la biblioteca. Invece qualcosa lo fece fermare. In uno dei due esseri c'era una tensione che mai aveva notato, le rare volte che li aveva in qualche modo osservati, in uno di loro. Non si mosse dalla sua posizione, fermo, immobile sulla soglia della stanza, gli occhi fissi sui due elfi domestici che stavano in angolo dell'ambiente, tra una poltrona in stile Luigi XV e il camino, intenti probabilmente a sistemare qualcosa nello stipo intarsiato appoggiato all'angolo tra la parete di fronte e quella su cui si apriva l'uscio che immetteva nella sala da pranzo. Vide l'elfo che aveva attratto la sua attenzione abbandonare improvvisamente il suo lavoro e allungare per un istante una mano grinzosa verso l'altro, per poi allontanarla bruscamente e arretrare di un passo, prima di tornare ad avvicinarsi allo stipo e iniziare a colpirlo con il capo, punendosi.
«Signor Malfoy - lo chiamò una voce alle sue spalle, impedendogli di formulare il benché minimo pensiero sulle motivazioni che potevano portare quell'essere a punirsi quando sembrava che stesse facendo quanto era suo dovere fare - meno male che l'ho trovata, è successa una cosa terribile.»
«Cosa è avvenuto, signorina O'Connor?» domandò l'uomo voltandosi lentamente verso la sua interlocutrice, una donna di qualche spanna più bassa di lui, con i lunghi capelli, come sempre, raccolti in una treccia.
«Il signor Malfoy, suo padre, signore, è scomparso.» affermò con voce leggermente allarmata l'infermiera.
«Lei, signorina, cosa stava facendo, invece di badare alla salute del suo paziente?» Mentre parlava il corpo dell'uomo si appoggiò allo stipite della porta, fissando con attenzione il volto della donna, un sopraciglio leggermente alzato.
«Sono andata a prendere una medicina dallo stipo che si trova nel bagno comunicante alla camera dove il signor Malfoy si stava assopendo sulla sua sedia a rotelle. - l'infermiera trasse un leggero sospiro, prima di continuare - Sono stata via per poco tempo, glielo assicuro. Quando sono tornata non c'era traccia di lui e quello che è peggio, signore, è che devo somministrare quanto prima quel medicinale, onde evitare una brutta crisi o peggio.»
«Mi vuole spiegare, signorina, com'è possibile che un uomo nelle condizioni di mio padre possa alzarsi e scomparire?» domandò Abraxas staccandosi dallo stipite per iniziare ad avviarsi verso le scale che conducevano al piano superiore, immediatamente seguito dalla donna.
«A volte suo padre, signor Malfoy, sembra ritrovare la forza perduta. Ne ho parlato una volta con suo fratello. - con un gesto nervoso si sistemò una ciocca di capelli che le era sfuggita dalla treccia - È qualcosa che accade raramente.»
«Ma a quanto pare è accaduto oggi, signorina.» sentenziò Abraxas, iniziando a salire l'ampia scalinata della stessa pietra scura con cui erano state costruite le mura esterne.
«Non mi perdonerei mai se dovesse succedergli qualcosa, signor Malfoy - affermò la donna, mentre seguiva l'uomo su per le scale - soprattutto considerando che deve prendere quella medicina. È fondamentale. Devo somministrargliela ogni giorno a quest'ora e sono già in ritardo di alcuni minuti. Non oso immaginare cosa potrebbe accadere se…»
«La smetta di ciarlare, signorina O'Connor.» la interruppe Abraxas, senza nemmeno voltarsi verso di lei.
Il passo dell'uomo non accelerò mai, nemmeno quando raggiunse il piano superiore e il lungo corridoio su cui si aprivano le stanze della parte orientale dell'abitazione. Ignorò completamente le poche porte che si trovavano alla sua sinistra, per avviarsi deciso verso una di quelle che si trovavano dalla parte opposta, ancora aperta. La camera di suo padre era esattamente come appariva ogni giorno. Il grande letto a baldacchino con i tendaggi di pesante velluto di una tonalità particolarmente scura di blu, lo scrittoio, dove un tempo l'uomo sbrigava i suoi lavori per il ministero. L'unica cosa che stonava era la sedia a rotelle vuota, priva del suo abituale occupante, di quell'uomo, un tempo deciso, autoritario, ridotto dalla malattia a poco più di un vecchio fossile debole e indifeso. Anche la piccola porta che immetteva in una stanza di servizio era aperta, segno, pensò l'uomo, che la signorina O'Connor era corsa effettivamente subito ad avvertirlo.
«Non può essere andato molto lontano - affermò Abraxas, voltandosi verso la donna, che era rimasta ferma sulla soglia - non nelle sue condizioni.»
«È necessario trovarlo quanto prima, signor Malfoy. - disse l'infermiera - La sua medicina…»
«Lo so - ribatté l'uomo - e credo, signorina O'Connor, che la cosa migliore sia separarsi. Lei lo cerchi nella parte meridionale, io farò altrettanto in quella settentrionale di questo piano. Ci rincontreremo nel lato ovest, sempre che uno di noi due non lo ritrovi prima dell'altro. In quel caso invieremo un patronus. - fece una pausa - E prenderemo con noi la medicina che gli va somministrata. - continuò pratico - Immagino ce ne sia più di una dose nello stipo.»
«Esattamente, signor Malfoy.» confermò la donna, entrando nella stanza, per poi sorpassare l'uomo e recarsi rapida verso la piccola camera di servizio, da cui uscì poco dopo reggendo un'ampollina colma di un liquido sul viola, che porse ad Abraxas.
L'uomo annuì appena, mentre studiava per qualche istante l'ampolla, poi diede le spalle alla donna e si diresse fuori dalla stanza, svoltando a destra, iniziando ad aprire una delle porte che si trovavano lungo il suo percorso, passando su entrambi i lati del corridoio, trovandone tre vuote, fermandosi soltanto nella quarta, dove campeggiavano diversi strumenti musicali, disposti in un ordine perfetto. Qui un uomo dal mento allungato, di qualche anno più anziano di Abraxas, stava riponendo un antico liuto, con tanta attenzione e precisione da non accorgersi, se non dopo qualche istante della presenza dell'altro.
«Signor Malfoy, non mi aspettavo che venisse già adesso in questa stanza. - fece una breve pausa - Mi sono preso la libertà di mettere ordine, spero che questo non la disturbi.»
«Affatto, Green. - rispose l'uomo, osservando l'altro, impeccabile nella sua livrea da maggiordomo - Ma credo che dovrai interrompere la tua opera. Mio padre è introvabile e non potrebbe che aiutare qualcun altro a cercarlo, oltre a me e alla signorina O'Connor.»
«Certo, signor Malfoy.» rispose l'altro affabile, mentre si dirigeva verso la soglia.
Abraxas si voltò e lo precedette fuori dalla stanza, per poi voltarsi verso di lui e indicargli con un cenno del capo le scale che conducevano all'ultimo piano della dimora. Rimase per qualche istante immobile, fissando la figura dell'uomo scomparire lentamente alla vista, poi si voltò e riprendendo ad esaminare ogni stanza, si rimise alla ricerca di Adolar Eustace Geoff Malfoy.




Ecco una nuova avventura, una nuova storia, scritta a quattro mani da Alaide e Fidia. Ovviamente ogni commento è più che gradito!

  
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