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Autore: Evelyn Doyle    23/02/2014    2 recensioni
Avvertenze: la storia contiene un alto tasso di battute ironiche e sarcasmo, si consiglia di dosare attentamente le pagine.
Cosa potrebbe succedere se un giorno qualcuno osasse sfidare Nathalie, quindici anni, mente brillante e sarcasmo alle stelle?
Nessuno lo sa, almeno finché Edoardo non diventa il nuovo alunno della 3^A scientifico del Liceo Statale A. Manzoni, che, da amante della letteratura classica, di World of Warcraft, delle Converse fluo, degli abiti multicolori e di Star Trek, viene ben presto etichettato da Nathalie come "Tizio Luminescente" o "nerd-in-erba".
I loro mondi entreranno presto in collisione, scatenando in un batter d'occhio un conflitto combattuto a colpi di fogli protocollo e matite fluorescenti, anche se, per loro sfortuna, il destino ci metterà; presto lo zampino, facendoli stare troppo spesso vicini.
Senza contare che Nathalie ha da combattere anche un altro conflitto, precisamente con Leonardo, migliore amico del suo migliore amico, dal comportamento più ambiguo di un'incognita elevata all'ennesima potenza.
E poi entra in scena anche Mattia, atletico e affabile con tutti e, tra l'altro, anche fratello maggiore di Tizio Luminescente.
- So far away, and yet so close together -
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo quattro. Conoscenze (in)opportune

Come è facile prevedere, sarei di sicuro andata a chiedere a Daniel se ne sapeva qualcosa del comportamento ridicolo di Leonardo.
E poi avrei anche spifferato a mezza scuola della sua passione nascosta e “proibita”.
Insomma, il giorno seguente mi sedetti sul posto accanto a quello di Daniel nel solito bus.
Dovevo trovare il momento giusto, tutto doveva essere calcolato e ben dosato ed io, modestamente (ma anche no) sapevo fare solo quello.
«Ehi, Nathalie... qualcosa non va?» mi chiese Daniel dopo che mi sedetti, evidentemente notando la mia espressione mezza truce.
«Oh, no, tutto a meraviglia» bofonchiai con un sorrisetto sarcastico.
No, quello non era il momento adatto per fare la piccola spiona di quartiere.
«Così a meraviglia che hai messo la maglia al contrario» rispose Daniel sogghignando anche lui.
«Cosa?!» abbassai la testa per controllare il verso della mia maglia, e nemmeno due secondi mi arrivò un bel pizzicotto sul collo.
«Idiota» dissi ad un Daniel che si stava scompisciando dalle risate.
«Oddio, ci hai davvero creduto? Allora stai proprio male, Nathalie» mi schernì, sempre ridendo come un deficiente.
Scossi la testa.
La routine quotidiana non si poteva ignorare.
Dopo un buon quarto d’ora, finalmente arrivammo davanti all’edificio scolastico e scendemmo – con qualche difficoltà per via della solita calca.
Riuscimmo ad entrare a scuola e persino in classe in tempo record.
Ma (sì, c’è un ma...) di certo in classe non mi aspettava un premio per questo record. Tutt’altro.
«Nathalie!» Susanna mi investì – letteralmente – con la sua massa di ricci perfetti e castani.
«Oggi c’è la festa, Nathalie! E dato che ieri non hai trovato nulla, sarò costretta a prestarti qualcosa» mi ricordò lei con un sorriso che mi stava quasi accecando.
«Quale festa?» chiese Daniel, grattandosi la nuca.
«Nulla che ti riguarda, darling» rispose Susanna con un sorriso falsissimo.
«Quanto darei perché non riguardasse anche me» gli mormorai.
Daniel rise divertito e mi tirò una leggera pacca sulla spalla, per poi andarsene.
«Mi chiedo come tu possa sopportarlo» commentò Susanna stizzita.
«Me lo chiedo anche io» risposi divertita.
Cercai di tagliare corto quel discorso, ormai sapevo da anni che tra Daniel e Susanna non correva buon sangue e non ne capivo il motivo.
«Bene, Nathalie, oggi a casa tua alle 16. La festa è alle 18, ricordati» terminò lei con tono da mamma-apprensiva.
«E dove sarebbe questa festa?» chiesi, anche se di sicuro me lo sarei dimenticato.
«Nella villa dei Bianchi, e sarà qualcosa di stupendo. Ah, prima che me ne dimentichi: il buffet sarà ricchissimo e gratis ovviamente»
Non ne dubito, pensai riguardo al buffet.
Il fatto del buon cibo in abbondanza e gratis, mi intrigava, lo ammetto.
Con tutte queste inutili chiacchiere, mi dimenticai persino di spifferare il “gran segreto di Mister-Leonardo”.
Peccato, pensai, vuol dire che aspetterò che le acque si calmino e poi gli darò il colpo a sorpresa.
Quel giorno avevamo alla prima ora la prof. di italiano, che non tardò ad entrare.
«Salve, ragazzi» ci salutò con un largo sorriso.
Iniziamo bene, mi dissi, quando la Palmieri sorrideva in quel modo voleva dire “pericolo imminente, abbandonare la nave”.
Subito dopo si sedette e iniziò a compilare il solito registro, dopodiché tirò fuori dalla sua solita borsa in pelle marroncina una pila di fogli.
«Ho esaminato le vostre ricerche in coppia, cari» ci spiegò.
Bene, adesso dirà che sono peggiorata molto, che le dispiace, ma che deve darmi un sei perché la ricerca era scritta coi piedi, pensai.
In effetti, la giornata di ricerca con Edoardo era stata parecchio odiosa (soprattutto per via della sua presenza).
In ogni caso, la Palmieri continuò a chiamare alla cattedra le coppie per distribuire le ricerche, finché non venne il turno mio e di Edoardo, che si era guardato bene dal sedersi esattamente dall’altra parte della classe.
«Mari e De Santis» chiamò la prof.
Ecco che viene la mia condanna. Addio media del 9, mi mancherai.
«Il vostro lavoro è impeccabile» annunciò la prof.
Io e Tizio Luminescente ci scambiammo un’occhiata stupita.
«Un dieci e lode meritatissimo. Tutto ciò che volevo ci fosse voi l’avete messo, il vostro lavoro è di sicuro il migliore» si complimentò ancora, mentre io ero incantata a fissare quel mirabolante dieci scritto in grande e in rosso all’inizio della ricerca.
Insomma, non era raro per me prendere quei voti, ma non mi aspettavo di certo di prenderne uno dalla ricerca con quel tizio.
«Per questo» continuò la prof. prima di ridarci il foglio «Voglio vedervi lì sempre. Il vostro lavoro di squadra sarà un modello per tutta la classe» indicò il mio posto libero e quello di fianco (dove c’era Susanna), mentre io pensavo seriamente di avere qualche problema all’udito.
L’altro individuo, dal canto suo, non lasciava trapelare nessuna emozione oltre al palese nervosismo, dato che continuava a picchiettarsi con le dita la montatura blu elettrica.
«E’ proprio necessario?» chiesi con una tale innocenza da stupirmi anche io.
«Beh, Nathalie, hai qualcosa da ridire in proposito?» chiese la prof.
Risposi con un piatto “No, ovviamente” e ritornai al mio posto con Tizio Luminescente che mi seguiva a ruota.
Susanna guardò il signorino-dagli-occhiali-blu-elettrici nel modo peggiore che potesse guardarlo e si spostò.
Certo che la cara prof. mi aveva proprio giocato un brutto tiro! Come caspita poteva pensare che, anche se la nostra ricerca era perfettamente perfetta, noi due andassimo d’accordo?
Le due ore successive passarono così lentamente che iniziai a preoccuparmi, a volte lanciavo occhiate furtive a Tizio Luminescente e me ne pentivo sempre.
Insomma, ovviamente anche quel giorno era vestito in quel suo orrendo modo (altrimenti come sarebbe potuto essere degno del suo soprannome?): una bella, bellissima (si fa per dire) camicetta a maniche corte a stampe astratte e multicolori con sotto una maglia scura con scritto “I AM AN ALIEN” a caratteri cubitali e di un verde fluo orrido.
Beh, non potevo essere più d’accordo con la sua maglietta, a questo punto.
In ogni caso, tanto per terminare in bellezza, portava i soliti jeans – questa volta con le cuciture verde fluo – e le solite sneakers di un – non ci crederete! – verde fluorescente.
La vista complessiva faceva pena e ribrezzo, considerando che mi stava guardando.
«Beh, cosa c’è?» mi chiese, proprio con lo stesso tono che aveva usato quella remota volta in libreria.
«Oh, niente assolutamente» risposi con un sorriso ipocrita e sarcastico.
«Allora perché mi guardi?» mi chiese alzando un sopracciglio scuro.
«Sei ridicolo» mormorai, poco prima che la campanella dell’intervallo suonasse.
Edoardo continuò a fissarmi con i suoi occhi verde acqua e io anche.
«Interessante» se ne uscì dopo qualche secondo.
Poi tirò fuori dalla cartella un volumetto e si mise a leggere tranquillamente.
Io mi alzai e feci per andarmene dalla classe.
Mentre percorrevo la breve distanza dal mio banco alla porta, intravidi la copertina del suo volumetto e per poco non inciampai nei miei stessi piedi.
Un fumetto della Marvel, Capitan America.
Ma non era un alieno oggi? Star Trek mi sarebbe parso più adeguato...
Mi decisi ad accantonare quei pensieri per evitare di essere contagiata dal Virus Alieno Luminescente e uscii dalla classe sospirando rassegnata.
Ah, ovviamente dovevo anche pensare ad un bel piano per farla pagare a Leonardo-faccia-da-schiaffi.
Sì, ero acida, cattiva quando ne avevo voglia e subdola.
Ma Leonardo mi stava così antipatico che morivo dalla voglia di fargli passare quel sorrisetto demente.
Per fortuna non ci volle tanto a trovare Daniel e la sua cricca, dato che non avevo la minima voglia di girare tutto il liceo rischiando la vita.
Frenai un conato di vomito vedendo che Leonardo aveva pensato bene di portarsi dietro la povera Lavinia (forse le aveva fatto un incantesimo? Mah, pensavo che Lavinia avesse una testa!).
«Nathalie, ehi, dov’eri finita?» mi chiese Daniel.
Feci una smorfia esasperata.
«Sono stata trattenuta due secondi» risposi.
«Dal tuo nuovo amichetto? Ah, Dany, lo dicevo che la cosa mi puzzava» fece Leonardo sarcastico.
«Zitto, idiota» rispose Daniel a Leonardo, rubandomi le parole di bocca.
Insomma, dopo questo è facile immaginare che razza di conversazione possano iniziare due come loro, no?
Quando Leo e Daniel iniziavano a discutere era impossibile frenarli. E la cosa buffa era che discutevano anche su idiozie (letteralmente).
Bah, i ragazzi! Anzi, la gente!

Le ore successive passarono sempre con la solita lentezza, soprattutto con un compagno di banco come Tizio Luminescente.
Nonostante il suo orrido abbigliamento, sembrava il classico cocco dei prof. che io odiavo profondamente.
Di certo non mi avrebbe mai superato in fatto di voti, però. insomma non lo potevo permettere.
La mia competitività era inversamente proporzionale alla mia altezza, così come la mia arroganza e superbia.
Cose che capitano, no? Insomma, lassù in Cielo nessuno si era degnato di darmi un bell’aspetto, ma almeno si erano preoccupati di regalarmi uno stupendo carattere e un buon cervello funzionante.
Ad ogni modo, quando le lezioni finirono e l’ultima deliziosa campanella echeggiò nell’aria, tutti uscimmo dall’edificio scolastico.
«A domani! Sarò felice di condividere il mio spazio vitale ancora con te, Alien» dissi a Edoardo, sorridente e ipocrita come sempre, prima di andare ognuno per la sua strada.
«A chi lo dici. Magari ti farò leggere Capitan America» rispose col mio stesso tono.
Ma anche no, pensai.

Arrivata a casa, mia madre non c’era, così come mio padre.
Il mattino presto erano partiti entrambi per Bruxelles, mio padre doveva andare ad una conferenza importante – uomo d’affari, avete indovinato – e mia madre lo avrebbe accompagnato.
Non si erano fatti nessun problema a lasciarmi da sola, lo facevano da sempre ed io non sono quel genere di figlia che appena la lasci sola organizza feste e bordelli in casa propria, ma nemmeno quella che sente la mancanza dei genitori.
Probabilmente perché non li vedevo spesso e la solitudine non mi spaventava, anzi, eravamo ottime amiche.
Purtroppo quel giorno mi sarebbe toccato sorbire Susanna alle 16 e dalle 18 una stupida festicciola per diciottenni.
Avrei preferito rimanere in classe con Tizio Luminescente, lo ammetto.

Alle 16 precise – proprio mentre stavo finendo Delitto e Castigo, accidenti! – il citofono della villetta in cui abitavo suonò.
A malincuore, chiusi il mio amato libro e andai ad aprire il cancello.
«Natie! Finalmente hai aperto» disse Susanna.
Notai che si era portata dietro anche Lavinia e Carlotta.
Ottima cosa.
«Che bel posticino» commentò Carlotta sorridendo.
«Su, venite» feci io accompagnandole in camera mia.
La mia stanza era semplice, molto semplice.
I muri erano di un azzurro intenso, avevo appesi vari atlanti, cartine delle costellazioni e del sistema solare.
Il mio letto era il doppio di me, con lenzuola blu scuro.
Dall’altra parte c’era un’immensa libreria color mogano strapiena di libri, un bel televisore a schermo piatto, la mia scrivania sempre color mogano con adagiato un PC.
Ma a loro tutto questo non importava assolutamente.
L’armadio era l’unica cosa che degnarono di uno sguardo.
«Ehi, Natie, non credi di dover rinnovare un po’ il guardaroba? Hai vestiti che indossavo io a dieci anni» commentò Carlotta.
Io feci finta di non aver sentito, mentre Susanna tirò fuori alcuni abiti da una grande busta.
«Ecco, questi sono i vestiti che indosseremo. Tu, Nathalie, cos’hai in mente di mettere?» mi chiese poi.
Osservai di traverso quegli abiti.
Erano quelli che si erano scelte il giorno prima: uno era color malva, piuttosto aderente (almeno secondo i miei standard), con scollatura a V, spalline strette e strass dappertutto.
Decisamente era quello di Carlotta.
Il secondo era un top azzurro ghiaccio abbinato ad una giacca corta di jeans piena di perline e ad un paio di leggings scuri.
Questa era roba da Lavinia, un po’ più sobria rispetto a Carlotta.
Susanna invece aveva scelto un abito di un orrendo rosa confetto con una cintura più scura in vita, senza spalline e corto, ma con una giacca corta abbinata.
Mentre loro tre si cambiavano, io frugai nell’armadio per cercare (ed eventualmente anche recuperare) qualcosa da mettere.
La mia ricerca durò più di un quarto d’ora, ma alla fine trovai una bella maglia azzurro acqua con le maniche striate di bianco, dei jeans arrotolati fino alla caviglia e delle Converse dello stesso colore della maglia.
Quando mi cambiai, Susanna mi guardò stranita nel suo abito rosa vomito.
«Stai... Stai scherzando, vero?» mi chiese.
«Ehm... No?» azzardai.
«Nathalie, tu non puoi venire così! Penseranno che tu abbia undici anni al massimo!» rincarò la dose Carlotta nel suo abito color malva.
«Su, ragazze, io penso che stia bene e poi se piace a lei...» intervenne Lavinia timidamente.
Decisamente, Lavinia poteva avere un gusto orrendo in fatto di ragazzi, ma almeno era quella che faceva la cosa più vicina al ragionare (anche se non sempre, aggiungerei).
«Mi vestirò così, punto» commentai infine io.
Le altre finirono di mettersi le scarpe e poi passarono al trucco, che io evitai come la peste.
«Neanche un po’ di ombretto?» chiese Carlotta.
«O un gloss?» chiese a sua volta Susanna.
Rifiutai categoricamente ogni cosa, io sarei rimasta in un angolo con la mia maglietta azzurrina con le maniche striate, i miei jeans e le mie Converse.
«Almeno un po’ di fard o correttore?» azzardò Lavinia.
«Su, Lavinia, cosa dovrebbe coprire? Le vedi per caso qualche segno di acne in viso?» commentò Susanna stizzita.
Beh, aveva ragione in effetti.
Avevo il viso più liscio di quanto avrebbe mai potuto averlo lei con le sue millemila creme idratanti.
«Incredibile pensare a quante fortune hai avuto, Natie» continuò Susanna «Insomma, non sarai alta, ma hai degli occhi stupendi. E vogliamo parlare dei capelli? No, no, io non ti capisco proprio»
Mi guardai allo specchio scettica.
Solo perché avevo i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio ero stata fortunata? Eccoli, i frutti del consumismo. Però, dai, gli occhi non erano così brutti...
Dopo ancora un tempo interminabile, le tre furono pronte.
Tralasciando il fatto che erano trenta centimetri più alte di me e che sembrava avessero cinque anni più della sottoscritta, aspettammo pazientemente che la madre di Carlotta con sua sorella ci venissero a prendere per portarci alla festa.

* * *

Eravamo arrivate.
Ed io continuavo a pregare qualcuno che questo fosse tutto un incubo.
Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.
«Bene, ragazze, spero che apprezziate la festa» disse Liliana, la sorella maggiore di Carlotta, prima che entrammo.
Le altre annuirono convintissime, trepidanti di entrare, mentre io speravo solo che il cibo fosse stato veramente buono, almeno quello!
La villa dei Bianchi era immensa, quasi più di casa mia.
Ed era piena in modo spaventoso. C’erano solo ragazzi e ragazze dai diciotto anni in su, niente genitori (la madre di Carlotta ci aveva congedato amabilmente dicendo che andava a cenare col marito in un bel ristorante in centro).
La musica era piuttosto alta per i miei timpani, ma io cercavo solo di scorgere il buffet.
«Nathalie, noi andiamo a ballare, tu vieni?» chiese Carlotta.
«Ovvio che no, devo cercare il buffet!» risposi.
Lei scrollò le spalle e mi indicò un punto a destra della sala dove erano ammassati molti più ragazzi.
«Allora ci si vede. Noi siamo da quella parte, quando ci vuoi raggiungere. Non ti perdere, mi raccomando!» si congedarono quelle.
Io mi misi in cammino verso il tavolo del buffet, passando in mezzo agli altri ragazzi (a volte è vantaggioso essere di altezza penosa, fidatevi).
Insomma, ci misi meno di quanto pensassi, anche grazie al mio fisico che mi permetteva di sgusciare in mezzo a tutti senza che nemmeno mi notassero.
Quando arrivai davanti al tavolo del buffet, mi illuminai.
Torte e pasticcini di ogni tipo erano sovrane.
Presi una fetta enorme di una torta con circa quattro strati di cioccolato e mi allontanai da quella calca per potermela gustare in pace.
Non c’erano molti angoli vuoti, anzi, nemmeno uno.
Il fatto che rischiavo di essere urtata e tranciata viva, poi, non rendeva facile il consumo di quella deliziosa fetta che il mio stomaco continuava a reclamare.
Ad un tratto, mi ritrovai praticamente bloccata dalla calca e qualcuno mi urtò con forza il gomito, facendomi barcollare e andare contro qualcosa.
Anzi, no, contro qualcuno.
E se quel qualcuno non mi avesse trattenuto per le spalle, penso che avrei urtato un bel po’ di gente.
Ah, dimenticavo: la mia torta mi aveva salutato allegramente mentre si andava a spiaccicare sul pavimento.
Dopo che ripresi l’equilibrio, osservai la mano che teneva la torta poco prima e mi sfuggì un gemito.
«Porca miseria» sbottai.
Quel qualcuno che mi aveva evitato di cadere era un ragazzo (com’è facile immaginare) a cui arrivavo alle spalle.
«Mi dispiace per la tua torta, doveva essere deliziosa» disse lui.
Aveva i capelli color miele e mossi e gli occhi verdini.
Mi era stranamente familiare.
«Lo credo anche io» borbottai, ripensando ancora a tutta la fatica fatta per prenderla.
«Ma, ehi, un po’ di vita. Non ti sei spiaccicata a terra, almeno» rispose lui, con un sorriso caldo e ottimista.
«Già, ti ringrazio» dissi io fissando ancora il pavimento.
«Se vuoi te ne prendo un’altra io, aspettami lì all’angolo» mi disse, indicando la parte opposta di dove eravamo e correndo verso il buffet prima ancora che potessi dire qualunque cosa.
C’era un divanetto nel punto che mi aveva indicato, dove alcuni ragazzi erano seduti intenti a chiacchierare.
Caspita, se l’avessi trovato prima questo bel posticino per rimanere nascosta!
Mi sedetti e dopo cinque minuti arrivò il ragazzo di prima con una fetta della stessa torta che avevo io.
Non sapevo chi fosse, né perché si fosse disturbato tanto, sapevo solo che quella fetta era mia, insomma, mi spettava!
La presi con avidità e iniziai a mangiarla.
Penso che in quel momento stessi sorridendo.
«Wow, lo stomaco chiama?» commentò lui portandosi alla bocca un muffin alla crema.
Quando finii la torta, il mio stomaco era più che soddisfatto.
Rimaneva solo una cosa: chi era questo ragazzo?
«Sono contento di aver rimediato ad una tale ingiustizia. Avresti dovuto vedere la faccia che avevi, sembrava che ti avessero ucciso qualcuno di caro!» rise il ragazzo.
«E perché mai mi hai fatto un favore? Cioè, senza offesa, ma chi ti conosce?» risposi io dopo aver finito la torta.
«Siamo piuttosto ingrati, eh? E anche acidi. Avrei dovuto portartene due di fette» commentò lui senza perdere il sorriso.
Io alzai un sopracciglio.
«Non volevo offenderti, era solo una constatazione. Comunque, sono Mattia, piacere di conoscerti» si presentò, porgendomi la mano.
Feci per aprire bocca, ma qualcosa mi bloccò: ebbi come un dejà-vu.
Non ci pensai nemmeno due secondi in più, che la risposta si materializzò chiara nella mia mente.
Ma certo! Perché non ci avevo fatto caso prima? Lui era il ragazzo che mi aveva aperto la porta quando ero andata da Tizio Luminescente a fare quella stupida ricerca di letteratura.
Nientemeno che il fratello maggiore di Edoardo, appunto, con cui avevo scambiato giusto due parole.
«Nathalie» mi presentai poi io, cercando di riprendermi dallo “shock”.
«Lo so, ti ho riconosciuta» disse poi, dando voce ai miei pensieri.
«Già, sono giusta venuta qualche giorno fa a fare la ricerca con Edoardo» risposi.
«Sì, come dimenticare una persona così, dopotutto? Troppo schietta per essere buttata nel dimenticatoio» disse poi sorridendo.
Beh, nemmeno lui scherzava in fatto di sincerità. Però sorrideva troppo per i miei gusti.
«E quindi, ora mi chiedo: come mai sei qui?  Insomma, non sembri la persona da feste...» chiese poi.
Lo guardai con una faccia parecchio stranita, forse per il suo tono troppo confidenziale.
«Non intendevo offenderti, volevo solo dire che... beh, non mi sembri quel genere di persona che...» cercò di giustificarsi, invano.
«Non c’è bisogno che ti giustifichi, o, meglio, non mi interessa. Più che altro mi sono lasciata trasportare per il buffet, ma è parecchio impossibile infilarsi là per prendere qualcosa, come hai potuto constatare» risposi con nonchalance.
«Ah, capisco. Questo mi fa intuire che conosci la festeggiata, Liliana Bianchi» disse lui.
«Una specie. Più che altro conosco sua sorella minore»
«Ovvio, avrei dovuto intuirlo dato che sei in classe con Dedo» osservò poi.
«Dedo?» chiesi, cercando di trattenermi dal ridere.
«E’ un soprannome che ho dato a mio fratello quando avevo cinque anni» scrollò le spalle Mattia.
«E scommetto che lo odia» commentai.
«Da morire»
«Nessun essere umano potrebbe trovare gradevole un suono deforme come “Dedo”» feci una faccia parecchio schifata, ma cercai di immaginare quella di Tizio Luminescente che veniva chiamato Dedo... da brividi!
Alla fine, mi resi conto che il tempo stava pian piano passando e che io lo avevo passato a parlare con un parente del Tizio-barra-Alieno Luminescente.
Fantastico.
Fantastico, finché una tizia non venne dalla nostra parte.
«Matt, eccoti! Ti stavo cercando da un po’» disse lei, con una voce disgustosamente dolce.
Era alta, molto più di me, con la pelle abbronzata, i capelli castani e liscissimi legati in una coda e gli occhi scuri e profondi. Ah, inoltre aveva circa tutte le curve che io non avevo e che non avrò mai.
Si sedette di fianco a Mattia e gli mise una mano intorno alle spalle, così, come se non ci fosse una ragazzina vestita male e scandalizzata a guardarli.
«Eli, come va?» le chiese lui, sorridendo.
«Tutto bene, anche se senza di te ci si annoia fin troppo...» rispose lei con un tono fintamente triste.
Lì per lì pensai di lei una cosa non propriamente gentile. Com’è che si dice in modo gentile? Già, ragazza di facili costumi. E in realtà mi dispiaceva pensarlo così, senza conoscerla, ma quel vestitino che non arrivava nemmeno alle ginocchia non aiutava molto, a dire la verità.
Mattia parve leggermente imbarazzato, ma si ricompose all’istante.
«Eli, ti voglio presentare Nathalie, una compagna di classe di mio fratello» disse poi.
Io ci misi due secondi a reagire, come se mi avessero dato un pizzicotto.
«Piacere di conoscerti, Nathalie» disse la ragazza, guardandomi come se fossi un essere inferiore e che merita a malapena di respirare «Sono Elisa, per gli amici Eli» si presentò lei.
«Ah, quindi ti chiamerò Elisa. Piacere.» mi uscì dalla bocca.
Mattia strozzò una risata, mentre Elisa inarcava un sopracciglio scuro.
Non avevo potuto fare a meno del commento sarcastico, dopotutto chi è questa sgualdrina per venirmi a guardare dall’alto in basso?
«La tua amica è molto simpatica, Matt, ma non le hai detto che questa festa non è adatta ai minori di quattordici anni?» fu il suo commento.
Mattia mi guardò un attimo allarmato, ma io scoppiai a ridere all’istante.
Dio, se questa poveretta pensava di offendermi, non aveva capito niente della vita.
«Già, è da un anno che i divieti per minori di quattordici anni non mi spaventano più» risposi tra una risata e l’altra.
Ci fu un attimo di silenzio dopo che io smisi di ridere.
«Matt, che ne dici di andare a ballare un po’?» chiese poi la Sgualdrina.
Mattia mi guardò un attimo, ma poi acconsentì.
«Non ti dispiace, vero? Se ti annoierai, domani potrai usarmi come punch-ball, promesso» mi disse prima di andarsene.
Fantastico, ora mi sarei tanto divertita a guardare il soffitto intriso di luci al neon psichedeliche.
Mi alzai anche io, ed iniziai a vagare tra la gente, in cerca di Susanna o Lavinia o il folletto alla fine dell’arcobaleno.
Ero praticamente arrivata vicino alla pista da ballo (pure una pista da ballo? Ma quanto caspita era grande il salotto dei Bianchi?!), anche se in quel momento non mi preoccupai più di tanto del fatto che Ciao-sono-Eli-la-sgualdrina e Mattia fossero andati a ballare lì.
In effetti, me ne ricordai solo quando li vidi in fondo alla pista, intenti a baciarsi, mentre io venivo gentilmente scaraventata a destra e a manca dalla gente là intorno.
Divertente, davvero molto divertente, fidatevi di me. Ah, ho già detto che odio le sgualdrine?

 


 

Author's Corner


Salve!
È UNA VITA che non aggiorno la storia, I know. Ho avuto moltissimo da fare, ma comunque avevo tantissime idee per questo capitolo, tanto che è uscito molto più lungo degli altri! Spero non vi dispiaccia, dopo tutto non è poi così lungo comunque.
Detto questo, in questo nuovo capitolo conosciamo “ufficialmente” Mattia, il fratello di  Dedo-barra-Tizio Luminescente.
E anche Elisa (per gli amici Eli ihihih), che vedrete parecchio spesso d’ora in poi... Ma non dimenticatevi anche degli altri personaggi, mi raccomando! :D
Daniel e Leonardo (e ovviamente anche Edo)  non sono i protagonisti di questo capitolo, ma non sono di certo dei personaggi di contorno, niente paura (?) xD

A presto!
Evelyn.

   
 
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