Il
Nuovo Mondo
Quello
che accadde dopo?
Be’,
direi che, all’inizio, non morimmo sciolti dalle
radiazioni e già questo era un passo avanti. La cosa che ci
attese, fuori, fu
un terribile paesaggio desolato, distrutto e devastato. Era come
camminare
sulla superficie di un altro pianeta.
I
vecchi macchinari di estrazione erano stati
smantellati, i magazzini scoperchiati dalle onde d’urto e gli
edifici crollati.
Io e mio zio controllammo il contatore geiger e le radiazioni erano
molto
diminuite, così ci liberammo dei pesanti abiti e iniziammo a
setacciare ciò che
rimaneva dell’impianto. Per rendere le cose più
veloci vi dirò che, in uno dei
garage sotterranei riuscii a trovare un vecchio furgone abbastanza ben
messo da
ospitarci tutti, mentre mio zio riuscì ad impossessarsi di
una radio meglio
abbastanza bene da funzionare.
Lo
revisionammo, controllammo le batterie e il motore,
assicurandoci che fosse a posto, e tanto bastò. Era messo
bene.
All’inizio
pensai che eravamo gli unici ad essere
sopravvissuti, ma fui felice di sbagliarmi, quando mio zio
riuscì a controllare
un suo vecchio amico: Gioven Grace che viveva in un ranch a nord di
Dallas. A
quanto pare lui, sua moglie Ann e i suoi figli Talia e Jason erano
sopravvissuti e avevano iniziato a radunare superstiti nel loro ranch,
in modo
da creare una piccola comunità, per difendersi e condividere
le poche risorse.
Fu
una bella notizia per noi e tornai subito giù, per
informare mia madre della lieta notizia.
Fu
la cosa più simile ad una festa che vedevo da almeno
una decina d’anni. Nico saltò in piedi, urlando
per l’entusiasmo, Bianca corse
ad abbracciarmi, mia madre e Maria si abbracciarono con le lacrime agli
occhi e
si misero a lavoro con rinnovata energia.
Facemmo
un catalogo di ciò che avevamo e iniziammo a
caricare il furgone con casse di cibo e, soprattutto, taniche di
benzina.
Facemmo gli straordinari e per due giorni non dormii. Estraemmo intere
secchiate di petrolio, raffinandolo per poi usarlo in seguito, dato che
era
qualcosa di importantissimo.
Alla
fine del terzo giorno avevamo riempito il furgone
di viveri e benzina, facendo anche il pieno. Io, Bianca e Nico fummo
messi
dietro, nel cassone posteriore, mentre Ade guidava e Maria e Sally gli
stavano
accanto.
Stavamo
caricando le ultime casse quando Bianca indicò
qualcosa al limitare dell’impianto.
“Là
c’è un uomo!” Urlò, indicando
una sagoma, avvolta
dalla sabbia e dal vento che avanzava barcollando verso di noi.
Al
mio orecchio arrivava un rantolo dolorante, più
animalesco che umano e sembrava provenire da quella persona. Guardai
mio zio
dubbioso e lui si accarezzò la barba indeciso.
“Bianca!
Torna qui.” Ordinò, dopo un attimo di
esitazione. C’era una nota di paura, nella sua voce che non
riuscii a capire,
all’inizio.
“Ma
non possiamo lasciarlo lì! Morirà!”
Protestò
Bianca, con gli occhi tristi, avviandosi verso la figura.
Era
a metà strada tra noi e l’uomo quando mi resi
conto
di cosa aveva spaventato mio zio: la figura stessa era troppo gobbuta e
deforme
per essere quella di una persona. Un braccio era sproporzionatamente
grande
rispetto al corpo, mentre l’altro sembrava penzolare floscio
da un lato, quasi
non avesse ossa.
“Bianca,
torna indietro!” Urlai, correndo verso di lei,
mentre mio zio correva nell’abitacolo a prendere qualcosa.
Anche
lei doveva essersi resa conto del pericolo perché
si fermò esitante, mentre la figura si faceva più
vicina.
Poi
lo vidi per intero.
Quello
che un tempo era umano, si era trasformato, come
se il corpo si fosse disidratato in un colpo solo, lasciando solo pelle
attaccata allo scheletro, gli occhi erano fosse cave spalancate su un
abisso di
nera morte, la bocca aperta, irta di zanne troppo acuminate per essere
umane
rilasciava zaffate di alito putrescente e saliva. Il corpo era
ricoperto di
ferite, scottature, cicatrici e bolle di cui non volevo conoscere la
provenienza e allungava la sua unica gigantesca mano verso Bianca che
indietreggiò spaventata, lanciando un grido terrorizzato.
“BIANCA!!!”
L’urlo
era venuto da tutti e Nico mi corse dietro a
ruota, mentre lei cercava di tornare indietro. Il panico,
però, la distrasse e
lei scivolò a terra iniziando a strisciare verso di noi
finché la creatura non
le afferrò una caviglia.
“Aiuto!
Aiutatemi, vi prego!” Strillò terrorizzata,
iniziando a scalciare.
Mi
gettai sul mostro umanoide con tutto il mio (poco)
peso e riuscii a farlo barcollare, liberando Bianca che corse tra le
braccia
del fratello piangendo spaventata.
Il
mostro, però, mi aveva afferrato.
Non
ebbi il tempo di capire come facesse ad essere così
forte, pur essendo scheletrico, perché mi ritrovai con le
gambe all’aria,
gettato a due metri di distanza, buttato come uno straccio o un pallone
da
basket.
Strisciai
via, cercando di allontanarmi, ma un boato mi
paralizzò.
Zio
Ade aveva in mano un revolver a canna lunga e aveva
sparato, colpendo il mostro al petto che barcollò, ma non
cadde.
“Come
diavolo fa ad essere ancora in piedi!?” Chiesi,
approfittandone per alzarmi e correre via.
Mio
zio non rispose e puntò alla testa.
Il
secondo sparò abbatte quella bestia umanoide che
crollò
a terra come un burattino senza fili.
“Che
cavolo era!?” Domandai, strisciando nella sabbia,
osservando il sangue scuro che fuoriusciva dalle ferite, bagnando il
suolo.
“Credo
sia colpa delle radiazioni. Non ho idea di cosa
abbia fatto alla gente che non era al sicuro come noi.”
Rispose, mio zio,
tornando al furgone.
Avrei
voluto che le sorprese finissero lì, invece,
dovetti sorbirmene un’altra a poca distanza di tempo. Dopo
quell’episodio
Bianca si era rintanata spaventata nel furgone, insieme al fratello che
la
stringeva a se. Io ero davanti a loro e li guardavo ancora sconvolto
per quello
che avevo visto.
Ogni
tanto lanciavo occhiate fuori dal finestrino per
trovarmi davanti qualcosa che poteva benissimo essere scambiato per la
superficie di marte.
La
sabbia ardeva sotto le nere nuvole radioattive che
bombardavano il terreno con scariche elettriche inquietanti. I lampi
illuminavano le carcasse delle auto, immobili da anni e i resti degli
alti
edifici di Dallas che si ergevano come antiche ossa del tempo passato.
Ai lati della strada arbusti velenosi, crescevano come scheletriche
mani tra i
sassi e l’asfalto.
Arrivati
in periferia, a metà strada, notammo un gruppo
di veicoli posti sulla strada a formare una sorta di blocco.
“Strano…
è stato sicuramente fatto dopo
l’esplosione…
ma non si vede nessuno.” Commentò Ade, scrutando
preoccupato le macchine.
All’improvviso,
da dietro una di quelle uscì un uomo.
Aveva una trentina d’anni e avanzava barcollando, tenendosi
una mano sotto il
giaccone pesante.
“È
ferito, dobbiamo aiutarlo.” Dissi, subito, pronto ad
aprire il portellone laterale, ma mio zio mi bloccò.
“Aspetta.”
“Aspetta
cosa!? Non possiamo lasciarlo…” Mi fermai
all’improvviso: non c’era sangue fresco sui suoi
vestiti e gli edifici intorno
a noi brulicavano di ombre, che sembravano umane.
“Un
imboscata!” urlò mio zio, schiacciando
l’acceleratore al massimo.
Il
criminale che si fingeva ferito lanciò un
imprecazione contro di noi ed estrasse la pistola, sparando un paio di
colpi
che frantumarono il parabrezza finché non sentii il peso del
suo corpo
fracassarsi sulla carrozzeria del furgone.
Mi
accucciai a terra spaventato, mentre Nico e Bianca
si stringevano spaventati. Altri spari esplosero intorno a noi e per un
attimo
il nostro veicolo sbandò un po’, ma riuscimmo a
tenere la strada e Ade buttò
giù la barricata spingendo al massimo il motore.
Una
fortuna che non ci avessero bucato le ruote.
Dopo
quella pericolosa avventura non ci fermammo più
fino a raggiungere il ranch Grace, l’unico ancora in piedi.
Tutti gli altri
erano distrutti e saccheggiati, mentre quello sembrava più
un fortino, con mura
e torrette di avvistamento, cosa che non mi sorprese affatto, visti gli
attacchi che avevamo subito lungo la strada.
Ad
accoglierci trovammo i fratelli Talia e Jason Grace
che furono felici di vederci tutti interi. La comunità
ospitava circa una
trentina di persone ed era diviso in una grande casa centrale ed erano
stati
costruiti anche un garage provvisorio e una zona medica dove
conservavano i medicinali.
Arrivati
iniziammo ad ambientarci: conoscemmo la
famiglia Valdez, formata da Esperanza e suo figlio Leo, due validissimi
meccanici, sopravvissuti nascondendosi nei sotterranei di un circolo di
formula
uno come, la famiglia Stoll, la giovane Rachel, sopravvissuta da sola,
nascosta
nei bassifondi di Dallas e molta altra gente.
Sotto
gli insegnamenti di Gioven Grace, ex marine degli
Stati Uniti, imparai a sparare, a ricaricare e fare manutenzione alle
armi.
Esperanza, invece, mi insegnò a riparare macchine truccate e
a guidare a pieno
regime.
In
poco tempo iniziammo ad ambientarci fino a diventare
parte integrante della comunità che noi chiamavamo GD1,
cioè Gruppo Dallas uno.
Addestrato per tre mesi, imparai a difendere il ranch dagli infetti e
dai
banditi che attaccavano il ranch per saccheggiarlo. Leo mi dette la
possibilità
di utilizzare un veicolo particolare: una specie di camioncino
semi-scoperto,
con un motore truccato, vetri blindati, ruote potenziati per essere
più veloci
su terreni accidentati e telaio rinforzato.
Non
seppi perché, ma mi piaceva quel veicolo, così lo
chiamai Blackjack.
Fu
grazie a lui che potei pattugliare i dintorni di
Dallas e altre zone circostanti per poter anticipare le bande che
volevano
attaccarci.
Tutto
andò bene per circa quattro mesi, finché non
accadde il peggio: il nostro pozzo si prosciugò e rimanemmo
a corto d’acqua e
cibo.
Per
alcuni giorni attendemmo notizie, finché Gioven
Grace non ci informò di aver contattato un’altra
comunità di sopravvissuti a
Big Spring, guidata da Daiana Nightshilde e la figlia Zoe che si
trovavano
nella situazione opposta: avevano molti viveri e poco carburante.
Inoltre
erano, a loro volta, in contatto con una comunità di Tucson,
che era riuscita a
mettersi in contatto con il governo statunitense sopravvissuto: a
quanto pareva
la California, negli ultimi anni, era sopravvissuta, scampando alla
distruzione
nucleare grazie alle Montagne rocciose che le avevano bloccate,
mantenendo
vivibili le città sulla costa.
Decidemmo,
così, di partire per un viaggio, alla
ricerca della salvezza. La speranza di tornare a casa mi
colpì in modo inatteso
e fui così felice che non mi fermai nemmeno di notte, per
aiutare nei
preparativi.
Dopo
due giorni di preparativi, Gioven ci riunì tutti,
dicendo che, però, mancavano armi che ci sarebbero stati
indispensabili per un
viaggio così lungo.
Per
fortuna Micheal Yew propose una soluzione: sua
madre era una cantante, ma il padre aveva un negozio di articoli
sportivi e
armi a nord, nella cittadina di Sherman. Il negozio aveva uno scomparto
blindato che, forse, non era stata saccheggiata.
“Allora
faremo così, dormite tutti, domani, Yew,
prenderai uno dei furgoni e cercherai le armi.”
Annunciò infine, Gioven Grace,
deciso.
Eravamo
tutti eccitati per il viaggio imminente.
Non
sapevo ancora che quel viaggio si sarebbe rivelato
terribilmente pericoloso, più di quanto potessimo immaginare.
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[Angolo
autore]
Scommetto
che pensavate che avrei fatto uccidere
Bianca, vero? Noooooooo, non sono così cattivo, lei
vivrà… per ora.
Vediamo,
quindi, il nuovo mondo devastato e creature
nuove e orripilanti emergere dagli incubi dell’uomo per
mangiarsi ciò che
rimane della popolazione “viva”. Ma
c’è anche la speranza di sopravvivere e
tornare a casa.
Riusciranno
i nostri protagonisti a salvarsi?
Grazie
per tutte le recensioni iniziali e per avermi
messo in così tanti tra le preferite in Senza Memoria fino a
farla entrare
nelle Più Popolari.
Grazie
davvero, spero continuerete a seguire anche
questa storia.
AxXx