Prelude to the last battle
Infilarti i guanti all’alba, appena sveglio è diventato un gesto automatico – il fruscio della seta, che trattiene tra le sue fibre ancora un lieve sentore del freddo notturno, il tocco del tessuto ormai liso e ruvido all’altezza dei polpastrelli, l’impronta dei calli che hai su indice e pollice – la preghiera mattutina, il gesto scaramantico.
Allacci i bottoni della giacca, uno ad uno, meticolosamente. Poi gli stivali, il pastrano color della sabbia, color del nulla, per essere tutt’uno con il nulla: lentamente, per ritardare il più possibile qualunque cosa ti aspetti oltre la soglia.
Il riverbero del sole già alto ti colpisce con uno schiaffo bollente: barcolli, un braccio davanti agli occhi, momentaneamente accecato.
Scorgi il plotone sentinella di ritorno dalla sua ronda notturna – la nuvola di polvere che si alza sotto poche decine di piedi che si trascinano stanchi, la scia di sabbia dietro di essa che sfuma nell’aria tremolante, come un miraggio.
Maes ha gli occhi quasi chiusi, mentre solleva stancamente un braccio.
“Tocca a te. Dai, ormai è fatta: mancano solo il settore nord e il distretto di Nahjaf…”
Gli sorridi, perché nella sua voce, tra le consonanti biascicate per la stanchezza e il sonno, senti una nota nuova di impazienza, di pregustato sollievo.
Glacier. Il ritorno.
“Vattene a dormire, Maes. Non sarò certo io a portarti in braccio, se mi crolli davanti alla porta.”
Ti lascia con una risata – oggi è in vena, è sempre in vena: è Maes – dondolando la pistola sopra la testa, come il fazzoletto di una donna nel momento degli addii.
Il tuo plotone è già schierato alle porte dell’accampamento, in attesa di ordini.
Stevenson ti passa un fiaschetta dall’odore inequivocabile.
“E’ meglio del caffè, per svegliarsi.” è la sua unica giustificazione.
Accetti il cordiale, sollevando gli angoli della bocca in quello che in tempi migliori avresti definito un sorriso.
“Coraggio: ormai è fatta…” sente il dovere di dirti un altro soldato di cui non ricordi il nome.
Rimani in silenzio, ma trangugi il rimanente del liquore in un unico sorso: come risposta è più che sufficiente.
Mentre guidi gli uomini schierati, sul sentiero per il campo di battaglia, un bagliore improvviso cattura il tuo sguardo, dall’alto di una cresta rocciosa.
Sospiri sollevato: il suo saluto è l’unico gesto di incoraggiamento che riesca davvero a portare a termine il suo compito.
Eccomi!
Oddio, devo
andare a razzo sennò non riesco a finire entro
Luglio…
A proposito,
il numero
totali di capitoli è stato costantemente in evoluzione
(tanto per fare un
esempio, questo capitolo l’ho scritto stamattina…
^^”) ma penso che abbia
finalmente raggiunto un numero definitivo che è 42
più un epilogo (scusa
Shatzy… ma a 50 proprio non sono riuscita ad
arrivare…La depressione mi avrebbe
ucciso prima! ;P).
Sul capitolo
scorso
non ho nient’altro da dire, penso abbiate
già detto voi tutto quello che c’era
da dire… e sul finale della storia
non disperate (non troppo): un minimo margine di speranza
rimarrà, promesso
(sennò altro che depressione post-Ishvar: catalessi!).
Un bacione,
a domani!