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Autore: Water_wolf    20/02/2014    18 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Easy things ended when we’re born

♦Astrid♦
 
Non mi piaceva il fatto che Hermdor volesse parlare ad Alex, affatto. E mi piacque ancora meno, quando Nora, sua sorella, ritornò dal Forte senza di lui. Smisi di fare avanti-indietro, notando che lì dove avevo marciato l’erba si era appiattita fin troppo.
Lars si tirò su, scostandosi dalla faccia i ciuffi biondi che gli erano ricaduti davanti agli occhi. A differenza mia, lui aveva mantenuto un atteggiamento rilassato, quasi indifferente. Ma il figlio di Eir aveva sempre quel comportamento distaccato, come se nulla lo sfiorasse. In certi momenti, desideravo poter fare lo stesso.
Nora ci raggiunse, il passo indeciso e gli occhi grigi in subbuglio, il viso un po’ pallido.
«Cos’è successo?» indagai subito, senza curarmi di nascondere troppo l’ansia.
La figlia di Odino si morse il labbro inferiore. «Loki ha convinto mio padre a vietare il Valhalla a mio fratello, se fosse partito per New York» rivelò in un sol fiato.
Lars corrucciò la fronte, una vena sul suo collo si gonfiò; forse l’espressione più stupita che gli avessi mai visto. Mi si seccò il palato e feci fatica a parlare ancora.
«Alex non può aver accettato questo» protestai.
Nora scosse la testa, affranta. «È un idiota» ribatté, «ma vuole aiutare Percy, a tutti i costi.»
«Molto nobile, eppure così stupido» commentò Lars.
«Adesso dov’è?» domandai, facendo un passo avanti, quasi volessi aggredirla.
Il che non era molto lontano dalle mie fantasie, visto che, se qualcuno mi avesse detto che il ragazzo che mi piaceva era stato estromesso dal Valhalla, non avrei esitato a legarlo al cofano della macchina e percorrere il Paese da nord a sud, pur di fargli sputare che mentiva.
«S-sta facendo una passeggiata nel bosco per schiarirsi le idee» rispose, presa in contropiede. «Non credo che…»
Ma non l’ascoltavo più. Marciai furiosa verso la foresta che circondava il Campo, facendo appassire i denti di leone e altri diversi fiori al mio cammino. Dovevo avere anche un’aria più cupa del solito, perché i semidei che incrociavo si facevano subito da parte, lasciandomi passare. Forse temevano che sarebbero appassiti anche loro.
Già, come se avessi tempo da sprecare con loro, quando dovevo assolutamente far cambiare idea a uno dei peggiori zucconi della storia. Gli aghi di pino crepitavano sotto la suola dei miei scarponi, gli uccelli annidati tra le fronde mi squadravano con i loro occhietti piccoli e neri.
Trovai Alex quasi in cima alla collinetta nei pressi del Forte. Camminava con le mani in tasca, lo sguardo perso a guardare il cielo.
«Tu» lo richiamai con un ringhio.
Si girò di scatto, trattenendo un sobbalzo. «Astr-»
Gli fui addosso, gli mollai uno schiaffo, poi un altro, e avrei continuato, se non mi avesse afferrato il polso e bloccato la mano.
«Ma che ti prende!?» sbraitò.
«Mi prende che sei un cretino!» sbottai.
Mi liberai dalla sua presa, gli puntai l’indice contro il petto, facendo pressione. Avrei tanto, tanto voluto prenderlo a calci fino a sentire così male da obbligarlo a rimanere qui.
«Non puoi farlo.» Suonava come un ordine.
Sapeva a cosa mi riferivo. «Be’, l’ho fatto, e dovresti essermi grata!» scattò.
«Grata per saperti sempre in pericolo? Oh, certamente» replicai. «Sai quanto è facile morire per noi e cosa ti farebbe Hell, visto che hai anche ucciso la sua figlia prediletta. Non pensi a tua madre, al dolore che le darai?» gridai.
Non pensi a me?, aggiunsi nella mia mente. Alex, però, era ancora troppo ingenuo per capire che mi piaceva. Praticamente, tutti al Campo se ne erano accorti tranne lui. Una situazione imbarazzante, che mi faceva pensare: e se lui non fosse interessato a me in quel modo?
Fui interrotta dalla sua secca risposta. «Certo che ci penso, cosa credi, che mi diverta a fare l’eroe!?»
«Ah-ah, per uno che ci pensa, ci stai decisamente prendendo gusto: il prossimo passo del manuale è “morire dolorosamente”!»
«Non è il momento di fare del sarcasmo, Astrid!» sbottò, esasperato.
«Non è il momento di fare una cazzata del genere, Alex!» alzai la voce.
Le nostre grida fecero scappare uno stormo di uccelli da un albero. Voltai la schiena e mi allontanai, sbuffando furiosa, incapace di stare ferma. Sarei stata in grado di comprare cento matite e romperle tutte in meno di due minuti.
«Se potessi, ucciderei Loki con le mie stesse mani, ma quello stronzo è immortale!» scoppiai.
Alex non disse nulla a riguardo dell’insulto, che mi sarebbe costato parecchio, in altri momenti. I miei rapporti con gli dèi facevano davvero schifo.
«Senti, Astrid, non voglio litigare con te, ma…» iniziò, addolcendo il tono, però io lo interruppi.
«Una volta, mio padre disse che tutto ciò che viene prima del “ma” in una scusa, non vale nulla.»
Mi voltai a guardarlo, passandomi nervosamente la mani sui gomiti.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?» fece lui. «"Non me ne frega niente di voi, preferisco aiutare i miei amici oltremare, tanto sono così forte e spavaldo che niente mi può uccidere”?»
«Sarebbe l’opzione perfetta per ritrovarti un pugno nello stomaco.»
Alex sbuffò, passandosi una mano tra i ricci scuri. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, spostò il peso da una gamba all’altra.
«Non posso abbandonarli, ho giurato sull’Isola di Foreseti che sarei tornato ad aiutarli» rivelò, sospirando.
Improvvisamente, mi riuscì difficile respirare. «Tu… cosa?»
«Hai sentito. Ho promesso sull’Isola di Foreseti che sarei tornato indietro a dar loro una mano» ripeté. «Se non rispettassi questo patto, loro potrebbero perdere la guerra e io potrei subire un trattamento peggiore di essere estromesso dal Valhalla. E, comunque, non voglio abbandonarli.»
Aveva un’aria… rassegnata. Come se dovesse scegliere tra incudine e martello.
Imprecai mentalmente, e non potei trattenermi dal borbottare: «Sei un cretino.»
«Grazie. È così rassicurante avere l’affetto e la vicinanza della propria migliore amica.»
Mi scappò una risatina isterica, che gli fece fare una smorfia.
«Mi dispiace, ma se volevi un abbraccio avresti dovuto scegliere qualcun’altra. Io sono una figlia di Hell, essere stronze è di famiglia, ricordi?»
Staccai un pezzo di corteccia da un albero, conficcando le unghie nel legno per tenermi occupata. Avevo abbandonato i miei progetti omicidi, e ora detestavo quel senso di pietà che stava aumentando man mano che pensavo all’orribile situazione in cui si era cacciato il figlio di Odino.
Il filo che collegava tutto, era Loki. Iniziavo a capire perché tante storie finissero con una punizione per quello che aveva fatto, visto che si trattava per la maggior parte dei casi di grandi bastardate a danni di qualcun altro.
Staccai un altro pezzo di corteccia, denudando il pino della sua scorza. Le mani di Alex si posarono sulle mie spalle, e io mi irrigidii. Un calore si diffuse per tutto il mio corpo, mandando in sovraccarico i miei sensi.
No, no, no. Come potevo ragionare, essere arrabbiata con lui, se mi toccava, fondendo il mio cervello? Mi morsi la lingua, grata al dolore che mi schiarì la mente.
«Ehi» mormorò. «Non dire così, posso immaginare che questa scelta ti mandi in bestia.»
«Stai cercando di tirarmi su di morale, figlio di Odino?» chiesi.
«Non… non sono bravo in queste situazioni» ammise, e potei figurarmi la sua faccia diventare rossa.
«Lo vedo» ribattei. «Molto meglio quelle in cui vale la regola “uccidi o vieni ucciso”.»
Sbuffò, allontanando le mani dalle mie spalle. Per una frazione di secondo, pensai di bloccarlo, ma non lo feci.
«Mi dispiace» ammise. «Non riuscirai a farmi cambiare idea.»
Cercai il suo sguardo e gli mostrai un sorriso amaro. «Lo so» replicai. «I miei piani sono altri.»
Inarcò un sopracciglio, confuso. «Quali?» domandò.
«Per iniziare» risposi, «venire con te a New York. Percy ha bisogno di tutti noi. Secondo, impedirti di crepare in ogni modo.»
Impiegò qualche secondo per assimilare le mie parole, poi fece un sorriso che gli faceva brillare gli occhi.
«Astrid…» iniziò, ma io lo fermai, avanzando verso di lui.
«Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.»
Cercò di prendermi la mano, ma io mi imposi di scansarmi, scendendo giù dalla collinetta. Alzai una mano, mostrando tre dita.
«Terzo, abbiamo una persona a cui fare visita. Seguimi.»
Sentii il rumore dei suoi passi subito dietro di me, e non potei impedirmi di sorridere. Ci dirigemmo verso le nostre stanze, seguiti dagli sguardi sbalorditi degli altri semidei; la voce si era sparsa in fretta. Lanciai un’occhiata ad Alex, che cercava di ignorare tutte le attenzioni che gli venivano rivolte. Probabilmente, stava pensando che, dopo quello che gli era accaduto, molti semidei avessero intenzione di ritirarsi dalla nostra personale impresa.
Cercai la camera condivisa Helen, l’unica figlia di Frigg del Campo Nord. Sua madre era la dea muta, moglie di Odino, che aveva parlato unicamente per rivelare una profezia, la stessa che portava tante grane ai figli di Loki. In più casi, i sogni di Helen si erano rivelati premonitori.
Mi chiedevo se ne avesse fatto qualcuno anche su di noi, su ciò che sarebbe accaduto in America. Mi auguravo si trattasse di qualcosa di buono, che riguardava festeggiamenti e risate, invece che morti e sangue. Decisamente una vana speranza.
La trovai poco distante dalla stanza di Alex, che si guardava intorno.
«Helen» la chiamai, facendola voltare.
Era tesa, ma tentò di sorriderci ugualmente. La sua carnagione era ancora più pallida del solito, quasi un foglio di carta trasparente, e gli occhi rossi erano fissi su Alex. Era albina, nota da aggiungere ai motivi per cui molti la evitavano. Si sistemò nervosamente i capelli color platino, lisciandosi la ciocca azzurra.
«Ciao, ti stavo cercando» si rivolse ad Alex. «Ma siete voi ad aver trovato me.»
Il figlio di Odino fece una breve smorfia. «Brutti sogni?» domandò, come se conoscesse già la risposta.
«Purtroppo» sospirò Helen. «Non aiutano, in questa situazione. È vero che sei stato estromesso dal Valhalla?»
«Sì» tagliai corto. «Cos’hai sognato?»
Helen mi rivolse un sorrisetto, a metà tra uno dolce e uno malizioso. Riportò subito la sua attenzione sul figlio di Odino, come se quel gesto bastasse a farmi capire tutto quello che pensava.
«C’era una battaglia» raccontò, «nella città, ma non vedevo, non avvertivo la presenza di umani. Solo semidei. E tu, Alex, combattevi contro qualcuno che emanava potere. Il tuo avversario riuscì a disarmarti, puntò la sua… spada verso la tua faccia… Poi il sogno è diventato sfocato, e non sono riuscita a capire altro.»
Sentii un peso scendermi sulle spalle, l’ennesimo, quel giorno. Non era un bel sogno, per niente. Assomigliava di più a un incubo.
«Hai esitato, prima di dire “spada”. Perché?» domandò Alex, imponendo neutralità alla sua voce.
Helen giocherellò con la sua ciocca colorata. «Non era proprio una spada normale, purtroppo non capivo di cosa si trattava. Mi dispiace.»
«Tranquilla, non preoccuparti.»
Sei tu quello che si deve preoccupare, pensai, ma tenni la bocca chiusa. Voleva ancora lanciarsi in una missione osteggiata dagli dèi e per di più suicida? Sospettavo di sì. Dubitavo avesse un briciolo di spirito di autoconservazione, quando si trattava di aiutare il prossimo. “Molto nobile, eppure così stupido”, aveva commentato Lars, e non potevo che essere d’accordo.
«Be’, grazie per averci raccontato il tuo sogno» tirai le fila, cercando di concludere il discorso.
«È la prima volta che qualcuno mi ringrazia per aver predetto una possibile catastrofe» ribatté Helen, divertita.
Ci oltrepassò, poi si girò e chiese: «Quando si parte?»
«Tra poco» rispose Alex. «Perché?»
«Mi sembra ovvio, vengo anch’io. Ho sempre desiderato visitare gli Stati Uniti.» Sorrise. «Poi, chi non vorrebbe buttarsi in una guerra e rischiare di essere ucciso?»
Si allontanò, lasciandoci di stucco. Cercai lo sguardo di Alex, pronta a un’ultima battaglia per convincerlo a non andare, ma lui troncò ogni mia iniziativa.
«Vado a raccogliere le mie cose, non manca molto alla partenza. Sarebbe meglio se facessi lo stesso.» Aveva un’aria stanca e, in effetti, non potevo dargli torto.
«Come vuoi» dissi, accennando a un saluto con la mano. «Ci vediamo dopo.»
Camminai per i corridoi, entrai nella mia stanza e iniziai a riempire lo zaino di ciò che avevo bisogno. Diversi paia di jeans, pantaloni sportivi, alcune magliette, una felpa e l’occorrente per guarire ferite. Controllai di avere i miei orecchini, in grado di trasformarsi in mezzelune, e il mio inseparabile IPod. Ficcai tutto dentro, provai a sollevarlo, dopodiché mi abbandonai sul letto.
Qualcosa vicino alla mia coscia vibrò. Rizzai la schiena, andando a sbattere con la testa contro il letto di sopra. Mi massaggiai la cute, pensando che era proprio per quel motivo che avevo scelto di dormire sopra, invece che sotto.
Alzai la gamba, trovandoci il telefonino di Irvig, una delle mie compagne di stanza. Non erano molti i semidei a possederne uno, dato che era un segnale molto forte per attrarre i mostri, ma lei ne aveva uno così vecchio e rovinato che dubitavo potesse mandarne uno potente.
Irvig lo metteva a disposizione a chi serviva, a patto che, se l’avesse usato, avrebbe contribuito a pagare per il prossimo inserimento di credito. Prima che venissi riconosciuta, avevo segnato il numero del telefono su un foglietto e l’avevo dato a mio padre, raccomandandogli di usarlo solo in casi estremi, “perché la segreteria di questo campo estivo è già parecchio intasata”.
Una delle molte bugie che gli raccontavo. Lo presi in mano, controllando la casella dei messaggi in arrivo, muovendo le dita su quei tasti minuscoli, che mandavano un vago bagliore verde fosforescente. Riconobbi il numero prima ancora di leggere il testo. Mi morsi l’interno della guancia.
“Per Astrid Jensen. ‘Sta sera devi essere a casa. Dove sei? Papà.”
Chiusi gli occhi, pensando che io non potevo e non volevo essere là questa sera, né quelle successive. Non se ne parlava proprio. Cliccai su “rispondi” e scrissi velocemente: “Non aspettarmi.”
Due parole, nemmeno un saluto. A questo si limitavano le mie conversazioni con mio padre, per un meraviglioso rapporto genitore-figlia.
Cancellai i due messaggi dalla memoria – chi aveva voglia di aiutare nel pagamento? –, mi misi su lo spallaccio dello zaino e uscii. Non fu difficile trovare il punto d’incontro per chi partiva, perché quasi l’intero Campo si era riunito o si stava dirigendo verso la spiaggia anche solo per vedere.
Quando fui in vista del mare, feci un fischio. Un’enorme drakkar, una trireme nordica, gettava la sua imponente ombra sulla spiaggia di ciottoli, mentre una sottospecie di polena aveva la forma stilizzata delle fauci di un drago. Due file di imponenti scudi in acciaio erano posti ai lati della nave, ed era possibile vedere delle rientranze, da dove i remi potevano sbucare al bisogno, o solo per metterli in bella mostra, visto che Skidbladnir aveva sempre i venti a favore. Le vele bianche erano scosse da venti leggeri.
«Sono o non sono incredibilmente magnifico, ahn?»
La voce di Einar mi riscosse dall’ammirazione dell’imbarcazione.
«Ancora mi chiedo come tu sia riuscita a prenderla, la settimana scorsa» esordii, curiosa.
Lui si mise un dito sulle labbra. «Questo è un segreto, dolcezza. Sappi solo che Freyr non la reclamerà.»
«Ci conto» commentai, e lui mi fece l’occhiolino.
Notai che dietro la schiena portava la custodia di una spada, l’elsa che catturava i raggi del sole.
«Cos’è?» domandai; di solito, Einar preferiva tenere la sua arma nella forma di sigaretta elettronica.
«Una cosuccia per il capo» spiegò, evasivo.
Decisi di non indagare oltre. La mia attenzione venne catturata nuovamente dalle imponenti vele, mentre facevo i salti di gioia al pensiero che sarei salita su quella nave. Decisamente meglio che i viaggi aerei.
«Forza, salite!» incitò Danny, un figlio di Njordr, dal ponte di Skidblandir.
Mi misi in coda, aspettando impaziente il mio turno per salire, utilizzando la lunga tavola di legno usata come ponte. Quando misi i piedi sul pontile, dovetti trattenermi dal lanciare un gridolino che voleva riassumere la mia felicità con “sto compiendo una missione suicida, ma lo sto facendo con stile!” Danny mi aiutò a saltare oltre il bordo, poi mi fece segno di sgomberare l’area.
«Benvenuta su Skidbladnir, Astrid.»
Alex mi sorrise, oscurando con la sua figura il sole. Mi misi sull’attenti, facendo il saluto militare.
«Sono ai tuoi ordini, capitano!» scherzai. «Devo far pulire le assi da qualche mozzo, signore?»
«No, riposo, marinaio» replicò lui, indicando con un cenno di camminare verso la cambusa.
Scendemmo sotto coperta, dove l’acqua che lambiva il legno produceva un sottofondo costante. Era incredibile come, nonostante quella fosse una drakkar, il suo interno fosse costituito come quello di una nave moderna.
Mi condusse attraverso un primo corridoio, finché non sbucammo in uno punteggiato di porte. Lasciai lo zaino in una cabina, dove erano sistemate due cuccette. Mi chiesi a chi appartenesse l’altra. L’urlo di Danny si sentì fin sottocoperta, tanto gridava.
«Tutti a bordo! Siamo pronti a salpare! Levate l’ancora!»
Avevo la sensazione che si stesse divertendo un mondo. Alex fece spallucce.
«Non fargli caso, sogna di dire queste frasi da quando era piccolo.»
Risi, mentre chiudevo la porta alle mie spalle e risalivo sul ponte, affiancata dal figlio di Odino. Tutti i semidei che avevano deciso di seguire Alex nella sua missione erano lì, affacciati a guardare a terra e il Campo che stavano per lasciare. Non eravamo poi molti, un po’ più di una quarantina, ma eravamo abbastanza per fare la differenza. Danny, i capelli castano scuro accarezzati dal vento, e sua sorella Petra – i capelli interamente tinti di blu – stavano a prua, gli occhi dello stesso colore dell’oceano.
Il ponte usato per salire era scomparso. Alex si fece strada verso i due figli di Njordr e diede loro l’ordine di far partire la nave. I due gli risposero con un sorriso che voleva dire “non aspettavamo di fare altro”.
Piccole onde si infransero contro lo scafo, diventando sempre più grandi, finché cavalloni non sospinsero Skidbladnir a largo. Come richiamati, i venti iniziarono a soffiare con forza, spingendo l’imbarcazione a una velocità impossibile da sostenere per qualsiasi altra nave moderna. L’aria mi spazzò indietro i capelli, mi sbatté in faccia la salsedine e spruzzi di schiuma, costringendomi a socchiudere gli occhi.
Ruggiti provennero alle nostre spalle, quando le viverne uscirono dai loro box e si lanciarono nel cielo, pronte a seguirci, come frecce infuocate. Einar lanciò un grido di gioia, che fu imitato da tutta la ciurma.
Petra rise di gusto, e un’onda si schiantò sul ponte, inzuppando il figlio di Loki da capo a piedi. Tentai di non scoppiare a ridere, alla vista del ragazzo bagnato fino alle ossa, un pulcino zuppo d’acqua. Rischiai di scivolare sulla pozza, ma le mani di Alex si strinsero attorno ai miei fianchi e mi sorressero.
Non riuscii a interpretare le mie emozioni, perché quella partenza era già di per sé sensazionale.
Il vento gli appiattiva i ricci, e il riverbero dell’acqua dava una sfumatura color muschio ai suoi occhi grigi. Deglutii, sentendomi il palato secco. La velocità si stabilizzò, rendendo possibile camminare senza essere spazzati via o cadere oltre bordo.
«Ci pensate voi, qui?» domandò Alex ai due figli di Njordr.
«Certo!» rispose Danny. «È uno spasso, amico!»
Alex gli batté una pacca sulla spalla, andando a controllare che fosse tutto a posto. Einar si strizzò la maglietta, gettando un’occhiata in cagnesco a Petra. Quando notò che lo fissavo, mi fulminò, poi mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi ambigui.
«Vuoi votarmi come miglior Mister Maglietta Bagnata di quest’anno, dolcezza? Oppure preferisci che versi dell’acqua addosso ad Alex, così puoi sbavare dietro a lui?»
«Va’ all’Hellheim» brontolai, ma ero troppo esaltata per far troppo caso alla provocazione.
Guardai all’orizzonte, pensando a come ci avrebbe accolto la Statua della Libertà e se i greci sarebbero stati sorpresi di vederci. Di una cosa, però, ero certa: se stavamo davvero andando a morire, lo stavamo facendo in gran stile.
 

Il cielo era coperto di soffici nuvole violette, i raggi del sole mandavano bagliori arancioni e rossastri, mentre si facevano sempre più freddi. Il lieve venticello che giungeva dal mare giocava con i miei capelli, mi scompigliava i ciuffi davanti agli occhi. Se mi inumidivo le labbra, potevo sentire il sapore della salsedine sulla pelle. Ogni tanto, spruzzi di schiuma mi finivano sulle mani o sulla maglietta, pizzicando lievemente per il sale.
Ero appoggiata sul bordo di legno della nave a poppa, lo sguardo fisso in direzione del Campo Nord. Quel tramonto me ne ricordava un altro, circa un mese fa, quando le circostanze erano più felici. E non ero sola.
La maggior parte dei semidei si era ritirata sottocoperta, ancora eccitati per stare navigando su Skidbladnir. La mia, di esaltazione, stava scemando pian piano. Non potevo impedirmi di pensare ai pro e ai contro di quell’impresa non approvata, dei rischi che avremmo corso e delle gioie che ne avremmo ricevuto.
Avevamo fatto la scelta giusta, ignorando gli dèi per aiutare i nostri amici? Non lo sapevo. A queste preoccupazioni, si aggiungeva quella per Alex e il sogno di Helen, insieme al sapore agrodolce del messaggio che avevo lasciato a mio padre. Non ero sicura di quello che stavo facendo, ma non mi sarei tirata indietro, anche perché non potevo.
Udii delle risatine dietro di me e, quando qualcuno si affiancò a me per osservare il sole tramontare, lo ignorai, pensando che fosse un ragazzo qualsiasi che cercava di tenersi occupato mentre non vomitava per colpa del mal di mare.
Ticchettai con le dita sul legno, componendo una rozza melodia. Una mano si pose sulla mia, mettendo fine a quel sottofondo. Il cuore perse un battito, quando riconobbi al tatto che si trattava di quella di Alex.
Guarda il tramonto,
mi ordinai. Lui non è qui. Lui non è qui.
«Non lo trovi stupendo?» chiese, il tono leggero di chi vuole fare una chiacchierata su argomenti futili.
«Cosa?» Nascosi a stento una punta d’ansia.
Immaginai sorridesse, mentre spiegava: «Il tramonto. Ovvio, anche Skidbladnir è magnifica, i figli di Vidarr che l’hanno costruita hanno fatto davvero un bel lavoro.»
«Oh, certo» commentai. «Sono entrambi stupendi.»
Soprappensiero, Alex mi disegnò cerchi concentrici sul palmo. Dèi, mi torturava così, senza nemmeno rendersene conto? Dovevo rimanere concentrata sul paesaggio, ignorare gli impulsi che la vicinanza col figlio di Odino mi provocava.
«A cosa stai pensando?» domandò.
«Niente.» Sto pensando a te, razza di idiota.
«Menti sapendo di mentire.»
Knulle*. Sospirai, lanciando una breve occhiata alle nostre mani unite.
«Va bene…» dissi. Dove potevo portare il discorso? «Tu non hai paura? Di quello che stiamo facendo, intendo.»
«Mh.» Alex si perse a riflettere, ruotando lentamente il pollice sulla mia mano. «Credo sarebbe impossibile non averne. Oltre che molto stupido.»
«Però non sembri averne» osservai.
«Si vede che sono un bravo attore» replicò, sorridendo divertito. «Forse, mi sono rassegnato al fatto che le cose facili erano finite quando siamo nati.»
«Questo dovrebbe essere rassicurante?»
«Essere sinceri con se stessi non rassicura spesso, ma schiarisce la mente. È più semplice affrontare la realtà, quando non ti menti.»
«Io lo troverei spiazzante» obiettai. «Ci sono domande a cui non voglio rispondere, perché la risposta potrebbe spaventarmi.»
Alex scrollò il capo. «A me aiuta. Dai, chiedimi qualcosa e io ti dimostrerò che la sincerità funziona.»
Non faceva freddo, ma rabbrividii.
«Ehm…» balbettai. «Meglio il gelato alla fragola o al limone?»
«Non questo tipo di domande, Astrid.»
Il cuore mi batteva nelle orecchie. Non potevo chiedergli ciò che avevo in mente e che mi interessava di più, sarebbe stato come consegnargli la mia anima affinché la riducesse in pezzi. Eppure… Se la sincerità aiutava davvero, perché trattenermi?
«Ti piaccio in-quel-senso?» buttai fuori senza quasi respirare.
Alex si immobilizzò, la sua mano ferma sulla mia, lo sguardo bloccato all’orizzonte.
Rispondi, avanti, incalzai mentalmente. Ma Alex non rispose. Rimase muto, lasciò la questione sospesa. Mi venne quasi da ridere, ma ero troppo delusa per fare alcunché. In quel momento, il suo “mi sono rassegnato al fatto che le cose facili erano finite quando siamo nati” non mi sembrò più vero.

 
*Qui  = cazzo
koala's corner.
Siamo tornati - in fretta e non a mezzanotte, siamo decisamente migliorati! Prima di tutto ringraziamo le dieci persone che hanno recensito lo scorso capitolo, siete fantastici!
Dà una bella carica sapere che la seconda serie è stata accolta così bene :D
Amazing. Quindi, ecco qui il secondo capitolo! Scopriamo che Astrid è cotta a puntino di Alex, uno dei motivi per cui ci saranno molti più momenti di coppia. Il finale *coff* Vi teniamo sospesi, cari shippatori Alrid.
Ma come siamo crudeli :P *risata malvagia*
E il mezzo di trasporto speciale è... la mitica drakkar Skidbladnir! Costruita dai figli di Vidarr - l'Efesto norreno - e uno dei motivi del titolo di questa storia. Se non sapete cos'è una drakkar, ecco qui un'immagine: http://boar.home.pl/aaorlinskicom/wp-content/uploads/2013/04/DSCF1953a.jpg
Da quel poco che si può capire, Astrid non ha un buon rapporto buono con suo padre, a differenza di Alex.
Conosciamo anche altri personaggi, speriamo che riusciate a tenerli a mente tutti!
E che cos'avrà rubato preso in prestito Einar? Ma, soprattutto, vincerà il premio Mister Maglietta Bagnata? Lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, che non vi abbia fatto venire il diabete e che continuiate a seguirci in modo così caloroso!

Soon on "Venti del Nord": doppio POV Alex e Percy, scopriamo la cosuccia di Einar e vedrete ben presto come abbia cambiato alcune cosette...
  
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