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Autore: Dicembre    18/06/2008    3 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Undici

- Casa -

 

 

La stanza in cui entrarono era ampia, a pianta circolare. Nero fu stupito da quella particolarità architettonica e si osservò bene intorno. L’atrio, perfettamente tondo, non aveva finestre, le pareti erano altissime e tappezzate di libri. Lontano, sulla destra, si apriva un corridoio così stretto che Nero si chiese se un uomo adulto potesse entrarci senza girarsi da un lato. Si diresse verso quella piccola fessura che notò, in realtà, essere molto più larga di quello che gli era apparsa all’inizio: era un corridoietto abbastanza corto che portava in una stanza speculare a quella prima. Anche sul perimetro di questa vi erano libri più o meno antichi e nessuno spazio per altro.

Nero notò che anche in questa stanza, come in quella precedente, non vi erano finestre alle pareti, né tavoli dove poter leggere. Si girò verso Lord Aaron per chiedergli spiegazioni, quando questi gli indicò un’altra piccola apertura sulla parete della seconda stanza, un secondo corridoietto nascosto dietro una pila disordinata di libri. La terza stanza, anch’essa a pianta circolare, era molto più ampia, con un tavolo appoggiato da un lato ed un divano dall’altro. Quest’ultimo era piuttosto basso, ricoperto da cuscini che sembravano cuciti d’oro. La stoffa era di un rosso acceso, lucido, Nero non potè fare a meno di toccarla: “Seta” bisbigliò stupito, osservando i ricami sopra i cuscini: l’argento e l’oro dei fili si amalgamavano in disegni esotici.

“Viene dall’India” spiegò Lord Aaron: “l’ho avuto da un mercante che m’aveva promesso Balsamo di Gelsomino, ma che m’ha portato questo…” sorrise

“Uno scambio sicuramente vantaggioso, ma non capisco, perché tenerlo qui?”
”Invece che nelle mie stanze intendete?”

Il Nero annuì.

“Qui vengo solo io, la porta è aperta ma ai servitori non interessano i libri, nessuno saprebbe leggerli. Mio padre non esce più dalle sue stanze ormai da qualche anno… Per quanto invece riguarda gli ospiti, ne abbiamo solo nelle feste comandate e di solito non è in biblioteca che passano il loro tempo…”
Nero annuì, continuando a guardarsi in giro, meravigliato dall’enorme quantità di libri.

“Dante…”
Aaron si stupì “Conoscete l’italiano?”

“Vivendo con Cencio, è praticamente impossibile non saperlo: parla di notte. Inoltre abbiamo trascorso diverso tempo a Sud, di ritorno dall’Oriente, al servizio di alcuni mercanti di Venezia. Ho avuto modo i impararlo lì”

“Dei mercanti…Avete viaggiato con loro?” dalla voce di Aaron trapelò entusiasmo, la curiosità di chi avrebbe voluto, ma non poteva mettersi in viaggio.

“No, anche se mi sarebbe piaciuto… Eravamo stati assoldati per proteggere una congrega di mercanti da saccheggiatori che si trovavano nella città. Ma non vi nascondo che mi sarebbe piaciuto andare con loro, in India, magari” disse passando la mano sul divano, ma di nuovo si girò verso la libreria

“Se vi piace, potete prenderlo”

Lord Aaron si diresse verso la parete dove si trovava la Divina Commedia e la sfilò dal suo posto

“Potete leggerlo, portarlo con voi in stanza o se preferite, venirlo a leggere qui quando più vi aggrada”

Nero fece per protestare, ma il padrone del castello gli sorrise con uno di quei sorrisi che Nero iniziava a trovare disarmanti: “Non sono così accecato dal mio entusiasmo per l’avventura da non riuscire a vedere quello degli altri”.

Nero prese il libro fra le mani, non trovò nient’altro da dire se non un semplice grazie.  Era stupito dalla sensibilità e dalla capacità d’osservazione del suo interlocutore: nonostante sapesse di non aver dato evidenti segni di  voler quel libro, era impaziente di leggerlo.

Raramente aveva modo o tempo di leggere libri, non avendo una dimora fissa non poteva portarli con sé, né conservarli in un luogo sicuro. 

“E credetemi quando vi dico” aggiunse lord Aaron che sembrava leggere i suoi pensieri uno ad uno “che potete venire qui quando volete, leggere quello che preferite. Per tutta la durata della vostra permanenza, vi prego siate mio ospite anche fra queste stanze”

Nero non sapeva, né capiva come fosse possibile che Aaron capisse così chiaramente il suo animo e lo facesse sentire così quieto e a proprio agio. Sorrise a se stesso, al pizzico di gioia che aveva provato in quell’istante. Si sentì uno sciocco, ma sorrise ugualmente coinvolto dal piacere di un gesto così banale quale quello appena fatto dall’altro; così banale, ma non per questo, di meno valore…Non c’era da nascondersi e non c’era da tacere, e questo lo rendeva felice.

“Non vedo finestre in queste stanze, però”

Aaron indicò il soffitto che Nero notò essere fatto, nella quasi totalità, in vetro

“E stata una trovata di mio nonno, ha studiato anni per poter costruire un tetto che non crollasse  sotto le intemperie di queste zone…” Aaron rise al ricordo “Quando fece erigere questa biblioteca seguì personalmente tutte le fasi di costruzione!”

“Devo ammettere che il risultato è splendido”

“Gli avrebbe fatto piacere sentirlo dire. Mi ricordo che, da piccolo, mi sembrava strana questa stanza, avevo sempre paura che il soffitto sarebbe precipitato, ma poi, quando ho capito che non sarebbe successo, ho iniziato a passarci del tempo anche solo per guardare il cielo”.

“Addormentarsi in un posto caldo guardando le stelle è un lusso di pochi”

“Date una lettura di questo posto molto romantica” disse prendendolo in giro, ma al contempo gli disse “Mi sono addormentato così tante volte su quel divano, guardando il cielo e immaginandomi chissà dove, che ormai ho perso il conto.”
”Avete veramente un grosso entusiasmo per i viaggi”

Aaron sospirò: ”E’ l’entusiasmo che il cieco ha per la luce, inutile e a volte, temo, fastidioso”

“Fastidioso non direi proprio, la curiosità per ciò che ci circonda non può creare fastidio, non credete?”
”Lo penso anch’io, ma temo spesso di eccedere, nel tentativo di supplire con le parole alla mia impossibilità di muovermi da questo posto”

“Vorreste andarvene?”

I due si guardarono, e Aaron indugiò un attimo sulle ciglia lunghe del suo interlocutore. Sapeva bene che la domanda non era così semplice come poteva apparire, portava con sé il fardello di una persona che se n’era davvero andato di casa per motivi a lui sconosciuti, ma che erano stati abbastanza forti da fargli prendere una decisione radicale.

“No” rispose scuotendo la testa “Vorrei visitare altri posti, non andarmene di casa”
Era una risposta sincera, diretta. La sua casa era lì, fra i mattoni algidi di quel castello e l’aria gelida della bruma mattutina. Poteva essere solitaria e quindi fredda, ma quella rimaneva pur sempre casa sua.

“E’ un sentimento che vi invidio molto, devo essere sincero, ma faccio fatica a comprendere…” sospirò il Nero.
Aaron non interruppe il corso di pensieri del cavaliere, si sedette sul divano indiano indicandogli di sedersi al suo fianco. Istintivamente, come faceva sempre quando si sedeva lì, solo nella stanza, si rannicchiò nell’angolo sprofondando la schiena nei cuscini e appoggiando la testa sulle ginocchia.

“Tempo fa, il mio Ataman mi disse la stessa cosa, mi disse che visitare altri posti è bello solo se si ha una casa dove tornare.”
”Il vostro Ataman?”

“E’ il capo dei cosacchi tartari, i Nagaybäk. Con loro ho vissuto per tre anni dopo aver lasciato l’Inghilterra”
”Nella Russia Orientale?” chiese stupito Aaron

“Sì, non mi chiedete come mai sia finito tre anni  fra i cosacchi tartari perché non sarei in grado di dirvelo”. Scosse la testa sorridendo “Ho dei ricordi piuttosto confusi del tragitto che da Calais mi portò in Oriente, eppure ci arrivai io, sul dorso di un cavallo. Possiamo dire che mi sono perso”

“Perso! In Russia. Mi pare un posto piuttosto lontano per perdersi…”
”Essere lì o da qualunque altra parte, per me non aveva importanza, quindi quando l’Ataman mi chiese di rimanere, accettai di buon grado. Ero affascinato dalle loro vite e dal loro modo di cavalcare, mi sembrò una ragione sufficiente per rimanere un po’”

“E vi adottarono?” Aaron suonò piuttosto confuso

“In realtà no, è contrario alle loro usanze adottare qualcuno. Dicono che adottando si obbliga qualcuno a rimanere fermo in un posto e loro pensano sia sbagliato”

“Ritengono sia sbagliato l’obbligo, o proprio avere una dimora?”

“Ritengono sia sbagliato che siano loro a sceglierla per te. I cosacchi sono nomadi, e fu proprio l’Ataman a convincermi che quello che avevo fatto, sebbene folle, non fosse sbagliato. Nessuno di loro ha una casa in pietra, o una residenza alla quale fare ritorno, tutti considerano la loro casa il luogo dove si trovano gli altri. A volte capitava che ci si fermasse in una particolare zona della regione per mesi. Ciononostante nessuno aveva dispiacere a lasciare le terre dove si era abitato per un po’ di tempo, dicevano che non è la terra che dona ad un uomo una dimora, ma sono i suoi compagni a farlo”.

“E’ l’opposto di quello che si pensa qui in Inghilterra, dove ora si fa guerra per rivendicare il diritto alla terra”
”E voi pensate sia giusto?”

“Sono stato educato in questa cultura e sono cresciuto in un posto che ora mi sento di chiamare mio. Non vorrei abbandonarlo, ma non saprei dirvi perché, se è per le mura che lo compongono, per le persone che ci vivono o per i ricordi che evoca… Non lo so davvero…” Aaron scosse la testa per enfatizzare le sue parole. “Perdonate la mia insolenza, però, non posso fare a meno di chiedermi che senso abbia per il vostro Ataman dire che visitare perde di senso se non si ha una casa dove tornare. Da quel che mi dite, lui la sua casa la portava con sé.”

Nero rise “Sì, e questo certo non sarebbe pratico con le case inglesi!”

Guardò i capelli di Aaron sparpagliati sul divano e non riprese subito a parlare, rimase incantato nel cercare di discernere quali fossero i ricami e quali invece appartenessero al suo interlocutore, poi riprese il discorso “Ed è per questo loro modo di vedere le cose che Levante è tornato con me in Europa. Lui, di contro, soffriva questa mancanza totale di radici. Quando decisi di tornare ad Ovest, venne con me… e a quanto ne so è ben intenzionato a metterle!” sorrise, ricordandosi dell’imbarazzo di Levante quando la sua destinazione era stata scoperta dai compagni

“Una donna?”
”Una veneziana, sì.”
”E l’Ataman l’ha lasciato andare?”
”Senza tentare di persuaderlo a rimanere, nonostante, sono sicuro, soffrisse di vederlo andare via”

“Da come ne parlate, provate un gran rispetto per quest’uomo”

“M’ha insegnato molto e senza di lui, non sarei arrivato a diciott’anni. Le tentazione di partire per mare e unirmi a qualche gruppo di avventurieri, a quell’età, era forte. Pochi ragazzini sapevano impugnare la spada come lo facevo io perché pochi ragazzini potevano vantarsi di avere avuto Anselm come maestro d’armi. E questo, ai tempi, mi riempiva di arroganza…”

“Un pirata..?” chiese Aaron spalancando gli occhi incredulo e divertito. “A vedervi ora sembrate tutto il contrario, con la vita dei vostri uomini fra le mani ed un atteggiamento assennato. Chi l’avrebbe mai detto! Ora potreste essere il terrore dei mari, con una benda nera sull’occhio, un cappello che vi adombra il viso e un uncino al posto delle dita” Aaron lo prese in giro, mimando la benda, il cappello e l’uncino con le mani sotto gli occhi meravigliati di Nero che, alla fine tentò di afferrare la mano del suo interlocutore per farlo smettere di prendersi gioco di lui. Aaron riuscì ad evitare la presa e scoppiò a ridere, cosa che fece subito dopo anche Nero.

“Sono contento di avervi conosciuto sotto altre spoglie però” disse Aaron ritornando serio e stringendosi nelle spalle “non sono sicuro che da pirata mi sarei sentito così sicuro vicino a voi”

Siete una persona che dà molta sicurezza, aveva detto e il sentirlo di nuovo commosse il Nero che non replicò subito, lasciò che quella sensazione gli accarezzasse le pelle. Temeva che le parole potessero  disperderla.

Guardò di nuovo capelli di Aaron sparpagliati sui cuscini insieme ai ricami dorati:

“Non sono mai stato in India. L’Ataman m’ha raccontato di cose meravigliose…” disse più fra sè e sè che al suo interlocutore.

“Se è vero come dite che loro hanno la loro casa laddove esistono i loro cari e non dove ci sono i mattoni che ne delimitano il perimetro, come possono staccarsi così facilmente gli uni dagli altri? Com’è possibile che l’Ataman non si sia dispiaciuto di vedere partire Levante o voi, dopo avervi preso sotto la sua ala protettiva per tre anni?”

“Non credo non fosse triste, o non preferisse rimanessimo. Tuttavia quando Levante gli chiese consiglio, fu lui il primo ad incitarlo…”

Aaron scosse la testa “Forse sono io ad essere possessivo, o forse egoista.”

“Penso che siate semplicemente molto legato a questo luogo per quello che rappresenta per voi. Sinceramente non penso che la sua interpretazione di casa fosse migliore o peggiore di quella inglese, ma non vi nego che m’ha dato speranza”

“Speranza?”

“Di trovare la mia”

Lord Aaron guardò il Nero che aveva gli occhi persi chissà in quale posto, chissà dietro quale ricordo… Trovare una casa…

Era un concetto astratto per lui, completamente nuovo. Pensò a sé e si rese conto che se non avesse avuto un luogo da poter chiamare casa, probabilmente, si sarebbe sentito perduto, in mezzo al niente

“Io non sono coraggioso come voi” bisbigliò “Ammiro molto questa vostra forza”

Il Nero scrollò le spalle e sorrise, non l’aveva mai considerata forza. A volte era disperazione, a volte solitudine, a volte addirittura, pura e inutile abitudine.

Era una strada che non prevedeva alternative, un giorno forse, Nero ne avrebbe trovato la fine, ma per ora non gli rimaneva che cercare.

Aaron non capì subito se la malinconia che percepiva sulla sua pelle fosse la sua reazione a quegli occhi neri così distanti oppure se non fosse propria, ma fosse emanata dal cavaliere di fronte a lui. E allora fece un gesto senza pensarci, un gesto che più volte avrebbe maledetto in futuro ma di cui non si sarebbe mai pentito. Un gesto semplice, in quell’atmosfera ovattata notturna, in cui il loro respiro e il crepitio del fuoco erano gli unici suoni udibili. Prese la mano di Nero e gli accarezzò i palmi, se la portò al volto prima e se l’appoggiò fra i capelli.

Il cavaliere lasciò che la sua mano fosse guidata senza opporre alcuna resistenza, quei capelli sembravano seta fra le sue dita: le intrecciò fra quei fili dorati e lasciò che la sua mano fosse condotta dall’altro.

Aaron la fece scorrere fra i capelli, accarezzando poi con la guancia il polso del cavaliere e permettendo alle dita di questo di sfiorargli la nuca.

Nero la sentì correre, prima lungo il braccio poi per tutto il corpo: una sensazione avvolgente, di intensa tranquillità; una sensazione di amore profondo, antico, che sembrava avere radici salde. S’irradiò e permeò la sua pelle e la sua persona.

Era dolce, era violenta, era intima, era esuberante. Era bellissima.

La sensazione fu così intensa che gli tolse il fiato per un attimo. Ma questo fu quanto il tutto durò.

Poco prima che Aaron gli sfilasse la mano da capelli, Nero percepì un leggero alito di solitudine.

“Scusatemi” disse alzandosi e allontanandosi dal divano “ avrei dovuto impedire che un sentimento così negativo trapelasse”.

Nero non riuscì a dire niente, l’onda che l’aveva percorso era ancora troppo viva in lui e troppo sconosciuta per non rimanerne affascinato: Lord Aaron aveva condiviso quello che per lui significava casa.

Non si accorse quindi che le guance di Aaron erano rosse e i suoi passi troppo veloci.

Rimase fermo, orfano di una sensazione nuova, e disorientato.

Aaron prese un libro dalla biblioteca “Questo era il libro che volevo leggeste” disse rapidamente, non osando neanche porgere il libro a Nero, ma preferendo appoggiarlo sul tavolo. Il cavaliere avrebbe notato che la sua mano stava tremando, e Aaron voleva evitarlo. Voleva prendere aria, perché stava soffocando.

“E’ uno dei pochi scritti in cui si parla dell’Alito di Dio, ho pensato potrebbe interessarvi. Purtroppo le mie ricerche non hanno dato molti risultati.

E’ meglio che vada ora, voi potete rimanere qui e tornare ogni volta che vorrete e… scusate ancora…”

L’aria era densa, doveva uscire di lì. Non trovando parole migliori, si scusò così, semplicemente e si allontanò, il più in fretta possibile.

Pensò di essere sciocco ed ingenuo. Pensò di essere uno stupido.

Tremava perché quel contatto l’aveva emozionato. Niente di più e niente di meno: il suo cuore era stato invaso da un’emozione così violenta che Aaron aveva avuto paura. Un’emozione che non avrebbe dovuto provare e che era incontrollabile… La solitudine era stata una buona scusa per interrompere quel contatto, ma la realtà era stata che Aaron non aveva avuto il controllo su quello che provava, e sfilare la mano dai suoi capelli era stata l’unica possibilità perché Nero non leggesse nel suo animo.



***


Stateira: Grasssie, sai che adoro i tuoi commenti e quanta considerazione ne abbia *_* Sì, in effetti questi capitoli vanno letti velocemente, il rapporto fra "i due" ci mette un po', ma sono felice che traspaia l'intesa e soprattutto, la condivisione di percorsi di vita così diversi ma allo stesso tempo simili *_* E Luppolo...Beh, dato che mi sono affezionata al nostro scozzese, ho ritagliato parte del racconto per lui. E' l'anima yaoi che ha reclamato vittime sacrificali HAHAHA

BiGi Lo faccio anch'io, ecco perchè l'ho scritto. Ci sono alcuni attimi della vita che inevitabilmente, ti segnano e ti cambiano... Un bacione, grazie per la recensione *_*

  
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